L’altro aspetto fondamentale per scrivere un libro è la costanza. Non saprei dire se addirittura sia anche più importante dell’ispirazione, perché senza costanza non vai da nessuna parte. Riprendendo il paragone automobilistico, se l’ispirazione è l’accensione, la costanza è la benzina. Se non hai la benzina nella macchina, puoi accendere il motore quanto vuoi ma non ti muoverai mai nemmeno di un centimetro – a meno che non hai parcheggiato in discesa, in tal caso, certo, ti muoverai, ma solo finché la pendenza e la forza d’inerzia ti permetteranno di farlo… Ecco, e così abbiamo fatto anche una piccola lezioncina di Fisica, avete presente? Ah, se fossi io il vostro maestro, bambini – e per tutte le materie! – sapete quante cose potrei insegnarvi? Tantissime, e con estrema facilità! 🙂
Ma torniamo a bomba, dunque immaginate di aver trovato una storia bellissima; magari l’avete concepita anche nei più piccoli particolari. La storia è avvincente e di sicuro successo, piacerà a tutti, purché la si scriva. Ecco, ma che succede se una volta seduti al tavolino non riuscite a scriverla? Magari non fate che alzarvi; magari non resistete seduti perché in quella posa vi fa male il sederino; magari non siete veloci a scrivere e non avete la pazienza di terminare le frasi, quelle frasi che nella vostra mente scorrerebbero a fiumi, impetuosamente. Magari vi rendete conto che sono due cose mooooolto diverse immaginare una storia e scriverla davvero da qualche parte, su un quaderno o al computer.
Ecco, allora avrete scoperto che per scrivere un libro ci vuole la costanza, cioè la pazienza di mettersi lì tot ore, per dei giorni di seguito, a scrivere dapprima una bozza, ovvero una prima versione, poi anche rileggerla, poi correggerla, poi eventualmente riscrivere da capo alcune parti, poi tagliarne altre che tutto sommato non servono a un tubo, poi… e che pal… cioè che scatole!
Delle volte mi è capitato di aver già una trama ben delineata in testa: la dovevo solo scrivere. Ma appena mi mettevo al computer, non ne avevo voglia perché ci avrei impiegato troppo tempo. Allora mi aprivo un giochetto elettronico, solitamente un solitario con le carte, e mi dicevo: solo una partitina. Poi però, dopo la partitina, ancora non avevo voglia di scrivere. Allora ne facevo un’altra. E poi altre ancora. E se mi stancavo, allora giocavo con qualche altro gioco, oppure mi andavo a lavare i denti – attività che faccio solo quando proprio non so che fare –, oppure leggevo e mandavo email ai miei amici, i quali anche loro non avevano voglia di fare il lavoro che stavano facendo, così mi rispondevano; così poi anche io rispondevo loro; così loro rispondevano ancora; così alla fine tutta Italia quel giorno non combinava un mazzo perché a me non andava di scrivere il mio romanzo!
È un po’ come quando al mattino dovete andare a scuola. Allora vostra madre viene a buttarvi giù dal letto e voi vorreste avere ancora cinque minuti per stare a poltrire. Cinque minuti! Cinque minuti!, le implorate. Ma se anche vostra madre ve li dà, dopo cinque minuti, voi vorreste averne ancora cinque, e così via. Perché voi non vorreste proprio andare a scuola, perché è innaturale svegliarsi a quell’ora presto e fare tutte quelle cose in fretta, solo per poi magari farsi interrogare in Storia; che poi magari neppure l’avete studiata perché il giorno prima avreste tanto voluto farlo, ma poi quando eravate lì con il libro davanti vi siete attaccati ai Social, vi siete detti “solo cinque minuti”, ma poi invece ci siete stati tutto il pomeriggio e quando davvero volevate studiare, vi sentivate stanchi anche se non avevate fatto niente e vi serviva dunque una pausa; quindi vi siete andati a lavare i denti e dopo, visto che eravate stati bravi a lavarveli, vi siete messi a giocare a qualcosa, per premiarvi…
Insomma, per scrivere un romanzo ci vuole della costanza, come, a dire il vero, un minimo ce ne vuole un po’ per tutte le attività della vita, se non si vuole finire a brancicare in un’esistenza troppo caotica tendente all’apatia.
Nota a margine: e lo so che qualcuno di voi avrà la madre che si chiama “Costanza”… ma questa costanza di cui parlo io non c’entra niente con quella signora lì. Lo dico al bambino in fondo che non fa che ripetere che sua madre si chiama Costanza. Non c’entra! È un’altra cosa…
