La prismatica gilda della verità

Un uomo investe una donna. Chi ha ragione e chi ha torto?
Facile. Ha torto l’uomo, ha ragione la donna.
Ma poi si scopre che la donna ha attraversato la strada correndo.
Bene. Allora è il contrario.
Da ricerche più approfondite parrebbe però che, è vero che la donna ha attraversato velocemente, ma essa era perfettamente visibile dall’uomo, dato che la strada sulla quale erano permetteva una visibilità perfetta.
Dunque ha ancora torto l’uomo…
Sì, però quel giorno c’era una nebbia fitta che avrebbe potuto giustificare l’uomo.
Allora non ha più così torto…
Invero però lui procedeva così lentamente (ed aveva i fendinebbia funzionanti) che sarebbe stato impossibile non evitarla, se davvero lo avesse voluto.
Beh, questo è molto più grave. Allora l’uomo è un assassino volontario!
Sì, però in verità la donna brandiva in mano un lungo coltellaccio da cucina e probabilmente, per qualche motivo, stava tentando di aggredirlo.
Questo cambia tutto. La sua potrebbe essere stata quasi una legittima difesa, allora…
Però poi si scopre che la donna lo inseguiva con quella lama in pugno perché già prima lui aveva tentato di metterla sotto.
Eh, no. Allora è la donna che torna ad essere la vittima.
Però l’uomo aveva cercato di ficcarla sotto perché lei aveva minacciato di uccidergli i figli (che erano proprio dall’altra parte della strada).
È dunque la donna la carnefice!
Però poi viene fuori che quello non era vero, e che anzi era lei che cercava di salvare i propri figli (fatti con l’uomo) poiché era lui che aveva minacciato di ucciderli…
Allora è l’uomo il criminale, e la donna un’eroina…

…E si potrebbe andare avanti all’infinito, ogni volta rimescolando le carte in tavola e cambiando il nostro punto di vista sulla faccenda.
Ho scritto questa semplice storiella per esprimere due concetti: il primo, che il modo nel quale si giudica la verità è fortemente influenzato da tutte le informazioni che la compongono, e che, se ne dovesse mancare qualche brandello, la nostra visione globale potrebbe fortemente risentirne (e si potrebbe quindi rivelare erronea).
Secondo, che basta davvero poco, a chi di dovere, per manipolare la verità e farci credere quello che non è. È sufficiente che ci omettano una singola notizia (ma di vitale importanza) per stravolgere completamente il senso della realtà. Ecco perché non bisogna accontentarsi delle verità prefabbricate che alcuni vorrebbero darci in pasto come se fossimo degli stupidi piccioni che chiedono briciole di pane… E bisogna sempre andare oltre, scovare le magagne e chiedersi i perché. E allora vedrete che i fatti effettivi sono molto, molto peggiori di quanto ci hanno sempre voluto far credere…
Opponetevi alle (pseudo) informazioni di regime. Combattete il sistema, e, anche se verseranno della merda su di voi (come loro sanno fare bene), andate avanti e non vi arrendete. La verità è più forte di tutte le loro menzogne. Che un giorno gli faremo rimangiare tutte.

Un mare di violenza

Ovunque mi giro vedo sempre un mare di violenza. Ed è un mare alto, che sta crescendo e che si sta sviluppando. Un’onda che prima o poi si abbatterà sulle nostre ossa e che forse le distruggerà…
C’è molta violenza in quello che scrivo (ma almeno mi serve da valvola di sfogo); c’è molta più violenza di un tempo in quello che leggo (eppure gli autori sono sempre gli stessi…).
C’è maggiore violenza negli occhi della gente, che per un’occhiata storta potrebbe prendere in seria considerazione l’idea di ammazzarti…
Ci sono troppi che hanno subito per troppo tempo e che non ne possono più: per questo stanno famelicamente covando il loro odio e la loro comprensibile vendetta (e quando si muoveranno non avranno alcuna pietà)…
Che cosa ci può salvare, in questo mare scuro che ci consuma tutti?
Solo una cosa potrebbe darci conforto: che la Giustizia sia tale per tutti. Che la Giustizia sia tale davvero, altrimenti nulla potrà arginare la marea nera…
Perché la Giustizia deve essere giusta, altrimenti non saranno ancora i più prepotenti a giovarsene, ma cominceranno i disperati… E quelli che sono stati resi duri da anni di bastonature… E quelli che non hanno più nulla da perdere.
And justice for all!

CHIUDETE “FORUM”!

Ora basta! È da anni che si sa che l’invereconda trasmissione di Rita Dalla Chiesa, Forum, oltre a far litigare appositamente la gente, racconta delle storie che sono assolutamente false, cioè delle storie con dei figuranti che recitano un copione e che affermano di essere chi non sono e di avere dei problemi che non hanno!
Ma non solo! E ultimamente abbiamo raggiunto l’apice di immondizia televisiva! Ed in una delle ultima puntate è stata assoldata una rivoltante cicciona (che non so con che faccia abbia avuto il coraggio di dire quello che ha detto) che, tra una cosa e l’altra, ha dichiarato di essere aquilana e che “non è vero che L’Aquila non sia stata ricostruita per bene e che l’economia non sia ripartita, (e chi lo afferma è in malafede)…”, e altre cazzate del genere… Tutte stronzate palesamenti fraudolente che, evidentemente, avevano come unico scopo quello di essere il solito spot (menzognero) pro governo…
Ed io dico che non si può andare in televisione ad affermare il falso senza pagarne le conseguenze (tanto più se si sa di dire delle bugie e si è stipendiati da dei lestofanti truffaldini)! Sarebbe troppo comodo se fosse lecito e l’Italia sarebbe ridotta ancora peggio di quella che è!
Adesso Rita Dalla Chiesa ne deve pagare le conseguenze in prima persona! Io propongo di buttarla nelle carceri della Bastiglia e di obbligarla a rivedersi tutte le repliche delle boiate che ha realizzato in decenni di trasmissioni trash!
And justice for all!
Vergognati Rita dalla Chiesa! Sei un insulto per tuo padre!

Le cose che mi dice il mio cagnolino

Solo recentemente ho compreso quante volte il mio cagnolino cerchi ripetutamente di comunicare con me, senza che io intuisca che lo stia facendo… Infatti, se non mi spinge il musetto su di una gamba, se non mi abbaia per giocare, richiedere attenzioni, o elemosinare cibo extra, è molto probabile che io non lo comprenda. E quando usa altre strategie, spesso i suoi intenti cadono nel vuoto (per esempio le volte che penso che se ne stia tutto tranquillo tra sé e sé, mentre lui si impegna a puntare ostinatamente in una direzione segnalandomi qualcosa… Ed è in casi come questi che in genere neppure me ne accorgo…).
Ma l’altro giorno finalmente l’ho capito. E allora ho pensato: chissà le volte che ha tentato di comunicarmi qualcosa ed io non sono stato abbastanza attento da afferrarlo!…
Ma chi è il più intelligente tra noi due? Siamo sicuri che sia io? No, perché… pensate a quanto sarebbe diversa la nostra vita di esseri umani se solo ci venissero tolte due nostre basilari caratteristiche: il pollice opponibile (o comunque la padronanza manuale) e il nostro linguaggio articolato… Pensate se ancora dovessimo comunicare tra noi a forza di grugniti e non potessimo tenere in mano qualcosa con le dita serrate… La nostra vita sarebbe totalmente differente! E, hai voglia ad inventarci le cose se non potremmo mai metterle in pratica! Per esempio, non potremmo mai accendere un fuoco tramite lo sfregamento di un bastoncino su delle pagliuzze (vi invito a provarci senza utilizzare le mani… o gli accendini). Staremmo ore e ore a grugnire per fare capire alla nostra compagna che ancora non abbiamo fame e che quindi non deve buttare giù la pasta (e forse da ultimo finirebbe a botte!)!
Questo per dirvi che l’uomo non è poi così sagace come lo si vorrebbe far passare (sopratutto nella maggior parte dei suoi esemplari che, evidentemente, si giovano oltremodo del progresso che hanno raggiunto una sparuta minoranza di loro).
Il mio cagnolino è nettamente più perspicace della maggior parte degli esseri umani. Capisce dal tono di voce gli umori di chi parla (ma questo è facile), ma è anche immediatamente in grado di captare se chi gli sta introno ci sta con la testa o meno (che è più difficile); inoltre ha imparato centinaia di vocaboli e anche qualche forma verbale, che sa coniugare nelle declinazioni più importante (a lui i sottili sofismi della lingua italiana non interessano! La pappa o c’è o non c’è! Per questo ha qualche problema con il futuro, che infatti è un tempo superfluo ed elucubrativo).
Povero il mio animaletto, che è costretto ad essere circondato da gente stupida che gli crede superiore, ma che non lo è affatto…

Masi? In galera!

Consiglio a Masi di cambiare aria il prima possibile e di far perdere le proprie tracce al più presto… Prima o poi potrebbe accadere che qualche buon magistrato si renda conto che nella sua fin troppo lunga e dannosa attività alla Rai abbia commesso qualche gravissimo reato da punire con il carcere…
Ricordate quando fu acclarato (tramite una sua intercettazione telefonica) che tentava in tutti i modi di disinnescare Santoro (andando anche contro gli interessi della Rai stessa e di, quindi, tutto il servizio pubblico e tutti gli italiani)?
La sua frase è rimasta celebre: «Non siamo mica nello Zimbabwe…», disse riferendosi a Silvio Berlusconi, che lo pressava affinché si chiudesse Anno Zero dall’oggi al domani, e aggiungendo che stava facendo tutto il possibile, ma che ancora non vi erano sufficienti pretesti per attuarlo…

Masi, t’hanno preso con il sorcio in bocca e ancora hai la faccia tosta di farti vedere in giro?! Conosci quel sentimento che si chiama vergogna?! No, eh?!

Woody Allen suona “Bella ciao”

Grazie, Woody, per aver suonato nel tuo ultimo concerto romano con il tuo clarinetto anche una versione jazz di Bella ciao.
Mi dicono che tu non suoni proprio bene, ma basta il pensiero! E comunque sei tra i buoni…

Ps: ma c’era proprio bisogno di dare un ruolo anche a Carla Bruni in uno dei tuoi film?

