Personaggi perlopiù insignificanti dell’agenzia Voli di Gabbiano #2

Nemesis incontrò anche un mucchio di operatori delle pulizie come lui…

Il Papero era un tipo pacioccone. Fu uno dei suoi pochi amici lì dentro. Con lui Nemesis poteva parlare di tutto e per un periodo, prima che egli cambiasse lavoro per divenire avvocato, rappresentò l’unica reale alternativa a Vlad, tanto che Nemesis avvertì la sua mancanza quando non lo vide più.

Il Papero era entrato nell’azienda tramite una sorellastra che lo aveva raccomandato alla direzione. Questa, ribattezzata da Nemesis Bocca Sporgente per un lieve difettuccio fisico, era una ragazza molto prorompente e suscettibile. Tanto che una volta fu molto diretta nel rivolgere un’accusa a un anonimo il quale, a suo dire, si era macchiato del grave reato di calunniarla affermando che lei aggiungesse dell’acqua al detersivo per intascarsi nascostamente quel che trafugava, rivendendolo. E fu Nemesis che ella fissò in faccia, come ad accusarlo, quella volta che lo disse. E Nemesis si sentì tirato in ballo e volle specificare che lei, essendo una parente del Papero, per lui era proba sulla fiducia, e comunque, lui, non solo non aveva mai parlato male di lei – e tanto meno alle sue spalle –, ma non l’aveva proprio mai nominata. Bocca Sporgente si tranquillizzò e da allora rivolse i suoi sospetti su altri tizi…

C’era poi Pelle Liscia, una ragazza molto bella che, nel giorno della presentazione generale, si era mostrata con dei lunghissimi e ammatassati capelli ricci che le avevano conferito un fascino selvaggio, mentre a partire dal giorno dopo se li era drasticamente accorciati avendo provvisto anche a lisciarseli.

Così li aveva lisci, come la sua pelle, che trattava con delle creme che la rendevano sempre morbida, levigata, profumata e delicata. Tale cura la riservava anche all’epidermide delle gambe, che in più depilava a più riprese in modo da poter esser sempre pronta per accoppiamenti estemporanei.

Pelle Liscia era un’incantatrice e dagli uomini otteneva quasi sempre quel che desiderava. A esempio una volta puntò il Papero per procurarsi un cambio d’orario notturno, e lui, ingenuamente, si fece subito intenerire il cuore dai suoi sorrisi, e dunque glielo concesse senza fiatare. Da allora, guarda caso, lei non si fece più vedere con lui: d’altronde aveva ottenuto tutto quello che l’ingenuo poteva darle; perché avrebbe dovuto perder ancora il suo tempo con il Papero?

Nemesis era molto attratto da Pelle Liscia, che a tratti trovava irresistibile, quando lei gli parlava chiaro ed era molto ironica, oppure quando esibiva una sua qualsiasi debolezza. In quei momenti Nemesis avrebbe voluto andare da lei e starle vicino, abbracciarla, baciarla, confortarla, o stringerle la mano; insomma avrebbe fatto qualsiasi cosa per donare un po’ di serenità a quella ragazza così bella e inquieta.

Ma altresì Nemesis sentiva quanto lei fosse oltremodo pericolosa. Poiché essa era una di quelle donne indomite che per tutta la vita, qualsiasi cosa facciano, si poteva star sicuri che non sarebbero mai state soddisfatte di loro stesse e per questo, non avendo il coraggio di cambiare loro per prime, si sarebbero rifatte sui poveracci che, come api sul miele, avessero tentato di appressarsi nelle loro vite. E più un prode cavaliere le avrebbe concesso, e più Pelle Liscia l’avrebbe ripagato con monete scadenti e indifendibili voltafaccia.

Pelle Liscia era fidanzata con un tale – che doveva aver già capito qualcosa circa le sue reali propensioni – il quale, lei confessò, la offendeva chiamandola “pubblica donna”. Pelle Liscia si dispiaceva assai per quegli epiteti non encomiabili provenienti dal suo ragazzo, tuttavia non ebbe mai il coraggio di lasciarlo. E, anche quando intrecciò relazioni peregrine con altri, non rinunciò mai ad avere accanto quel maschio che potesse fregiarsi del titolo di “suo ragazzo (cornutone)”.

