Toccarle la mano

«Vieni», le dissi bonariamente. E così facendo, come fossi stato un anfitrione assai ospitale, approfittai dell’occorrenza che mi si era spalancata innanzi per prenderle la mano tirandola dolcemente, per trascinarla nella nuova stanza, in quella che sarebbe stata la nostra nuova stanza.

Ma lei invece ne approfittò immediatamente per umiliarmi davanti a tutti, e manifestandosi oltremodo sbalordita disse ad alta voce, lasciando perfettamente intendere quel che con quelle parole intendeva davvero, caricando la sua esternazione di forzato frastornamento:

«Mi prendi la mano?!»

E io allora gliela lasciai subito quella sua mano indegnamente rosata e traditrice, abbassai lo sguardo e mi sentii il più idiota degli esseri umani, poiché avevo lasciato che il mio cuore palpitasse per una che non mi amava affatto, non l’aveva mai fatto sul serio, perché non ne era capace; una che tra l’altro non aspettava altro per riprendersi la sua rivincita su di me, visto che in realtà c’era stato un tempo, sì, un tempo c’era stato, in cui lei aveva provato a farsi amare da me, ma io l’avevo cortesemente respinta perché sapevo che non si doveva fare. Da allora mi aveva segretamente odiato, dandosi nel contempo a tutti coloro che avevano accettato le sue sdolcinate, false moine, anche a dei porci neppure lontanamente paragonabili a me. Porci che infine l’avevano scacciata, schifati anch’essi da lei, dopo essersi presi un bieco e fugace piacere.

Quel giorno lei, come sommo ed ennesimo sgarbo nei miei confronti, per insediarsi nel nuovo ambiente scelse la stanza ancora dopo, quella con Pitone. Non quella che le avevo prospettato io. E a me, che ero stato sopraffatto come un pivello che si era innamorato della ragazza più bella della classe ma anche della più leggera, a me non venne minimamente in mente di essere mai più gentile con lei. Da quel momento la ignorai a più non posso. E lei non sentì affatto la mia assenza, viste le amicizie di cui sempre si circondò le quali le fecero da campana di vetro, e ne rinsaldarono la proterva superbia facendola sentire bella e valente.

E quando venne quel periodo in cui i suoi amici uno a uno si dileguarono tutti, ognuno per un motivo diverso, e lei si sentì sola e tornò a cercare i miei servigi e in quel momento avrebbe fatto carte false per farsi prendere ancora una volta la mano da me, e io avrei potuta averla completamente in scacco e farle fare tutto quel che volevo fino a umiliarla fin dove mi aveva umiliato lei e anche oltre, se ne avessi avuto voglia, quando venne quel periodo che lei si sentì derelitta e abbandonata da tutti ed elemosinò le mie attenzioni, io non la degnai di alcuno sguardo, e lei percepì la mia algida freddezza e si ritirò allora come un paguro che avvistando un grave pericolo si nasconde nel proprio guscio. Perché in quel momento entrambi sapevamo che io le potevo rilasciare indietro tutto assieme quel veleno che lei mi aveva scientemente inoculato per mesi. E ciò l’avrebbe distrutta.

Da allora, quando alla Rossa capitò di incrociarmi, fu un poco più accomodante: cercò di farmi credere che non mi fosse poi così nemica.

Trattandola con distacco mi ero guadagnato il suo rispetto. Perché era una ragazza miserabile che non credeva nei valori della gentilezza e dell’onesta.

Le uniche monete sonanti di valore che ella riconosceva nel suo mondo esecrabile erano la violenza, la forza, l’inganno, l’astio.

Calcio estemporaneo

Improvvisamente mollai un bel calcio all’ascensore. E lui mi guardò dapprima stupito, per presto passare a una festosità sfrenata.
«Non sapevo che anche tu avessi queste botte di maltrattamento insensate verso gli oggetti…»
Gli feci spallucce contraendo le mascelle. E lui si accontentò di quella mia reazione, che tra l’altro era l’unica che ammettessi di fornirgli.
Qualora fosse stato più solerte e invadente e mi avesse incalzato chiedendomi perché lo avevo fatto, probabilmente non gli avrei risposto ugualmente. Solo oggi che su quell’argomento mi sono un po’ calmierato e non rappresenta più un problema potrei rispondere a quella domanda che non mi venne mai posta in questo modo qui:
«Hai presente quando chiami l’ascensore e non arriva e tu vai di fretta e ti serve che venga subito ma quello non arriva? Ecco, allora potresti prendere a calci la porta dell’ascensore. Per me è la stessa cosa. Solo che invece che l’ascensore aspetto vanamente da tempo una persona, una persona che so che non verrà più…»