Una troia per amico

tiririririri tiririririririri-riri tiriririririri…

può darsi che io non sappia cosa dico

scegliendo te una troia per amico

ma il mio mestiere è vivere la fica

che sia arruffatissima o minorenne

ti fotto forte o debole carfagna

che qualche volte intasca e se ne lagna

l’eccitazione è il sintomo d’amore

al quale non sappiamo rinunciare

le conseguenze spesso fan soffrire

a turno ci dobbiamo spalleggiare

e tu amica cara mi tieni il gioco

perché sennò ci ritroviamo sempre proni

ti sei innamorata di chi?

troppo giovane non fa per te

lo so divento sclerotico

ma è sempre meglio che frocio

dovresti toccarti di più

i miei consigli mai

mi arrendo ruby fa come vuoi

ci ritroviamo all’olgettina poi

ma che viagra del mio medìco

ho scelto te una troia per amico

ma il mio mestiere è vivere la fica

che sia di tutti i giorni o sconosciuta

ti monto forte o debole vajassa

che poche volte succhia e troppe intasca

non c’è una gonna ancor che non si buca

il mastice sei tu mia vecchia minetti

mi affido a lele e fede ma che vergogna

che importa tocca a te avanti tromba

ti infilo supercasta rosy bindi

che il bunga-bunga se lo sogna

mi sono innamorato zum-pò!

lo dico perché senno mi rompono

perché c’ho i giudici che mi assediano

l’annunziata mi eccita

ha così poco spessore

se vuoi ti faccio assessore

che dalemiano che sei

eventualmente poi

sempre fingere ad oltranza poi

ma che disastro io mi maledico

ho scelto te una troia per amico

ma il mio mestiere è vivere la fica

che sia pedofilia o mafieria

ti scopo forte debole strafregna

che qualche volte intasca e se ne lagna

I giorni dell’organizzazione nella lotta al Grande Fratello


Da quando c’è stata l’ascesa del Grande Fratello noi illuminati siamo tutti piuttosto depressi, o spenti. Ma io ho ancora tanta rabbia in me e, se un giorno cadrò, venderò cara la pelle…

Poi un dì succede quello che non ti aspetti, un caso incredibile, che ha del paranormale: io e Giovannone ci incontriamo nel negozio di Francesco, ma, come se non bastasse, anche Leonardo, che mancava dal paese da secoli, fa la sua ricomparsa trionfale sulla scena politica. E appena ci vediamo, vengo quasi alle lacrime… Quanto mi è mancato Leonardo, sopratutto in questi tempi oscuri in cui la menzogna e la calunnia la fanno da padrone e nei quali i vecchi egemoni sono tornati in auge ed in grande spolvero, e, con un lento ma costante lavoro di corruzione, sono infine arrivati a fuorviare le fondamenta della Democrazia, della Libertà e della Giustizia; e la situazione ormai è così grave che siamo quasi sull’orlo della guerra civile, nella quale però loro sarebbero decisamente i più forti, dato che ampie fette di popolazione sono state così soggiogate, corrotte e rese ignoranti, che molti popolani sono dalla loro parte e, pur accontentandosi di qualche ruberia e sapendo di essere al di fuori della legge, reputano pure di non essere nel torto marcio! Ridicolo!

Con Leonardo facemmo solo le scuole elementari assieme, ma questo non faccia pensare che non lo conosca come le mie tasche. No, perché Leonardo è sempre stato un puro ed un integerrimo, uno di quelli con gli occhi limpidi e che si sarebbe potuto scommettere che avrebbe sempre tenuto un comportamento dignitoso e retto (eh! È un uomo di una volta! Oggi non li fanno più così). Da bambini io ero gracilino (ma già turbolento) mentre Leonardo era un gigante buono e taciturno che ispirava fiducia e tranquillità. Ricordo che per un periodo mi capitò di essere preso di mira da certi figli di papà imparentanti con fascisti importanti… Così una volta mi capitò di passare un brutto quarto d’ora. Quattro di loro (si sa che i fascisti sono per definizione dei prepotenti e dei vigliacchi e che attaccano solo se si sentono forti, mentre, se temono di prendere le botte, se la danno a gambe levate) praticamente mi imprigionarono nei bagni della scuola. Io avevo capito subito l’antifona ed ero sicuro che non mi avrebbero lasciato andare prima di avermi dato una delle loro umilianti lezioni. Sapevo altresì che potevo contare unicamente sul fatto che qualche mio compagnuccio di classe notasse l’insolito prolungarsi della mia assenza e mi venisse a cercare. Cioè avevo ben poche possibilità che un egocentrico bambino pensasse a me piuttosto che ai suoi compiti o ai suoi trastulli (e ancora mi turbo se ci ripenso ora, mentre all’epoca ero così incosciente)…

Insomma, non sarei mai uscito da quella situazione se non fosse stato per Leonardo. Infatti d’un tratto si sentì un rumore di passi pesanti ma calmi, e sull’uscio dell’entrata del bagno comparve Leo, con quella sua immutabile espressione quasi da “pace dei sensi” dipinta sul volto. Allora accadde che il capo di quei teppistelli valutò se gli convenisse prendersela pure con lui oppure lasciarmi stare. Era pur vero che loro erano quattro, mentre noi saremmo stati solo due, ma l’imponente Leo già allora valeva almeno per due (almeno…); quindi quell’equivalenza non doveva sembrare troppo vantaggiosa al vigliacco, che infatti sembrava soppesare mentalmente i pro e i contro ai quali sarebbe andato incontro.

Ma poi mi sembrò che nella sua mente circolasse anche l’idea di cosa sarebbe accaduto se si fossero ritirati immediatamente senza menare neppure un colpo… Che cosa avrebbero pensato i suoi subordinati-schiavetti? Forse avrebbero iniziato a mettere in discussione la sua autorità. Per questo, alla fine, quel bambino (già decisamente nazista) decise di andare contro Leo. E allora gli disse (cercando di fargli più paura possibile):

«E tu che vuoi?! Vattene subito, sennò son dolori pure per te! Sciò! Fila prima che le prendi!»

E Leo rimase immobile come un ebete e si concesse solo il lusso di sbattere una volta le ciglia: gesto che poteva essere interpretato come se dicesse loro «Ma che volete da me? Io non ho fatto niente…», e quindi come un evidente sintomo di debolezza, quando invece (lo scoprii solo mesi dopo, quando compresi meglio i furori che si agitavano nel coraggioso petto di Leo) lui l’aveva fatto apposta per sembrare più mite di quanto non fosse, per tendergli una trappola, per farli credere forti quando forti non erano…

Il capetto mi lasciò perdere (mi aveva già quasi messo le mani addosso) e si diresse con fermezza verso Leo (e i suoi devoti pecoroni fecero lo stesso). Ma quando il tizio fu prossimo a sganciargli un pugno, vidi il braccione di Leo partire come un treno e schiaffeggiare sonoramente la gota (che si fece subito fosforescente) del tipetto codardo, e subito dopo (con una velocità che non gli avrei mai concesso, con la stessa mano con la quale lo aveva colpito) gli prese il collo e cominciò a stringerglielo forte. E quello pareva un gattino nelle fauci di una tigre (la quale non gli sarebbe stata per nulla favorevole).

Così il coniglio cominciò a piangere e a scongiurarlo di don fargli male, mentre gli occhi di Leonardo erano mutati e si erano fatti accaniti ed implacabili come quelli di uno che conosceva l’odio nei riguardi degli abusi. Gli altri bambini assistettero alla scena paralizzati, comprendendo che quella misera sorte sarebbe potuta capitare anche a loro se il gigante non fosse stato clemente (ed infatti sembravano essersi trasformati tutti in angioletti e dire con gli occhi che era stato tutto un equivoco e che loro non erano mai stati davvero cattivi in vita loro)…

Il capo brigata adesso si dibatteva, aveva aperto tutti i suoi rubinetti (sia quelli lacrimali che quelli urinari) ed implorava Leo di lasciarlo andare, appellandosi al fatto che i suoi genitori ne avrebbero sofferto assai se gli fosse successo qualcosa (che vile che era! E ai miei genitori non ci aveva pensato il vigliacco?!). Ma Leo non si faceva intenerire e cominciò a scuoterlo come se fosse un albero da frutto, o come se così facendo avesse facilitato tutta la fuoriuscita dei liquidi che stava espellendo (inoltre un sorrisetto divertito gli era comparso in volto)…

Lo tenne a sgrullare per, credo, quello che sembrò a tutti un interminabile minuto. Poi suppongo che gli si stancò il braccio (non era mica eterno, in fondo! Pure lui era pur sempre un essere umano!). Da ultimo gli fece chinare la schiena davanti a lui, in modo che a me concedesse il posteriore.

E non scorderò mai come alzò gli occhi da lui per posarli sui miei e, con uno sguardo estremamente complice e misericordioso, mi disse:

«Dagli un calcione nel culo, così lo mandiamo via. Avanti!»

Io ero un po’ esitante per un paio di motivi. Il primo era che mi sembrava scorretto colpire qualcuno che in qualche modo risultasse impedito o che non potesse difendersi (anche se era un fascista schifoso come quello). Ma poi pensai a quello che mi avrebbero fatto quei quattro a parti invertite se ne avessero avuto la facoltà, e quindi superai immediatamente quel mio dubbio. Mentre la mia seconda perplessità invece vigeva molto più lontano: e mi immaginavo cosa sarebbe accaduto quando quei tipi mi avrebbero incrociato nuovamente da solo… Me l’avrebbero fatta pagare senza alcuno sconto. Questo pensavo. Però non potevo ancora sapere che da allora sarei diventato il migliore amico di Leo, e lui il mio, e che quindi mi avrebbe fatto perennemente da guardia del corpo e nessuno avrebbe più neppure pensato di farmi un torto…

Fattostà che alla fine decisi di fregarmene dei miei ipotetici grattacapi futuri e di dare a quel ragazzino quello che si era ampiamente meritato. Così, dopo aver fatto aspettare Leo (che mi aveva dato la competenza anche di desistere, e che avrebbe rispettato la mia scelta, qualunque fosse stata, pure se non avesse incontrato i suoi favori), assunsi la posa di un calciatore che sta per tirare una bomba a un rigore, presi la rincorsa e colpii più forte che potei il sedere del ragazzino con i miei scarponi rinforzati. E cercai pure di estendere il calcio più dentro possibile alle sue parti molli (come se con quel colpo avessi davvero potuto mandarlo sulla luna)… E so per certo che gli colpii anche i testicoli e che quello cacciò un urlo così elevato che pareva che stesse morendo.

