La competizione sta iniziando. Una folta schiera di automobili è accampata scompostamente per le vie attigue la piazza di partenza. Dato che saremo in tanti a partecipare, non ha alcuna importanza schierarsi ordinatamente dietro un’ipotetica linea di start; quel metro in più o in meno non farà alcuna differenza alla lunga.
Osservo le altre macchine dei partecipanti tra le quali spiccano una Porsche, gialla davanti a noi, e una Lamborghini bianca, di lato. Non vi è dubbio che siano vetture più performanti della nostra, che è un’auto usata, scalcinata, con più di dieci anni sulle spalle, la quale non è detto che ce la farà a terminare la corsa lasciandoci appiedati, ma il loro vantaggio, se c’è, è presumibilmente solo d’immagine, più che altro. Infatti tutta la sfida si svolgerà nelle strade cittadine costipate dal traffico, almeno all’inizio, mentre sul finire devierà per strade meno battute ma nelle quali ugualmente non si potrà accelerare troppo per via della precaria stabilità.
Il via viene dato e la grande caccia al tesoro ufficialmente inizia. Le automobili si mettono in moto lentamente come un grande circo ambulante. Scorgo la Porsche che vorrebbe mangiarsi l’asfalto ma che deve circoscriversi in quei morigerati binari, come tutti noi. La Lamborghini invece è già in testa coda poiché ha accelerato troppo sul terreno viscido. La vedo procedere di sghembo per almeno una ventina di metri, e mi sfiora l’idea che il pilota abbia la situazione sotto controllo, dato il protrarsi della stessa. Ma è un abbaglio e la Lamborghini è solo una delle tante macchine che finisce per schiantarsi contro qualcosa ponendo immediatamente fine alla sua corsa.
Il mio compagno e amico Pitone ne è felice. Non serve avere la macchina fica, dice rivolgendosi a me, che approvo aggiungendo che mi sento che saremo capaci di arrivare fino in fondo io e lui (e mio fratello che è sul sedile del passeggero di dietro) con la nostra macchina vecchia e rodata, diciamo così.
Viaggiamo per ore. Si fa sera. Lungo la carreggiata non scorgiamo più alcuna auto la quale possiamo affermare che abbia cominciato la corsa con noi; anzi, a dire il vero è da una mezz’ora che non incrociamo anima viva e sembra che sulla strada ci siamo solo noi.
La carreggiata è molto buia e non ha alcuna illuminazione ai suoi lati. La luce dei fanali è la nostra unica fonte di conduzione. Penso che, se per qualche ragione dovessimo rompere un faretto, ci ritroveremmo nella merda e potremmo andare avanti con gravi difficoltà.
Ma per fortuna quell’eventualità non si presenta. La via è così sgombra (deserta) che ci viene il dubbio di aver sbagliato strada. Ma non è così. Sono stato attento a seguire la cartina passo passo risolvendo di volta in volta tutti gli enigmi della caccia al tesoro disseminati sul percorso. Così, anche quando arriviamo al termine ultimo della caccia, ci potrebbe essere il caso che siamo i primi che davvero ci giungano. Sappiamo di molti che lungo il tragitto non sono stati capaci di risolvere i quiz e hanno dovuto abbandonare la competizione, e di molti altri che hanno avuto banali incidenti stradali.
Avverto Pitone di decelerare ulteriormente, quando siamo già al limite minimo consentito per via dell’oscurità assoluta. Gli dico che adesso, se non abbiamo sbagliato nulla, dovrà spuntare una svolta seminascosta a sinistra, la quale dovrà essere percorsa con molto adagio poiché si tratta praticamente di una curva a centottanta gradi, da compiersi in pochissimi metri; e dunque si rischierebbe di spappolarsi sulla alta parete delimitatoria se la si volesse prendere con troppa fretta.
Pitone è attentissimo alla strada, che tiene d’occhio sopratutto sulla sinistra per vedere se finalmente abbiamo azzeccato tutto e siamo giunti alla fase più eccitante ma anche critica e difficile del gioco… E, come fosse un sogno che si realizza, alla fine, sulla sinistra appare davvero una deviazione seminascosta che prendiamo, increduli noi stessi della nostra bravura.
La svolta c’è davvero, dice Pitone felice, che compie la virata con moltissima accuratezza, quasi da fermo. Se durante la manovra sorgesse dalle nostre spalle un’automobile a velocità normale, sicuramente finirebbe per cozzarci addosso e ammazzarci tutti. Ma fortunatamente questa nefasta eventualità non si concretizza.
