Sigle: Peline Story!

Altro personaggio deprimente che non sopportavo era questa ragazzina di nome Peline, dai capelli rossicci e spettinata. Nonostante le ambientazioni e il tratto di disegno mi ricordassero l’amato Miyazaki, non mi piaceva proprio la sua faccia squadrata.

Pure le storie, in cui questa ragazzina si palesava perennemente affannata a vivere, mi comunicavano fastidio. Insomma a me le storie alla “Dolce Remy” davano troppa angoscia per apprezzarle a dovere!

Alain Resnais: No Smoking

Come dicevo la volta scorsa, questo film rappresenta il gemello del film Smoking, dello stesso regista (di cui ho già parlato). Stavolta però a rappresentare il terzo incomodo nella vita della coppia in crisi, non ci sono più unicamente il giardiniere e la domestica, bensì un’altra coppia, formata da un collega del preside ubriacone della prima coppia e dalla sua compagnia, una peperina rossa di testa che invero sembra essere una fedifraga conclamata.

Però esiste un’ulteriore sostanziale differenze con il film precedente: questo appare molto meno ironico (e dunque meno godibile), dell’altro (forse come fosse l’altra faccia, più drammatica, della stessa moneta?). Dunque l’elemento della continua moltiplicazione dei destini futuri dei personaggi in base a frasi o accadimenti rende la pellicola molto più stanca e inutile della precedente.

Infine aggiungo una curiosità a cui finora non avevo accennato: sia in questo film che nel precedente in realtà ci sono solo due interpreti! I personaggi femminili sono incarnati tutti dall’attrice protagonista mentre i maschili dall’attore! Curiosamente mi sono accorto di questa evidenza solo durante la visione del secondo film!

GLI INDISTRUTTIBILI: L’arca di Noè

Se cercate un regalo molto carino per un bambino piccolo, vi consiglio l’acquisto di uno o più esemplari di questa collana, appena scoperta. Che in ogni numero presenta un mini fumetto relativo una canzoncina famosa (più o meno per piccoli) – tra l’altro ogni pagina è realizzata con un cartoncino molto spesso e rigido (per questo si chiamano GLI INDISTRUTTIBILI!) che non teme l’usura, o almeno non troppo – con allegato, alla fine del libricino, proprio un cd con la canzone in questione.

Ora, di volta in volta sia le canzoni, che i disegni, che gli interpreti delle canzoni variano… Per esempio, in questo caso è presente la famosa canzone di Sergio Endrigo, i disegni sono di Altan e gli interpreti della canzone sono nientemeno che Sergio Cammariere e Morgan.

😉

NINNINI: Come nascono i bambini (CAPITOLO EXTRA) – PARTE IV

Certo c’era ancora quel piccolissimo particolare da stabilire, cioè da dove potessero uscire mai i bambini. Difatti, per quanto ne sapeva Ninnini – ma poteva benissimo sbagliarsi perché lui non era certo pratico della questione –, non uscivano dal sedere. Anche perché Ninnini non ci vedeva proprio i bambini a sbucare da quel posto da dove normalmente passava la cacchina.

Allora da dove uscivano? Forse proprio dalla pancia. Difatti Ninnini delle volte aveva sentito che i dottori facevano un taglietto alle future mamme, per far venir fuori i bambini…

Ninnini era incline ad avallare questa ipotesi… ma poi gli sorse uno stranissimo dubbio: e se… le femmine non avessero proprio avuto il pisellino come invece ce lo aveva lui? Cioè magari il pisellino ce lo avevano solo i maschi, chissà, mentre le femmine no. A un certo punto Ninnini ebbe come il forte sentore che le femmine non avessero potuto aver niente lì. Chissà come gli era venuta quella balzana idea. Ma tanto valeva cercar conferme…

Così un giorno Ninnini si fece prendere la mano dalla propria curiosità scientifica e, in barba alla propria sterminata timidezza, chiese senza peli sulla lingua a Ninnina se aveva il pisellino anche lei, oppure non aveva niente, pregandola, per favore, di fargli vedere…

Sennonché Ninnina non prese quella gentile interrogazione granché bene, e forse quel giorno le giravano pure male, cioè aveva “le sue cose” – che era un’espressione metaforica molto pittoresca da cui Ninnini aveva appreso che le ragazze fossero frequente di cattivo umore. Fattostà che essa per un attimo lo considerò con uno sguardo pieno di disprezzo, e l’attimo dopo gli stampigliò una sonora cinquina di dita sulla sua incolpevole gota destra – difatti Ninnina era mancina –, e poi, non contenta, la streghetta aggiunse le seguenti lapidarie parole: non mi rompere il ca$$o! La patatina non te la faccio vedere!