Quella piccola avventura si concluse così ed io e Leo ce ne uscimmo per primi a braccetto dal bagno, con passo lento e sicuro, mentre gli altri rimasero li a sentire gli ululati del malcapitato (che poi seppi che rimase una settimana circa a casa a farsi curare i testicoletti franti…). E da quel giorno non ci fu neppure bisogno di dire una parola di conferma… ed io e Leo diventammo grandissimi amici…

In seguito di lui seppi che si era trasferito. Purtroppo suo padre era un importante commerciante sempre a caccia di affari. Ma non pensate male, in fondo, anche se il suo scopo era il guadagno, era un tipo apposto. Ma per uno come Leo quel genitore borghese non poteva certo essere motivo di vanto. Seppi che i contrasti tra lui ed il padre si acuirono sempre di più, fino a quando Leo non decise di recarsi in Francia e rimanervi alcuni anni. Ed io lo rincontro proprio il giorno del suo ritorno nel nostro paese…

L’argomento della nostra conversazione cade inevitabilmente sui tempi cupi che ci tocca di vivere. E non ci metto molto a capire che l’imponente Leo è tornato intenzionalmente per quello. Non ne poteva più di rimanere in Francia mentre gli giungevano echi sempre più preoccupanti di ciò che accadeva qui (ed in particolare nel nostro piccolo paese natale, che in epoche remote aveva dato lustro a tanti importanti personaggi del Risorgimento e che ora era ridotto piuttosto male…).

Leo ce lo dice chiaro e tondo (si può parlare francamente, dato che siamo nel chiuso del negozio di Francesco, e quindi in un posto sicurissimo; non fosse altro che ho soprannominato Francesco “la bara”, poiché è un tipo che non solo non parla mai di cose private degli altri o sue, ma che nega anche le più evidenti, alla bisogna… Dire una cosa a lui è come catapultarla in un buco nero).

«Dobbiamo reagire, vecchi amici! Non gliela possiamo dar vinta senza neppure combattere! Non ce la faccio più ad ascoltare i discorsi che si fanno all’estero dell’Italia e degli italiani! Mi prendono sempre in giro o mi guardano anche con disprezzo (ve lo giuro!)… Siamo diventati lo zimbello d’Europa e dobbiamo far capire a tutti, e prima di tutti a noi stessi, che possiamo ancora salvare il nostro amato paese dal malaffare e dal Fascismo imperante!»

Le parole di Leo, il vedercelo ancora lì con noi, così sicuro e forte, ci dà una speranza che tutti (nessuno escluso) avevamo perso. Ed il mio cuore si colma ancora una volta di sentimenti patriottici, rivoluzionari, e di giustizia sociale. In verità era da tempo che cercavo di smuovere Giovannone e Francesco a far qualcosa, e mentre quest’ultimo mi diceva ultimamente che era tutto inutile (ma nel segreto del suo cuore sperava che fossi in grado di smentirlo – ed io non vi riuscivo – ), Giovannone sembrava troppo perso nelle sue nebbie della sua vita privata per poter trovare nuova vigoria da un’azione politica egalitaria.

Francesco lo avevo conosciuto all’università. Era un tipo magro, romantico e molto ironico. Ricordo le numerose ore passate con lui a prenderci in giro e ridere. Era sempre stato uno di quelli che sapevano vedere la parte bella ed umoristica della vita, ed era estremamente autoironico, quindi potevo stare una giornata intera a stuzzicarlo e sapevo già che lui non si sarebbe offeso e che non mi avrebbe portato il muso, limitandosi a sorridere delle mie battute e talvolta a ribatterle. Gli ultimi eventi però lo avevano incupito parecchio. Sì, perché anche lui non riusciva a vedere la luce della nostra situazione bellicista nella quale da anni eravamo sprofondati.

Giovannone era invece un compagno di liceo. A quei tempi era una specie di locomotiva umana che amava giocare al calcio e che non si stancava mai di correr dietro ad una palla. Mi aveva sempre impressionato il suo modo assai serioso di dedicarsi allo sport, come se non si trattasse solo di un gioco praticato in mutande, ma fosse invece qualcosa di tremendamente importante nel quale impegnarsi fino all’ultima goccia di sudore… Giovannone metteva quella diligenza anche negli studi, ed infatti ottenne buoni risultati, prima però di stancarsi di sprecare la vista ed aprirsi un’edicola al paese, gettando all’ortiche anni e anni di ore trascorse chino sui libri. Ma in quel suo repentino cambiamento ebbe un ruolo fondamentale la sua storica ragazza di sempre: Deborah. Ricordo quando la conoscemmo: se ne innamorò all’istante. Lei appariva ai più bellissima (tranne che a me): solo perché si era fatta una tinta di capelli che ben si accordava con i suoi occhi azzurri (è incredibile quanto l’immagine pregiudichi i rapporti che poniamo con gli altri).

Giovannone andò letteralmente in tilt per lei. Una sera ci trovammo a casa sua, nella sua cameretta, a farci confidenze e fantasticare sulle ragazze (avevamo gli ormoni al massimo). E lui mi confessò le sue fantasie sessuali concernenti Deborah: poterla avere lì con lui in quel momento, spogliarla e potersela ripassare per bene, senza fretta, dalla testa ai piedi, fino a quando avrebbe conosciuto ogni singolo centimetro della sua epidermide profumata di ragazza.

Rimasi quasi scosso dalla sua confidenza così sincera (e pensai che le mie, a confronto, erano solo pruriti da fanciullino)… Ma non passò molto che Giovannone riuscì ad appagare il suo sogno e a mettersi con Deborah. Tuttavia lei lo fece stare sulla corda più del dovuto quando capì che lui era cotto di lei (perché lei era – ed è – una vera stronza, secondo me). Ma davo per scontato che il loro rapporto sarebbe giunto a compimento: Giovannone non era brutto, era molto stimato, era tra i più promettenti di noi, ispirava l’apparenza della virilità, era un ragazzo di cuore, autentico, e per il suo amore avrebbe fatto qualsiasi cosa (anche uccidere); e si poteva supporre che sarebbe senz’altro diventato un uomo di successo. Per questo, una profittatrice come Deborah, non avrebbe mai potuto respingerlo. Ah, ma quanto lo fece penare prima e dopo la loro unione!… Il fatto è che Deborah ha due vizietti: quello di cercare sempre il meglio e di non sapersi accontentare, e quello di essere una ragazzina viziata (ed in questo è stato anche suo complice lo stesso Giovannone, che non l’ha mai castigata a dovere e si è sempre sciolto appena lei gli ha recitato il ruolo della sventurata pecorella smarrita): entrambe queste caratteristiche assieme realizzano un miscuglio esplosivo che farebbe ammattire qualsiasi uomo (e figuriamoci uno implicitamente buono come Giovannone)… È per questo che Giovannone ha rovinato la sua avvita cercando sempre di stare appresso ai capricci e ai guai che lei gli ha fatto passare… È per questo che Giovannone si trova a trentotto anni a non aver concluso nulla e a sentirsi un perdente: puntò tutto su Deborah e lei gli fece quindi perdere tutto (nella vita le scommesse sbagliate si pagano sempre, come pure quelle vinte, per fortuna).

E fu così breve il periodo felice che ebbe con lei… Mi ricordo quando lui la andava a prendere in motorino: le porgeva il casco, lei se lo infilava, poi apriva le gambe e saliva sulla sella, e poi gli metteva le braccia sottili attorno alla vita e le teneva lì per tutto il viaggio, strette strette. Già allora pensavo in verità che Giovannone rischiasse di diventare solamente il suo maggiordomo, ma non gli dissi nulla, perché almeno lui sembrava davvero felice (e pensare che delle volte la accompagnò anche da uno dei suoi tanti amanti… Che faccia tosta che ha sempre avuto quella zoccoletta di Deborah)…

Giovannone fronteggia Leonardo ed è un bello spettacolo: mi pare di assistere alla contemporanea presenza di due titani. Ma mentre Giovannone è solo bello grosso e robusto (e si è conservato ancora assai dinamico) non vi è dubbio che Leonardo sia un vero gigante, e che dunque sia più forte di lui. Mi chiedo con divertimento chi dei due uscirebbe vincitore da un loro scontro fratricida (ipotesi quanto mai peregrina ed impraticabile dal verificarsi): Giovannone avrebbe dalla sua una scoppiettante agilità esplosiva, ma tutto il resto sarebbe dalla parte di Leo, compresa una conoscenza più completa delle tecniche di offesa su di una persona (tuttavia sarebbe un bello scontro, al quale però sono felice di non assistere mai).

Giovannone prende molto sul serio le fresi di Leonardo.

«Che vorresti fare, Leo? Davvero pensi che ci possiamo ancora opporre ai fascisti? Ormai hanno vinto… Hanno il popolo dalla loro, e questo vuol dire che siamo in minoranza… Finché quei coglioni saranno con loro, il nostro sacrificio potrà sfociare solamente in un… martirio…»

Giovannone è molto granitico ed scontento, e certo Leo non si aspettava di trovarlo così moscio. Vedo passare nei suoi occhi un lampo di orgoglio ferito. Così si rivolge a Francesco e lo interroga…

«Anche tu, Francesco, la pensi come Giovannone?»

Francesco si guarda rapidamente in giro (come se volesse cercare di affermare qualcosa che incontri più consensi plausibili). Io però oramai so quello che dirà. Ed infatti…

«Giovannone purtroppo ha ragione… Non possiamo fare più niente. Chi siamo noi per poter rovesciare il regime del Grande Fratello, tutto da soli?… Mi duole dirlo, lo sapete, ma la guerra è finita, almeno per me…»

Ciononostante Leonardo non si dà per vinto. E subito sfodera un’altra ennesima domanda, che stavolta pone a me.

«E tu Adriano? Anche tu la pensi come questi due?»

Il “questi” è indubbiamente dispregiativo. Come a dire: questi due che si sono arresi, questi due che non hanno più speranza e fanno il loro gioco…

Rispondo prontamente.

«Io? No! Mai. Io non mi arrenderò mai al Grande Fratello, fossi anche l’ultimo a farlo… Sapete come la penso…», eseguo una rapida carrellata sui volti di tutti (che mi guardano impietriti come se stessi proferendo il verbo), «Per me non conta nulla la vittoria o la sconfitta in sé. Per me conta solamente fare la cosa giusta, e farla al momento giusto. E non mi interessa di nulla delle conseguenze!», sono superbo.

So che il mio eroico patriottismo mi porta ad essere ad un passo dall’autolesionismo, però le mie parole mi fanno conquistare notevole stima da tutti loro. Tutti mi ammirano, in particolare Leonardo…

«Bravo Adriano! Sapevo che a te non ti avrei trovato cambiato…»

Adesso Leo pare più tranquillo, sicuro. Le mie parole lo hanno rinvigorito. Così finalmente sputa l’osso.