DOT: Due ragazze interessanti

Martedì.
Ieri, causa quesiti referendari, non si poteva venire.
Almeno il Sì ha avuto una schiacciante vittoria e questi governanti incominciano a tremare. Prima o poi avrete quel che vi meritate, figli di puttana!
Pure oggi niente Hushy.
Niente di nuovo sul fronte occidentale.
*
Venerdì.
Il venerdì è bello perché c’è meno gente, per cui non mi devo affannare a correre ai posti come capita ultimamente.
Niente Hushy, però. Colgo l’occasione dunque per mettere l’accento su altre due ragazze interessanti. La prima la incontro quasi sempre la mattina, da quando prendo l’autobus delle 8:20. Precedentemente mi accontentavo di quello che partiva un quarto d’ora dopo, ma ormai ho preso quest’usanza per giungere in loco un po’ prima, che mi infonde sicurezza. 😉
È alta e snella. Ha dei seni non eccessivi ma che sembrano ottimamente ben plasmati i quali sicuramente ama rimpolpare con dei reggipetti imbottiti. Ha invero gambe un po’ storte verso l’interno, ma questo non è mai stato un vero problema per le femmine, no? E infatti talune volte questa caratteristica le rende anche più allettanti, come forse è il suo caso.
Ha una carnagione un po’ scuretta, mani affusolate e sopratutto un viso un po’ quadrato (che trovo molto sexy e mi rammenta, non so perché, Sigourney Weaver, o meglio la cantante Dolcenera) in cui spiccano un bellissimo nasino parzialmente all’insù (lo descriverei meglio ma non conosco i termini tecnici per farlo) e degli zigomi molto in risalto.
Purtroppo gli occhi, che immagino molto belli, non ricordo di averglieli mai visti, poiché indossa sempre, proprio come me, dei grandi occhiali da sole neri che la fanno sembrare una rock star che vuole proteggersi dai flash dei paparazzi, proprio come me. Spesso veste per svariato tempo nella stessa maniera e con gli stessi abiti, proprio come me. Evidentemente deve essere una che, avendo qualche complesso circa il suo fisico, e avendo imbroccato qualche stratagemma per porvi rimedio, ne approfitta replicando l’escamotage a più riprese, proprio come me. D’altronde è quel che pensa lei che conta, no? E se si sente più tranquilla così, è giusto che si vesta in questo modo.
Dunque, parecchie volte, mentre le sciorinavo i miei pantaloni verdi estivi, lei mi concedeva i suoi pantaloni beige che quando le raggiungevano le caviglie diventavano attillati per via di un elastico. E così sono certo che anche i nostri pantaloni si sono adocchiati, e forse si sono già innamorati. I pantaloni non sono tardi come sanno esserlo gli esseri umani… 😉
Oggi però mi ha fatto un’improvvisata. Per via del caldo, si è spogliata molto di più indossando una gonna (che però non mi è pervenuta e di cui non so riferire, non so perché) e ha liberato anche le belle braccia esili ma muscolose quanto basta e senza un filo di grasso. Ma la cosa più deliziosa è che mi ha mostrato i suoi adorabili piedini, i quali erano proprio come me li ero immaginati io: della stessa foggia delle sue splendide mani. E le unghie dei ditini se le era pitturate con lo smalto rosso, come appartenessero alle sue mani, alle quali invero non ho mai visto applicato un simile vezzo. Ai piedi sì e alle mani no? Boh! Non la capisco! Io non lo farei mai! E semmai farei il contrario!
Questa è la sua descrizione fisica. Se non si è capito, la reputo assai attraente: un vero bocconcino. Passiamo ora alla descrizione psicologica, ben più impegnativa…