Pelle Liscia una volta riservò un brutto tiro a Nemesis e, per fargli uno scherzo, gli disse che gli offriva un caffè, salvo poi fargli capire, quando ormai si era volatilizzata, che i soldi immessi nella macchinetta automatica non erano sufficienti per l’erogazione.

Da ciò Nemesis trasse la dura lezione di chi fosse in realtà lei e, quando ebbe modo di parlarle, pur non criticandola apertamente, le riservò parole aspre. E da allora lei temette che lui avesse scoperchiato tutta la sua anima piena di peccati inconfessabili e cercò il più delle volte di evitarlo, ma sempre in qualche modo rispettandolo, poiché Nemesis era diverso dagli altri: era più sagace e più sensibile. Troppo, per entrambe le caratteristiche, per starle attorno senza farle venire dei complessi di colpa o d’inferiorità.

Sul finire dell’esperienza lavorativa di Nemesis all’azienda, Pelle Liscia diede anche un ennesimo supremo dolore a Nemesis che, pur biasimandola, l’aveva, tutto sommato, molto in simpatia e stava male per lei se essa si buttava via rendendo la propria vita più caotica del necessario. Pelle Liscia si fece scoprire in una relazione fedifraga con… nientepopodimeno che Strabic Boy! Proprio uno dei tanti che non avrebbe mai dovuto scegliere! Quello fu un brutto colpo per Nemesis. Cosicché, quando Nemesis abbandonò l’azienda, fu almeno felice di non avere più il tormento di vedere il modo in cui Pelle Liscia flirtava nascostamente agli occhi di tutti con uno dei suoi nemici.

Ma quella non fu l’unica conquista di Pelle Liscia, che difatti emanava un fascino così rovente che nessun maschio lì dentro poteva esimersi dal notarla. E oltre il Papero, che si invaghì di lei per un sol momento, prima di mettersi l’anima in pace convincendosi che una come lei era forse troppo difficile per uno come lui, ci fu un imprecisato nugolo di persone che le corsero appresso, e Nemesis fu certo che alcune di esse non poterono non essere riuscite nell’impresa di farla cadere infine nelle loro infime mani.

Una volta Nemesis ebbe il privilegio di capitarle vicino e di sentirla parlare con una sua amica. Quello fu il canto del cigno del loro fatuo rapporto. Nemesis sentì il suono arrochito della sua voce propagarsi come una melodia di arpe e violoncelli; quindi poté ammirarla mentre si rassettava i capelli che le cadevano a ciocche sugli occhi. La vide sorridere e saltuariamente lanciargli sguardi ambigui i quali sicuramente erano un gesto d’offesa verso di lui – che la mirava avendola voluta – ma esprimevano anche la tronfia contentezza che lui la bramasse.

Tuttavia, nonostante lo spettacolo di perfidia che lei gli regalava, Pelle Liscia si sorprese accorgendosi che lui le arrideva lo stesso, come solo chi ama davvero sa fare…

L’amor mio io disprezzo

E pensai che lei aveva il dono di leggere i pensieri

Nelle altrui menti e ispecialmente la mia.

Poi pensai che un’aliena lei era, perché mai

Essere umano aveo incontrato come lei.

Poi ancora che era dolce come un angelo da amare

E beatificare per la capacità sua di dar estasi.

Infine pensai che doveva essere un demone,

Ma non di quelli malvagi, perché tanta gente pensava male di lei.

Sempre dolori dava a chi accanto le stava,

Ma ciò in primis riversava su se stessa.

Io disprezzai l’amor mio perché troppo alto era per me

(Se fosse stato!), troppo perfetto per esser amato,

Troppo smisurato per dal piacere d’un uomo esser contenuto.

Eri così bella che le mie mani toccarti non potevano

Altrimenti le stesse e te, entrambi, sareste bruciati.

Così dentro m’eri che, nella stessa misura, inappagato

Doveva rimaner il desiderio di confondermi con te in entità migliore.

Eri così cattiva a non mantenere tutte le stupende tue premesse

Che la bugia fu la più grande tua alleata, unica amica.

Io disprezzai l’amor mio perché sempre sarà irrealizzabile,

Divinamente meraviglioso e inesplicabile.

L’amor mio è morto e ciò lo sacralizza come mai

Esser sarebbe potuto.