«Ragazzi, io sono tornato solo per un motivo. E voi sapete quale sia. Io credo che la battaglia più grande deve ancora essere consumata. La battaglia nella quale noi faremo la vera guerra al regime e li faremo cagare addosso. Inoltre non vi porto solo il mio entusiasmo, ma pure una novità bella grossa e concreta. Pare che un gruppo di intellettuali francesi che ho conosciuto nel mio soggiorno parigino sia molto preoccupato delle sorti del nostro paese, e sembra che, alla luce di qualche fatto importante che la comunità internazionale non potrà ignorare, sia predisposto a muoversi personalmente, con le loro armi e tutta la loro logistica.»

Francesco sbotta di felicità.

«Grande! Così avremmo dalla nostra parte anche gli amici francesi! Così potremmo farcela… Ho sempre detto che la Francia è una gran nazione…»

Però Giovannone, che è più sagace di Francesco, non ignora quale sia il fulcro capitale della situazione…

«Sì, ma i francesi, semmai davvero interverranno, lo faranno solo dopo… Dopo che qualcosa di notevole sarà accaduto a rimescolare le acque, non è così? Prima dovremo arrangiarci da soli…»

Francesco, compreso il discorso, si fa (come per sua natura) più prudente e sembra scolorargli dal viso quell’animo che poco fa lo aveva rianimato.

Leo gli risponde.

«Giovannone, e ti pare poco?! Senza di loro sarebbe davvero dura. Invece così abbiamo una speranza e ce la possiamo giocare al meglio delle nostre possibilità… È come se, in una partita a scacchi che si sta perdendo, si intravedesse l’eventualità di compiere un’ultima grandiosa azione con tutti i pezzi rimasti in nostro possesso per scatenare lo scacco matto al re avversario!»

Tutti tacciono. Ci riflettono sopra. Intervengo io.

«Io ci sto. Comunque vada, se morirò, lo farò battendomi per la Libertà e la Giustizia!», mi infervoro. E Leo assesta la sua ultima stoccata che convince gli indecisi.

«Ragazzi, perché non ne parliamo? Io ho qualche idea… Poi, se non vi convince, potete sempre tirarvene fuori, no? Ma almeno datemi la possibilità di spiegarvele, e magari proponete lo vostre, o analizzatele… Facciamo un’assemblea, come ai vecchi tempi…»

«Un assemblea in quattro?», obietta Giovannone.

«E perché no? Che male ci sarebbe?»

«Ci sarebbe il male che sappiamo bene che non sarà una semplice assemblea, ma una vera e propria tattica guerresca…». Sembra che non voglia accettare, ma poi, imprevedibilmente… «Comunque io ci sto. Poi, se non mi piace, mi eclisserò. Ho una moglie alla quale badare (anche se la troia non si merita tutto l’amore con la quale la circondo)…»

Sorridono tutti alla battuta della troia. E anche Francesco si fa avanti.

«Allora ci sto anche io, per vedere se l’aria che tira è davvero di rivoluzione, o è solo una brezza da poco… Anche se io la moglie troia non ce l’ho… Ah! Ah! Ah!»

«Uno non può mai esserne sicuro al cento per cento, Fra… Io non ne sarei così convinto…», gli dico strizzandogli l’occhio. Lui mi guarda divertito ed è dubbioso se ribattermi. Ma Giovannone prende nuovamente la parola.

«E dove le facciamo però queste riunioni carbonare? Il posto deve essere sicurissimo. Che se ci scoprono… quelli sono capaci di giustiziarci senza neppure un processo, quei bastardi schifosi!»

«Qui da me non va bene? Figuratevi se un fascista possa mai entrare in una libreria! Ah! Ah! Da quando c’è il regime sto andando praticamente fallito! Ah! Ah! Non vendo più un libro! So’ ignoranti forti ‘sti fascisti! Ah! Ah! Neppure entrano a dare un’occhiata! Niente!…», dice Fra.

«Neppure lo sanno che vendi libri! Perché non metti un cartello?! Ah, però, se poi non sanno neppure leggere…», gli faccio sponda io.

Potremmo rimanere secoli a sfottere i fascisti per la loro palese ignoranza, ma Leo stabilisce di fare le cose serie.

«No, il tuo negozietto polveroso non va bene. A parte che sono allergico, ma sopratutto loro sanno di che schieramento sei (anche se non sei più iscritto a niente). Stesso dicasi per Giovannone. Ed immagino che Adriano, se pure fino ad oggi non è un sorvegliato, di questo passo potrebbe un giorno diventarlo… Per quanto riguarda me, purtroppo sono molto appariscente. E tutti qui mi conoscono come quello che per opporsi al padre commerciante preferì abbandonare la famiglia ed andarsene in Francia a respirare i fumi della rivoluzione. Ed è normale che sarò sempre marchiato a quel modo nella memoria popolare di questo paese. No, non possiamo farci vedere tutti assieme in un luogo più o meno pubblico. Capirebbero subito. Ci arriverebbero anche loro che stiamo organizzando qualcosa…»

«Se non vi va bene il mio bel negozietto, allora dove?» dice Francesco.

«Non è ovvio?», ci guarda con malizia. «Da me. Ricordate casa mia? Esiste ancora, sapete, e non ci abitano più i miei genitori. L’hanno lasciata il mese scorso. Loro sono andati a stabilirsi vicino alle terme, dato che ogni anno ci vanno…»

Ricordo casa di Leonardo vagamente (non ci vado da quando eravamo giovinetti. Però mi rammento come mi sembrasse immensa (come lui) e confortevole come poche, ed anche molto appartata.

«E poi ricordate Gianfranco?», sorride allusivamente. E quell’accenno procura due conseguenza immediate: mi rammento effettivamente di Gianfranco (un ragazzo occhialuto, piuttosto sfigato, che purtroppo ha avuto una fine prematura per via della sua fragile salute… Ma rinfresco anche una specie di ricordo subliminale, e, anche se non so perché, mi viene in mente il buio, una certa atmosfera di eccitazione e… qualcosa di sessuale…

Che cos’è che Leonardo ricorda così bene mentre io non me lo rammento? Ma non c’è tempo per chiederglielo. Leonardo se ne va…

«Adesso è il caso che mi dilegui. Forse ho già dato troppo nell’occhio. Allora ci vediamo a casa mia…»

«Ma a che ora facciamo?», dice Francesco, «Io ho da tenere aperto il negozio…»

«E questa ciofeca la chiami negozio?…», lo prendo in giro io, «Ma se non viene mai nessuno…»

«Sarebbe meglio fare dopo pranzo, che sarò più libero e avrò preso la bambina da scuola…», propone Giovannone.

«Per me va bene sempre, dato che non lavoro», faccio io. «Scegliete voi quando siete più comodi.», propongo. Ma Leonardo ha già i suoi piani.

«Non dobbiamo mica andare ad una festa di compleanno, o ad un impegno di lavoro! Dobbiamo adoperarci per la sedizione e la rivoluzione, noi! Si fa alle due di notte da me, quando nessuno se ne accorgerà!», ordina, e nessuno fiata, neppure Giovannone, che starà pensando al modo di lasciare il letto senza svegliare la sua moglie infedele…

E quel pomeriggio allora mi corico e metto la sveglia per l’una e trenta. Ma sono troppo elettrizzato dalla situazione e non faccio che pensare alle strategie che proporremo durante la nostra riunione clandestina. Così mi contento di riposare (o meglio di stare disteso a letto) per appena un paio d’ore. Ma poi la mia mente, che si è agitata frenetica per tutto il tempo elaborando congetture e archetipi in tutte le direzioni, mi impone di alzarmi e di appuntarle sulla carta. Così quando andrò all’appuntamento immagino che io e Leo saremo gli unici che si sono portati degli appunti (in codice chiaramente) e faremo la figura degli stacanovisti.

Finalmente l’ora viene… Mi prendo un caffè ed esco di casa. Mi chiudo la porta alle spalle non facendo alcun rumore. Mi avvio silenzioso come un gatto lungo la via della tenuta di Leonardo, che è lievemente decentrata rispetto al paese. Lungo la strada incontro Francesco. Quando mi vede, si ferma ad aspettarmi, sorridendomi.

«Anche lei qua a quest’ora tarda signore?», mi dice scherzando.

«Altolà! Polizia fascista! Prego, esibisca i documenti!», gli faccio sottovoce mettendo le dita a mo di rivoltella.

«Ah! Cominciamo bene! Ha portato pure l’olio di ricino per caso?», ride Francesco.

«Su andiamo (e non fare troppo baccano, sagoma!)…», gli faccio.

Giovannone scopriamo che ancora non è venuto. Ma in realtà è noi che siamo in anticipo di qualche minuto. Leonardo ci fa trovare qualche stuzzichino al formaggio e del vino. «Ma solo questo avrete da me, debosciati della gola! Che se cominciamo a mangiare, poi finisce tutto a puttane!», ci avverte Leo che rimarremo a stecchetto finché non avremo concluso qualcosa.

Poi viene anche Giovannone (tre minuti in ritardo).

«Ci ho messo un po’ perché Deborah stanotte proprio non voleva dormire… Pareva quasi che stesse aspettando che mi addormentassi io per svignarsela lei… Che puttana!»

Risata generale… È così bello stare assieme a gente che si conosce come le proprie tasche e di cui si sa che ci si può fidare. In fondo non siamo per nulla cambiati. Certo, molta acqua è passata sotto i nostri mulini, ma tutto sommato ognuno di noi si può dire che mantenga quella sua certa coerenza e purezza di sempre… Peccato che la nostra non sia una rimpatriata tanto per divertirsi, però…

Senza che nessuno dica nulla ci sediamo al tavolo ed io e Leo tiriamo fuori le nostre cartelline.