Fin dalla prima volta che l’ho incontrata, mi ha subito squadrato con cura, come le interessassi o destassi la sua curiosità: da ciò ne deduco che potrebbe esser libera e che addirittura potrei avere qualche chance. Così, spesso mi ha lanciato delle occhiate incitanti alle quali solo in parte ho risposto, per non essere troppo scortese e non fare la figura del maniaco sessuale alla fermata dell’autobus, anche se, ripeto, la trovo molto interessante.
Non so cosa pensi di me. So solo che se la ignoro troppo sembra si risenta un po’. Le ragazze sono vanitose! Forse vorrebbe che rompessi il ghiaccio io, ma potrebbe anche farlo lei se davvero ci tenesse a conoscermi, no? Ci risiamo con le mie irrinunciabili convinzioni… Non sarà che sono davvero un tantinello misogino? :-O
Sembra una tipa molto precisa e a posto. Si muove lenta e apparentemente sicura. Una volta si è permessa di andare dal tabaccaio lì vicino a prendere qualcosa mentre teneva d’occhio la fermata dell’autobus. Ma, fosse passato in quel momento l’autobus, io avrei cercato di darle una voce avvisandola che rischiava di perderlo.
Smanetta spesso con il cellulare (il che mi reca un po’ di fastidio perché me l’allontana), in particolare quando sale sull’autobus. Di lì in poi si estranea completamente e quasi non mi guarda più. Ma anche io faccio altrettanto districandomi in riflessioni oniriche, sedotto dal bel percorso di viaggio. La mia impressione è che ascolti la musica.
Sono certo che si rechi a lavoro, ma non so dove, perché scendo sempre prima di lei. Chissà cosa penserà di me: mi vede solo due volte a settimana e neppure sempre negli stessi giorni… Free-lancer?
Una seconda ragazza l’ho incontrata quest’oggi in biblioteca. Per minuti sono rimasto da solo al solito tavolinetto a navigare in internet. Poi a un tratto è arrivata lei. Dapprima mi si è mossa intorno spulciando tra i libri per parecchio tempo. Probabilmente cercava qualcosa che non trovava. Inoltre era nella zona della letteratura italiana. Per questo non pensavo che fosse lì per studiare, ma solo per sollazzo, come me.
Mi si è mossa dietro, poi ancora di lato, poi se n’è andata; ma poi è tornata. Ed è stato allora che all’improvviso si è messa seduta e ha depositato tutti i libri e i quaderni che prima non avevo notato.
Ho appurato come fosse una tipa paffuta ma non grassa, non alta, anzi un po’ bassa, ma d’aspetto molto gradevole. Anche lei, per via del caldo, era vestita in una maniera molto fievole, con pantaloni di una stoffa leggerissima e sopra una veste che le lasciava molto scoperte le spalle, la quale veste non le faceva intravedere a sufficienza il reggiseno, purtroppo.
Pareva molto calma e anche decisa, ma a ben vedere, con il passare del tempo, mi ha fornito numerosi segnali di nervosismo. D’altronde non è semplice cercare di studiare mentre uno davanti fissa lo schermo di un computer a pochi centimetri dal tuo viso, anche se lei ha tenuto lo sguardo quasi sempre chino come fosse tabù guardarmi negli occhi. Alcune volte ho anche avuto la sensazione che si alzasse appositamente per sottrarsi a quell’imbarazzo, il che mi dispiacerebbe molto se fosse davvero così.
Aveva un volto molto pulito, quella ragazza, e spero di rincontrarla.
La mora lasciva, veduta quella volta lo stesso giorno di Hushy, non l’ho più beccata (almeno in questa stanza che è tutto il mio mondo) e me ne dispiaccio assai.
Beh, lasciva o brava ragazza, non fa differenza. Purché qualcuna mi tenga occupata la mente. Ne ho bisogno. Ho bisogno di amare qualcuno per allontanare questa cupa malinconia che sempre più ormai mi bracca…

