Laila: Sempre in treno con Hildita

La Signora a un certo punto, annoiata, mi chiede il permesso di poter leggere il libro che ho portato con me, ma prima mi domanda di che argomento parli. La scoraggio dicendole che non le piacerebbe perché l’autore setaccia i rapporti uomo donna ed è molto pessimista. Allora la Signora desiste, chiude gli occhi e si addormenta.

Ci avviciniamo alla nostra meta, al capolinea, finalmente. Il ragazzo che mi sedeva accanto è già sceso. Rimane la simil Hildita con noi. E io la guardo sempre più fissa. Lei tiene gli occhi bassi come sapesse di essere osservata con pervicacia. Se fosse davvero Hildita proverebbe ribrezzo di me e non mi direbbe mai che è lei. Fingerebbe di non conoscermi. Ma potrebbe esserlo davvero, lei. Infatti osservo il suo volto sfatto senza trucco. Se appongo una patina di vecchiaia sul volto dell’Hildita che conoscevo io, si potrebbe ottenere il volto di questa madre disillusa e abbattuta che ho adesso davanti. E poi c’è quel particolare, quel suo labbro superiore verso l’esterno, che Hildita ha sempre avuto. Adesso si è fatto più preponderante. Sei davvero tu, Hildita, oppure sono io che ti vedo dappertutto? Se sei tu, non mi dirai mai che lo sei davvero e fingerai di non conoscermi. Se solo potessi ascoltare il suono della sua voce lo capirei senza ombra di dubbio se è davvero lei…

Ecco che arriviamo alla fermata immediatamente prima la nostra. Questa ultima parte del percorso si è fatta più lenta, perché siamo in città, e perché è come fossimo già dentro la metropolitana. Sveglio la Signora dicendole che è la prossima. Lei si desta facilmente, aveva solo chiuso gli occhi, non dormiva profondamente seppure per alcuni attimi aveva assunto la posa scomposta di chi ronfasse sul serio. Hildita ascolta i nostri discorsi con disinteresse. Forse lei non scenderà con noi. Forse il treno fa altre fermate dopo, anche se mi sembra strano.

A un certo punto ci alziamo in piedi e io torno a essere, in tutta la mia fiera altezza, un poco chi sono di solito. Riguadagno un po’ della mia essenza, che è ben poca cosa per farmi tornare a splendere come non mi succede da mesi, ma sempre meglio di niente.

Ci dirigiamo verso l’uscita più vicina. Là troviamo già un’altra donna con un sedere molto grosso. Rimaniamo in piedi diversi secondi, e io già rimpiango la comodità del posto appena lasciato e mi chiedo se non ci siamo alzate troppo presto. Poi vedo che anche Hildita ci raggiunge. Così rimane in piedi proprio accanto a me. Non mi guarda neppure una volta, come fossi parte dell’arredo. Che cosa pensi di me, Hildita? Ti interessa davvero così poco di me, come sembra? Mi disprezzi perché ho bisogno di esser accompagnata da questa signora, che sui treni e le corriere ne sa più di me? Ti sembro troppo piccola e immatura per te, non è così? Oppure invidi la mia compagnia anziana, perché tu sui genitori non puoi più contare da tempo?

Scendiamo sulla terra ferma. Ora ci aspetta il lunghissimo tratto a piedi tanto paventatomi dalla Signora. Ma ben presto mi rendo conto che non sarà tale. Anche la Signora lo capisce. Ci ha lasciato prima, le altre volte invece c’era un chilometro da fare, dice. È per via dell’orario e del treno, le dico, questo è un altro treno. Nessun treno è uguale a un altro.

Si offre di accompagnarmi fino alla metropolitana vera e propria. Lei ha già un appuntamento per pranzo rimediato poco fa tramite telefono. La Signora ha tante amiche e passa sempre il tempo da una o dall’altra. Poi ci dividiamo. Le dico che conosco la strada, ed è vero, perché ho lavorato in quella zona per molti anni. Lei se ne va in superficie a prendere un autobus, io mi getto negli averni dei sotterranei della metro.