Il club (film)

In un paesino cileno vive una piccola comunità, una manciata di preti che in una maniera o nell’altra hanno avuto “problemi” con la pedofilia, i quali in pratica la Chiesa protegge e nasconde.

La loro sarebbe una vita un po’ noiosa, fatta di meditazioni, preghiere, espiazioni e corse con i cani… se non fosse che poi un giorno salta fuori un uomo che un tempo era stato un chierichetto, abusato. Il quale sembra intenzionato a rompergli abbastanza il razzo.

Proprio un bel film, con una storia che probabilmente vi stupirà.

Lo sconsiglio solo a chi non abbia voglia di sentir parlare di pedofilia in nessuna salsa. Lo consiglio a tutti gli altri.

Auspico che presto venga (ri?)passato in prima serata su Rai3. Scommetto che presto questo avverrà.

https://www.raiplay.it/video/2019/09/Il-Club-a67cf7cc-9e95-407d-af5c-14f8917bdfa7.html

Senso di colpa

Forse l’unico rimpianto della mia vita è quello di non aver mai realmente reso felice una donna (finora). Questo mi pesa. Mai resa felice per un tempo sufficientemente lungo.

L’amore nella mia vita è stato sempre assai fugace. Spesso per colpa mia, nel senso che avendo molti timori, di non essere all’altezza delle aspettative delle mie partner (per via della mia salute ballerina), tante volte sono stato sfuggente, mi sono dileguato, o non ho insistito quando avrei dovuto, quando loro volevano che io dimostrassi quanto ci tenevo.

Quando poi sorgeva un problema, tante volte mi dicevo questa triste cosa: vabbè, forse è meglio così; meglio se si allontana subito così non soffrirà troppo dopo.

In tutta questa faccenda però non mi ero mai accorto del mio grande senso di colpa. È strano che me ne sia reso conto completamente solo recentemente, aprendomi con una persona che ora credo si possa considerare la mia ragazza.

Sì, ho un grande senso di colpa pregresso nei riguardi dell’altro sesso. Mi dispiace immensamente di averle deluse. Di aver dato loro l’impressione che non mi interessassero abbastanza. Mi dispiace di averle fatte fuggire. Mi dispiace di averle spaventate.

Mi dispiace che non abbiano voluto comprendermi, neppure nelle poche occasioni in cui ho dato loro la possibilità di vedere il segreto celato nel mio scrigno.

Più di tutto mi dispiace che, non comprendendomi, mi abbiano odiato. Alcune volte molto intensamente.

Ho scoperto che mi odiano anche ragazze che non dovrebbero. Questo mi ha fatto molto pensare.

Ho scoperto che qualcuna mi odia anche dopo moltissimo tempo, quando io non la odio più (e magari sarei dovuto esser io quello più autorizzato a odiarla).

Mi spiace molto per questa situazione. Mi sento responsabile; ma allo stesso tempo so di essere innocente delle colpe che mi vengono ascritte. Non sono uno stronzo. Non vi ho mai preso in giro. Eh, no, non sono neppure gay (qualcuna potrebbe pensarlo dato che sovente mi sono sottratto agli atti amorosi e anche solo ai baci, per non aumentare il coinvolgimento).

Detto questo, un paio di grosse stronze credo di averle incontrate lo stesso.

Chant d’Hiver

Mi fa ridere pensare che un tempo avrei bollato questo film come immensa cagata pazzesca di uno che probabilmente voleva fare il verso a Luis Buñuel pur non essendone minimamente all’altezza, uno che doveva esser un tipo molto presuntuoso…

E invece alla fine mi sono quasi divertito a vedere questo film strampalato, ironico, immaginifico, senza una trama chiara, con un mucchio di personaggi, che contiene anche elementi fantastici (che non c’entrano un mazzo col resto). Un film che non consiglio e non mi consiglierei di (ri)vedere, un film che rasenta l’anticinema (per quanto è disgregata la materia grezza di cui è composto). Però in fondo un film che ha diritto di esistere nella mente (malata? :-D) di chi l’ha concepito. E allora io sono in grado di cogliere la sua bellezza, anche se in giro ce n’è di molta migliore e più cristallina.