«Ah, ma questi vogliono fare le cose responsabili… Ma che avete studiato? Vi siete preparati?», dice Francesco…

Andiamo avanti tutta la notte a forza di suggerimenti, critiche alle idee, associazioni tra di noi (vince chi ottiene i ¾ dei voti favorevoli dei partecipanti o anche di più). Ma come era prevedibile il meeting finisce per essere qualcosa di piuttosto interlocutorio; ma perlomeno usciamo dalla riunione con alcuni punti fermi sui quali siamo concordi: primo, saremo tutti della partita, nessuno di noi si tirerà indietro, poiché ci sono idee valide e margini entro i quali ci potremo muovere; secondo, esercitando azioni mirate ed eseguendo manovre ad hoc riteniamo che sarà possibile ottenere il duplice risultato di risvegliare nella popolazioni i sentimenti più genuini della fratellanza fra gli esseri umani, e nella comunità internazionale la voglia di porgerci quella mano che tante volte noi (come nazione unitaria) abbiamo porto loro (e siamo tutti sicuri che i francesi ci appoggeranno come hanno detto a Leonardo, e che senza dubbio si uniranno subito anche molti altri popoli… Siamo spocchiosamente ottimisti); terzo e ultimo, ognuno di noi è disposto a sacrificare la propria vita… Ma è lapalissiano che io e Leo saremo quelli che più si muoveranno in prima linea, dato che abbiamo fatto in modo (volontariamente) di non aver dei legami che si possano annoverare nel concetto di famiglia… Così cercheremo di preservare Francesco e Giovannone dalle azioni eventualmente più cruente. Che poi non è detto che ci saranno, perché sono stato io stesso a portare alla loro attenzione della proposte – chiamiamole pacifiche – che non dovrebbero farci affondare la bocca nel pozzo del nostro sangue. E anzi, quando le ho avanzate, tutti quanti mi hanno fatto i complimenti e mi hanno detto che non si aspettavano delle argomentazioni così intelligenti da me…

Alle cinque siamo però tutti esausti. Ed io dichiaro sciolta la riunione. «Penso sia ora di andare… Ormai vi ho detto tutto. E voi senza di me non cavereste un ragno dal buco, pappemolli…», li sferzo mentre mi stiracchio e sbadiglio. Ma loro, come dei bambini al primo giorno nel paese dei balocchi, pur se sono più stanchi di me, decidono di rimanere un altro po’, per far fermentare meglio le idee, dicono.

Fa niente. Anzi, è meglio se torneremo ognuno alla sua rispettiva residenza in maniera scaglionata. Così caleranno i rischi che ci vedano assieme. Prendo il soprabito e saluto affettuosamente con un bacio Leo, ma prima di andarmene ricordo loro.

«Comunque muovetevi finché è buio, d’accordo? Calcolate che alle sei sorgerà il sole…», scorgo l’orologio… «Quindi avete circa un’altra ora. Non fate che poi dormite qui…»

Mi tranquillizzano.

«Adesso gli faccio un piatto di spaghetti e poi li caccio fuori…», mi dice Leo.

Esco. Fa freddo. Detesto muovermi a quest’ora. Anche da ragazzo non era un nottambulo. Quando eseguo la svolta ed divergo dalla stradina privata di Leonardo sento un fruscio tra le foglie. È un corvo, o un qualche altro uccello gracchiante. Ma per accertarmene mi inoltro nella parte di vegetazione più fitta, dove vi scompaio dentro. Così mi perdo quando passa un’automobile a fari spenti, di cui non percepisco neppure la direzione. Strano che transiti di lì. A meno che non si voglia uscire dal paese (o andare a casa di Leo), ma chi lo farebbe a quell’ora? Neppure i lattai…

Ignoro la cosa e raggiungo casa mia, dove mi corico e dormo fino a mezzogiorno.

Al mattino mi è venuta un’altra idea geniale. Non resisto e chiamo Leo. So che non dovrei farlo perché il suo (o forse anche il mio) telefono potrebbero essere sotto controllo, però gli parlerò di castagne, mica di magagne!… Il telefono dà occupato, come se fosse staccato. Forse Leo, prevedendo qualche impudenza di qualcuno di noi, lo ha isolato appositamente (ed in tal caso avrebbe fatto bene, sopratutto per via di quel pasticcione di Francesco, che è simpatico, ma come spia non vale un fico secco).

Invece di desistere mi metto cocciutamente in testa di dirlo a qualcun altro (sicuro che una mia eventuale chiamata a Giovannone o Francesco non desterebbe alcun sospetto, dato che li sento spesso). Da Giovannone mi risponde Deborah, che è piuttosto incazzata.

«Se lo vedi digli di andare affanculo a quello stronzo!» (Deborah non ha perso il suo tocco gentile e garbato) «Stamane, quando mi sono svegliata, non c’era! Vuoi vedere che ha abbandonato il tetto coniugale quello stronzo?!» (e due). Eppure mi sembra che esageri anche per lei…

«Ma no… Lo conosco… E so che non lo farebbe mai (soprattutto per la bambina, se non per te). E poi ieri ci ho parlato ed era tutto come sempre. Vedrai che sta da Francesco. Anzi, adesso lo chiamo e, se sta lì, ti faccio richiamare, okay?»

«No, digli di non farsi più vedere!», e mi attacca sbrigativamente il telefono in faccia.

Dunque Giovannone non è rientrato. Eppure si era detto di non dare nell’occhio. Chiamo Francesco… Non risponde nessuno.

Un po’ insospettito dalla situazione mi vesto, e vado al suo negozio. Lo trovo insolitamente chiuso. Oggi non lo ha proprio aperto. Inutile cercare la consorte di Francesco, Lidia, che adesso è ancora alla pensione. Aveva il turno di notte con pernottamento in loco…

Dove andare a rimediare informazioni? Ovvio: al bar in centro. Ma prima, non posso esimermi dall’annusare che c’è qualcosa di differente nell’aria. Non so, la gente ti guarda in modo diverso e sembra andare di fretta, c’è un senso di baraonda strisciante che attanaglia il paese, c’è qualcosa di cui non sono stato improntato. Ma già fuori dal bar noto un insolito assembramento di macchine da parata blu e di corpi di scorta. Tutto mi fa pensare che la concentrazione di antidemocratici nell’aria si sia paurosamente impennata… Dio santo!, fai in modo, ti prego!, che non sia quel che penso… Ma invece scoprirò fra breve che invece è così…

Il bar è strapieno e non c’è una sedia libera neppure a pagare il doppio (sarà contento quel disonesto di Franco, che pensa solo agli affari suoi e se ne frega dei disagiati). Sembra che ci sia tutto il paese riunito. Ma non solo. E ci sono anche un sacco di tipi in divisa (provenienti dalla capitale) con le loro rivoltanti armi lucide nelle fondine, in bella mostra a a terribile ammonimento. Così sono certo che ci sarà anche Giuliani, quel pachidermico, rivoltante, leccaculo rincagnato che a forza di slinguazzate è divenuto il braccio destro del Grande Fratello in persona ed oggi è in pratica il peggior pezzo di merda che si dà più da fare tra tutti.

Ma non ho neppure il tempo di pensare al disgusto che proverò quando mi vedrò il pachiderma di fronte che vengo assalito verbalmente da Mariettina, che se ne sta ad un tavolinetto misto in compagnia di sia gente in abiti borghesi che in divisa. Ha in mano un bicchiere di vino rosso per brindare. Mariettina mi odia da quando più o meno conobbi Giovannone. Fu una mia compagna di liceo anche lei, ed ad un certo punto cominciò a trattarmi male, forse perché senza neppure accorgermene rifiutai la sua goffa corte, o forse perché una come lei deve averlo capito subito che non sarebbe mai andata d’accordo con uno come me… Fattostà che, appena mi adocchia (sembrava quasi non aspettare altro), si alza in piedi (non è molto alta, la nanerottola) e, con il suo solito astio nei miei confronti, urla a squarciagola e mi punta con il bicchiere come un cane da tartufo:

«Evviva il Grande Fratello! E che la peste colga immediatamente coloro che non lo amano!»

È uno slogan che ha coniato lo stesso Giuliani alla televisione, il quale ha invitato a riservarlo a tutti coloro che si ritengono potenziali oppositori, se non pure ribelli, al Grande Fratello… E quando il messaggio andò in onda suscitò un mare di polemiche per il suo chiarissimo intento denigratorio e discriminante delle opinioni diverse. Ed io ci ho visto persino il primo spaventoso passo di un ulteriore processo di imbarbarimento che si ripromette di bruciare le tappe per spazzare via i contestatori al regime: inizieranno deridendo la gente, poi partiranno le incriminazioni e le aggressioni spontanee; infine salteranno anche i più basilari diritti, e verranno ad acciuffare le minoranze ed i critici… Fascisti di merda!

Tutti quelli che hanno sentito il motto di Mariettina fanno il medesimo gesto e mi canzonano vigliaccamente nascondendosi dietro l’enorme sproporzione del loro numero. Io rispondo loro come un pazzo, con veemenza e senza riflettere (e potrei pagare cara la mia avventatezza)

«Evviva la Libertà e la Democrazia!»

Vengo immancabilmente subissato da un folto brusio di “buh!” offensivi, ai quali non rispondo perché si spengono presto (e perché sarebbe inutile e svantaggioso farlo). Tutti riprendono a gozzovigliare come prima e ad ubriacarsi; tranne Mariettina, che vorrebbe tanto vedermi morto e che tenta invano di riatizzarli contro di me.

«Lui è sicuramente un oppositore manifesto al Grande Fratello! Andrebbe incarcerato!», farnetica astiosa e schiumando rabbia, senza però che nessuno le dia il credito che lei desidererebbe.

Allora la vedo alzarsi irata dal tavolo ed andare alla ricerca di chi so io (se conosco il suo ottuso cervello, come credo che sia…). E dunque, pochi istanti dopo (mentre ancora non si è placato in me il fuoco sacro dell’antagonismo alla nauseabonda contingenza dei pusillanimi fascisti) assisto al ritorno di Mariettina con sottobraccio quel pezzo di balenottero degenere ed egemone di Giuliani… Giuliani è originario di questo paese, proprio come me, Leo e gli altri. In passato fu un docente molto discusso della locale scuola (per i suoi metodi illiberali e dittatoriali), tanto che ne fu allontanato poco prima che ci passassimo noi da adolescenti. Ma quando accadde la coincidenza, non solo che i suoi turpi ideali prendessero il sopravvento in questa odierna e deturpata democrazia, ma anche di far carriera e di divenire uno dei simboli della dittatura, allora decise che sarebbe dovuto ritornare in pompa magna suoi suoi passi e trasformare quel paese, che giustamente lo umiliò esiliandolo, nel suo esatto contrario: un mausoleo, il suo sancta sanctorum, un luogo in cui far finalmente prevalere quegli ideali che storicamente da queste parti non attecchirono mai. Per questo inondò sua gente di fiducia di flussi di denaro di dubbia provenienza, e con quelli si comprò pezzo per pezzo la dignità del nostro paese, fino a pervertirla quasi del tutto, fino a far diventare il bianco nero, come una fogna… Ed oggi è ritornato per la prima volta per vedere la conseguenza del suo operato e quanto esso sia stato così viziosamente efficace…

Mariettina non esita ad additarmi pubblicamente per segnalarmi a Giuliani (quella cortigiana!), non se ne vergogna e, sentendosi prossima al suo trionfo e alla mia ormai irrimediabile caduta, gode a farmi vedere che è lei che mi denuncerà alle loro cautele e non un altro: sarà lei a cagionare la mia fine e ad annientarmi.