Scendiamo piano con la macchina lungo una discesa. Sbuchiamo in uno spiazzo non troppo ampio e parcheggiamo di fronte a una villa a più piani. Non c’è traccia di altre macchine posteggiate. E noi ne prendiamo coscienza. Siamo i primi, dice Pitone. Ma io gli rispondo che potrebbe essere invece che già altri ci abbiano preceduto e se ne siano andati, anche se forse questa possibilità è ancora più remota, visto che non sarà una bazzecola adesso inoltrarsi nella casa e venire a capo dei suoi misteri.
Bussiamo al battente della porta, sempre nella quasi totale oscurità. Poco dopo qualcuno ci apre. È un signore che chiamerò signore#1, il quale è vestito impeccabilmente da sera. All’inizio mi pare un maggiordomo, ma presto, discorrendo con lui apprendo dal suo tono altezzoso e annoiato che debba trattarsi di un pezzo grosso. Con noncuranza ci fa i complimenti per essere giunti fin lì e ci invita subito a salire al secondo piano dove ci attende l’inizio dell’ultimo cimento. Saliamo timorosi e preoccupati l’ampia scala sulla destra la quale si estende per decine di metri. Non sappiamo nulla circa cosa ci aspetta.
La scala sbuca su di un ingresso che varchiamo. Così ci ritroviamo in una stanza che sembra uno studio, molto arruffata e disordinata, dove numerosi oggetti si assiepano uno sull’altro disordinatamente. Pur essendo l’ambiente al buio, percepisco la sensazione che sia piuttosto impolverato.
Al centro della stanza (non troppo grande) vi è una scrivania, e dietro la scrivania una donna di trenta anni, la quale appena ci vede, da brava impiegata che ha imparato a memoria la tiritera del protocollo, attacca con un discorso molto enfatico, evocativo e suggestivo circa i terribili segreti e pericoli ai quali stiamo andando incontro.
Anche se dovrebbe essere tutta una finzione, rende bene l’idea e tutti noi tre ce la facciamo un po’ addosso. Ma poi, quasi a rovinare insanabilmente l’atmosfera, si ricorda di una vicenda improcrastinabile alla quale ancora non aveva accennato. Ci dice che dobbiamo pagare la quota di partecipazione di trecento e otto euro per poter procedere oltre. Ciò mi ricorda che in fondo si tratta solo di un gioco (vero?) e che dunque non mi devo impaurire…
La mia quota personale io l’ho già pagata, anche se si trattava solo di trecento euro, essendo io colui che ha iscritto la squadra alla competizione. Tuttavia la signorina è così solerte e incalzante circa quella necessità di saldare il debito che ho il timore che me la faccia pagare di nuovo. Oppure c’è il caso che pretenda che metta quella differenza. Però ricordo bene che sul contratto che ho firmato si parlava di trecento euro e non trecentotto.
Dato che nessuno di noi ha ancora messo mano al portafoglio, la ragazza ripete tutta la storia della quota contributiva, ma stavolta ci dice che la somma da versare è di trecentoundici euro. Allibito mi chiedo se ogni volta che effettuerà la sollecitazione ci chiederà un contributo gradualmente superiore.
Nel frattempo il mio amico Pitone e il mio silenzioso fratello si decidono a fare perlomeno il gesto di prendere dei soldi… Pitone si fruga nel portafoglio platealmente. Ma arriva appena a duecento euro… Mio fratello invece, appurato di avere con sé anche lui una somma molto inferiore, si volta indietro e comincia a scartabellare in delle buste di carta che afferra dagli scaffali alle nostre spalle, le quali buste contengono ognuna piccole quantità di banconote.
Non so proprio come andrà a finire questa faccenda: i soldi di Pitone non basteranno mai per arrivare alla somma pattuita; mentre mi chiedo come reagirà la (per ora) imperturbabile ragazza una volta compreso che mio fratello ha raggranellato quel denaro prendendolo da quelle buste (che non vedo come gli possano appartenere, ma forse mi sbaglio e lui c’è già stato qui, anche se per ora non ha detto nulla che lo lasciasse intendere).