Certo, però… io le ho detto che poteva andare, ma lei non vedeva l’ora di farlo. Eppure sa che in questo periodo sto molto male, oggi mi ha veduto perfino vomitare. Quanto deve essere leggera la sua anima di donna che plasma la realtà a suo piacimento, penso. E quella è l’ultima cosa che penso di lei.

LAILA

Appello: Cercansi passata autrice di racconto gratuito per metropolitana di Roma

Circa un decina di anni fa mi capitò di leggere i racconti gratuiti che venivano distribuiti agli ingressi delle metropolitane, a Roma. Erano racconti brevi, che tra l’altro indicavano più o meno quante fermate avresti impiegato per leggerli.

Solitamente non mi dispiacevano. In alcuni casi mi piacquero molto. Così li collezionai tutti. Poi un giorno che mi sentivo particolarmente benevolo, li legai con uno spago e li abbandonai nello spazio dove si smistavano i giornalini gratuiti della metropolitana, così da lasciarli liberi di circolare affinché anche altri li leggessero.

Solo che io devo essere un gran cornutone, perché ripenso sempre alle cose… ;-D Così oggi mi è venuta la voglia di sapere se putacaso l’autrice di uno di quei racconti abbia pubblicato altre cose “serie”. Ovviamente non ricordo il suo nome sennò non starei qui. So solo che era molto giovane all’epoca, aveva forse, non so, dodici anni, sedici, non ricordo bene. E sopratutto scriveva benissimo e aveva una prosa ricca e rigogliosa, un vero spettacolo!, che ti riempiva la testa come un pasto gustoso può riempirti lo stomaco. Cosicché, quello che scrisse, non poté non risaltare rispetto tutte le altre composizioni degli altri.

Qualcuno sa dirmi come si chiama quella persona e se ha pubblicato altre cose? Qualcuno possiede ancora quei libricini e può andare a controllare? Se non erro questo racconto faceva parte della seconda ondata di racconti gratuiti che vennero distribuiti alla metro di Roma, ma non ne sono certo, e aveva un numero progressivo forse elevato, tipo 8 su 10, ma anche qui potrei facilmente ingannarmi…

Ho provato a cercare in internet ma quei racconti, che ricordo una volta erano disponibili anche sul web, non ci sono più.

Sono sicuro che qualcuno possieda ancora quei raccontini. Il problema è che deve leggere questo post, però, per aiutarmi…

La madre (film S-consigliato)

Storia drammatica che a me ha fatto ridere. 😀

Ci sta questo prete che chissà come mai ha scoperto le gioie del sesso solo con una focosa bionda che non si fa tanti problemi e lo tiene (è proprio il caso di dirlo) completamente per i testicoli, costringendolo (?!) ad avere rapporti sessuali anche in chiesa! E poi c’è la madre del prete, che non si fa gli affaretti suoi struggendosi per il destino macilento del figlio, madre che ha anche visioni in cui crede di parlare con il Diavolo tentatore!

Ridicolo. Uno di quei film inutili a cui la Rai ha purtroppo partecipato, spendendo i soldi davvero molto male.

Io vi sconsiglio di sprecare il vostro tempo a guardarlo. Ma se ci fosse qualcuno a cui è piaciuto, ben vengano i suoi commenti.

https://www.raiplay.it/video/2018/05/La-madre-6a3ca396-e055-4a27-9ef9-9e0124943d5a.html

Quando litigò con tutti #3

Ho litigato con tutti!, sfiatò a un tratto a sorpresa; tu sei il terzo, anzi il quarto! Mi viene quasi da pensare che sia io… Prima ho litigato con Smoky Man: mi ha detto che ho troppa gente intorno… Poi anche con Blasto: si è fatto possessivo, non so cosa si sia messo in testa; mi ha detto: tu non devi fare questo, vedere quello… Oh! Ma che cazzo vuole?! Mica stiamo assieme! Poi ho litigato anche col mio ragazzo…