E Giuliani mi guarda per un attimo facendomi le lastre, ed io contraccambio il suo sguardo indagatore alzando quasi il mento e dimostrandogli che sono fiero di quello che sono e non mi piegherò mai ai soprusi della violenza e dell’arroganza del Grande Fratello. Scorgo i suoi occhietti viscidi sgusciare sulla mia persona (e già quello mi fa senso, ma non posso evitarlo); e allora mi immagino che lui farà un gesto del dito e partiranno quattro dei loro più nerboruti spaccaossa (sì, quattro come mi accadde da bambino) che mi prenderanno e mi faranno sparire in una prigione (o forse mi massacreranno di botte fino ad ammazzarmi).

Per un attimo sudo freddo (e me ne accorgo), ma non voglio essere pavido! Non devo avere paura di morire da uomo libero! Perché, qualora succedesse, almeno potrò dire che sono deceduto per il più alto degli ideali, al contrario di loro che, se pure continueranno a vivere la loro vita inutile e zeppa di angherie, nascosti dai loro guardaspalle prezzolati che si prostituiscono al miglior offerente, non potranno mai dire di essere stati davvero degli uomini, quegli uomini che Iddio ama e ai quali vuole bene, quegli uomini che davvero dovrebbero essere il punto di contatto tra gli animali e Dio, e non meramente la bestia più crudele ed insana fra tutte.

Ma forse quel giorno sono fortunato, o forse è Dio stesso che ha stabilito che non dovrò morire (almeno in quel momento), perché Giuliani mi scruta con noia ed infine sentenzia che non sono una minaccia. Sicuramente sulla sua valutazione avrà influito il mio aspetto da poveraccio, i miei occhi più simili a quelli di un folle che a quelli calibrati di un anarchico, e poi l’incontrovertibile verità che sono solo come un cane. E quale savio oppositore al regime entrerebbe tutto da solo in un bar pieno di nazisti? Nessuno (solo, al limite, un kamikaze che ne volesse far esplodere tanti e che sacrificherebbe dunque la propria vita).

Così lo vedo sbracciarsi e confabulare con Mariettina ed è come se fossi lì con loro e potessi ascoltare i loro calunniosi discorsi: Giuliani le sta dicendo qualcosa del tipo: «Ma no… Quello è solo un cane sciolto… Non vedi come è conciato?… E poi che ci può fare tutto da solo? Non potrà mai essere un problema serio per il Grande Fratello… Tu lascialo stare lì e non ti preoccupare che, se sarà il caso, interverremo… Ma solo se farà qualcosa che proprio non avrebbe dovuto… Grazie per la segnalazione camerata, me ne ricorderò quando stenderò le classifiche di fidelizzazione… Ma per ora, va! E stai serena che quel tipo andrà prima o poi incontro al suo destino…»

E assisto a Mariettina rimanere profondamente delusa da quella improvvisa bontà. Era certa che stavolta mi avrebbe fregato, la bagascia. Ma dovrà attaccarsi, almeno per il momento. Giuliani, per rincuorarla, le concede perciò un ulteriore emblematico atto che le dovrebbe far credere che è tangibilmente dalla sua parte. E anche lui solleva quel bicchiere di cui è provvisto (che si fa più piccolo nelle sue manone da ciccione) e mi rivolge lo stesso odioso slogan xenofobo.

«Evviva il Grande Fratello! E che la peste colga immediatamente coloro che non lo amano!», dice nella mia direzione. Ed io capisco che mi sta sfidando. Mi dice «Vediamo se hai il coraggio di rispondere qualcosa anche a me…».

Ed io, fuori di me dalla rabbia, se avessi qualcosa in mano glielo tirerei su quella sua bovina e deforme faccia da porco, oppure gli rovescerei un tavolino addosso per rompergli tutte le ossa… Ma riesco solo a pronunciare la frase più tagliente che afferro in quei pochissimi istanti che ho per replicargli, che in fondo non è un granché (se avessi avuto più tempo ne avrei trovata una più arguta, e certamente mi sarei così fatto fucilare in tronco, nondimeno)…

«Evviva la Libertà! E morte ai porci illiberali!…» (che comunque non è neppure poi tanto male). Ma si vede che Giuliani è di buonumore e quindi in questo momento non gli viene di essere severo e punire un gesto che in altri tempi condannerebbe senza pietà. Così rigira la sua voluminosa figura abortiva dandomi le spalle mentre pare sussurrare a Mariettina che, affermare quelle frasi sulla libertà, ancora non è reato (ancora, ma presto lo sarà…).

Mariettina se ne torna al suo posto senza più fissarmi. Ha subito uno smacco e non le va di ammetterlo. Deve rimandare il giorno della sua apoteosi.

Ed io mi guardo attorno stranito e mi sento solo e fuori posto come non mai. Che fare? Andarmene subito? Ma il mio comportamento non risulterebbe troppo sospetto? Ma ormai fanculo la calma e la moderazione! Non me ne frega più niente. No, devo andare subito da Leo a dirglielo, devo avvisare i ragazzi. Forse è questo il motivo per il quale non si sono più fatti vedere né sentire. Forse addirittura, appreso la notizia dell’indecoroso ritrovo di merde che ci sarebbe stato oggi, sono già emigrati in siti più sicuri, e forse hanno tentato invano di avvisarmi, ma io non ho sentito il telefono perché dormivo della grossa…

Ma quando ancora guardo quelle facce dilatate dall’alcol, quelle loro espressioni idiote mentre quei porci ridono e toccano il sedere delle donne e sbirciano dai loro seni, mi sovviene però una verità ben più atroce… La macchina l’altra sera, Leo con il telefono isolato, Francesco che rinuncia ad aprire il suo caro negozio, Giovannone che non è mai tornato a casa dalla sua famiglia e da Deborah… Sono stati loro… Sono stati loro che li hanno fatti sparire… Ed io ieri sera li ho mancati per un soffio… Avrei potuto esserci anche io nella loro retata… Chissà chi ha fatto la spia, chi è stato il delatore fra tutta questa gente che brinda allegramente alla sempre più prossima fine della Libertà? Forse Mariettina… In tal caso deve essersi molto sorpresa che anche io non sia stato catturato. Ma no… Lei non può essere, altrimenti si sarebbe accanita molto di più su di me, e Giuliani non mi avrebbe mai lasciato stare… No, sono sconvolto ma capisco che dunque erano lì per Leo… Il mio vecchio amico Leo che quando eravamo bambini mi salvò dalle mani di giovani fascisti in erba… Non lo rivedrò più Leo, così come Giovannone o Francesco…

Esco dal locale in uno stato di trance e non mi preoccupo minimamente se qualcuno lo nota. Poi penso ancora al delatore. Una volta Giovannone mi ha detto che Deborah aveva simpatie radicali: che cosa aveva voluto dire?…

Il destino di Cristina


È il giorno del funerale. Sono più stravolto di quanto potessi immaginare. Sapevo che l’emozione mi avrebbe preso, ma non credevo così forte. E dire che ieri sera, pensando quel che mi attendeva, mi ero pure accusato di essere un ipocrita falso e di non aver nemmeno mai amato Cristina. Ma sono momenti… Momenti in cui il nostro cervello paralizza la concretezza e la verità perché altrimenti… potremmo farci del male da soli. Troppo male.

La chiesa è gremita. Tutto il quartiere si è cinto intorno alla piccola bara di Cristina. Non erano poi molti gli amici che aveva, ma è ovvio che in situazioni di questo tipo la gente si senta in dovere di partecipare, anche solo per essere vicini alla famiglia (già, quale famiglia?) e per dire: lei abitava qui, quindi era una di noi. È in circostanze come queste che la gente si ricorda di avere delle appartenenze comuni e di essere tutti fratelli…

Ci hanno pensato i nonni a scegliere una bellissima bara mogano lucente. Non so come si possa, quando si è sconvolti dal dolore, poter e dover pensare pure a queste cose pratiche ed estremamente pragmatiche. Ma chissà, forse impegnarsi in queste attività può anche essere in qualche modo di ausilio.

È da stamattina che mi rimbomba nella testa quella canzone sull’America. Lo stereo che ho nel capo me l’ha messa su al massimo volume, e non accenna a togliermela. Quella canzone che per me aveva sempre assunto un significato disimpegnato e catartico, perché in realtà parla di piacere sessuale in modo esplicito, ma che oggi, per via di quella parolina (“America”), avrà tutt’altra accezione e forse mi verrà in mente ogni volta che farò l’amore in futuro (se ci riuscirò ancora)… Come se me ne facessi implicitamente una colpa che non sono in grado di rimuovere?

Ma io in questa storia ho delle colpe? Teoricamente dovrei rispondermi di no. Che cosa c’entro io se Cristina è morta mentre era su un volo che la portava in America per una vacanza-studio? Certo, messa così sono completamente innocente. Ma le cose non stanno proprio in questo modo. Ed io sono colpevole. Colpevole eccome di non averle dichiarato mai quanto l’amassi. Chissà che, se l’avessi fatto, lei, per qualche strana congiuntura, quel viaggio non l’avrebbe mai compiuto.

Mi sono posizionato a metà della chiesa. Non mi andava di mettermi davanti, come a dimostrare tutto il mio affetto per lei: perché non c’è bisogno che io lo faccia. Tutti sapevano quanto ci volessimo bene e fossimo uniti. Anche se nessuno comprendeva quanto (forse neppure io fino a ieri, e forse neppure la stessa Cristina). Non abbiamo mai parlato di questo argomento. Per noi era tabù. Ed ufficialmente lei era solo una ragazzina diciassettenne come le altre, ed io un volontario che spesso le dava una mano con i compiti: uno che aveva imparato a conoscere bene e al quale voleva indubbiamente bene. Io ero quello già adulto, con otto anni più di lei…

Otto anni… Quante volte mi sono interrogato se fossero troppi per noi, se potessero essere una barriera invalicabile per il compimento della nostra storia d’amore. Ed ogni volta mi sono risposto che, sì, erano troppi. Almeno per il momento. Ma quando lei avrebbe compiuto diciotto anni, allora sarebbe diventata maggiorenne e allora io… noi… avremmo potuto lasciare che le cose andassero come sentivamo che potessero andare.