Il che indusse Ninnini in uno stato di maggior confusione mentale. Eppure, se aveva detto di non romperle il “ca$$o”, voleva dire che ce lo aveva, il pistolino (detto anche volgarmente “ca$$o”), questo era poco ma sicuro. Però che c’entrava mai quella sua “patatina”? E perché mai avrebbe dovuto fargliela vedere? Lui neppure sapeva ne avesse avuta una che evidentemente portava sempre appresso con sé nelle tasche (probabilmente come portafortuna). Sicuramente tra di loro doveva esser sorto un qualche strambo malinteso…

A ogni modo Ninnini non volle star troppo a sottilizzare e, anche se non proprio ogni aspetto di quella sua teoria gli era chiarissimo, tornò a credere ciò che aveva con così tanta fatica elaborato… Che i bambini venivano dal paradiso. Poi una parte erano smistati dalle cicogne, sotto i cavoli; una parte i volatili li portavano a casa degli interessati – e non sapeva se si pagava qualcosa, per il servizio, o esso era gratis, offerto direttamente dalla incommensurabile generosità di Dio in persona –; mentre un’altra parte ancora, che poi finiva nelle pance delle donne, era costruita da un’ape, la quale era infilata direttamente dal papà nella bocca della mamma.

Ma sì, in conclusione Ninnini fu davvero orgoglioso di sé: raccontato a quel modo, tutto aveva un senso. Dunque le cose dovevano andare davvero in quella maniera. Lui era contento di essersi dimostrato più intelligente degli altri bambini ignoranti. E ora conosceva pure uno di quei tanto odiosi segreti che gli adulti non vogliono mai condividere con i bimbi. Ah, ma lui era troppo in gamba e ci era arrivato da solo, alla facciaccia loro! 😛

Quando Ninnini andò da suo padre a spiegargli per filo e per segno cosa aveva scoperto, non si curò della faccia che egli fece, né di quello che gli ribatté, perché nella testa gli rintronava già la sigla trionfale del “Grande Mazinga”, perché anche Mazinga espelleva dei missili dalla pancia, più o meno come le donne espellevano i bambini.

Quella sigla a dire il vero lo riempiva sempre di grande letizia: perché gli regalava sicurezza sapere che al mondo esistesse uno come Mazinga che si batteva contro gli alieni cattivi. Quella canzone che faceva…

“Ha la mente di Tetsuya ma tutto il resto fa da sé… Non conosce la paura… Sempre vincerà… Robot Mazinga!”

LIETO FINE

🙂

Qui finisce l’avventura

di Ninnini il testa dura,

il bambino con la stipsi

che ballava li calipsi,

che beveva le sue pepsi,

che faceva le sue scepsi.

Il bambino un po’ pigrone

con quel bel grande nasone,

il bambino fantasioso

assai tanto petaloso,

un bambino d’un amore

ve lo dico dal mio cuore.

Meander (film)

Una giovane madre depressa per la morte della figlioletta si trova di notte in un luogo isolato. Forse vorrebbe uccidersi. Passa un uomo che le offre un passaggio. Lo accetta. Di lì a poco scopre però che l’uomo è ricercato poiché è un pericoloso assassino. I due hanno una colluttazione in automobile…

La donna si risveglia in una serie di cunicoli di metallo, con addosso una strana tuta aderente e al braccio un braccialetto luminoso con un timer. Scoprirà presto che quei labirintici tunnel sono pieni zeppi di trappole, e in essi sono presenti altri individui prigionieri nelle sue medesime condizioni…

Chi l’ha portata lì, l’assassino che ha incontrato inizialmente? E perché mai esso lo avrebbe fatto, dato che quello non sembra proprio il suo modus operandi? Al contrario, tutti quei cunicoli, paiono partoriti direttamente dalla mente malata di un ricco psicotico annoiato che non sa come passare il tempo… Sennonché la donna incontrerà anche delle situazioni che potrebbero far pensare che in fondo sia rimasta prigioniera di… alieni?!

Il finale del film è la cosa che mi è piaciuta meno. Diciamo che non ho apprezzato che venisse tirata dentro la figlia defunta. E neppure che i vuoti di sceneggiatura (sì, il finale manca! O comunque, così com’è, è scarso!) debbano essere colmati dai ragionamenti (in parte) e sopratutto dalla fantasia (in larghissima misura) degli spettatori. Così, sì, da ultimo si tende a dare una data spiegazione ma… anche così i conti non tornano e rimangono domande mortalmente inevase.

Ma penso che il problema principale non siano tanto le risposte che non ci sono state fornite quanto semmai che a una buona idea, o meglio a delle buone atmosfere, non sia seguito il necessario per rendere questo film completo.

Insomma, a me la parte nei cunicoli (la più cospicua) è piaciuta (mi sembrava pure potesse trattarsi di un horror fantascientifico) ma purtroppo il finale è… dire farraginoso è poco.

Aggiungo infine che ho notato eccome l’accezione sadomaso che gli si è voluta dare per solleticare alcuni aspetti pruriginosi negli spettatori (una donna sola, che soffre parecchio, che striscia per tutto il tempo, con una tuta attillata, il sangue e i corpi martoriati, la caccia di un altro prigioniero bruto mostruoso, le amputazioni, ecc… Anche se a dire il vero avrebbero potuto svestirla molto di più, se davvero avessero voluto, e invece non l’hanno fatto, ma solo per non essere bollati come “viziosi”).

