Nei giorni precedenti avevo notato un certo fervore nell’aria. Ma roba di poco conto perché, questi tipi, da anni abituati a intrigare con i loro segreti e melliflui imbrogli, erano assai avvezzi a dedicarsi a quelle sordide pratiche le quali ormai padroneggiano con accuratezza, non rendendomene partecipe.
Avevo captato, ieri l’altro, mentre il Ciambellano Ermafrodita (con l’aria imbronciata di chi se ne sarebbe volentieri astenuto) aveva aperto il portafoglio per cavarne una banconota da cinque, la quale aveva posto silente nella pronta mano dell’Elfa Kitty, che da par suo l’aveva intascata come le fosse dovuta.
Ciò avrebbe dovuto incanalarmi verso la corretta interpretazione della verità (ormai queste mendaci e facete reticenze avrei dovuto conoscerle a menadito). Tuttavia non avevo saputo prevederlo. Ma quando la Corva Corvina era entrata nel magazinetto con delle buste della spesa che sapevano tanto di festicciola, finalmente avevo capito. Era il compleanno di qualcuno. E allora mi ricordai di quello sconclusionato dialogo intercorso tra l’Elfa Kitty e la Gigantessa…
«Che le facciamo stavolta, Elfa Kitty? Ormai ha una certa età! Avrà già tutto!», le aveva detto con enfasi quella alta.
«Ho pensato a una maglietta celeste che si accordi perfettamente con il colore dei suoi occhi, amore mio. La scorsa domenica passavo proprio in quel mercatino rionale di cui altre volte ti ho detto e…»
«…Ma sei deficiente?!», le aveva urlato come al solito per prenderla in contropiede e metterla in imbarazzo, «Kitty, Occhi di Serpente ha gli occhi verdi! Verdi, capito?! Non azzurri! Scema! Eppure la dovresti conoscere bene tu, quella serpe!»
«Lo so, amore della mia vita», aveva replicato quasi sussurrando in un misto di pacatezza e scuse l’Elfa Kitty, «Ma il celeste si accorda benissimo anche al verde. Non lo sai?»
Al che era seguita un’occhiata incredula della Gigantessa verso la sua piccola amica, segno che non sapesse fino a che punto essa fosse in grado di sostenerlo davvero.
«Certo che è così. Il verde e l’azzurro sono colori fratelli. Basta aggiungere il giallo a uno dei due (non ricordo quale, forse entrambi) per ottenere l’altro. Non mi credi? Vuoi vedere che lo sa anche Nemesis?», mi aveva tirato in ballo. E guardando nella mia direzione… «Nemesis, hai sentito? Tu che ne dici?»
«Certo. Hai ragione tu», le confermai.
«Vedi che lo sa anche Nemesis?», le aveva allora detto l’Elfa, in verità non volendomi schernire ma solo tentando di farmi apparire come un altro balocco nel loro eterno rapporto favoleggiante.
«See! Nemesis! Buono quello! Da quando in qua ciò che dice Nemesis è vangelo?!», mi aveva canzonato con una vena cattiva la Gigantessa.
E sarebbero andate avanti nel loro imperituro teatrino se non fosse poi giunta l’Untuosa Intellighenzia, con la sua faccia sempre seria che non comprendeva l’umorismo, la quale invero era molto temuta dalla Gigantessa, ma non parimenti dall’Elfa Kitty, dato che per una questione contrattuale quest’ultima era di grado sufficientemente elevato per non subire le malversazioni della dirigente…
Dunque adesso connettevo tutti i particolari del quadro e ne avevo una visione complessiva. Ma ciò che avevo scoperto non mi piaceva affatto perché sapevo già che, nell’eventualità di una festa, mi sarei trovato ancora più indifferibilmente a disagio, poiché quegli ipocriti mi avrebbero obbligato a nuotare nel loro oceano di maleodorante impostura.
All’ora di pranzo fu la Nana Timida a darmi ufficialmente l’annuncio davanti agli altri. E io non potei oppormi, non avendo una scusa valida capace di sottrarmi a quel supplizio.