Ho conosciuto Cristina quando lei aveva sedici anni, e posso dire di averla subito trovata diversa, speciale, dolcissima: per certi versi molto più matura della sua età (per via dei numerosi patimenti che le è toccato vivere per colpa di quei suoi genitori cattivi ed egoisti); per altri fragilissima come una sottilissima e rilucentissima lastra di vetro smaltato. Questa era Cristina. E tutto ciò vuol dire che mi innamorai subito di lei…

Ricordo quell’estate che ci ritrovammo praticamente da soli, io e lei all’oratorio. Io, lei e i suoi compiti per le vacanze. C’era una strana ed eccitante atmosfera di fermento nell’aria, ma anche di potenziale e spropositato errore… Ad ogni istante sentivo crescere l’attrazione per lei e pensavo continuamente che presto l’avrei baciata. Invece lei, da quella contiguità improvvisa, pareva averne ricavato una insolita calma (lei che era logorroica di natura e cercava sempre di convincermi a lasciar perdere i suoi compiti per giocare a qualsiasi cosa… Se solo avessi saputo… allora l’avrei accontentata. Solo adesso mi rendo conto del poco tempo che dedicammo ai suoi amati giochi).

Che cosa pensavi Cristina in quei momenti? Perché, mentre io ribollivo, tu sembravi esserti calmata ed aver estinto le tue numerose vivacità? Forse gioivi segretamente di poter rimanere tutta sola con me? E forse anche tu pensavi che, prima o poi, ti avrei baciato, o avresti potuto farlo tu, perché tanto nessuno all’infuori di noi lo avrebbe scoperto, e nessuno ti avrebbe mai fatto una colpa di un bacetto innocente scambiato tra amici.

L’unico modo che trovai per allontanare tentacolari pensieri lussuriosi da me fu quello di alzarmi in piedi e camminare avanti ed indietro, fingendo di pensare a cose mie, o che dovessi sgranchirmi, mentre con lo sguardo mi confermavo che in giro non c’era nessuno (ma, se per caso avessi visto qualcuno, lo avrei sicuramente attirato là con noi, per non cadere preda dell’insinuante tentazione).

Comunque fu quell’estate che presi la mia decisione. Dato che l’attrazione per lei avvampava come un incendio alimentato dal vento, stabilii di attendere che lei avesse raggiunto la maggiore età. E solo dopo si sarebbe visto come e se le nostre aspettative avrebbero combaciato.

Il prete attacca la sua filippica retorica e le sue parole, per quanto di circostanza, mi trapanano il cuore e mi costringono in ginocchio. Trattengo i singhiozzi a malapena. Sono felice di non avere intorno nessuno che mi conosca (anche se in verità, in questo momento, sono talmente distante dalla realtà che, se pure ce l’avessi, non me ne accorgerei) che non sarebbe mai capace di consolare il mio smisurato dolore.

Ripenso ad una delle prime volte che la vidi, quando lei, per conoscermi meglio, mi domandò se avevo la ragazza. Ed io le dissi nitidamente di no (ma ora mi sovviene che forse mi volle chiedere conto di quel giorno in cui Francesca “la gatta” si volle strusciare su di me, non so per quale motivo, forse per dimostrare agli altri che poteva avere chi voleva… E chissà Cristina cosa si era immaginata…). E, quando io le chiesi se c’era uno che le piaceva, lei mi rivelò il nome di un certo Roberto (verso il quale ebbi subito una punta di invidia), che però, a suo dire, neppure la guardava (e lo disse malinconicamente) perché la riteneva brutta (mentre per me già era bellissima! «Che idiota che deve essere quel Roberto», pensai). Ed un pomeriggio ebbi anche modo di conoscerlo, poiché passò in chiesa per fare una partita a pallone. Era un tipo di altezza media (diciamo pure bassino), uno come tanti, che non sapeva parlare bene l’italiano (e per questo si esprimeva a monosillabi); però, quel suo cappellino sfrontato che portava al contrario, unito ad una fitta serie di caratteristiche da ragazzino fico, ammetto che potesse esercitare una qualche sorta di fascino in una ragazzina che ancora non poteva sapere cosa fosse un uomo (come pure essere una donna, come era giusto che fosse).

Quando mi parlò di Roberto mi parve sincera. Però questo non toglie che amasse anche me, e che per me non potesse provare un sentimento molto più profondo di un’infatuazione. D’altronde tutti quanti hanno o hanno avuto un amore, no? Anche io, per esempio, quando la conobbi ancora pensavo ad una stronza che si era presa gioco di me, ma questo non mi impedì di innamorarmi di Cristina…

Il sacerdote (purtroppo) non può fare a meno di accennare al modo straziante in cui è morta (e mi riparte la canzone sull’America, con un assolo scatenato di pianoforte che spazia in ogni centimetro del mio animo). Cristina aveva preso l’aereo per recarsi una mesata in America. Nei suoi piani avrebbe imparato l’inglese ed avrebbe anche conosciuto una importate realtà politica e sociale del mondo: gli Stati Uniti. Nei suoi piani si sarebbe divertita e quando sarebbe tornata sarebbe stata una settimana intera a parlarmi di tutte le cose incredibili che aveva veduto (e forse mi avrebbe proposto di tornarci assieme l’anno venturo). Non poteva sapere, la povera Cristina, che suo padre l’aveva seguita per ammazzarla. Quel padre che lei non aveva mai conosciuto e di cui non serbava alcun ricordo, dato che si separò da lui all’età di due anni. Quel padre pazzo tornato per estinguere tutto il ramo della sua famiglia. Il folle, si seppe dopo che, prima di seguire Cristina sul volo transoceanico, aveva scannato la sua passata moglie (la madre degenere di Cristina, colpevole ai miei occhi di averla sempre considerata come una figlia indesiderata e di averla appioppata ad i nonni, probabilmente perché la figlia gli ricordava troppo quel marito brutale con il quale si era lasciata) ed il suo nuovo bambino.

Quando furono a metà viaggio e non avrebbero potuto atterrare agevolmente da nessuna parte per soccorrerla nel migliore dei modi (quel folle aveva lucidamente programmato tutto!), il padre di Cristina tirò fuori un taglierino dalla tasca del soprabito, la prese alle spalle (che vigliacco!) e le recise nettamente le arterie della gola, cosicché lei divenne come un agnello sgozzato al macello. Poi si accanì inferendole altri colpi alla pancia, ma anche sui seni. E per due volte gli si ruppe il taglierino in mano, e per due volte lui cambiò presa e continuò nel suo insensato massacro.

Quando fu fermato era ormai troppo tardi per tutto… Cristina era morta (almeno mi dissero che la sua agonia non fu molto lunga) ed era stata crivellata una dozzina di volte. Poco dopo, tra atroci dolori, perì anche lui (infatti l’alienato si era avvelenato subito prima di compiere quel suo gesto sconsiderato).

Tuttavia io avrei preferito se fosse sopravvissuto… Così avrei potuto aspettarlo quando sarebbe uscito dal carcere, e poi lo avrei assassinato con le mie stesse mani… Invece così… non mi rimane neppure qualcuno sul quale concentrare il mio odio. C’è solo un’infinita amarezza ed uno spasimo insanabile che ho idea che non mi abbandoneranno mai…

La funzione finisce dopo un tempo indeterminato (e la canzone sull’America sta ancora girando nella mia testa): avrebbe potuto durare in eterno e non me ne sarei accorto. Ci sarà un breve corteo fino al cimitero, che è qui vicino. Mi muovo meccanicamente con gli altri. Seguo la processione. Neppure mi rendo conto di quello che faccio. Mi tornano in mente dei flash di Cristina che mi rendono il mio tormento ancora più penoso (tuttavia li devo ancora mettere a fuoco, li vivo come un’allucinazione).

Incontro Clara. Anche lei volontaria e anche lei che conosceva Cristina, anche se non bene come me. Non mi fa le condoglianze. Pensa che io provi quello che prova anche lei. Ed infatti è un po’ sorpresa che pianga come un bambino o una fontana rotta. Camminiamo per tutto il percorso muti. Io continuo a pensare ossessivamente a Cristina. Quando Clara mi si accosta mi è lampante che mi dirà qualcosa. Ed io sono felice che almeno mi parlerà di qualche sciocchezza che mi allontanerà momentaneamente da quel senso di morte insindacabile che mi pervade da ore. Ciononostante, purtroppo, mi riporta laddove non avrei voluto esser condotto.

«Certo, che morte orribile quella di Cristina. Uccisa da suo padre, che praticamente non ha mai conosciuto… Su un aereo che la doveva portare a divertirsi… È stata davvero sfortunata la poverina…»

La sua pietà non mi giova. Riattacco a piangere a sussulti. Lei almeno capisce che deve tacere, e forse per la prima volta la sfiora l’idea che tra me e Cristina ci sia stato molto di più di quanto tutti sapevano. Me la perdo per la strada. Non mi dispiace. Meglio stare da solo. Non vedo l’ora di rimanermene da solo per poter grondare tutte le mie lacrime fino a quando non me ne resteranno più. Voglio perdermi nel dolore e diventare il suo signore incontrastato. Voglio essere l’essere umano più triste sulla faccia della terra e voglio essere immediatamente riconoscibile da tutti per la mia mestizia. Voglio che tutti sappiano del mio martirio, oppure che si scordino di me e di quello che sono stato e che non sarò mai più. Perché Cristina non tornerà più.

Assisto impotente al momento in cui la sua bara viene calata nella fossa. E quello (non so perché) mi dà la scossa. E allora mi dico «Ma che ci sto a fare ancora qua?». Sento che Cristina non trarrebbe alcun piacere a vedermi logoro mentre mi dolgo e mi struggo fin quasi ad annientarmi. No, lei si arrabbierebbe e mi direbbe di reagire, la mia dolce Cristina…

Per associazione di idee ripenso all’unica volta nella quale litigammo. Fu un mese fa. Il motivo fu molto sciocco: lei parlava, parlava e non voleva ascoltarmi. Allora io le risposi male, e allora lei si offese che io mi ero offeso. E quella giornata non ci rivolgemmo più la parola. Ed anche il giorno dopo lei continuava a tenermi il broncio (come pure io). Ma, non so come, riuscii ad astrarmi e ravvisare dall’esterno quello stupido frangente nel quale ci eravamo impelagati. Così cambiai faccia e lei se ne sorprese. E poi le dissi con un’espressione idiota:

«Vuoi continuare a pensare di aver ragione e sbattermi il tuo brutto muso sulla mia bella faccia per il resto della mia vita?!»

Ero ovviamente notevolmente ironico. E lei fu molto colpita dalla mia frase, e per un momento non seppe se andare fuori di zucca ancora di più oppure perdonarmi completamente, poiché sdrammatizzando la nostra lite avevo posto la prima pietra per sanarla.

Dunque mi rispose con una delle sue prese di posizione nette che testimoniavano che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.