Beatball (gioco)

Avrete forse intuito che questa estate, per far passare i lunghi pomeriggi, mi sono spesso dedicato a giocare al pc…
Stavolta parlo di un gioco anch’esso vecchio di almeno una ventina d’anni, oggi perfettamente gratuito e scaricabile da più parti, che è un clone molto migliorato del superclassico Arkanoid: Beatball.
Innanzitutto è meglio perché si ha un maggiore controllo con il mouse (Arkanoid da questo punto di vista era praticamente ingiocabile). Lo scopo del gioco è semplice. Con la pallina dovete colpire tutti i mattoncini per superare il quadro. Dopo si ricomincia da capo con un nuovo quadro. Durante il gioco vi cadranno sulla testa degli artefatti che potranno migliorarvi di molto la vita o anche peggiorarvela. Starà a voi decidere se e quali attivare.
Fattori positivi del gioco (ce ne sono moltissimi!):
1 questo gioco spacca esattamente come quando è uscito, non è affatto invecchiato col tempo. Questo vuol dire che è fatto molto bene.
2 è un gioco con una lunga giocabilità. Anche una volta che lo avrete completato essendo riusciti a risolvere l’ultimo quadro, magari per un po’ lo lascerete là senza giocarci, ma sono sicuro che ogni tanto, quando avrete un dieci minuti/mezz’ora liberi in cui volete staccare per riposarvi da quello che stavate facendo, tornerete a giocarci con divertimento.
3 andando avanti col gioco vi renderete conto che non si tratta solamente di far rimbalzare la pallina a casaccio sperando che colpisca i mattoncini. O meglio, sicuramente all’inizio sarà così e per risolvere qualche quadro impiegherete chissà quanto. Ma questo avverrà solo all’inizio. Infatti dopo vi renderete conto che avrete acquisito una tale padronanza nell’indirizzamento della pallina (e saprete colpirla magari anche con l’effetto) che sarete molto più rapidi ed efficienti a sbrigliare i vari quadri.
4 inoltre questo è anche un gioco di alta strategia! Provate a iniziare un quadro non simmetrico dalla parte sbagliata e vi accorgerete di quanto esso può diventare molto più difficile da portare in porto.
5 ci sono tantissimi quadri! Dunque avrete molto da sbizzarrirvi e divertirvi!
6 ovviamente ve lo potete scaricare e dunque non dovete essere connessi per forza a internet per giocarci.
Fattori negativi (per fortuna sono pochi):
1 incredibile ma vero… il gioco accusa i medesimi bachi di quando avevo cominciato a giocarci io venti anni fa (ed ero molto più pippa). Per esempio talvolta la pallina colpirà un mattoncino (normale, perché ci sono anche quelli speciali che necessitano di più colpi per essere distrutti) e il mattoncino non scomparirà. Altre volte, potrebbe accadervi di ritrovarvi in uno strano limbo in cui la pallina è scomparsa: non siete morti ma non potrete andare avanti! Il gioco si è inspiegabilmente “allooppato”! 😀 Ma per fortuna questo capita molto di rado…
2 ci sono dei quadri molto rognosi, ve ne accorgerete!, in cui di solito non potrete contare su molti aiuti che vi piovono dal cielo. In questi casi non c’è molto da fare e dovrete armarvi di santa pazienza e anche di santa attenzione se non volete perdere delle vite. Il quadro peggiore di tutti è probabilmente quello denominato “Labirinth”, in cui, contando solo sulle vostre forze, dovrete far fuori qualcosa tipo sei o sette mattoncini d’oro (quelli che vanno colpiti quattro volte per cassarli), tutti allineati verticalmente. Dopo questo quadro però avrete acquisito molta più padronanza nell’indirizzare la pallina, dunque non tutti i mali vengono per nuocere…
La cosa bella di questi giochi evergreen è che sono in realtà molto semplici, se vogliamo. Non hanno animazioni particolari. Qui siamo proprio agli albori dei giochi elettronici, dove l’idea contava più di tante apparenze. Per esempio oggi ci sono un sacco di giochi di supereroi che però sono delle vere ciofeche e oltre la copertina patinata non offrono niente.
Inoltre io posso facilmente mettermi dall’altra parte della barricata e immaginarmi quanto sia stato stimolante e appagante realizzare questo gioco dal mero punto di vista della programmazione…
Ve lo consiglio. Se il vostro pargolo smania per giocare ai giochi elettronici, meglio che perda tempo con questo che con tanti altri che sono da veri idioti.
Curiosità: esiste una seconda versione del gioco che è addirittura meglio. Ci sono tantissimi altri quadri nuovi e più fighi e si può anche creare dei quadri nuovi da soli! L’unica cosa negativa è che questa evoluzione del gioco però non è gratuita e costa qualche dollaro. Peccato…
Altra curiosità: colui che ha realizzato questo gioco è anche un compositore di musica elettronica e all’interno del gioco si possono ascoltare alcune sue hit…