«Nemesis, dopo vieni nella sala grande. Se non lo sai, festeggiamo il compleanno di Occhi di Serpente. E ci sarà molto da mangiare…», mi aveva detto, mentre io non avevo saputo inventarmi nulla di decente per sfuggirne.
Quando venne l’ora e l’Elfa Kitty espose un pacchetto infiocchettato con dentro quello che doveva essere il regalo di Occhi di Serpente, non resistetti all’occasione per parlarle.
«Immagino che abbiate fatto una colletta per quello… Perché non mi avete detto nulla? Anche io avrei voluto partecipare. Tanto più che sarò alla festa…»
E lei mi rispose senza troppi orpelli.
«Ma Nemesis… tu non sei uno di noi, della famiglia… Cioè noi siamo qui da anni, mentre tu sei nuovo. Non era giusto che partecipassi.»
Capivo la sua ottica. Ma in definitiva, quello, era l’ennesimo sotterfugio che mettevano in atto per escludermi, anche se magari stavolta senza malizia.
Per fortuna avevo provvisto almeno ad acquistare delle vettovaglie che integrarono non poco le loro scorte. Quando le disposi ordinatamente sul tavolo assieme alle altre, ormai era tropo tardi per dirmi che non dovevo. Così tollerarono il mio tentativo di intromissione (senza il quale sono certo si sarebbe detto che ero un taccagno spilorcio parassita che si approfittava della generosità altrui) e non ci misero bocca.
Ovviamente Occhi di Serpente tardava. D’altronde, essendo essa uno dei membri più importanti della setta, aveva la facoltà di non attenersi a orari di lavoro fissi, favorita anche dalla complicità dell’Elfa Kitty la quale inspiegabilmente la copriva spesso (e io mai capii perché, una come lei, avrebbe dovuto infangarsi di una tale correità con quella che sicuramente era la peggiore persona avessi mai conosciuto in vita mia).
Dunque ci poteva anche essere il caso che Occhi di Serpente non tornasse dalla sue commissioni improvvisate. Tale interpellanza venne sollevata proprio dal Ciambellano Ermafrodita, che si vedeva come fosse in quel periodo il più spazientito di tutti.
«Ma non è che questa non viene, eh? Sarebbe proprio una bella festa a sorpresa! Riuscitissima! Ce l’avrebbe fatta lei la sorpresa! Ah-ah-ah!», artefece una risata per sdrammatizzare la sua critica agli organizzatori.
Ma l’Elfa Kitty era troppo precisa per incorrere in un fallo del genere.
«Tranquilli. L’ho chiamata prima. Le ho detto di presentarsi puntuale per pranzo. Verrà. Credo che abbia capito il motivo della convocazione. D’altronde festeggiamo sempre i nostri compleanni e si sarà abituata ormai…», disse.
Così sparì anche l’esigua speranza che almeno quel giorno avessi potuto astenermi dal vedere quei suoi occhi torbidi da fattucchiera (quale sublime dolcezza sarebbe stato il non vederli!).
Dopo dieci minuti nei quali, per suo riguardo, non toccammo cibo (e dunque non ebbi neppure nulla da fare e dovetti dividere con loro quello stesso asfittico spazio vitale non potendo fare altrimenti), Occhi di Serpente si degnò di fare il suo ingresso (fingendo sorpresa) in compagnia della spostata Corva Corvina la quale, per accelerare le pratiche festose (dato che dopo aveva un impegno), era andata a pescarla da chissà dove .
«Ah, ma allora è per questo che mi hai fatto venire, elfetta cara…», simulò commozione la bagascia, «Me lo dovevo immaginare». E l’Elfa Kitty si riempì di una sorta di gioia genuina. Era cioè forse la sola, lì dentro, che credeva parzialmente nel significato di quel ricevimento.
Si cominciò subito a mangiare. Eravamo quasi al completo, con mio sommo dispiacere. L’Erotomane con le labbra carnose dichiarò di avere una tal fame che si sarebbe ingozzato di una mucca intera. Tutti risero, tranne me.