Pitone ogni modo, sono conscio che tutto quel disturbo i miei compagni non se lo sarebbero mai dato se a chieder loro quel denaro non fosse stata una ragazza così affascinante, così come è questa, dotata di lunghi capelli neri mossi, un bel viso regolare imbellettato con un rossetto pesante e un filo di trucco che le mette in risalto occhi scuri e misteriosi, forieri senz’altro di qualcosa di torbido. La tipa, anche da seduta, risulta molto slanciata e alta: è indubbiamente dotata delle rotondità giuste nei punti giusti. Tiene le gambe accavallate e indossa dei pantaloni scuri che non celano tuttavia che debba avere delle gambe molto belle…
Anche io provo della naturale attrazione fisica per lei, però, al contrario dei miei compagni, percepisco in lei qualcosa che pavento: non solo che mi chieda di ripagare la mia quota…
Così, senza accorgermene e senza che nessuno se ne accorga, mi defilo. D’altronde la porta dietro di me dalla quale sono entrato non è chiusa, per cui non mi è difficile ritrarmi nel corridoio, dove tra l’altro assisto ad una scena piuttosto inquietante che non avrei dovuto vedere… Il signore #1, quello che ci aveva accolti sembrando freddo ma cordiale, sta parlando con quello che indubbiamente deve essere un suo cameriere/faccendiere. Il signore #1 gli chiede se sono in grado di tenerci dentro anche solo per mezz’ora, e il suo servo gli annuisce. Ciononostante, dopo aver ricevuto questa risposta, il signore #1 gli ordina di tenerci dentro invece per un tempo che sia maggiorato il più possibile.
D’un tratto capisco che sono in enorme pericolo in quella casa, in particolare ora che ho deviato dal percorso che mi era stato assegnato. Infatti, se prima potevo ancora sperare che seguendo quel percorso in qualche modo prestabilito sarei potuto tornare a casa una volta terminato il gioco, adesso sono certo che, una volta scoperta la mia assenza, non esiteranno a farmi fuori o a farmi sparire, magari dopo avermi torturato utilizzando i loro metodi snaturati.
Così, appena la via è sgombra, prendo la scalinata e mi precipito fuori dalla casa. Non ho alcuna voglia di scoprire che altro nascondono i meandri di questa casa infestata da uomini le cui vere mire mi sono oscure, seppure ho percepito che abbiano qualcosa da spartire con la malvagità. Non mi pongo il problema di Pitone e mio fratello, che lascio dentro. Non posso fare nulla per loro, che forse sono più al sicuro di me poiché seguiranno il percorso prefissato.
Fuori, all’aria aperta, ho modo di scoprire molte novità perturbanti… Primo: non è più notte. La cupa notte nella quale eravamo sprofondati si è dileguata lasciando il posto a una mattinata uggiosa e carica di angoscia. Saranno forse le nove o le dieci di mattina. Tuttavia mi sfugge come possa essere trascorso tutto quel tempo senza che me ne fossi reso conto. C’è qualcosa che non mi torna poiché la sera prima siamo entrati in questa casa maledetta verso l’una, al massimo le due di notte. Ed è impossibile che sia trascorso tutto questo tempo senza che me possa essere accorto…
Secondo: alla luce diurna quei luoghi mi sembrano estremamente trasfigurati, irriconoscibili. L’automobile con la quale siamo venuti, che avevamo lasciato parcheggiata fuori, non c’è più, e nessuno di noi l’ha spostata. Inoltre quello non sembra più il giardino di una villa, ma il tutto assomiglia molto di più agli esterni di una normale cittadina di provincia, comprensivi di strade e altri palazzi. Cioè, adesso è ben visibile che, procedendo come se si volesse andare alle spalle della villa, ci si inoltrerebbe per un rione intero di edifici e viali, il che è ancora inconcepibile rispetto a quello che avevo appurato poche ore fa, quando era notte.
Parrebbe quasi che sia uscito dalla villa da un’altra uscita, senza accorgermene, ma sono sicuro che non sia così. Dunque il mistero rimane irrisolto… Percependo che un forte segnale di pericolo investa tutta la mia persona, mi decido a prendere rapidamente la stradina che mi porterà verso il centro della cittadina. Ma faccio appena in tempo a imboccarla che, pochi passi dopo, mi accorgo che sono seguito dal servitore veduto confabulare con il signore #1 nella villa, che ora mi si manifesta aver assunto decisamente i panni di una specie di custode/giardiniere, e dal suo cane, un mastino che appare molto minaccioso. Come pure è lo stesso custode.