Provo a riassumere la trama: delle giovani scippatrici; uno che si è innamorato di una ragazza ma non sa cosa dirle; poliziotti rompiballe o corrotti; due vecchi amici che discutono sempre tra loro, che a un certo punto litigano a causa di una vecchia che piace forse a entrambi (ma comunque tra loro si creerà anche un grosso equivoco); una porta che si apre su un muro, ma solo in certi momenti; altri due che non so chi siano; un padre di famiglia con prole trattato male da una donna, interpretato da Enrico Ghezzi, uno degli ideatori di Blob e Fuori Orario, a cui certo questo film sarà piaciuto un sacco perché l’intera pellicola è una specie di “blob” informe senza trama…

https://www.raiplay.it/video/2020/01/chant-dhiver-28da4951-a8b1-492d-8f75-f8b338cc0eb5.html

La madre di Ameba – Parte II (Fine)

Una settimana dopo, mentre ormai la madre rappresentava la mia ossessione costante, Ameba mi chiamò al telefono. Aveva un tono che si sforzava di essere dolce. Non lo sa, pensai subito rassicurato: non sa di quello che c’è stato tra me e sua madre. Disse che voleva uscire con me. Affrontò l’argomento come se il nostro rapporto non fosse mai stato in discussione, come fossimo ancora ai primi momenti del nostro rapporto, quando ci chiamavamo a vicenda e l’uno proponeva all’altra di vederci senza un piano preciso. Pensai alla madre, a quella madre sexy che aveva e, sperando di rivederla, accettai subito. Tra una cosa e l’altra avrei scoperto che c’era proprio lo zampino della madre se Ameba era stata consigliata a richiamarmi.

Quella sera ero molto eccitato al pensiero di rivedere la madre, tanto che non seppi trattenermi e allora pensai che anche se Ameba non c’entrava niente con sua madre, era comunque un suo prodotto, era uscita dalla sua vagina ed era come una sua propagazione. Questo mi fece infervorare al punto che finii per spingere Ameba in un vicolo e la possedetti lì. E Ameba incredibilmente ci stette, seppur si stupì molto di quella mia focosità mai mostratale prima e pensò a quanto dovevo essere cotto di lei.

Quella sera accompagnai a casa Ameba tardi. Erano circa le due quando la porta della sua abitazione si aprì per consegnarla nelle amorevoli braccia di sua madre, la quale l’aveva attesa preoccupata in vestaglia, in piedi. Ameba manifestandosi molto stanca andò subito a dormire. Si chiuse nella sua stanza e non la sentii più.

La madre mi disse che non ne sarebbe uscita finché l’indomani non l’avesse chiamata lei, perché sua figlia aveva il sonno molto pesante. Dormiva sempre parecchie ore.

Indovinò che avevamo fatto l’amore e poi mi chiese se anche io fossi stanco quanto Ameba. Io le dissi che non ero ancora stanco. Allora lei spalancò la vestaglia rivelandomi la vista del suo corpo già pronto all’amplesso.

Fu una notte di fuoco in cui detti fondo a tutte le mie energie. Lei mi confortò anche con uno zabaione e una caraffa di caffè. Fu la notte in cui godetti di più in vita mia. La madre di Ameba era una donna vera, che sapeva come comportarsi, dove toccare, cosa dire. Era la perfetta amante.

Uscii da quella casa stremato alle sei del mattino, prima che qualcuno avesse potuto vedermi.

Continuai a frequentare Ameba nella mia vita ufficiale, mentre in quella nascosta era con la madre che scopavo. I nostri incontri avvenivano all’incirca una volta ogni dieci giorni. Se per qualche motivo uno di noi non poteva rispettare la consegna, si scusava con l’altro proponendo un nuovo appuntamento. Ameba non si accorse mai di niente, anche perché lei non c’era mai in casa quando mi incontravo con la madre…

La madre di Ameba era per me la donna ideale. Una donna sexy e matura, ancora bella, nel pieno della forma e della consapevolezza, con cui potevo fare l’amore tante volte. Era anche una donna che da me non pretendeva altro al di fuori del sesso bollente che ci contraddistingueva. Non le sarebbe mai venuto in mente di chiedermi di metter su famiglia (con Ameba che sarebbe diventata mia figlia!), né tanto meno di svilirci in un usuale rapporto di coppia che lentamente sarebbe scivolato nelle solite consuetudini della convivenza.

