I torturati


Detesto la puzza di disinfettante con cui ci ammorbano. Fa girare la testa. E rende folli. Folli. Folli! Vorrei staccarmi il naso. Forse lo farò. Forse me lo spappolerò a forza di spiaccicarmelo sulle sbarre. Forse me lo staccherò proprio io con le mie stesse unghie. Forse…

Sono davvero molto malvagi i nostri aguzzini. Ci tengono quasi sempre in gabbia. E questa è la parte bella della giornata. Perché poi, quando ci tirano fuori, è solo per seviziarci ancora una volta. Umiliarci. Violentarci. Aprirci la carne e vedere dentro. Abbiamo un’anima anche noi! Siamo esseri viventi! Ma anche se non ce l’avessimo, nessuno vi autorizzerebbe ugualmente a farci quel che ci fate. Ci fate del male! Ci fate provare dolore! Siete disumani. Siete stronzi, bastardi di natura. Che Iddio vi maledica, voi e tutta la vostra genia malata che si crede dio. Noi vogliamo solo condurre vite semplici, felici, modeste, spensierate. Ed è stato questo il nostro errore. Non vi facciamo la guerra per partito preso, come invece dovremmo fare per difenderci dalla vostra essenza diabolica. Perché noi siamo ingenui, mentre voi siete il Male sulla Terra. Adesso l’ho capito. E se un giorno dovessi uscire da qui giuro che non vi avvicinerò più appena dovessi percepire la vostra puzza rivoltante di gente che copre il proprio odore perché è falsa, è falsa anche in quello…

L’altro giorno ne hanno portato un altro. Lui è nuovo, e per lui il patimento è doppio, sia perché proviene da fuori, è stato libero un tempo, non è nato in questo carcere degli orrori, sia perché non si capacita di come loro si sentano in diritto di infilargli aghi nella pelle come niente fosse, urticargli la pelle o gli occhi o la lingua con le loro sostanze venefiche, o aprirgli la carne, o dargli la scossa. La scossa… Lui non capisce che cazzo sia, perché ovviamente prima di entrare qui non aveva mai sperimentato una sensazione simile, una sensazione così artificiosa, brutale e ignominiosa. D’altronde nessuno di noi dovrebbe mai prendere la scossa, perché sono cose che non ci competono, che non saremmo destinati a conoscere mai. Ma loro ci pervertono anche in questo. Loro più pervertono e più sono contenti…

Che siano dannati! Sono dei diavoli! Dei veri e propri diavoli dell’inferno. I diavoli esistono e sono loro. Prima non sapevo che potessero esistere creature più malvagie. Neppure nei miei incubi peggiori potevo immaginarmele e invece… invece esistono. E sono molto peggio di tutto il peggio a cui avrei potuto pensare. E nessuno li ferma. Nessuno ferma l’orrore. Siamo sacrificabili. Siamo carne da macello. E nessuno mai entra qui a salvarci. Siamo condannati a morte e sopratutto a patire. In questo luogo non esiste legge divina. In questo luogo c’è solo l’inferno. Ci sono solo loro che ci affliggono.

Il nuovo… Il nuovo è in grossa difficoltà. Non fa che lamentarsi, miagolare aiuto. Gli ho chiesto che cosa ha ma è in preda al panico e piange, non dice cose di senso compiuto, solo si lamenta e piagnucola. Ho provato a dirgli: amico rilassati, finché sei nella gabbia puoi stare abbastanza tranquillo. Certo, a meno che, non decidano di “studiare” gli effetti della nicotina. O del non sonno, della veglia coatta. E allora ti mettono in quella cella speciale con le luci sempre accese e ogni tot minuti ti fanno ascoltare un suono forte che non ti fa dormire, oppure ti smuovono la gabbia tanto che ti sembra di stare in mare. Così sei costretto a rimanere sempre con i nervi a fior di pelle e ti attacchi con le unghie a tutto ciò che trovi, per non ruzzolare all’interno della gabbia. E nel frattempo impazzisci e ti si sbarrano gli occhi e ti viene la nausea, e smetti di avere fare e… Sono stato dieci giorni in quelle condizioni. Poi finalmente mi hanno lasciato stare, sennò sarei morto, hanno detto, sennò sarei morto. E dopo che mi hanno rimesso nella solita gabbia non sono riuscito a distendermi completamente per almeno una settimana. Dormivo da sveglio. Tanto che uno di loro mi voleva “buttare via”, buttare via perché non servivo più, ero troppo “compromesso”, diceva. Proprio così, compromesso. Ma io ne ho visti tanti di noi essere portati via in quelle bare di cartone maleodoranti e divenire cibo per vermi. Ne ho visti tanti che non potevano più camminare, che avevano perso tutti i denti e che non avevano più un sol pelo sulla pelle. Ne ho visti tanti e non voglio fare la loro fine, anche se confesso che delle volte una morte rapida e indolore sarebbe la mia gioa più anelata, così smetterei infine di soffrire e stare sempre all’erta…

Non capisco dove prendano tutti quei loro strumenti di tortura così affinati, raffinati per fare male. Ho trovato una sola spiegazione: li hanno creati loro, in secoli e secoli di perfidie. Non possono esistere in natura. Cioè loro sono stati secoli e secoli a escogitare sempre nuovi sistemi per torturare: e sono ormai diventati dei boia impareggiabili. Sanno fare solo quello. E ciò è incredibile. È incredibile che invece di vivere la loro vita in serenità come ogni essere su questa terra, ogni essere tranne loro, siano arrivati a un tal punto di crudeltà: vivere per arrecare dolore agli altri.

Ma so bene, perché l’ho capito, che seppure alcuni di loro siano palesi sadici e neppure simulino di non esserlo, per la maggior parte loro son convinti di avere uno scopo, che quel che fanno abbia un significato: che sia per guadagnarsi il pane o far progredire la scienza. Proprio così, far progredire la scienza. Esattamente come facevano gli scienziati nazisti con i prigionieri adibiti alla sperimentazione…

Sono solo delle bestie! Non meriterebbero di vivere! Né quelli che lo fanno per lavoro, né quelli che lo fanno per sadismo, né quelli che pensano di far progredire la scienza! Dovrebbero esserci loro qui a esser sezionati, non noi! Loro se lo sono meritato sul campo!