Il cibo era di scarsissima qualità. Si vedeva perfettamente che erano state comprate le derrate più scadenti e poveramente nutrienti (quelle più economiche in assoluto). E per fortuna che c’erano le mie che arricchirono non poco il magro pasto! Tuttavia (incredibilmente!) ci fu chi ebbe la faccia tosta di lamentarsene. E fu la stessa persona che si era prodigata nell’acquisto delle altre che, riconoscendo le intruse, cercò di screditarle.
«E queste che sarebbero?!», disse la Corva Corvina con quella sua voce insopportabilmente stridula, naturalmente fastidiosa.
Rispose l’Efla Kitty, forse per proteggermi da quello che la Corva avrebbe potuto dire non sapendo che i suoi insulti sarebbero stati rivolti a me (ma davvero non lo sapeva?).
«Le ha comperate Nemesis. Voleva partecipare anche lui alla spesa…», disse come se non fossi presente. Al che seguì solo silenzio e l’impressione che se ne ebbe fu che la Corva Corvina si tenesse per non eruttare in una delle sue sparate idrofobe.
La persona che si palesava più contenta di tutte era l’Erotomane. Forse perché era sempre molto contento quando gli si offriva il pasto. Forse perché così lavorava meno. A ogni modo era il più allegro della brigata e dunque spesso diffondeva quella sua risata adulterata da scimmia araba (con un non so che di gutturale). Tutti gli offrivano sponde. E lui rispondeva a ognuno, spingendosi gradualmente sempre più in là… laddove sarebbe potuto giungere un ubriaco ardimentoso ormai prossimo a battute osé, nonostante le numerose donne presenti.
Ciò avvenne regolarmente. Ma quando le battute vennero, tutte le donne ne risero con compiacimento e indulgenza (nonostante esso pronunciò frasi che avrebbero fatto arrossire un pellerossa).
Dunque anche quello contribuì a esasperare il mio già marcato imbarazzo. Infatti, avendo presto terminato di ruminare le poche cose mangiabili all’orizzonte (le mie), mi trovavo ormai come il solitario che, partecipe di una festa in cui tutti si divertono, non conosce nessuno e non potrebbe mai avere con essi alcuna lontana, ammissibile affinità.
Dover udire i loro discorsi insensati, rigurgitanti ignoranza e qualunquismo, fu per me un tormento infernale. In più ero lì, fisicamente incastrato tra l’Erotomane e il Ciambellano, e non potevo muovermi, almeno finché il primo di loro e tutti gli altri a seguire non se ne fossero andati. E più passava il tempo e peggio stavo, e più nuove persone si sommavano alla ribalta.
Fece il suo ingresso l’Uomo Nero, accompagnato nientemeno che da sua moglie e un’antica conoscenza dell’empia comunità. La stanza divenne ancora più ristretta e ciò acuì la mia claustrofobia alla loro compagnia. Sudavo copiosamente.
Il mio silenzio faceva purtroppo assai rumore. Inoltre mi era davvero difficile non incrociare gli occhi di qualcuno non rivelando così il mio impaccio estremo. E chiaramente fu Occhi di Serpente che per prima mi si slanciò addosso nella classica maniera inelegante nella quale i prevaricatori sempre sovrastano gli individui più riservati.
«Solo Nemesis non dice nulla… Chissà a cosa starà pensando…», e strizzò l’occhio alla Corva Corvina lasciando intendere qualche scostumatezza indecifrata. La quale Corva prese la palla al balzo e volle sfottermi con ancora maggiore energia.
«Penserà all’innamorata. Secondo me Nemesis ha un’innamorata segreta che magari è molto… larga! Wha! Wha! Wha!», gracchiò.