Per me quella donna era una dea. Una dea, sì, però adesso potevo intuire le somiglianze che aveva con Ameba: in fondo erano entrambe molto egoiste e manipolatrici. Concepivano gli uomini come mezzi per raggiungere i loro scopi, non come persone da amare sul serio, non almeno come era per me verso loro. Il quadro mi era chiarissimo nella mente. Eppure non potevo abbandonarla, perché traevo troppo piacere da quei privilegi che lei mi elargiva. Sapevo che presto sarebbe finita e che mi avrebbe lasciato lei, perché io non sarei mai stato in grado di farlo.

Così un dì – era da venti giorni che non ci vedevamo e io ero caricato a pallettoni, pronto a dare il meglio di me a letto come mai avevo fatto – lei non mi accolse come fossi il suo campione dell’amore, ma come fossi ancora un vecchio amico di sua figlia o poco più. Nei suoi sorrisi non c’era più alcun tocco del peccato che tanto ci elettrizzava ma appena una semplice condiscendenza. E quando mi aprì tutti i varchi verso il suo corpo lo fece come a dire: tieni, sfamati pure, povero affamato, ma non ti offendere se io non mangio con te, che non ho più tanta fame.

In definitiva anche lei divenne fredda: ciò mi ricordò quando Ameba diventava un manichino nelle mie mani, quando facevamo l’amore e lei sotto sotto non voleva. Così me ne andai da quella casa sconsolato, con la coda tra le gambe, mortificato, già presago che ormai ero divenuto di troppo.

Il giorno dopo la madre di Ameba mi chiamò e mi disse che frequentava un uomo, un uomo ben più “grande” di me, della sua età, e che dunque i nostri incontri avrebbero dovuto diradarsi. Io mi sarei aggrappato anche ad averla una volta al mese, ogni due mesi, una volta l’anno!, pur di non interrompere definitivamente quei nostri congressi carnali. Però per fortuna mi resi conto che mi stava solo indorando la pillola e che dicendomi quelle parole mi voleva far capire che il tempo in cui la madre si scopava il ragazzo della figlia era terminato e non sarebbe più tornato. Così le dissi che non c’erano problemi e di chiamarmi lei quando fosse stata comoda. Lei mi ringraziò accoratamente per la mia “comprensione matura” e mi disse che sicuramente lo avrebbe fatto, quando sarebbe stato il momento. E io sapevo che quel momento non sarebbe più giunto. E infatti quel momento non giunse più.

Tuttavia ci fu una singolare appendice a quella storia in fondo squallida tra noi – squallida perché tutto sommato io, frustrato dall’avere una ragazza fredda come Ameba, mi ero gettato a pesce sulla madre, la quale in definitiva si era solo divertita a incarnare quel desiderio di sessualità proibita che in realtà non le corrispondeva, perché probabilmente lei era molto più simile ad Ameba di quanto volesse farmi credere… L’appendice fu questa… Quattro anni dopo, una sera, sul tardi, erano circa le quattro di notte, mi trovai a passare col motorino davanti un locale che sapevo essere un po’ equivoco, nel senso che si diceva che lì la gente si prostituisse bellamente, sia uomini che donne. A un tratto vidi sbatter fuori da un ingresso laterale proprio la madre di Ameba. Era semisvestita, piangeva, farfugliava cose incomprensibili. L’omaccione che le diede il benservito era un tipo calvo, sui cinquanta, molto robusto – sicuramente fascista, pensai nauseato –; dopo averla afferrata per i capelli non esitò anche a prenderla a calci dicendole chiaramente di non farsi più vedere, che lui non l’amava perché lei era una donna che “non valeva niente”.

Nemmeno il tempo di sbatterle la faccia sull’asfalto che quello era già rientrato nel locale. Dunque non potei neppure affrontarlo. Comunque lei l’avevo riconosciuta al volo, anche se aveva cambiato pettinatura protendendo per una quasi da vamp anni quaranta, che a dire il vero le donava molto.

Mi precipitai a soccorrerla. Il rosso del sangue si mischiava al rosso del rossetto. Lei non mi riconobbe all’inizio, sembrava piuttosto frastornata, e comunque era ancora completamente focalizzata su quell’uomo così cattivo che l’aveva respinta dichiarando di non amarla più. Con un retropensiero il mio cervello pensò che era proprio quello che si meritava una come lei: lei, sempre stata così utilitaristica, essere usata da un uomo senza scrupoli, per poi esser gettata via quando non serviva più, che poi non era quello che lei aveva fatto con me?