Comincio a correre e il custode neppure mi intima di fermarmi, mi viene dietro al piccolo trotto sguinzagliandomi dietro la belva sbavante. Vivo la scena al rallentatore: il custode non mi raggiungerà mai, è troppo lento. Ma il suo cane però ce la farà presto. Così, per tenerlo d’occhio, comincio a correre al contrario, guardandomi cioè costantemente indietro. Così, quando il molosso avvicina le sue ganasce al mio corpo, ho il tempo giusto per rintuzzarlo con dei calci che lo rintuzzano alcuni metri dietro. Ma il mastino non si placa e ricomincia sempre a braccarmi…
Lungo la strada ovviamente non incontro nessuno a cui chiedere aiuto. Nel frattempo, con sempre il cane alle costole, mi avvicino a un altro villino il cui ingresso mi appare socchiuso. Entro da un pertugio e me lo richiudo subito dietro bloccando l’imposta con un serraglio. Il cane non potrà entrare da lì. Lo sento raschiare alla porta ebbro di rabbia.
Ma non ho il minimo tempo di rilassarmi che subito mi accorgo che poco più in là, nel medesimo locale, vi è una strana apertura sull’esterno… Una specie di portafinestra aperta per un metro proprio di fronte a due sedie, delle quali una è posta davanti alla portafinestra, mentre l’altra è collocata alla sinistra di essa e ha davanti una scrivania; e quella è una disposizione così balzana che non posso pensare che sia casuale e non abbia una qualche sua motivazione che tuttavia mi sfugge totalmente. La seconda sedia, quella dietro la scrivania, è occupata da un tipo vetusto, con un’aria nauseata, che conosco già: è infatti l’organizzatore della gara. È inconfondibile, con i suoi abiti sgualciti, il suo piglio perennemente scontento e quella sigaretta accesa sempre nella mano destra, che lascia consumare senza che quasi mai lo colga dargli qualche boccata… Chiamerò il tipo il signore #2.
Ma non c’è tempo per ulteriori considerazioni… Devo affrettarmi a chiudere la portafinestra perché non ho modo di dubitare che anche il molosso l’abbia vista e vi si stia portando. Però, appena mi appresso alla portafinestra per chiuderla, percepisco dall’atteggiamento del vecchio che egli è sicuro che il cane da lì non entrerà e che dunque la mia agitazione circa quella situazione sia immotivata. Il vecchio mi fa sedere sulla sedia libera. Adesso mi sembra che fosse stata lì per me, o per qualcuno come me. Da quella posizione posso effettivamente accertare che nessun essere vivente si presenterà da quel passaggio.
Sulla scrivania vi è un alambicco che sta emettendo un gas che manda un lieve effluvio che sa di stantio. Il vecchio manovra una manopola e il suo getto aumenta investendomi sulla faccia. Allora mi sento rilassarmi e comprendo che sia proprio quella la funzione del distillatoio. Presto perdo coscienza di me…
Del giorno dopo mi comincio a rammentare solo a partire da mezzogiorno, quando mi trovo nei pressi dell’università. Fuori dall’aula magna il signore #1 ha riassunto la sua aria da precettore dotto ed è nel pieno di una delle sue lezioni molto seguite e apprezzate, quelle lezioni che l’hanno portato a essere una delle persone più influenti del paese. Non entro nell’aula. Mi limito a osservare da fuori per qualche secondo. E lui, quando mi vede, mi riconosce a sua volta. Tuttavia nulla tradisce questa circostanza, se non un battito di ciglia veloce. Prosegue con la sua lezione. D’altronde non ha tempo per me. Io sono ormai solo un’insignificante comparsa del suo passato e non potrò più dargli grattacapi di alcuna sorta.
Di fuori, altri studenti che conosco si sono assiepati formando un gruppetto eterogeneo. È l’ora del pranzo e ognuno sta mangiando il pasto di cui si è dotato. C’è chi ha comperato qualcosa in loco e chi se lo è portato da casa. Mi rendo conto di avere molta fame. Così cerco di farmi offrire qualcosa da uno di quelli con i quali sono più in confidenza, ma questi, una volta comprese le mie intenzioni, mi bacchetta la mano sdegnosamente prima che possa afferrare qualche cibaria dal suo convito. Non mi darà niente…
Da quel giorno non ho più saputo nulla né del mio amico Pitone, né di mio fratello, i quali sembrano essersi persi nella nebbia.