Quello nuovo si lamenta ancora. Lo sento agitarsi nella cella accanto la mia. Poveraccio. Gli fa male qualcosa. Forse gli brucia la faccia. Gli devono aver applicato quelle loro lozioni distillate per urticare. Poveraccio. Non sa rassegnarsi. Mi fa tanta pena… Lui non resisterà molto. Lui verrà portato via presto in una di quelle bare per noi…

Mi fa troppa pena, così gli dico: hey, amico! calmati! non serve a nulla dolersi. anzi, ad alcuni di loro procura anche piacere. quindi non lo fare. potresti attirar troppo la loro attenzione e… qualora si convincessero che ormai non servi più ai loro biechi scopi, ti manderebbero dritto dritto all’obitorio…

Sento che ha ancora paura. Allora allungo un arto e gli offro un gesto distensivo che forse lo farà sentire meno solo… Amico, qua la zampa!, gli dico. E lui, lui mi tocca la zampa e ci sentiamo meno soli e disperati, almeno per un po’. È così debole la sua zampa…

 

“Giornalisti” Mediaset

Ho talora la malsana abitudine di dare uno sguardo al tg sportivo che va in onda su Italia1 (e si può dire che sia l’unica cosa che vedo su questa rete, oltre talvolta le repliche di Friends al mattino), questo perché, chissà come mai, la RAI in questo settore, pur avendo ben due canali dedicati allo sport, ha ormai alzato inspiegabilmente bandiera bianca, qui come curiosamente altrove, come quasi a voler fare sempre dei favori a Mediaset, chissà come mai; così non dispone di un tg sportivo decente che si possa chiamare tale che non sia una robbina flash…

E proprio in una di queste occasioni in cui ho avuto l’onore di guardare questo Studio Sport o Sport Mediaset che si chiami, mi sono imbattuto nel lancio di un servizio e poi, dopo una pausa pubblicitaria, dello stesso identico servizio paro paro, passato come fosse qualcosa di nuovo e interessantissimo!

Errore umano, direte voi. Nossignore. Primo perché altrimenti poi si sarebbero scusati (che delle volte si sono scusati per molto meno). Secondo perché dalle parole del conduttore si evince perfettamente che non ci sia stato alcun errore. Terzo, questa cosa non è successa solo una volta, ma almeno un’altra (da allora non guardo più questo tg di altissimo profilo professionale e non saprei dire se perdurano nella beffa). Dunque era voluta!

Diamo qualche dettaglio in più… Ricordo perfettamente l’occasione in cui ci strombazzano che hanno intervistato Balotelli che lascia l’Italia per tornare a giocare in Inghilterra. Okay, alla fine ci fanno vedere questo servizio che tra l’altro ci vuole proprio coraggio a chiamarlo servizio perché si vede la giornalista Micaela che gli pone timidamente delle domande e lui che non le fa neppure un cenno e se ne va senza aver proferito parola… Nonostante la pochezza del “servizio”, prima della pausa la conduttrice ci informa che dopo ci sarà altro spazio per Balotelli e quindi di non lasciarli!

E dopo la pausa ripassano lo stesso identico “servizio” in cui Balotelli non dice neppure una parola!

Inqualificabile! Ignominioso!

Complimenti “giornalisti” Mediaset! Proprio così si fa il giornalista… Non solo lavorate per un noto p2ista (di cui più volte mi sono soffermato a parlare in questo blog), e già per questo io mi vergognerei come un ladro, ma svolgete il “lavoro” che fate in questa maniera qui…

Un motivo in più per boicottare Mediaset.

Chiappa chiara o cuore torbido


Governo Renzi: ‘Mai più leggi salva B’. E le vecchie?

India, ragazzina vittima di violenza reagisce ed evira il suo aggressore

Si può e si deve fare!


Scajola, “archivio segreto nei muri”

Ex operaio Ilva: ‘Dottore, ho un tumore?’. Un anno di attesa per saperlo

Chi inquina paga? Come ripensare la fiscalità ambientale


Andrea Scanzi: Maurizio Gasparri, Al Pacino de’ noantri

Iraq, “donne e bambine sepolti vivi”

Violenza sulle donne, “Le dita tagliate”

Dal Mali all’India, giro del mondo dell’orrore


La Cia censura le informazioni scomode sui metodi di interrogatorio

Il Riottamatore

‘Oh Capitano, mio Capitano!’ Robin Williams, un Attore


Guerre ambientali e alterazioni climatiche

Renzi ignora la questione della ‘terra dei fuochi’ che continua a bruciare

Rifiuti speciali in Terra dei fuochi, Napolitano risponda

Terra dei fuochi: sui rifiuti speciali Renzi ascolti Arpa Toscana

“La centrale a gasolio ci sta uccidendo”
Tumori e morti, la spoon river di Capri


Matteo e la baldracca: “Silvio sei tu?”, “Ora non fare il pretino…”

L’erotico come potere

Renzi si versa la secchiata d’acqua gelata in testa. Ma niente, dalla bocca continua a uscire fumo.


Sigaretta elettronica, Oms: “Pericolo per adolescente e feto. Vietarla al chiuso”

Calderoli: “Papà Kyenge ritiri macumba contro di me”. Deputata: “Mi perseguita”

Calderoli, Kyenge: “Vada nei posti della macumba, tornerà cambiato”

😀 Se la macumba esistesse saresti già andato incontro a una morte terribile, leghista della mia %&&””%”$”%”%.

Giustizia, ancora una riforma pro Casta


In Scozia l’energia si genera dalle maree

Travaglio: L’ultimo bacio

Renzo Bossi accusato di danno erariale da Corte conti


Renato Pozzetto e la Lega

Se Renato Pozzetto dovesse morire oggi, lo ricorderei sempre per le sue belle canzoni in coppia con Cochi, che mi hanno strappato più di un sorriso, con quelle canzoni in cui c’era lo zampino del grande Jannacci…

Però, io, lo ricorderei anche per quella volta che l’ho visto parlare fitto fitto in televisione col Trota, a un convegno (o simile) della Lega.

Chissà cosa gli stava dicendo. Chissà cosa si può dire a un tipo così…

Complimenti per la laurea!

Grazie.

Alla fine ce l’hai fatta. E dire che sapevo che avevi avuto qualche difficoltà pure a ultimare la scuola superiore… Ma in cosa ti sei laureato poi?

Non me lo ricordo. Ma c’è scritto su quel pezzo di carta. Sempre se è scritto in italiano…

Ma perché? In che lingua potrebbe essere scritto?

Albanese…

Come Albania?!

Lo sai che la gallina non è un animale intelligente, Trota?

Perché? È una battuta?

Lascia andare…

Tu da grande devi diventare come tuo padre, Trota. Devi rendere orgoglioso tuo padre!

Sì, da grande farò il cerchio magico, dirò di averlo duro, mi alleerò coi p2isti, berrò l’acqua del Po…

Uhe! Se bevi l’acqua del Po davvero sei un pistola! Pirla!

Io lo ricorderò sempre così, Renato Pozzetto…

…E se un giorno dovesse morire Frassica?

