Il giorno nel quale – sconfortato che nonostante l’impegno e il riposo non riuscissi a guarire dal mio periglioso male – decisi infine di presentarmi al pronto soccorso, i medici mi fecero gli esami di rito ma poi non trovarono nulla, a sentir loro, di particolarmente grave che giustificasse le mie rimostranze (alcune delle quali non erano in grado di spiegarsi e neppure di riferire cosa fossero). Perciò la minuta dottoressa, approfittando anche del fatto che le avevo appena summenzionato che, volendo, avrei potuto riportarle tutta una serie di patologie che per non esser troppo prolisso non le avevo detto, alla fine mi fece quella domanda che sembrava innocua…
«Vuoi provare a parlare della tua sintomatologia anche con un altro medico che ti ascolterà volentieri?», mi disse con una faccia differente dall’espressione con la quale mi aveva parlato fino ad allora, quasi più materna e provando compassione per me…
E io intuii qualcosa. E prontamente le risposi: «Ma questo medico è un cardiologo? Oppure è solo uno psicologo o simili?». E lei ammise «È psichiatra. Comunque perché non tentare, dato che noi non veniamo a capo della questione?»
Mi manifestai fortemente sconsolato.
«Ma a me non serve uno psichiatra… So distinguere benissimo tra mali fisici e mali inventati…»
«Ci vuoi pensare un po’?», mi disse lei fiduciosa che tra qualche minuto avrei capitolato. E infatti io pensai che ormai ero stato lì tutte quelle ore, sdraiato, a fare esami, e se avevo fatto trenta potevo fare trentuno. Così, anche se non avrei mai dovuto accettare poiché convinto che il mio male avesse indubbie origini fisiche, cedetti.
Mi fecero aspettare il medico circa un paio di ore, poiché egli ancora doveva prendere servizio. Alla fine però arrivò.
Era molto diverso da tutti i medici e gli infermieri che avevo conosciuto quel giorno. Avrei potuto intuire che si trattasse di uno psichiatra anche solo osservando il suo atteggiamento misurato, sospettoso, falsamente amicale. In verità, avessi dovuto fidarmi delle mie sensazioni più inconsce, lo avrei dovuto prontamente assimilare a una persona perversa, con gravi turbe sessuali, la quale magari era sempre in cerca di nuove vittime di cui approfittarsi… Ma questo rimanga tra noi, tra le mie impressioni più ataviche e voi lettori che state leggendo…
Possedeva ben tre cellulari, tutti disposti ordinatamente sul tavolo, i quali squillavano ininterrottamente interrompendo frequente il nostro colloquio. Ma tanto io potevo aspettare, no? In fondo era da appena otto ore che stavo lì disteso su una barella, senza bere, mangiare, andare in bagno, no?
La sua tecnica (che immagino egli giudicasse molto arguta) era quella di spiazzarmi di continuo mostrandomisi delle volte loquace, altre introspettivo, altre pungente e sagace, altre riservato ed educato. Così, il furbone, punzecchiandomi e alternando il bastone alla carota, pensava di far emergere qualche mio punto debole. Ma io ormai ero talmente scoglionato di aver perso tutte quelle ore lì senza concludere nulla che ogni cosa la prendevo con filosofia…
Il succo della questione fu questo: mi chiese perché un soggetto con sintomi come i miei era stato inoltrato da lui. E io gli dissi che mi era stato chiesto se volessi parlare (anche) con lui poiché gli altri, i medici veri, non mi avevano trovato nulla di particolarmente grave (in fondo non ero ancora morto, no?), e non potendo accettare l’idea di essere della gente inadeguata, ignorante, raccomandata, avevano cercato di scaricarsi la coscienza facendo passare che sicuramente allora, se il mio male non era fisico (eppure c’erano molte cose allarmanti sulle quali non avrebbero dovuto glissare così facilmente…), doveva essere mentale!
Chiaramente quest’ultima parte non gliela riferii proprio così, per ovvie ragioni… Fattostà che lo psichiatra, saputa la storia disse: «Ah, ho capito… Capisco, capisco…». Da ultimo mi segnò un ansiolitico (che non ho mai preso poiché, se uno si sente debole e con la pressione bassa, come ero io, e si prendesse un ansiolitico, credo che rischierebbe di rimanerci, nevvero medici dei miei @oglioni del @azzo?!) come pure di effettuare dei misteriosi test proiettivi…
Ma che roba saranno mai questi test proiettivi?, mi cominciai a chiedere anche un po’ intrigato poiché la psicologia mi interessa e, in piccolo, posso dire di averla un minimo studiata da autodidatta… Non conoscevo però (o non ricordavo) il significato di questi termini… “Proiettivi”… Forse rappresentavano l’ultima tecnica progredita in fatto di test psicologici ed erano in grado di far emergere, che ne so, le propensioni psicologiche di una persona, un po’ come l’enneagramma…
Bah! A ogni modo decisi che, anche se, ripeto, il mio male nasceva da situazioni fisiche oggettive che non potevano scaturire da situazioni psicosomatiche, avrei fatto quei test…
Chiesi di prendere appuntamento dove mi era stato suggerito di recarmi. La segretaria cicciona (si capiva che fosse tale) che rispose al telefono però mi intimò che quel tipo di test si potevano fare solo dopo un attento scrutinio col medico incaricato in quella struttura, quindi prima avrei dovuto effettuare una visita con lui. In seguito però scoprii che non era vero quello che la cicciona aveva detto: era solo una scusa per farmi pagare un esoso ticket in più…
Viene il giorno dei test. Per paura di fare tardi mi presento un’ora prima. Aspetto nella sala di attesa. Ogni tanto scorgo passare un curioso personaggio vestito tutto di nero il quale mi indaga guardingo con occhio sospettoso mentre leggo il libro che sto usando per ingannare l’attesa. Il tizio si reca in bagno, poi sale e scende frequente delle scale per un paio di volte, infine lo sento stordirsi con della musica classica/new age.