Ci misi un po’ a capire se preferisse essere portata all’ospedale, o in una caserma a fare una denuncia, o ancora a casa sua. Alla fine scelse l’opzione più comoda. A casa.

Mentre mi si stringeva alle spalle da dietro, sul motorino, capii che non nutriva alcun sentimento per me. Anche adesso che avevo assurto il ruolo di suo salvatore, era come non mi vedesse.

Mi invitò meccanicamente a salire da lei. Era ancora molto confusa. Io accettai più per controllare che non svalvolasse che altro. Poi, anche se non ne era minimamente in grado, cercò di farsi scopare, credo solo nel vano tentativo di prendersi immediatamente una rivincita su quella vita che l’aveva così delusa, bastonata e inaridita quella notte. Per dimostrarsi che era ancora buona e appetibile per qualcuno.

Ma in lei non c’era più niente delle cose che un tempo mi avevano così conturbato. Però scoprii che una parte di me era eccitata all’idea di rinfrescare quell’usanza di intimità. Così la scopai come voleva, mentre lei ancora piagnucolava pensando all’altro. Strano a dirsi, non me ne importò affatto.

La portai all’orgasmo anche se lei aveva la testa su Marte. Per me fu appagante. E quando lei, sempre per cortesia o altro, non insomma per le giuste motivazioni, mi chiese di rimanere a dormire, declinai il suo invito adducendo una scusa falsa, a cui comunque non si oppose minimamente perché non faceva reale differenza per lei se rimanevo o me ne andavo.

Pensai che avevo fatto la mia buona azione, me l’ero scopata e mi ero anche preso una sorta di rivalsa morale su di lei, perché io una donna non l’avrei mai trattata come lei si era fatta trattare da quell’uomo manesco.

Ameba sapevo che era in giro per l’Europa con l’Erasmus. Chissà se almeno lì, per una volta, avrebbe fatto la parte di quella non frigida. Temevo di no. Mi veniva da ridere a pensare a tutte le persone che raccontano sempre grandi avventure, grandi storie e delle volte grandi amori con l’Erasmus, mentre lei non avrebbe raccontato un bel niente, ne ero certo.

Una vita (film)

Chiariamo subito che non c’entra niente col bel romanzo di Italo Svevo. È invece la trasposizione dall’omonimo romanzo di Maupassant.

Questo film francese parla di una ragazza che si innamora di un uomo e poi lo sposa. Poi il suo matrimonio va in crisi perché lui la tradisce con un’altra donna. Poi lei scopre chi è questa donna… Poi ha un figlio… Poi questo figlio cresce e le si allontana e lei comincia ad accumulare un mucchio di debiti per aiutarlo economicamente. Poi il figlio sposa anche una ragazza. Così la madre, che per il figlio farebbe qualsiasi cosa, che era partita più che benestante, finisce per vendersi e impegnarsi tutto quello che può… Tuttavia il finale è positivo.

È un’opera “naturalistica”, con pochi fronzoli, in cui l’obiettivo della telecamera sembra quasi spiare le vicende narrate.

A me è piaciuta.

https://www.raiplay.it/video/2020/05/una-vita-40180756-7318-4e4b-9e3e-93ca0c7a6ead.html

La Cecilia infuriata

Il 19 ero a letto. A fine giornata. E ripensavo a quella cosa.

Non mi ha risposto, riflettevo. Forse sono stato troppo duro. Sicuramente. Ah, ho paura di aver esagerato. Temo che adesso comincerà a non rispondermi più. Le lascerò dei messaggi e lei… non mi dirà nulla. Mi ignorerà. Che deficiente che sono. Una ragazza così intelligente, sensibile… Ecco, l’ho fatto di nuovo. Ho sabotato un potenziale bel rapporto, tra l’altro ferendo chi non se lo meritava. Sembra quasi che ogni tanto mi sia impossibile non farlo. Mi sono dato la zappa sui piedi. Perché lei mi piaceva. E molto. Spero di non perdermela per strada. Ma forse già ora è tardi…

Il giorno dopo interrompe il suo silenzio: si manifesta.