Uno studio in blu: parte 4/4


Huozzon rincasò da Olms più velocemente della volta scorsa. Anche in questo caso si ripeté il deja-vu con la governante. «Credo che stia mangiando!», gli disse lei, felice come una pasqua. «Ho sentito quando gli deve essere caduta a terra una posata. Tuttavia non sono intervenuta, perché non lo volevo disturbare. E lui non mi ha chiamato. L’ho poi udito passeggiare avanti e indietro come suo solito. Si sta davvero riprendendo, non so cosa gli abbia fatto, dottore…»

«Non gli ho fatto un bel niente, signora Hazzon. E questo perché non esiste forza in grado di smuovere quell’uomo cocciuto se egli non vuol esser smosso. Il mio apporto nella vicenda si è limitato, al momento, ad aiutarlo a rientrare in quella consuetudine nella quale tipicamente egli si muove…», rispose il dottor Huozzon apparendo leggermente scontroso. Ma la donna non si offese più di tanto perché lo sapeva un brav’uomo.

Entrando nella sua stanza, il cuore gli si dischiuse. Era vero: Scerloch Olms era seduto al tavolino, chino sul piatto, a mangiare un paio di uova con bacon, oltre che pane, formaggi italiani, e annaffiare tutto con acqua fresca.

«…Olms!», disse Huozzon per un attimo incapace di articolare altro.

Scerloch Olms alzò gli occhi dal piatto e gli fece capire che anche allora stava rimuginando su qualcosa. Eccolo! Era tornato lo Scerloch Olms di sempre! Lo schizzato che Huozzon aveva sempre conosciuto. La persona prematuramente vecchia che stazionava nel letto fino a poche ore fa sembrava non esser mai esistita.

A questo punto però la curiosità del medico era palpitante e non poteva più essere fermata. Se Olms era in salute, gli doveva delle improcrastinabili spiegazioni.

«Olms… Che ne dice di rendermi partecipe di quello che le frulla nella testa?! Comprendo che stia mangiando e che la mia richiesta possa sembrare inopportuna e cafona, per certi versi, ma credo di essermela merita, non trova? Oggi mi ha fatto consumare assai le suole delle scarpe…»

Olms continuò a nutrirsi e, tra un boccone e l’altro, gli disse alcune parole…

«Archivio… F… Ultimi arrivi… Sezione esotica…», disse con trascuratezza.

E Huozzon intuì di cosa si trattasse. Scerloch Olms redigeva continuamente un ciclopico archivio con le notizie che lo avevano colpito, o comunque da tenere a mente in casi simili e insoliti. Huozzon ne era istruito. Ma non ci aveva mai messo le mani, ritenendolo troppo complicato da consultare. Così rimase impalato.

«Che aspetta, Huozzon? Voleva sapere, no?», gli disse Olms seriamente.

«Ma io…», non seppe cosa rispondere. Ma poi si recò sbuffando presso i grandi scaffali che sapeva rappresentassero l’archivio. «E va bene Olms. Sembra che lei mi voglia far spulciare anche in questioni alle quali non mi ha mai fatto avvicinare…»

«È che lei non se ne è mai voluto avvicinare, Huozzon. Ma a ragione, visto che probabilmente non avrebbe compreso neppure di cosa si trattava», lo schernì.

«Olms, io…», balbettò.

«Archivio… F… Ultimi arrivi… Sezione esotica… Ah, dimenticavo. Consulti quello a destra, quello delle persone. Non quello dei fatti

Huozzon si arrese ai voleri del suo aguzzino. Aprì lo scaffale di destra e cercò la lettera F. Poi la sezione esotica, e poi gli ultimi arrivi. Non sapeva cosa rappresentasse la sezione F. A ogni modo arrivò a una scheda con delle date, dei nomi e sparute indicazioni circa le persone in questione.

«Credo di averla trovata, Olms… C’è una lista di nomi di persone… Saranno trenta. Ma se la data relativa a ognuna di essi conta qualcosa, vedo che la più vecchia risale circa a un mese fa.»

«Giusta osservazione, Huozzon. Si limiti alle ultime tre voci. Mi legga quello che c’è scritto…»

«Okay. Annilhus O’Brian… 25/02/[omissis]… Speleologo… Pierce Socheaux… 08/03/[omissis]… Gigante (circo)… Anton Vasastalopolus… 09/03/[omissis]… Commerciante mercantile…»

«È tutto, vero?»

«Sì…»

«L’avrei potuta fermare sul secondo. Ma non ne ero sicuro. La mia memoria ancora non si è totalmente ripresa…»

«Ma cosa le è accaduto, Olms?»

«Di questo discuteremo dopo… Sa, dovendo catalogare molte informazioni correlate tra loro, si rischia, non so se ha mai esaminato il problema da un punto di vista analitico, che tutto quel materiale finisca per ampliarsi molto più di quanto dovrebbe. E sa perché Huozzon?»

«No, Olms. Me lo dica lei.»

«Non perché si inseriscano notizie che poi magari non si depennino, come forse lei starà pensando. No, mi riferivo al fatto che si è molto tentati di duplicare le informazioni. Così lo schedario sarà sì più chiaro a una prima occhiata, ma risulterà molto più gravoso del dovuto. Invece io ho inventato un sistema che permette di realizzare una giusta compromissione tra la duplicazione e uno schematismo il più possibile stringato. Cosicché…»

«Olms! La vuol finire di farmi la lezione? Perché non si limita all’essenziale?! Sono già morte tre ragazzine! Torniamo qui…»

«Non ne moriranno di nuove, fino almeno a stasera. Si calmi, Huozzon. Comunque, cercherò di essere più conciso, come dice lei. In pratica… Mi legga il codice che ha omesso di leggere accanto alla seconda persona elencata.»

«Questo? È scritto piccolo e credevo che fosse di nessuna importanza…»

«Lo so, Huozzon. Lo legga.»

«Xd27328S-we. Se ho letto bene.»

«Lo vedremo subito se ha letto bene. Cerchi questa scheda nella sezione A. È in ordine alfabetico e non le sarà difficile accedervi rapidamente.»

Huozzon strinse gli occhi a fessura e fu tentato di dirgli che gli ci voleva più luce, o l’ausilio degli occhiali. Ma alla fine sbrigò quell’impellenza abbastanza alla svelta.

«Eccola qua.»

«E mi dica, riporta il nominativo della stessa persona dalla quale siamo partiti?», terminò di mangiare e si asciugò la bocca con un fazzoletto.

«Sì, Olms.»

«Allora vede che ha letto bene, Huozzon? Bene, mi porti la scheda qui. Il suo compito si è dimostrato essere utile e corretto, Huozzon. Le faccio i miei compimenti.»

Così venne fatto e la scheda finì nelle sue mani capaci. La vagliò con scrupolo e inedia.