Sigle: MYSHA!

Non avrei alcun memoria di questo cartone estremamente secondario se non rammentassi invece la sigla, abbastanza carina.

Si parla di un orsacchiotto, di una certa Natasha e perfino di un dirigibile (!), tutta roba di cui non ho più alcun ricordo!

Io chiaramente mi divertivo a storpiare il nome dell’orsacchiotto in… “Piscia”! 😀

La sbandata 9/9

Svariati mesi dopo, Nemesis ripassò per quella via.

Come fossero trascorse appena poche ore dal loro ultimo incontro, incrociò ancora una volta la sbandata. Stavolta però fu quasi certo fosse tornata a starsene totalmente da sé. Avendo tra l’altro ripreso le vecchie abitudini di bivaccare tutto il tempo sulla panchina.

Ormai parlava da sola,sbraitava a getto continuo. Di polizia e prostituzione. Di abusi di potere. Di denunce. Di caserme e interrogatori. Perfino di pedofilia. Sembrava avesse davanti un interlocutore fittizio a cui dovesse tassativamente riferire tutto quel che sapeva e aveva vissuto sennò non sarebbe stata a posto con la coscienza.

Nemesis pensò che da ultimo il suo carattere bizzoso dovesse averla fatta allontanare dalla comunità di barboni che aveva frequentato fino a qualche tempo prima. La sua esistenza aveva fatto una lunga circonvoluzione riportandola infine all’inizio, avendo intrapreso pure un imbocco che spesso era senza ritorno: quello dell’alienazione.

La vita di strada l’aveva perfino peggiorata. Ora la ragazza era preda di pulsioni incontrollate di rabbia che la facevano vaneggiare. A un sol passo dalla follia.

Unicamente in un singolo aspetto era forse apparentemente cambiata in meglio. Per qualche motivo, sembrava meno trascurata; ma forse questa impressione poteva esser data perché non si era più in inverno bensì in estate, e la ragazza, disfatasi di pesanti abiti, ora ne sfoggiava di leggerissimi, i quali parevano lindi e profumati – ma potevano anche non esserlo –, e invero le mettevano in evidenza il fisico atletico.

Nondimeno la sua permanenza semestrale in loco, aveva ingenerato in taluni abitanti del quartiere parecchio risentimento. Nemesis poté infatti assistere con i propri occhi alla seguente scena… Una vecchia con le stampelle le si fece avanti minacciosa mentre la sbandata era ancora nel bel mezzo di un suo ennesimo soliloquio. Alzata una gruccia alla quale assegnò la funzione di dito accusatorio, rivolse alla barbona aspre parole manifestando tutto il proprio rancore e attribuendole la colpa di non averla fatta dormire la notte precedente, con i suoi discorsi insensati a voce sempre elevata.

Ma la sbandata, che ormai doveva essere avvezza alle liti ed averne viste di tutti i colori, abituata a ben altre violenze, perfino agli abusi della polizia, a quelle parole astiose rispose con una calma imprevista manifestandosi quasi ieraticamente morigerata. Tornando all’istante in sé, prese a conversare lentamente e concisa, senza alcuna acrimonia – quando un secondo prima era stata completamente immersa in una discussione immaginaria piena di azzimo e attriti – e replicò all’anziana mostrando che non le metteva paura.

La vecchia di lì a poco se ne andò, dato che quel protestare non serviva a niente e non avrebbe ottenuto quindi alcun risultato. Dovette andarsene perché ormai le rimaneva solo di aggredirla, e non voleva certo finire in galera lei per colpa di quella ragazza deviata. Così la sbandata riprese a dialogare da sola continuando grossomodo da dove si era interrotta.

Dopo essersi accertato che in fondo quell’alterco non avesse prodotto nulla di irreparabile, infine anche Nemesis se ne andò dispiaciuto.

Di lì a breve cercò di non passare più per quella che nella sua percezione divenne la “via della sbandata”. Per quella via che gli regalava sempre troppa melancolia.

Fine

Altman: Gang

Ennesimo film altmaniano dedicato al mondo dei gangster.

È la storia di alcuni ergastolani che evadono da un carcere. I tre, due uomini maturi e un ragazzo ventenne, sono molto affiatati e decidono così di mettersi insieme in società per compiere rapine, le quali gli verranno molto bene. Col tempo, dopo ulteriori rapine, la loro “fama” cresce…

I tre non sembrano molto male, come persone, in fondo, a parte il fatto che sono ignoranti, come invero appaiono tutti i personaggi nel film. Il regista sembra gettare uno sguardo benevolo su di loro, come a comunicare che non siano persone davvero cattive, nonostante essi non esitino a uccidere poliziotti o altri per i loro scopi.

Il ragazzo più giovane si legherà con una ragazza conosciuta in latitanza, che in seguito vorrà sposare. Mentre gli altri due se la passeranno peggio…

Il finale cruento esprime probabilmente quel che pensa il regista della società americana, implicitamente violenta, opprimente del popolo; il quale finisce per ritrovarsi sempre in ingranaggi più grandi di sé senza nemmeno rendersene conto.