«Per primo, sei tu che hai il brutto muso e io la faccia bella…», fece una pausa per elaborare una nuova strategia di controffensiva, «E poi sono io che ho ragione e tu torto! Quindi farò finta che tu mi abbia chiesto scusa e la finiamo qua!», mi disse orgogliosa spingendo in fuori il petto (prima misura). E poi ricominciò (come se si fosse svegliata da un lungo sogno) ad essere quella di sempre, e allora ripronunciò il mio nome con quell’intonazione nel modo in cui solo lei poteva…

Oddio! Non ascolterò più il suono della sua voce mentre mi invoca… Enunciava il mio nome sempre come se fossi un gran signore che potesse donarle qualcosa di prezioso… Non incontrerò mai una come lei che si rivolgerà a me a quella maniera… Mai più.

Sprofondo nell’angoscia più cupa. Passo ancora nei pressi della chiesa, che adesso è quasi deserta poiché sono tutti al camposanto. Però Luca non ci è andato, o forse è sgattaiolato via prima che tutto finisse, proprio come me. Luca è coetaneo di Cristina. Mi si avvicina lento con un mezzo sorriso in volto. È chiaro che lui non mi parlerà di Cristina. No, il suo cervello è troppo preso da sue situazioni private (ma non gliene faccio una colpa). Inoltre i miei occhiali scuri devono coprire molta parte della mia sofferenza: quindi non è che lui sia un insensibile, è solo sincero ad affrontare la vita per come se la sente…

Dai suoi occhi azzurri chiari che brillano di luce sprizzante capisco che mi deve dire qualcosa, qualcosa alla quale tiene. E che lo imbarazza.

«Ciao, proprio te cercavo. Volevo chiederti un consiglio… Umm parere… su di una certa cosa che mi domandavo… cioè…»

Si blocca, arrossisce. Alla sua età pure io ero così impacciato. Lo incoraggio.

«Avanti, ti ascolto. Parla liberamente. Sai che di me puoi fidarti e che rimane tutto tra noi. Che problema hai?»

«Non è proprio un problema!», si affretta a specificarmi, ma è evidente che mente.

«Bene. Se non è un problema tanto meglio.», sto al suo gioco per tranquillizzarlo. E lui si beve che non starò sull’allerta per vagliare ogni singola intonazione ed indecisione che avrà la sua voce e dove e come guarderà quando mi dirà certe cose.

«Si tratta di… beh, sesso… È normale alla mia età, no?»

«Normalissimo, certo. Vai avanti… Chi meglio di me?»

Sorride nervosamente.

«Già chi meglio di te! Ah! Ah!… Sai, solo adesso mi rendo conto che da quando ti conosco non ti ho mai visto con una fidanzata…», considera. Ed è vero. Ma cosa dovrei dirgli? Che amavo troppo Cristina per cercarmene un’altra? Me la cavo con una battuta sempre valida.

«Se vuoi dirmi che questo fa di me un omosessuale, ti dico preventivamente che siamo amici ma il culo non te lo do…»

Ride di gusto…

«No, no! Non oserei mai… Uno come te…»

«Insomma, questa cosa? Sbrigati che devo andare a casa…»

Parla in fretta. Non vuol correre il rischio di non potersi più confessare con me.

«Sì, sì… Allora supponiamo che un mio amico… Anzi, il mio è un dubbio molto generico… Non esiste nessuna persona coinvolta in questa faccenda, chiaro?… Allora, io mi chiedevo ma… si può esser sicuri che un preservativo faccia il suo mestiere e preservi la cosina della ragazza davvero? E se si rompesse? Che cosa accadrebbe? No perché uno mi ha detto (non ti dico chi) che a lui una volta è capitato che il preservativo era bucato, ma se ne è accorto solo dopo, quando ci ha fatto un gavettone ad un altro…»

E si ferma. La sua storia surreale non sta in piedi, ed utilizzando il traduttore che ho messo insieme negli anni trascorsi con i giovani, le sue parole vogliono dire che probabilmente teme di aver messo incinta una tipa. Ma di chi si tratterà? Luca è un tipo timido e dalle sue mosse avrei dovuto accorgermi facilmente se avesse perso la testa per una ragazzina…

Me lo prendo sottobraccio (così gli impedisco di darsela a gambe).

«Ascolta, Luca. Se quello che penso è vero, allora forse la tua inesperienza ha agito su di te facendoti essere poco sagace… Ma non è detto che tu sia in grossi guai. Ci sono tante cose da tenere in conto in queste faccende: se lei prende le sue precauzioni,» (ma dalla sua faccia capisco che non è così) «il suo periodo di fertilità, il potere seminante dei tuoi spermatozoi…» (mettendogliela così vedo che si rilassa: crede che sia meno probabile di quanto aveva pensato di aver ingravidato quella con la quale ha fatto l’amore) «Tuttavia, affrontiamo la situazione da persone civili e mature. Non è necessario ridurre tutto a grida e strepiti (che immagino comunque avverranno, almeno in parte, quando i vostri genitori sapranno quello che avete combinato)».

Luca fa una faccia dispiaciuta (ma è anche esterrefatto che abbia intuito tutto). Cerca di farmi un complimento, sperando che la mia clemenza gli risulterà utile anche con le relazioni che intratterrà con le altre persone coinvolte.

«Ti ho sempre ammirato per la tua assennatezza… Sei grande… Se non ci fossi tu…», mi dice (e sarebbe anche tentato di abbandonarsi a qualche lacrimuccia commossa ma si trattiene, o meglio lo incalzo io).

«Immagino che sia tardi per quella cosa che si chiama pillola del giorno dopo, vero?», mi annuisce, «Quindi rimangono due sole possibilità…». Ma prima di prospettargli l’aborto, o che diventi padre a diciotto anni, penso sia il caso di portarlo in un luogo dove potranno essergli più esplicativi di quanto non possa risultarlo io… «Prima di arrivarci però ti accompagno subito in un consultorio gratuito che si occupa di dare questo tipo di informazioni agli adolescenti pieni di ormoni come te… Ah, e anche alle loro giovani compagne… Anzi, sarebbe meglio se ci andassi proprio con lei la prossima volta… A proposito, di chi si tratta?»

Luca sorride in una smorfia e abbassa gli occhi. Non me lo dirà. Poi mi guarda con un’espressione del tipo “Ti prego! Non costringermi a rivelartelo!”.

Mentre ci avviamo scorgiamo Lucrezia con i suoi boccoli d’oro che pare spiarci da dietro un albero. Quando si accorge che la vediamo si ritrae come una topolina, ma poi si riaffaccia per cercare il volto di Luca… Vuoi vedere che lui e lei, zitti zitti… Luca nel frattempo è divenuto paonazzo. Così non c’è bisogno di aggiungere altro. E allora me li immagino assieme quei due, ed in fondo suppongo che sarebbero una magnifica coppietta. Sono entrambi dei bravi ragazzi (un po’ inesperti), sono bellocci e hanno un tipo di bellezza simile, tanto che paiono fratello e sorella (seppure lei sia più languidamente femminile di quanto lui potrà mai essere virile). Eseguo un balzo nel tempo e me li figuro tra qualche anno, sposati… Luca avrà un paio di baffetti che spunteranno impudenti dal labbro superiore (forse se li sarà fatti crescere appositamente per sembrare più grande); Lucrezia invece diverrà rapidamente donna, come fanno tutte le ragazze quando hanno dei bambini, ed allora indosserà scarpe rosse con il tacco che i suoi esili piedi abituati alle le scarpe da ginnastica non avranno mai saggiato…

Sì, saranno felici, me lo sento. Saranno felici come avremmo potuto esserlo io e Cristina, anche se per noi sarebbe stato diverso, perché ci sarebbero voluti diversi anni prima che quegli otto anni di differenza sarebbero diventati nulli… Può essere che piacessi a Cristina anche per questo motivo: perché ero più grande di lei. Forse lei da un ragazzo voleva che le facesse anche un po’ da padre. E io non sarei riuscito a ricoprire quel duplice ruolo; comunque come fratello maggiore non avrei avuto problemi.

D’un tratto è come se il fantasma arridente di Cristina mi sia limitrofo e mi scorti. E allora capisco che lei non mi abbandonerà mai e sarà sempre con me. La mia Cristina non morirà… La mia Cristina…

150 di cui molti di merda…


150 anni di Italia, di cui molti di cui andar fieri, ma anche tantissimi altri di cui vergognarsi.

Come il periodo fascista.

Come il trasformismo imperante.

Come le collusioni del potere con la Mafia.

Come le sozze sinergie tra poteri (poiché non esistono poteri buoni).

Come i colpi di stato (falliti, o realizzati senza che nessuno se ne renda conto, come di fatto quello della P2).

Come le stragi (e non tanto in quanto stragi, ma perché molte sono rimaste impunite dal punto di vista della legge, mentre in realtà le verità comunque si sanno e si vociferano, ma la maggior parte delle persone le ha rimosse).

Come lo stato che NON fa gli interessi dei cittadini e mente loro.

Come chi ha nascosto la verità.

Come chi, anche scoperto con le mani nella marmellata, ha negato e continua a negare impunemente.

Come la un tempo gloriosa industria italiana (poi è arrivata tangentopoli a mostrarci che quelli che stimavate e portavate in pompa magna erano solo dei ladri molto furbi).

Come i governi democristiani e socialisti.

Come chi brindava (e brinda ancora) quando ci sono i terremoti (poiché si arricchiranno).

Come chi ha cancellato qualsiasi forma di dignità pur di arrivare laddove voleva.

Come gli abusi dei prepotenti.

Come decenni di partite truccate.

Come l’ambiguità del Vaticano e di coloro che dovrebbero amare la famiglia.

Come la Lega, forza xenofoba e razzista.

Come il Grande Fratello, l’isola dei famosi, Maria De Filippi, ecc…

Come chi si è definito il miglior presidente del consiglio di tutti i tempi (mi fermo qui altrimenti, se dovessi dedicare un articolo a tutte le sue cazzate, non smetterei mai di terminarlo, poiché è impossibile stargli dietro).

Come la fabbrica del fango ed il voler affermare che in fondo è tutto uguale e che Giovinezza vale come Bella ciao (come no! E Santoro vale Ferrara…).

Come chi ha tentato di accordarsi con il più forte per spartirsi la torta (ma poi ne ha ottenuto solo le briciole. Perdenti Dementi!).

Come chi non vede i gravissimi fatti sotto gli occhi di tutti, e non vuole prendere atto di quello che quindi dovrebbe fare per non rendersi complice del malaffare.