«Come immaginavo… Il mio sistema d’immagazzinazione di dati funziona piuttosto bene, Huozzon. Lo dovrei far brevettare da Scotlaniar. Non si immagina quanto sarebbe loro utile… Ma non credo che tutti saprebbero servirsene così compitamente, quanto il metodo richiede… La Logica non è per tutti… Ma veniamo a noi, Huozzon. La vedo che scalpita…»

In realtà ormai il medico si era completamente rassegnato alla spavalderia dialettica del suo amico il quale lo sovrastava in ogni maniera. Ma meglio quello piuttosto che vederlo ridotto a un vegetale umano come poco prima, pensò il dottor Huozzon, riassaporando amare reminiscenze.

«È ora di svelare la soluzione del caso, Huozzon. È contento?», lo guardò con un risolino ironico.

«Direi. Sarebbe anche ora, Olms.»

«Bene. Cominciamo da “caviglie”. Questa parola credo che l’abbia colpita molto, non è vero Huozzon? Si chiederà come mai Scerloch Olms sapeva che sulle caviglie delle giovani donne uccise si sarebbero trovati dei segni del genere, non è forse così? Ovviamente una ragione c’è. Allora, Huozzon, il punto sta tutto qui: come ucciderebbe, lei, un soggetto (meglio se femmina, esile di corporatura) facendolo affogare senza però bagnarlo completamente in tutta la sua persona?»

«E le pare da poco la domanda che mi ha posto? Ce lo chiedevamo io e l’ispettore Les Trad…»

«Ma non siete giunti a nulla, giusto? E sa perché? Perché pensavate all’assassinio, al motivo di un assassinio del genere, senza soffermarvi a dovere sul mezzo, sul come. Infatti il come potrebbe essere preponderante sul perché. Qualche volta il perché non è tanto un perché, bensì un semmai…»

«Olms, credo che la malattia non le abbia affatto giovato al cervello. La trovo molto più cattedratico del solito, sa?»

Scerloch Olms sorrise spavaldo.

«Mi faccia concludere… Dunque le sto dicendo che forse chi ha ammazzato le signorine non era detto che le volesse ammazzare, dopotutto. Forse le voleva solo punire, o castigare, o torturare. E forse non si rendeva ben conto che così avrebbe finito per ammazzarle, anche se lui stesso avrebbe preferito altrimenti…»

«Tortura, dunque… Mmm…»

«Le si sta smuovendo qualcosa nelle meningi, Huozzon? Adesso ha capito?»

«…Gli avrebbe ficcato la testa in una bacinella colma dell’acqua del Tamigi? Un tipo di tortura acquatica che ha invero una certa storia, se non erro…»

«Non erra. E ci si è avvicinato, ma non abbastanza. Il torturatore voleva, sì, rendere quell’effetto di affogamento nelle sue vittime, ma forse non era nemmeno troppo avveduto da ottenerlo in quel modo. D’altronde abbiamo già detto che deve essere un tipo molto rozzo e presumibilmente…»

«…Molto forte.»

«Esatto, Huozzon! Per la precisione un gigante! Perché il tipo afferrava le povere fanciulle imberbi direttamente per le caviglie e poi le tirava giù nelle gelide acque del Tamigi, Huozzon! Questa era la forma di sevizia che gli era venuta in mente per ottenere la loro compiacenza!», si accese.

«Tutto ciò è mostruoso, Olms! Inoltre il tipo doveva essere assai grosso e corpulento per giostrare con abilità una tale pratica barbarica!»

«Esatto, Huozzon! Vedo che comprende! Per questo la lista di persone che mi ha letto comprendeva gli individui di statura più rivelante che si sono visti nell’ultimo mese approdare a Londra!»

«Olms… lei è un demonio! E da cosa ha intuito che il nostro ricercato fosse colui che mi ha detto e non uno degli altri due?»

«Per rispondere a questa interrogazione dovrò mettere in gioco l’altra parolina per la quale lei si è dato così diligentemente da fare: “reggicalze”.»

«Una delle donne non ne era provvista, Olms, gliene rendo conto adesso. E su di essa erano più rilevanti i segnali della corda. La quale immaginavo fosse stata applicata, in ultima istanza, anche alle altre giovinette. Ora lei però mi dice che il bruto si è limitato ad appenderle a testa in giù…»

«Presumo che in quel caso magari le caviglie della femmina gli stessero scivolando di mano, così che il barbaro si sia chiesto se non sarebbe stato meglio giovarsi del supporto di una corda. Esperienza che non lo deve aver lasciato molto soddisfatto, dato che la volta dopo è tornato ad affogarle appendendole a testa in giù solo con le mani… Ma adesso dobbiamo tornare all’obitorio insieme!»

Come una furia ridiscese le scale trascinandosi dietro lo sbigottito dottor Huozzon. Indossati i soprabiti, si avviarono. E nell’ora successiva Olms gli spiegò il resto. Appurarono che quelle calze che le giovinette indossavano dovevano venire con tutta probabilità dalla Francia, dovevano esser esse stesse francesi e indossare abiti francesi, come francese era quel gigante del circo che le aveva torturate per far loro accettare di prostituirsi per lui. Mesi fa Scerloch Olms aveva letto su di una rivista di uno strano caso avvenuto in Francia: si trattava di una storia complicata e misteriosa che vedeva ricercato un uomo molto alto e robusto che si approfittava di giovinette scomparse da casa le quali aveva trasformato contro la loro volontà in sgualdrine da due soldi. Adesso egli e quel circo, a cui si era scoperto fosse legato, si erano spostati in Inghilterra, forse perché ormai avevano percepito che si fosse addensato troppo clamore sulla loro condizione di possibili assassini…

Scerloch Olms e Huozzon si recarono a Scotlaniar, dove istruirono l’ispettore Les Trad, assegnato al caso, delle loro scoperte. Olms gli disse anche che riscontri cercare qualora avessero eseguito una perquisizione e sopratutto dove.

A fine serata il caso era del tutto risolto e rimanevano da stabilire unicamente le complicità degli altri membri del circo, i quali era improbabile non sapessero nulla delle turpi macchinazioni del gigante, il quale tra l’altro non era neppure troppo intelligente e quindi era molto poco verosimile si fosse occupato della vicenda fin dal principio tutto da solo.

Ma a Huozzon rimaneva però un oneroso dubbio da dover esplicitare, invero non confacente affatto parte della vicenda criminosa. Così trovò il coraggio di domandargliene dopo cena…

«Olms, adesso mi può dire a cosa era da attribuirsi quel suo insolito stato inibitorio in cui l’ho visto stamane? Essendo il suo medico personale credo che lo debba sapere. E si ripeterà?», gli chiese con una traccia di sentita preoccupazione.

Olms lo guardò quasi commosso percependo la bontà nell’animo dell’amico.