E tutti gli occhi si posarono su di me mentre ella adduceva come al solito falsità della peggiore delle risme. L’indicazione era vaga il giusto per sollecitare l’inventiva di tutti; ma allo stesso modo concreta affinché si potesse sospettare che fossi attratto dalla Donna Cannone, la quale fino ad allora era stata molto fuori dalle discussioni principali, trovandosi in forte impedimento dato che tutti le erano praticamente di grado e influenza superiori. Fino ad allora diciamo che si era limitata a farsi accettare deflagrando in quelle sue sciocche risate isteriche intrattenibili, tipiche di lei. Ma in quel mentre, capendo che la si metteva in mezzo, si contrasse e perse la poca serenità che le restava.
Come d’altronde feci io che, sentendomi colpito sul un mio nervo scoperto (proprio quel giorno avevo infatti scritto nel mio diario segreto che stavo vagheggiando circa un modo per torturare la cicciona, e dunque prendevo in considerazioni anche le molestie sessuali), avvampai di rossore. E quando l’Elfa Kitty e la Gigantessa lo notarono ne rimasero così esterrefatte che, prima ancora di manifestarmi la loro avversione per la mia eventuale pessima scelta, si lanciarono il medesimo sguardo sbigottito e interrogativo, come a dirsi “Ma tu non ne sapevi niente di questa storia di Nemesis con la Donna Cannone?”.
A quel punto tutti colsero la mia difficoltà. E poi avvenne l’umiliazione peggiore. Perché, vedendomi indifeso, che non ribattevo nulla, sia per incapacità, sia per quasi una forma di autismo, che pure per quell’incommensurabile differenza con loro… scelsero, da quel momento in poi, di ignorarmi, avendo pena per il mio misero stato già battuto.
La fine della festa segnò il passo con la stracca usanza della torta e la consegna del regalo (al quale tutti avevano partecipato, tranne me). In conclusione avvenne l’ultima prova e l’ultima mia umiliazione. Occhi di Serpente cominciò a baciare ogni componente della combriccola ringraziandolo. Così si accinse a fare per tutti. E io pensai con costernazione “Sta a vedere che toccherà pure a me di essere baciato dalla donna più repellente del mondo… Sarebbe l’ultima beffa!”.
Ma quando rimanemmo da baciare solo io e l’Uomo Nero, resasi conto dell’importuna circostanza, decise inopinatamente di cambiare quella strategia seguita con scrupolo fino a un secondo fa.
«Beh, non occorre che ci baciamo, Uomo Nero. Tanto ci vedremo domani, come facciamo tutti i giorni…», divenne quasi malinconica.
Al che si percepì che lui non vedeva l’ora di sbottare con qualcosa del tipo: “Ma come? Adesso lo dici? Adesso che manchiamo solo io e Nemesis?! Dopo che te li sei sbaciucchiati tutti?!”. Ma lei lo fulminò con un mesmerico messaggio con gli occhi il quale gli lasciò intendere a meraviglia che non doveva azzardarsi a introdurre quell’argomento che l’avrebbe messa assai in impasse.
Non vi era alcun dubbio. Non mi voleva baciare. Come se io (e non lei!) avessi la lebbra. Come fossi l’ultimo degli ultimi in moralità. Nemesis: il signore dei reietti!
Così schivai invero il disgustoso bacio con Occhi di Serpente quando già mi sentivo la sua viscida saliva sulla guancia. Lei se ne andò credendosi molto furba e accorta, come sempre: credendo di avermi giocato senza che me ne fossi accorto, poiché io per lei ero solo un gonzo, tanto stupido quanto inappropriato a vivere.
Ma io avevo capito benissimo il suo gioco e non ero per nulla deluso di quella tralasciata adiacenza. Anzi, ne ero ringalluzzito. Però certo non potei dimenticare di quell’umiliazione che così facendo ella mi aveva ripartito. Cioè che, una come lei, avesse osato ricusare uno come me, al quale invero lei non avrebbe mai potuto appressarsi neppure semmai un giorno si fosse pentita di tutta la sua esistenza invereconda, facendo mea culpa e arrivando a sostenere un lungo percorso di autentica e devota espiazione…

La teoria del complotto I