Sogno #49: L’inesplorato particolare

Nemesis non sapeva come mai progressivamente avesse cominciato a suscitare nella gente sempre una di quelle due sensazioni: una sensazione di impaccio, di allarme, quasi di repulsa; o una sensazione di riso, come fosse stato qualcuno da canzonare, che se lo si incontrava per la strada ci si dava delle gomitate nelle costole con gli amici, come per dire: hey, guarda quello lì che spasso!
Un giorno Nemesis rientrò a casa dopo il solito lavoro sfibrante della settimana. Inserì mestamente la chiave nella vecchia serratura della porta, l’aprì, appoggiò la borsa in terra, si tolse il cappotto invernale disponendolo sull’attaccapanni e poi si lasciò andare stracco sul divano.
Il pensiero che il giorno dopo avrebbe rincontrato Occhi di Serpente lo nauseava. Ma sembrava proprio che quello sarebbe stato il suo destino chissà per quanto tempo, forse per sempre: vivere un’esistenza inutile senza soddisfazioni vere, circondato da persone ributtanti che sparlavano alle sue spalle.
A quel punto avrebbe potuto rimanere così inabile a qualsiasi attività fino alla cena. E a dire il vero anche dopo se non si fosse prodigato in un qualche sforzo mentale; avrebbe potuto giacere in quel divano sprofondante per l’eternità, e non rialzarsi più fino alla fine dei suoi giorni. Nemesis si lasciò andare chiudendo gli occhi. Solo un attimo, pensò.
Quando si svegliò il mondo gli sembrò incredibilmente più cupo di quando lo aveva lasciato. Intorno a lui pochi rumori, più che altro provenienti dalle solite vicine pettegole che ridacchiavano per le loro usuali menate da deficienti.
Per un attimo si chiese se alzarsi. Avvertiva fiacchezza. Ma sapeva altresì che se non si fosse alzato e non avesse mangiato qualcosa, qualcosa che pure sentiva di non aver voglia di ingurgitare, dopo, l’indomani, si sarebbe sentito ancora più stanco. Dunque era obbligato ad alzarsi, perlomeno per alimentarsi, altrimenti dopo sarebbe stato peggio, molto peggio…
Nemesis si mise ritto in piedi nell’oscurità. Accese la luce del salone mentre la pressione gli fece lo scherzo di bombardarlo con flash di luci agli occhi che non andarono via per svariati secondi. Poi si trascinò con difficoltà fino in bagno. Accese un’altra luce. Fece scorrere l’acqua del rubinetto del lavabo: calda, perché in quel momento avvertiva anche un poco di freddo. Prese il sapone liquido dal dispenser e cominciò a frizionare. Fu allora, alzando lo sguardo su di sé, su quello specchio che rigettava la sua immagine come una cascata impura, che si accorse di quella cosa. La sua faccia… La sua faccia produceva un tic ogni tot secondi.
Sì: era proprio un tic. E lui non si era mai accorto di averlo. Neppure gli era mai passata minimamente per la testa l’idea che avesse potuto averne uno. Lui! Nemesis! Avere un tic?! E da quand’era che ce l’aveva? Quando aveva cominciato a svilupparlo?
Si trattava evidentemente di un tic nervoso. E infatti lui era sempre nervoso, su questo non c’erano dubbi. Quel tic lo sfigurava rendendolo irrimediabilmente compromesso, diverso dal resto del mondo. Quando lo produceva, per un attimo la faccia gli si deformava in una posa irregolare, asimmetrica e forse anche mostruosa. Adesso Nemesis comprendeva perché il suo passaggio ingenerasse nelle altre persone sempre quelle due opposte reazioni: di paura o di scherno. Adesso tutto aveva un senso! Adesso comprendeva l’inquietudine della gente a vederlo contorcersi in quella posa, socchiudendo l’occhio sinistro (destro, nello specchio) in quella foggia inopportuna e disgustosa. Adesso comprendeva chi lo riteneva, a ragione, un fenomeno da baraccone e si bloccava ogni qualvolta lo vedeva, perché a quella vista si poteva reagire solo in quelle due modalità: quella faceta che, potendo scegliere, era ovviamente da preferirsi; e quella di terrore. Anche lui avrebbe preferito provare la prima prerogativa piuttosto che la seconda…
Nemesis lanciò un lamento sordo. E il tic si acuì, divenne spasmodico, così che lui fu obbligato a osservarlo per bene nello specchio anche se avrebbe tanto voluto scapparne…
Assestò un pugno allo specchio che lo fece dapprima cadere nel lavandino per poi implacabilmente rompere. Da quel giorno Nemesis non avrebbe più tenuto specchi in casa. Come fosse stato un gobbo deforme che non sopportava la repellente vista della propria persona…