«Mi ero fatto spedire una sostanza che si diceva fosse in grado di curare la melancolia acuta che delle volte mi prende.»

«Il pacchetto proveniente dal Sud America…»

«Esatto. Ma tale sostanza si è rivelata piuttosto inadatta alla bisogna, devo dire. Tra l’altro sapevo che in taluni soggetti potesse causare anche più di un fastidio. Come è stato per me… Per cui credo proprio che non la prenderò più.»

«Dio sia lodato, Olms», disse il dottor Huozzon rimuginando sulle droghe che delle volte il suo caro amico assumeva per tentare invano di liberarsi di quegli oscuri mali dell’anima che talvolta lo brandivano.

 

Aiuta i bimbi che muoiono di fame


Vuoi aiutare i bambini a non morire più di fame?

Fatti una domanda: perché al mondo esistono dei bambini, come pure delle persone adulte che vengono sfruttate, che sono schiave, o muoiono di fame?


È colpa di Dio?

Beh, allora sarebbe un Dio davvero molto molto cattivo…


No, non è colpa di Dio…

Allora di chi è la colpa?

È colpa del destino, di un destino generato dal caso a cui non si può quindi rinfacciare niente?


No. Non è colpa di un fatalistico destino imponderabile a cui non ci si può opporre.

Allora di chi è la colpa? Della sfortuna?

Davvero pensi che nel 2014 si debba andare avanti ancora a… botte di culo?!


Davvero pensi che nascere in un luogo povero possa determinare e sia giusto che determini l’infelicità dello sventurato che ci nasce? Davvero pensi che possa essere accettabile che un tedesco goda di una salute mediamente migliore di un brasiliano, tanto per dirne una?

Davvero credi che non si possa fare niente?

Davvero credi che questo sia il migliore dei mondi possibili?

Davvero credi che non ci sia alcun responsabile?


I responsabili ci sono e sono ovviamente coloro che detengono il Potere, che prendono decisioni, che decidono i destini di quelli che hanno sotto. Che permettono i soprusi e le ingiustizie per i loro disgustosi tornaconti.


I responsabili sono i governi del mondo.

Così, se vuoi che i bambini non muoiano più di fame… fotti i governi del mondo!


Friends per la pelle


Rachel, Monica, Phoebe, le ragazze.

Ross, Chandler, Joey, i ragazzi.

Sono i protagonisti dell’ultima serie televisiva che mi ha appassionato (da allora poca roba, un’infatuazione per Law & Order e poco altro)…

La cosa curiosa della serie è che, a seconda degli episodi e degli archi narrativi, i miei personaggi preferiti maschili e femminili cambiano… Così sicuramente all’inizio era Ross a essere il mio preferito e anche il personaggio in cui mi identificavo di più. E di conseguenza, quella che prima per me era una scialba figura femminile, cioè Rachel, quando Ross si è innamorato di lei, ha cominciato a essere una ragazza attraente.

Poi c’è stato il periodo in cui mi sono identificato in Chandler, che trovavo molto bizzarro ma divertentissimo e anche un po’ commuovente… Questo mentre Monica diventava ai miei occhi sempre più bella… E quando questi due sono imprevedibilmente finiti assieme sono stato molto contento…

Peccato però che da allora siano diventati (in particolare Chandler) molto più noiosi (come si fossero sposati sul serio!)…

In seguito ho cominciato quindi a considerare forse i due personaggi più infantili, cioè Phoebe e Joey… che alla fine si sono rivelati esser complessivamente i miei personaggi preferiti.

*

Con il passare degli episodi e con l’alternarsi delle serie, le idee si sono un po’ esaurite e gli sceneggiatori coinvolti non sapevano più come far evolvere la storia. Così Ross è diventato quello terribilmente pedante, Monica solo la maniaca dell’igiene e dell’ordine, Rachel la single che colleziona fidanzati come niente (tra l’altro trovo che ci sia qualcosa di irrisolto nel suo personaggio, perché alcune volte è sembrata troppo frivola, altre volte l’opposto, dunque a mio parere forse è stato il personaggio minormente attendibile), Chandler il marito di Monica (senza più alcun complesso particolare), Joey il seduttore simpaticamente stupido ma con un gran cuore, e Phoebe la schizzata imprevedibile…

*

Dopo e oltre Friends.

*

Jennifer Aniston, (Rachel) è stata quella di loro che ha ottenuto il maggior successo al di fuori della serie. Ha realizzato diversi film (ma nessuno che si sia segnalato per buona qualità, dal mio punto di vista). Tra l’altro ho sentito dire che quando la sua popolarità era in ascesa, e cresceva il suo cache, si è battuta affinché anche gli altri attori della serie ricevessero il suo stesso compenso… Che brava!

*

Courteney Cox (Monica) l’ho notata in alcuni film sia drammatici che comici, anche di discreto successo al box office.

*

Matt LeBlanc (Joey) l’ho visto una volta in un ruolo serio per un film di fantascienza ma il risultato è stato… pessimo. Continuava a farmi (involontariamente) ridere! E gli era stato assegnato anche lo stesso doppiatore italiano se non erro! 😀

Tuttavia si è rifatto con una seria tutta sua che può essere considerata uno spin off di Friends in cui si vede lui che parte e va in un’altra città nella quale continuerà a lavorare come attore. Passabile, ma certo Friends era meglio…

*

Matthew Perry (Chandler) è rimasto incastrato in alcune commedie sentimentali in cui ha interpretato personaggi molto simili al suo ruolo in Friends, un po’ come per gli altri…

*

Anche David Schwimmer (Ross) l’ho veduto in qualche film (ma non solo brillante).

*

Lisa Kudrow (Phoebe) ha fatto anche lei qualche film ma più che altro la ricordo per essersi cimentata con buon successo in una serie in cui impersona una psicologa che fa sedute online… Non male.

Uno studio in blu: parte 3/4


Il dottor Huozzon si introdusse trafelato nella camera mortuaria. Un ragazzino dai capelli rossi e con le lentiggini lo esaminò pensieroso. C’era qualcosa che forse colpiva la sua attenzione, la quale pareva esser catturata da quella pancia del dottor Huozzon, che cominciava a esser pingue.

«Sono il dottor Huozzon. Vengo per conto di Scerloch Olms e Scotlaniar. Devo esaminare il cadavere della signorina giuntavi oggi alle sette e trenta. Sicuramente saprà a chi mi riferisco…»

Il ragazzo rimase inebetito. Poi cercò di imprimersi un sussulto. Così prese a muovere le mani come cercasse qualcosa. Ma dieci secondi dopo stava ancora recitando quella ridicola pantomima e sembrava esser caduto preda di un qualche maleficio che lo coartasse a ripetere all’infinito le sue azioni inconcludenti. Ciò indispettì non poco il dottor Huozzon che aveva fretta di rivedere Olms.