È anche peggio di quanto immaginassi: è infuriata. Scaglia le sue ire come fossero fulmini, quasi tutte incentrate su di me – la sfiga è che pure un altro le ha creato problemi proprio nello stesso momento e i nostri influssi nefasti devono essersi come accresciuti a vicenda.

Mi sale un senso di nausea dallo stomaco. Ohhh, no. Un’altra volta perdo una che mi interessa… Eppure capisco il suo punto di vista. Riesco a comprendere le sue emozioni. Non sa che io agli amici parlo francamente. Sono io quello strano che non ha usato il giusto tatto. Le mie critiche erano per dire che l’ho talmente in stima che mi aspetto il massimo da lei. Lei si è comportata in una maniera comprensibile. Avrei dovuto saperlo che se mi ponevo in quella maniera, che poteva sembrare aggressiva, lei si sarebbe risentita.

Avrei voglia di mollar tutto. Chiuder tutto, uscire – ma non si può nemmeno farlo perché siamo in quarantena! Andarmi a nascondere e non pensarci più. Ormai ho rovinato tutto… Ma la cosa che più mi addolora è che mi odi, e non avrei mai voluto crearle una reazione di questo tipo.

Oddio, mi ha già bloccato sul suo blog, che cazzo. Neppure posso scusarmi! Ma forse… Forse faccio a tempo a scusarmi per email. Forse lì si è dimenticata di farlo. Forse pensa che non sia necessario. Forse pensa che, essendosi palesata adesso così ostile nei miei confronti, alzerò i tacchi e me ne andrò.

Così, anche se il mio istinto era quello di allontanarmi al più presto da quella situazione che mi stava dando la nausea, mi affretto a scriverle per email.

Le spedisco la lettera. Non mi torna indietro nessun messaggio strano – una volta mi è successo (e non si trattava di un semplice “noreply”) – ma in fondo non vuol dir niente. Adesso non mi resta che attendere e sperare che legga e voglia perdonarmi. È una ragazza sensibile, forse apprezzerà la mia sincerità, anche se, per sua stessa ammissione, è un po’ permalosa, e me l’aveva pure detto di non stuzzicarla, invece io ho fatto il contrario, stupido che non sono altro…

Il giorno dopo controllo l’email col cuore in gola. Mi ha risposto! Oddio, che cosa mi dirà? Mi manderà affanculo ancora più poderosamente dicendomi di non importunarla più sennò mi denuncia… oppure accetta le scuse?

Lei è ancora molto arrabbiata ma… mi parla. Accetta il dialogo, che è un ottimo segno. Mi cazzia a dovere, mi avverte di non farla più incazzare. Sostanzialmente accetta le mie scuse, le quali forse non si aspettava proprio. Mi saluta dandomi appuntamento a domani, sul suo blog, dove, dice, concluderemo la vicenda una volta per tutte. Mi comunica pure l’orario in cui pubblicherà il suo articolo.

L’indomani mi reco ansioso sul suo blog. Ha scritto un lungo articolo. Non è affatto tenera. Mi chiedo come la devo prendere. Forse è una sfida per vedere come reagisco. Ieri mi sembrava mi avesse perdonato; adesso, almeno a giudicare da quel che trovo scritto qui, sembra ancora una tigre.

Io lo interpreto come una prova. Se mi offendo, dopo che io l’ho offesa per prima, è finita. Ma io non mi offendo perché capisco il suo punto di vista e mi sento anzi ancora mortalmente dispiaciuto per aver fatto star male una persona sensibile come lei facendole scrivere questo sfogo pieno di rabbia. Allora mi tocca di rispondere…

Incrocio le dita e parlo col cuore. Butto tutto me stesso in quelle parole. Così, se lei ha un cuore buono, come credo, mi perdonerà, sennò vorrà dire che in fondo pure ieri non mi aveva affatto perdonato e voleva solo vendetta.

Fortunatamente mi sembra che il lungo discorso mi riesca bene. Sono sorpreso anche io. Avrei potuto bloccarmi, come delle volte mi capita quando avrei un mucchio di cose da dire e la testa mi va in cortocircuito. Ma non è successo.

Lei risponde pochissimo, indirettamente. Ma mi ha perdonato. Oh, sì!

Glielo avevo detto, per email: se superiamo questa crisi, saremo uniti per sempre. È andata così.