Canc

Nel pomeriggio, mentre era a lavoro, le giunse uno strano sms:
Non voglio disturbare. Vorrei solo sapere se stai bene, piccola mia. Io me la cavo…
Il problema era che lei, mesi fa, nella sua rubrica telefonica, aveva fatto piazza pulita di gente con la quale riteneva non dovesse più avere nulla a che fare. Dunque il tipo che le aveva spedito quel messaggio doveva essere uno di essi. Ma chi?
Certo, se apparteneva a quella schiera, non avrebbe dovuto rispondergli, dato che in precedenza aveva stabilito di farlo fuori dalla sua vita. Però… forse si trattava di qualcuno che aveva depennato dall’agenda solo perché riteneva che non avrebbe più sentito, non perché fosse un tipo disdicevole al quale non accordare neppure un saluto.
Così, Mia, andò nel panico. Doveva scoprire di chi fosse quel numero prima di decidere il da farsi. E se si fosse trattato di qualcuno importante? Mia si maledì per la sua scarsa risolutezza. Tempo addietro aveva preso una decisione irrevocabile circa quel tipo, e ora già se la rimangiava rendendosi conto di quanto fosse stata stupida a prenderla. Il suo bisogno di “pulizia” purtroppo le aveva fatto fare l’ennesimo erroraccio della sua vita.
Ma non c’era tempo per piangersi addosso. Non ora. Prima doveva trovare quel numero, o meglio a chi appartenesse. Mia possedeva invero un asso nella manica: quel numero, prima di essere cancellato dalla memoria del cellulare, sicuramente era stato appuntato diligentemente sulla sua agendina cartacea, non c’erano dubbi. Si trattava solo di scoprire a chi appartenesse nella cospicua accozzaglia dei centinaia che non facessero più parte della sua vita.
Mia sudava freddo. Acciuffando l’agendina cartacea dalla borsetta che teneva sempre con sé per ogni evenienza si rese conto di quanto fosse improbo quel compito. Ci poteva impiegare anche ore. Ed era pure a lavoro, non poteva sprecarci sopra tutto il pomeriggio sennò qualcuno se ne sarebbe accorto.
Si chiese per un’ultima volta se fosse il caso di lasciare stare. Era una persona che aveva tolto dalla rubrica, quindi era una persona che era stata bollata come inutile o, peggio, dannosa. Forse la scelta giusta sarebbe stata quella di non rispondere niente, a costo di essere scortese. Lo psicologo glielo aveva detto: doveva imparare ad applicarsi con disciplina nelle scelte della sua vita, sennò avrebbe continuato in eterno a fare e disfare, rimanendo perennemente infelice, come aveva sempre fatto negli ultimi venti anni, o anche di più. Come aveva fatto fin da bambina. E lei bambina oggi non lo era più. Lei era adulta, quindi avrebbe dovuto comportarsi da adulta.
Gli adulti sono stronzi, si disse Mia con cinismo. Pazienza per quel tipo, si attaccherà; se si fosse comportato meglio con me, in precedenza, a questo punto non sarei costretta a fare la stronza con lui, adesso! Ben gli sta!, allora. Io non ne voglio sapere nulla di lui e se ci rimarrà male!
E lo avrebbe fatto. Ma poi pensò che chi le aveva spedito quel messaggio poteva essere anche uno stronzo molto più stronzo di quanto potesse essere lei: cioè uno che non avrebbe accettato quel rifiuto palese e le avrebbe dato il tormento se lei non gli avesse risposto qualcosa. Poteva essere uno che l’avrebbe chiamata quando non doveva, facendo ingelosire il suo compagno. E questo, lei, come al solito, non poteva permetterselo. Dunque era costretta ancora una volta a venire a patti con la sua coscienza, a scegliere la situazione più diplomatica, che poi sarebbe stata per lei sempre la situazione meno giusta, perché Mia aveva bisogno di certezze e nettezza, e dunque il meglio per lei era prendere decisioni da dentro e fuori, così come stava facendo, in verità con alterne vicende, negli ultimi tragicomici mesi.