«Giovanotto! Se devo firmare qualcosa, mi faccia firmare! Sennò basta che mi indichi dove la trovo… Anzi, credo di capirlo da solo, dopo tutto…», e si mosse scavalcandolo. Ma in quel mentre il ragazzo riuscì a battere quella strana ridda di inabilità e lo richiamò a sé.

«Ecco, signore! Ho trovato la penna e il registro. Mi basta che me lo firmi e poi l’accompagnerò io stesso…»

Il dottor Huozzon comprese che qualora non avesse acconsentito a redimere quella piccola lungaggine sicuramente il ragazzo avrebbe passato dei guai. Così si fece intenerire, tornò indietro e firmò. Forse il ragazzo era leggermente ritardato, pensò. In tal caso non sarebbe certo stata da ascrivere a lui quella sua inefficienza: semmai a chi lo aveva messo lì a svolgere quell’attività.

Alla fine si trovò davanti il cadavere della giovane donna morta quel giorno. Era più giovane di quanto gli avessero detto. Tanto che d’ora in poi avrebbe potuto riferirsi a lei tranquillamente chiamandola ragazzina, e non più giovane donna. Esaminò rapidamente il volto stravolto tipico degli affogati. Faceva spavento ed era nauseante. Si decise a concentrarsi sulle sue caviglie, come gli aveva detto Olms. Le scoperchiò le calze (che trovò parzialmente stracciate, come fossero state molto consunte dall’uso, anche se non pareva quello il motivo di tale usura). La carne in quel punto appariva lievemente arrossata, con delle piccole escoriazioni. Poteva essere un caso. Allora il ligio dottore le tolse le scarpe e dunque esaminò sia i piedi che i polpacci. No. La ragazza non era soggetta a quel tipo di escoriazioni sulla pelle. Cioè ne presentava solo in quel punto specifico. Huozzon immaginò che avesse potuto indossare delle scarpe più alte in precedenza, le quali le potevano aver lasciato quei segni arrossati. Ma in tal caso non si capacitava di come Olms ne potesse essere venuto a conoscenza in anticipo (ma non sarebbe stata certo la prima volta, quella, in cui il suo più caro amico l’aveva sorpreso di netto).

Era giunto il momento di andarsene. Ma poi gli venne in mente quel pensiero. Olms gli aveva detto “caviglie”. Ma si riferiva solo alle caviglie di quell’ultima ragazza di cui gli aveva parlato, oppure anche alle altre? Probabilmente intendeva le caviglie di tutte. Inoltre non avrebbe fatto un soldo di danno esaminandole anch’esse, dato che ormai c’era. E poi, l’idea di doversi recare ancora una volta in quell’ambiente inospitale e di rincontrare il rossiccio ragazzo intontito, non gli faceva fare salti di gioia. Sarebbe stato dunque meglio espletare il compito in una sola sessione.

«Esaminerò brevemente anche il cadavere delle altre giovani donne giunte qui negli ultimi giorni», annunziò deciso e si mosse prima che il ragazzo si facesse nuovamente prendere da quella esitante passività che gli impediva di prendere decisioni e trarre conseguenze.

Trovò segni similari anche sulle caviglie della prima ragazza uccisa, la quale invero non calzava affatto calze. Mentre sull’altra, poco più pesante delle altre, i segni erano anche più accentuati e, se Huozzon aveva imparato qualcosa nei lunghi anni di assistenza a Olms, quei segni dovevano esser rimasugli provocati dall’uso di una corda. Dunque i piedi della donna dovevano essere stati legati. Ma per quale motivo?

Ciò lasciava intendere che tutte quante fossero state legate. Ma perché legare i loro piedi, lasciando libero tutto il resto? Però ancora non era certo che altre parti del loro corpo non fossero state legate. Così volle accertarsi, prima di tornare da Olms, che almeno le braccia e la schiena non lo fossero state. Circostanza che venne confermata dal suo attento scrutinio. Dunque se ne tornò pensieroso da Olms con il suo carico di fresche notizie che a lui non dicevano ancora molto, ma che c’era il caso che a Olms rivelassero forse la soluzione dell’intero caso.

Mezz’ora dopo era tornato in Becherstrit. Appena entrato, scambiò due rapide parole con la Signora Hazzon.

«Non ha nemmeno provato a scendere di sotto. Però ho percepito che adoperasse dell’acqua per un bagno», gli disse senza che lui le chiedesse nulla, con un’espressione sospettosa che si appellava al suo sommo giudizio di medico affinché lui la confortasse.

«Se si sta lavando è un ottimo segno, direi, Signora Hazzon», la rese più quieta. «Adesso comunque vado su a vedere di persona e gli parlo», disse imboccando la rampa delle scale.

Lo trovò come si attendeva. Si stava facendo un bagno (con acqua fredda) nella grande bacinella adibita a tal scopo. Huozzon poteva sentire lo sciabordio delle abluzioni. Aveva lasciato la porta socchiusa cosicché si potesse comunicare con lui.

«Olms, sono tornato con le informazioni che mi ha richiesto», disse annunciandosi, e gli parve di ascoltare che per un momento l’acqua si chetasse per meglio udirlo.

Riscontrò alcuni cambiamenti prodotti nella stanza durante la sua assenza. Il violino era stato mosso e riposto su un altro mobiletto sul quale sovente lo aveva veduto. Un paio di pantaloni puliti erano stati buttati sul letto. La finestra era ancora aperta. E quel sole che si spandeva suggeriva che ci dovesse sempre essere speranza per il mondo, anche nei momenti più cupi.

A un tratto Olms uscì dalla vasca. Mentre si asciugava, sporse la testa cercando i suoi occhi. Poi la ritirò. Era una specie di ingiunzione a parlare. Il dottor Huozzon non era ancora entrato, per una questione di privacy, ma si accorse dei desideri del suo amico.

«Allora Olms, so che mi sente. Quindi le riferisco cosa ho scoperto. Ho esaminato le caviglie dell’ultima ragazzina uccisa. Ah, so che che prima mi sono riferito a lei con il termine di “giovane donna”, ma ritengo che il termine “ragazzina” calzi maggiormente a pennello. Dunque, le dicevo… Ho trovato dei lievi segni di sfregio a quell’altezza, come sicuramente, Dio solo sa come, lei doveva già aspettarsi. Non ho capito da cosa fossero stati prodotti. Potrebbero essere state anche delle zanzare, o un incessante prurito che si è cercato di soddisfare. Questo lo pensavo all’inizio. Ma poi ho voluto esaminare anche le caviglie delle altre. Credo di aver fatto bene, no? E ho trovato gli stessi segni su tutte, seppure, su quella senza calze, fossero molto meno marcati che su quella con le calze, le quali aveva moderatamente stracciate. Esaminando questi segni credo di avere individuato la causa che li ha prodotti: corde. Se conosco le corde, giurerei che si tratti di corde. Per almeno una di esse la circostanza è marchiana… Se adesso vuole farmi la cortesia di spiegarmi che cosa ha in mente, Olms, sarò felice di ascoltarla, come sempre…»

E all’interno della stanza si sentì Olms affermare:

«Reggicalze!»