Non mi informò del motivo per cui aveva litigato con il suo ragazzo, non ritenne il caso di farlo. Non parlavamo mai di lui. D’altronde quel tipo era così lontano da me che forse davvero non mi riguardava. Inoltre c’era anche un’altra persona con cui aveva litigato, o forse con la quale avrebbe litigato ancor meglio da lì a breve, ma anche di quella non mi parlò. Sarebbe stato proprio a causa di tutti quei litigi se avrebbe avviato una nuova fase della sua vita cercandosene di nuovi. Nuovi ragazzi con i quali trovare una dimensione; nuovi occhi nei quali specchiarsi per sapere chi era; nuovi amori da consumare per fare il falò dei vecchi; nuovi chiodi da battere sopra i chiodi vecchi sperando di distruggerli per sempre. Insomma si preparava a mutar pelle, come un serpente, per farsi una nuova vita, visto che la precedente l’aveva così delusa ed era stata un fallimento completo.

Divenne davvero incazzata. Indugiò ancora, in silenzio. Non sapeva che fare. Avrebbe voluto essere più lontano possibile da me, avrebbe voluto sapere in anticipo che il nostro confronto non le avrebbe portato alcun beneficio, per quanto invece avesse sperato il contrario. Avrebbe voluto prendermi a pugni.

Quella sua interrogazione retorica era rimasta un po’ nell’aria, se fosse stata colpa sua o meno. Mi guardò con malanimo. Non mi azzardai a risponderle, feci una faccia vaga sopra la faccia colpevole che sentivo di avere.

Decise che il nostro bel chiarimento, che le aveva decretato solo l’ennesima amarezza, poteva anche andarsene al diavolo. Dato che io ero rimasto lì impalato con un’espressione affranta, fu lei ad alzarsi improvvisamente in piedi imponendomi di andare. Tuttavia il suo era più un gesto nervoso che altro. In realtà, non voleva andarsene. Avrebbe voluto rimanere lì con me per provare a chiarirci, provare, provare, provare, fino ad approdare a qualcosa, anche a qualche schiaffo semmai, qualche urlo, a qualche accusa più coraggiosa e circostanziata da parte mia, meno immateriale, così da poter ribattere, litigare apertamente. Invece non le avevo dato neppure quell’appiglio, e lei per l’ennesima volta si era scottata, a causa mia. Che opera d’arte avevo fatto: l’avevo lasciata anche se non eravamo mai stati davvero assieme!

Vigliacco come ero, avrei voluto sparire, dopo averla liquidata con quelle risibili due parole. Ero lì che la vedevo arrabbiata e affranta e mi chiedevo se ne fosse valsa la pena, se era proprio quello che volevo. Per quanto fossi stato immaturo, nessuna parte di me voleva che lei soffrisse, anche se non lo sapevo e dunque non potevo ammettermelo.

Adesso ero io in piedi mentre lei di nuovo sbattuta sulla poltrona imbottita del teatrino con lo sguardo perso, così come era stato dapprincipio per me, tra l’odio e la disperazione. Ironia della sorte, le avevo trasmigrato in pieno le mie emozioni più deleterie, mentre io potevo cominciare già a sentirmi più leggero.

Non vieni sopra?, le dissi titubante paventando un suo scoppio d’ira. Mi rispose sdegnata di no. Che sarebbe rimasta a riflettere. Mi disse di andare, come non potesse più sopportare la mia presenza fisica in quel luogo. E io, che avevo timore di una sua ribellione non preventivata, che non avrei saputo minimamente affrontare, mi avviai lentamente verso la superficie.

Mi diressi stordito a lezione: era come non fosse accaduto nulla. Nell’aula trovai i soliti amici che mi accolsero come di consueto, scherzando, non sapendo della tragedia incommensurabile che sia era appena consumata nella mia vita.