E poi c’era anche un altro particolare che la spinse a ricercare nell’agendina quel numero. Quel messaggio sembrava gentile, sembrava il frutto di qualcuno che non voleva arrecarle disturbo, qualcuno che era preoccupato per lei… See, come no! Come tutti quelli tanto preoccupati che avevano finito tutti, chi prima chi dopo, per scoparsela, tentando di renderla succube di loro. No, la verità era che Mia non poteva sapere davvero chi si celasse dietro quell’sms. Perché c’era gente che comunicava amore a parole ma che nei fatti faceva esattamente il contrario, mentre c’era gente che diceva quel che faceva, gente trasparente senza facce doppie, gente che invero aveva incontrato raramente in vita sua… Ma chissà, forse si poteva trattare di quel motociclista con cui amava fare lunghe chiacchierate quando era in vacanza in Giappone. Oppure quell’avvocato che l’aveva corteggiata per mesi, spedendole rose e regali, quell’avvocato da cui era dovuta fuggire perché Mia aveva già un’altra storia con un altro, e che storia!
Sfogliare le pagine di quella vecchia agendina ingiallita fu per lei come effettuare un viaggio all’inferno. Troppe emozioni, per lo più negative. Si imbatté in troppi tipi che le avevano spezzato il cuore, tipi con cui era stata stronza o erano stati stronzi loro con lei, tipi con cui le cose erano finite sempre molto molto male. Subentrò la nausea. Una sensazione di viscidume e sporcizia le partì dallo stomaco per risalire fino al cavo orale. Le veniva da vomitare. Che vita di merda ho condotto finora!, si disse Mia al limite delle lacrime che avrebbe voluto gettare quell’agendina in una fogna e non pensare più a niente. Confrontarsi con tutte quelle facce del suo passato tutte assieme era un’impresa quasi insostenibile per lei. Ne avrebbe sicuramente parlato con lo psicologo. E allora lui si sarebbe inventato un altro di quegli strani compiti da farle fare, uno di quelli che le procuravano sempre qualche fastidio non preventivato…
Ben presto però Mia si rese conto che neppure era certa dell’identità sessuale del suo mittente. Okay, sembrava un ragazzo, e ci avrebbe giurato che lo fosse, però poteva essere benissimo anche una ragazza. Oppure no? Rilesse per l’ennesima volta il messaggio…
Non voglio disturbare. Vorrei solo sapere se stai bene, piccola mia. Io me la cavo…
Quel piccola mia… Poteva essere l’ennesimo uomo-lupo travestito da agnello, pronto a sbranarla appena lei ci cadeva. Oppure un’amica. Una cara amica realmente preoccupata per lei. E lei ne aveva avute di grandissime amiche che purtroppo si era lasciata alle spalle per via di quel cazzo di suo carattere di merda che sembrava fatto apposta per smerdare ogni tipo di relazione per sempre.
E se fosse stata Sara?, pensò Mia. Una lacrima le affiorò dall’occhio sinistro. Sara! La sua migliore amica di sempre! Sara che una volta si era dichiarata pronta a donarle il sangue per quell’intervento, se ne avesse avuto bisogno! Sara che era la ragazza che aveva fatto più piangere in assoluto, perché Mia faceva piangere le persone che l’amavano sul serio. Mia allontanava chi l’amava e alla fine si teneva chi la usava. Era stato quasi sempre così in vita sua…
Sennò certo poteva trattarsi di Robreda, come no. Le ricomparve la sua espressione sempre sorridente con la sigaretta sempre accesa in mano. Robreda per certi versi era il contrario di Sara, ma non perché non le avesse voluto bene bensì perché tendeva a rapportarsi con tutti i casini che Mia commetteva in maniera umoristica. Vedeva sempre il lato comico. Solo una volta non l’aveva visto ed era stato fatale. Quella volta che mia si era scopata il suo ragazzo. Che poi vabbè era chiaro che fu un bene per Robreda accorgersi che quel tipo non fosse poi tanto innamorato di lei e mirasse solo a possederla sessualmente, però certo, era stata una bella botta farglielo scoprire così. E poi perché Mia ci era andata? Perché? Mia ancora con aveva capito perché l’aveva fatto… Forse per una volta aveva voluto assestarle un colpo dal quale neppure Robreda si sarebbe ripresa. E Robreda ci era rimasta molto male, ma alla fine aveva abbandonato sia il ragazzo puttaniere che l’amica puttana, cioè lei…