Il tono era più vispo che in precedenza. Il dottor Huozzon rimase basito.

«Reggicalze?!»

Che cosa significava? Che avrebbe dovuto nuovamente recarsi alla Morgue per esaminare stavolta quest’altro dettaglio? Non gli andava proprio di fare da pendolo, come fosse stato un comune garzone di bottega di Scerloch Olms. Dunque vi si oppose veementemente.

«Olms! Non mi starà chiedendo di tornare lì e di cercare altri dettagli relativi alle calze delle ragazze, non è vero? Poteva venire con me se le interessava tanto! Oppure poteva dirmelo per tempo, così da risparmiarmi due viaggi! E poi, come saprà, recarsi in quel posto non è mai cosa gradevole da farsi. Neppure per un medico collaudato come me…»

Non giunse alcun suono da Olms, come si fosse sentito in colpa per avergli chiesto una cosa del genere.

«E poi perché mi parla a monosillabi, Olms? Si può sapere che cosa le prende? Credevo che fosse malato e impedito in qualche maniera a parlare, ma se invece, la sua, dovesse palesarsi esser una balzana forma di pigrizia, allora le prometto che d’ora innanzi non sarò più tanto tenero con lei…»

«Reggicalze, Huoz-zon…», disse ancora Scerloch Olms, stavolta con un accezione costernata che pareva conscia del disturbo che gli procurava.

Così il dottor Huozzon si fece intenerire e decise di concedere un’ultima opportunità al suo vecchio amico che, comunque la si mettesse, doveva vivere un momento difficile.

«Va bene, Olms. Lo farò. Mi recherò ancora lì. Per l’ultima volta, voglio sperare. Ma a patto che dopo lei la smetta di fare il misterioso, e avrà la creanza di scambiare finalmente delle parole di senso compiuto con me, tali che si possano chiamare conversazione, d’accordo? E badi che la mia pazienza è giunta al limite! Arrivederci e a presto!», disse simulando furore quando invece si era già assoggettato al suo destino di valletto. Un valletto che comunque appresso avrebbe avuto accesso alla verità, e a come essa delle volte segue strade tortuose prima di rivelarsi in tutto il suo magnifico splendore. Questo lo rincuorava assai.

 

Uno studio in blu: parte 2/4


«Mi sente, Olms? Perché non mi parla?»

Ma Olms non voleva o non poteva parlargli. Gli vide accennare un battito di ciglia e ciò ancora gli infuse un segnale positivo. Non era catatonico. Irritato per via che il suo amico non gli parlasse e del fatto che si sentisse impotente, si recò alla finestra e la spalancò. Quella fu la seconda cosa che fece.

«L’aria fresca le farà bene, Olms!»

Nel cielo finalmente era comparso il tanto agognato sole e, non solo la nebbia era già calata di una buona metà, ma anche l’aria si percepiva nitidamente più frizzante e quasi pura, tanto che pareva di essere in montagna, se la si paragonava con quella precedente così insalubre. Che Dio sia lodato!, pensò Huozzon. Anche questo coadiuverà a farlo riprendere.

Era molto tentato di somministrargli qualche tonico, tuttavia temeva che eventuali sostanze già presenti nel corpo di Olms avessero potuto interferire causando mutamenti accidentali e infausti. Per questo ancora esitava su quel fronte. Nel frattempo la signora Hazzon fece il suo ingresso in punta di piedi. Portò il vassoio carico di cibarie e lo adagiò piano su quel tavolo che anche a lei parve mostruosamente sfitto. Chiese «Come sta?» con una nota di celato isterismo. Huozzon la placò.

«Ho modo di ritenere che il più sia fatto, Signora Hazzon. La prego, ora ci lasci soli. La chiamerò se servirà il suo contributo», e l’umile donna fece un inchino e se ne andò silente. Quando Olms si sarebbe ripreso, se si fosse ripreso, se fosse venuto fuori che non stava poi così male, gliele avrebbe cantate quattro, quando il suo umore sarebbe tornato inscalfibile. Far preoccupare così una povera e brava donna come lei, sempre stata coscienziosa, fedele e affidabile, era qualcosa che non si faceva!, pensò la signora Hazzon.

Ma il dottor Huozzon si era assai sbilanciato sulle condizioni di Scerloch Olms. Un po’ per favorire il suo distacco, e un po’ perché voleva farsi prendere dall’ottimismo. Olms era ancora lì, disteso, che non reagiva ad alcuno stimolo. E chissà se sarebbe stato in grado di tirarlo fuori da quella simil peregrinazione dell’anima che stava avvenendo in lui.

Si diede ancora un’occhiata intorno. Era spettrale il modo in cui Olms aveva messo ordine alla stanza. Perché l’aveva fatto? E se fosse stato una specie di modo per accomiatarsi più ordinatamente possibile? Gli venne un brivido… Ma a ben vedere c’era solo una cosa che forse risaltava poiché fuori posto, in quel tripudio di assetto ordinato che aveva assalito Scerloch Olms: la rivoltella. Essa era stata posta su di una sedia accanto al letto. Fu strano che il dottore non l’avesse notata subito. Ma forse era stato per via del buio che aveva cinto la stanza. O forse perché gli innaturalmente spenti occhi di Olms ne avevano calamitato l’attenzione ben più di qualsiasi altra cosa.

Il dottor Huozzon la prese in mano. Controllò il tamburo e la canna. Era carica e pronta all’uso.

«Che cosa voleva fare con questa, Olms?»

La ripose in un cassetto dove sapeva che Olms la tenesse, tuttavia non disponeva della chiave che l’avrebbe sprangata dentro rendendola meno raggiungibile. D’altronde quella chiave, come pure quella rivoltella, sarebbero sempre appartenute al suo legittimo proprietario e il dottor Huozzon non avrebbe mai avuto il diritto d’impedirgli di accedervi.

«Ma insomma!, si può sapere che diavolo le prende?! Che cosa devo pensare dello stato in cui è ridotto?!», disse falsamente incollerito.

Ma da Olms non venne alcun fiato. Nondimeno qualcosa stava cambiando in lui. Era scosso da qualche fremito. Quell’aria fresca stava cominciando a fare il suo effetto.

«Che cosa devo pensare di lei, Olms?»