Sorprendentemente, non trascorse molto che vidi spuntare dall’ingresso dell’aula anche lei. La guardai timoroso. Lei ricompensò lo sguardo con la sua rabbia. Voleva significare che da quel momento cominciava davvero la guerra. Non potevo prevedere che da allora sarebbe iniziato un altro periodo, non so dire se peggiore del precedente ma di certo che mi avrebbe portato a un passo dall’annientamento. Un periodo in cui lei cominciò davvero a vedermi come fossi trasparente, a ignorarmi a più non posso anche quando ero presente, a non parlarmi, a evitarmi millantando quanto lei, al contrario di me, se la passasse bene. Lei che avrebbe fatto pace con Smoky Man e un altro paio di persone: con tutti prima o poi si sarebbe riappacificata, tranne che con me… Lei che avrebbe preso a ridere come fosse stata realmente felice, dieci banchi avanti, non voltandosi mai dietro dove stavo io, il reietto, quello che invece sembrava non avesse più alcun amico su cui contare, quello che stava sempre solo, che camminava accompagnato unicamente dalla sua aurea nera da perdente e poeta maledetto.

Non ricordo più come feci a tornare perlomeno a parlarle ogni tanto facendo finta che fosse una persona irrilevante come le altre. Non ricordo più come feci a scampare alla depressione, e all’inutilità della mia vita che in quel momento avrei buttato direttamente nel cesso senza rimpianti. Non so proprio come feci. So solo che ce la feci, in qualche maniera, nonostante la gastrite latente, e i quasi infarti, sopravvissi. E si tornò al periodo in cui eravamo amici di facciata, o perlomeno non nemici. Al periodo in cui ci cercavamo sfalsati, mai sincronizzati, tra rimpianti e recriminazioni. Fino alla fine di tutto. Gli ultimi intricati giorni. Gli ultimi appelli. Le ultime occasioni cadute mestamente nel vuoto che lei mi concesse quando io non le volevo. Le volte in cui invece volevo fare la pace io, ma a lei stavo ormai troppo sulle palle. E poi lei sarebbe partita e non sarebbe più stata nella mia città…

quando3

Più buio di mezzanotte (film)

Storia di un ragazzino siciliano effeminato, non accettato dal padre, il quale cerca di “rieducarlo” con le maniere forti, portandolo di fatto a fuggire di casa.

Il ragazzo si rifugerà così in un quartiere palermitano dove altri trans reietti vivono in comunità cercando di sbarcare il lunario con la prostituzione, attività a cui lui dapprincipio non vorrebbe concedersi…

Diciamo che questo film cammina sul filo d’un rasoio. Da un lato c’è il forte elemento di denuncia sociale. Dall’altro il rischio di sconfinare nelle caricature.

Comunque mi è piaciuta molto la recitazione del giovane protagonista.

https://www.raiplay.it/video/2017/10/FILM-Piu-buio-di-mezzanotte-3dc536ea-f67d-4186-89e7-bc251d64d918.html

Delirius Dementhia: Il battesimo

Da tempo non andiamo più a cerimonie assieme. Perché io non le sopporto, mentre lei le adora e cerca di non mancare a nessuna. Da tempo la gente vocifera della nostra rottura. A lei dà fastidio che avvenga, ma ormai si è rassegnata. Inoltre tante volte le ho dimostrato che è meglio se non l’accompagno, e questa lezione l’ha capita anche lei.

Domenica ha un battesimo con conseguente successivo festeggiamento. È da giorni che si interroga su che vestito mettersi. In particolare non le dà tregua il non sapere se farà freddo o caldo, con questo tempo variabile che abbiamo. Per cui s’è misurata tutti i completi che ha, sia invernali che estivi!