Quanto ricordi!, pensò Mia commossa. Quanti errori ho fatto per farmi abbandonare da tutta questa gente?, si chiese Mia tirata in volto che non voleva che i colleghi scoprissero il suo nuovo malanno…
Trascorsa un’ora, Mia aveva depennato circa la metà dei possibili candidati. E non ce la faceva più. E avrebbe voluto smettere, ma non poteva, non poteva.
Decise di andare un po’ a tentativi. Non più leggere tutta l’agendina dalla A alla Z bensì fare ricerche mirate, su chi riteneva potesse essere… Rilesse ancora quel messaggio e si chiese chi poteva averglielo scritto.
Non voglio disturbare. Vorrei solo sapere se stai bene, piccola mia. Io me la cavo…
Ecco… Poteva trattarsi di quello con la moglie, che la voleva coinvolgere in un gioco a tre. Che schifo!, pensò Mia nauseata da se stessa. E dire che avrebbe potuto anche starci all’epoca… Ma non era lui per sua fortuna. Pensò al ragazzetto per cui si era presa una scuffia un decennio fa. Si era sentita quasi una pedofila in quell’avvenuretta, però doveva ammettersi che ora che erano passati degli anni non provava più alcuna vergogna. Anzi. Adesso quel ragazzetto era bello maturo, e dunque scopabile. Ecco, fosse stato davvero lui, forse, qualche pazzia avrebbe pure potuta compierla anche se lo psicologo gliela aveva assai sconsigliata… Ma non era lui…
Fece centro con il terzo. Sì, era lui! E allora si disse che avrebbe dovuto capirlo subito che era lui. Il suo stile era quello, i suoi messaggi pure… Sì, lui non l’aveva mai trattata davvero male anche se non aveva ben capito come e perché fosse finita la loro relazione, lui forse era la persona più pura che avesse conosciuto. Lui non ci aveva mai provato davvero a portarsela a letto, seppure alcuni atroci dubbi in merito non era mai stata in grado di estirparli…
A lui poteva rispondere. Quel poveraccio si sarebbe offeso molto se non gli avesse risposto: gli avrebbe fatto anche molto male non ottenere una sua risposta. E si sarebbe tenuto quel dolore tutto per se, se lo sarebbe cullato portandoselo per tutta la vita nel cuore. Lui non l’avrebbe allora più cercata se lei non gli rispondeva, perché lui era un tipo molto corretto. No, lui non si meritava di essere trattato a quella maniera insulsa. A lui poteva e doveva rispondere.
Adesso si trattava di trovare le parole giuste, le parole giuste per dirgli che era felice che l’avesse contattata ma che riteneva giusto non riallacciare i loro rapporti, perché lei aveva troppi casini a cui pensare, e pure lui aveva la sua bella dose di casini, e un riavvicinamento non avrebbe fatto altro che complicare all’inverosimile entrambe le loro esistenze, forse, come era stato prima. Adesso Mia ricordava perché loro due avevano rotto…
Alla fine gli scrisse:
Ciao J. Va tutto bene, grazie. Abbi cura di te! 🙂

La pazza gioia (film)

 

Due ottime attrici per una bella storia di diversità e dolore, di quel dolore che la gente non vuol vedere.

Due donne con differenti vicende problematiche alle spalle, ricoverate in un centro di igiene mentale o giù di lì, diventano amiche. Un giorno riescono casualmente a evadere dalle maglie di chi le sorveglia. Si recano nel mondo reale a far danni. Si danno alla pazza gioia…

In definitiva si poteva anche toppare un film così perché in certi contesti è facile scivolare nei luoghi comuni, il conformismo e il buonismo. Ma non stavolta, dove, tutto sommato, ne è venuto fuori un buon film.