Finalmente vennero i primi segnali di scongelamento nei loro rapporti e, dentro di sé, a ognuno di essi, Huozzon ne esultò come un bambino. Per primo Olms mosse leggermente il braccio destro e con mano esitante indicò l’armadio con i vestiti.

«Qui dentro, Olms? Cosa vuole che le prenda qui dentro?»

Ma la deduzione era elementare e non gli sfuggì: qualcosa per coprirsi. Così il dottor Huozzon estrasse una coperta di lana e gliela adagiò sul letto coprendolo.

«Va meglio adesso, Olms? Vorrei che mi ricominciasse a parlare… Non che ci tenga a essere ringraziato, ma così non posso neppure biasimarla per il suo comportamento increscioso…», lo strapazzò.

Ma invero, a quella domanda, Olms aveva risposto assentendo lievemente con la testa, quando gli aveva chiesto se andava meglio. Di quello Huozzon parve per il momento soddisfatto.

Mentre Olms si decideva a riprendersi, Huozzon effettuò un’indagine nella stanza alla ricerca di qualche indizio, così come gli aveva insegnato il suo mentore che ora si trovava in quello stato semi-ipnotico. L’unica altra anomalia la rintracciò in quello che Olms utilizzava come cestino della spazzatura. Ci rinvenne i resti di un pacchetto postale che veniva dal Sud America. Controllò la bolla di accompagno e la data di consegna che era stata vergata proprio il giorno in cui Olms non lo aveva voluto ricevere, una settimana fa. Presumibilmente non era una coincidenza. Ma non capì cosa avesse contenuto quel pacchetto di carta a prima vista così anonimo, né conosceva chi glielo aveva mandato, un fantomatico quanto ignoto Pablo Escobar de Santos Vicente…

Il violino lo trovò insolitamente stipato in un intermezzo tra un mobilio e un altro. Era quasi una bestemmia che uno come Olms, che amava oltremodo quell’attrezzo (che pure secondo Huozzon non sapeva utilizzare poi così bene come egli si credeva), lo avesse riposto in un andito così inappropriato e indegno. Non resistette alla tentazione di ridonargli il suo giusto valore ponendolo sul tavolo accanto al vassoio con il cibo. In quel mentre avrebbe pagato per riudirlo torturare quelle corde con tanta poca grazia…

«Olms… Insomma! Che cosa vuole fare? Per quanto altro tempo ancora vuole approfittare della mia pazienza così come della mia amicizia? Si dia una mossa, per Dio! Altrimenti dovrò cominciare a vagliare l’ipotesi di darle qualcosa che però non posso esser sicuro dell’effetto che le farà…», lo spronò senza sortire effetto.

Poi, per aiutarlo a rimettersi in moto, gli venne l’idea di cominciare a parlargli del caso delle donne uccise.

«Ricorda quello che le scrissi la settimana scorsa su quella donna trovata uccisa sulle sponde del Tamigi, quella strana uccisione? La povera donna (molto giovane e abbastanza piacente, con qualcosa di insolito nel vestiario, che la rendeva forse straniera, a giudicare da alcune sue strane associazioni cromatiche) fu trovata affogata. Ma per qualche ragione il medico che la visitò ha arguito che probabilmente solamente il suo volto avesse toccato l’acqua (insieme alla parte superiore del busto e delle braccia). Volto che possedeva dei capelli sciolti (come una donna per bene non terrebbe mai, a meno che, per l’appunto, la sua acconciatura non sia stata smossa dall’acqua), sul quale volto si potevano rintracciare i classici segnali di affogamento. L’ispettore Les Trad e io allora ci siamo domandati se davvero essa sia potuta morire là, o piuttosto vi sia stata collocata solamente in una fase successiva, come le circostanze davano adito a ritenere. Tuttavia, nella sua bocca sono stati trovati dei reperti che avallano l’ipotesi che davvero fosse annegata nel Tamigi. Ma come è possibile, ci siamo domandati io e l’ispettore, che una donna possa affogare solamente nella parte superiore del suo corpo, senza che quella inferiore sia stata toccata in maniera considerevole dall’acqua?»

Incuriosito dal caso, Scerloch Olms dava segnali di ripresa. Ancora fece cenno con una mano a Huozzon di avvicinarglisi. E il bravo medico, felice che finalmente gli desse spago, gli si approssimò ratto.

«Vuole dirmi qualcosa, Olms? Ha per caso un’idea?»

Quando fu su di lui, Olms gli fece ancora segno di abbassarsi. Allora Huozzon avvinò l’orecchio alla sua bocca cosicché lui potesse sforzarsi il meno possibile e si mise in attesa di quella parola. E la parola giunse. E Olms gli disse, con un filo di voce arrochita:

«Caviglie…»

«Caviglie? Che che cosa starebbe a significare, Olms?!»

Si erse su di lui impettito, sperando che gli dicesse qualcos’altro e a voce più alta. Ma il trucco non sortì effetto perché Olms non sembrava disposto a eseguire frasi di senso compiuto. Solo singole parole poteva pronunciare, e con molta fatica. Fortunatamente fu irraggiato da un’illuminazione.

«Vuole forse che… vada a esaminare le caviglie di quella donna? Magari di tutte quelle coinvolte negli omicidi?», e Olms fece di sì con il capo e chiuse gli occhi per riposarsi.

«Va bene, Olms. Lo farò. Andrò all’obitorio, e lo farò per lei. Però prima mi deve assicurare che mangerà qualcosa e che al mio ritorno la troverò meglio di quando l’ho lasciata, va bene? Facciamo questo patto tra gentiluomini?»

Olms aprì per un attimo gli occhi e poi li richiuse, come ad assentire.

«Allora lo consideri già fatto. Sarò qui tra poco. E pensi a riguardarsi come si conviene! Buona giornata, Olms!»

Più rumorosamente del solito, infilò le scale dirigendosi verso la sua meta. Ma prima ci tenne a specificare alla signora Hazzon di non permettergli di lasciare la casa e di controllare accuratamente eventuali movimenti che avrebbe potuto effettuare. E lei gli assicurò che, per quanto poteva, lo avrebbe spiato senza farsene accorgere e che tra un’ora sarebbe salita per vedere se aveva mangiato. Il dottor Huozzon le sorrise riconoscente…

 

Jorge Amado: Frutti d’oro


Magnifico affresco della storia del cacao e di come il Capitalismo sia riuscivo a fagocitare anche “il frutto d’oro”, come d’altronde ha sempre fatto con tutto.

Romanzo con molti personaggi. Facendo un paragone con il cinema, questa storia sembra avere il meticoloso impegno sociale di Ken Loach unita con la celebre coralità di Altman.

Narratore dimenticato di cui non sento mai parlare, Amado è sicuramente un ottimo scrittore. Tanto bravo che sicuramente leggerò altri suoi libri in futuro.