Poi finalmente arriva il sabato. Da ultimo sa che non farà molto freddo, ma neppure caldo. Dopo giorni e giorni di prove è riuscita a restringere il campo a due completi (più qualche variante, ovvio). Così a un certo punto nel pomeriggio mi coinvolge. E quando fa così non c’è verso di rifiutarle il mio aiuto.

«Dammi un consiglio su come vestirmi domani! Non riesco a scegliere!», mi fa civettuola.

Se ne va di là poi, stranamente, mi ricompare davanti dopo appena cinque minuti.

«Questo ti piace?», domanda.

Io giro solo gli occhi, non la testa. Perché ho il rifiuto a vederla. E soprattutto so che se alimentassi la sua superba vanità non me la caverei con questi pochi minuti da dedicarle e mi si attaccherebbe senza più lasciarmi, per ore.

Indossa un vestitino marrone cacarella che mi fa davvero ridere.

«Fa schifo!», le dico sorridendo, stupito che possa esistere sulla faccia della terra un essere umano come lei che possa giudicare quella gonna e quel maglioncino belli.

Capisce che lo dico non per insultarla, ma perché lo penso sul serio, allora rimane meravigliata ma non si arrabbia.

«Ma come? Non vedi come è bella la gonna? Che poi è lo stesso colore della maglia… Mica li ho comprati assieme sai, sono stata brava io a fare l’abbinamento…»

«Sì brava, brava, ma tutti e due hanno un colore che fa pensare subito alla diarrea!»

«Vabbè, ti faccio vedere l’altro allora. Vediamo se questo ti piace…»

Passano altri cinque minuti, poi si ripresenta.

«E questo, ti piace?», stavolta immagina davvero che possa farle un complimento. Le sembrerebbe impossibile altrimenti, visto che lei è entusiasta di entrambe le possibilità che mi sta proponendo.

Storco gli occhi come prima, non la testa e… rimango sbalordito. Dal suo immenso cattivo gusto!

«Fa schifo pure questo!», sbotto a ridere, «Hai davvero dei gusti di merda! In tutto il tuo guardaroba sconfinato, non sei riuscita a trovare nulla di meglio?!»

So che ha anche roba bella, bella per i miei criteri estetici intendo, quindi non capisco proprio come sia possibile che abbia ristretto il campo a queste due ciofeche.

«Ma come “fa schifo!”… Ho cercato di privilegiare le cose che non mi hanno mai visto, con cui mi farò notare perché nessuno vestirà come me…»

«Ah, di questo puoi star certa! Ti noteranno tutti e diranno: ammazza quella come è vestita male, ma chi cazzo è?!»

Stavolta l’abito è un po’ maschile, nel senso che indossa una giacca di un grigio argentato con dei pantaloni dello stesso colore, con sotto una camicia colorata uguale. Ha pure una specie di foulard arancio (!) al posto della cravatta. Sembra una macchina metallizzata! Ecco a cosa somiglia. Ma questo non glielo dico.

«Quale preferisci tra i due?», chiede.

Adesso pretende un’indicazione. Ma come si può scegliere tra il marrone della cacarella e il grigio metallizzato delle automobili?! Compio uno sforzo enorme per provare a scegliere. Ma mi fanno schifo entrambi.

«Nessuno!», alla fine le dico bocciandola su tutta la linea.

Ma lei non si rassegna.

«Aspetta, ho anche una variante. Posso cambiare la blusa per dare un tocco di stacco…»

«Non intendo star qui a guardarti mentre ti provi tutto il corredo…», la avverto, perché so che se le dai un dito lei poi si prende il braccio, e poi tutto il resto.

«Solo questo… solo questo…», mi rassicura perché conosce la mia posizione ritrosa.

E dopo effettivamente mi si ripresenta leggermente migliorata. Adesso ha una camicetta viola sotto.

«Così va un pochino meglio…», è il massimo che le posso dire volendo venirle incontro.

Ed è proprio così che si presenterà l’indomani al battesimo. E qualcuno la prenderà in giro perché si è vestita con il viola… ;-D

dd