Scatta l’ora della mia visita. Ripongo il libro nello zainetto e scopro che il tipo curioso è proprio il dottore incaricato della mia analisi. Mi fa entrare nel suo studio dove rintraccio immediatamente un forte odore stantio. All’inizio mi sembrerebbe di fumo, ma dopo colgo che potrebbe essere dell’altro (come a esempio di aromi terapeutici). Nella costipata stanza sono presenti dei tappeti, un computer acceso e un mucchio di altri oggetti che la rendono ancora più compressa.
Il tipo, da seduto, sembra ancora più piccolo ed esiguo, uno scricciolo (insignificante, a voler esser cattivi) d’uomo. Scopro presto che ha uno inconsueto intercalare quando desidera che si proceda con la narrazione: come una specie di rantolo trattenuto di cui forse non si rende neppure conto. Mi chiede perché mi trovo lì e io comincio a spiegare. Lui scrive molto (a penna, non batte a macchina) e ogni tanto mi sollecita facendomi domande, o utilizzando quella specie di singhiozzo di cui ho detto.
Mi tiene appena venti minuti. Poi il suo giudizio si assurge a essere inappellabile (e io mi rendo conto che sono stato davvero ingenuo a spingermi su quella strada… Che cosa mi aspettavo? Che l’oste dicesse che il suo vino è cattivo? Oppure che il dentista dicesse che non c’è proprio niente da fare, neppure una semplice pulizia dei denti?): a sua detta devo fare psicoterapia! Mi manifesto scettico (come può sentenziare una cosa del genere semplicemente da quelle poche domande che mi ha posto!? Non ha alcun strumento in suo possesso per poter emendare un tale giudizio! E poi si tratta sempre di psicologia! Si trattasse di una questione matematica, potrei dargli ragione, perché la matematica è immutabile e insindacabile da un certo punto di vista… Nel caso della psicologia, invece, parliamo di una materia sulla quale esistono solo linee guida, ma nessuna certezza!…).
Non sembro molto contento del suo responso. Lui, saputo che scrivo, mi dice che anche Leopardi era depresso e avrebbe dovuto curarsi. Mi cita addirittura Kafka, sul quale vorrei ribattergli che egli a mio giudizio era solo un uomo addolorato per la carenza di affetto paterno, che non definirei necessariamente soggetto che avrebbe dovuto essere psicanalizzato… Ma non ha alcuna importanza; non lo convincerò mai della mia opinione, per cui ci rinuncio.
Mi dice che devo fare un paio di test, fra cui quei test proiettivi. Ma io, che sarei tentato di dirgli subito che non mi interessano più, gli chiedo di cosa si tratta esattamente. E lui allora, da abilissimo mercante, con un giro di parole e di argomenti, non me lo dice! Mi porta in segreteria e mi mette in mano quei famosi test proiettivi, che devo fare subito, dice. Per gli altri si vedrà eventualmente la prossima volta (sono i test di Rorschach – che scoprirò anch’essi essere test proiettivi, seppur di tipo differente –, le famose macchie speculari! Non voglio fare quelle cazzate! Non servono a niente!).
Mentre mi inoltro nella stanza nella quale dovrò compilare i test, osservo gli altri suoi pazienti che attendono il loro turno seduti tutti sulla medesima panca (anche se l’ambiente è molto grande e potrebbero scegliersi qualsiasi tipo di sedia o posto). Noto una bella moretta alta che mi ricorda una certa tizia incontrata una volta a un colloquio di lavoro la quale aveva la passione delle armi e delle divise. La poverina ha in volto una posa dolente, come soffrisse di qualcosa che le procura assai fastidio. Gli altri tizi sono un uomo e una donna attempati (sicuramente parenti molto stretti, forse madre e figlio) entrambi con un’espressione ritardata, uno più dell’altra… Passando davanti a loro mi sento fortissimo: io non sono così, mi dico orgoglioso, né lo sarò mai. Questo piccolo psicologo insignificante invece vorrebbe assimilarmi con queste povere anime in pena… Giammai!
Il dottore se ne va dicendomi che ci vorrà un po’ di pazienza, i quiz del test sono tanti. Purtroppo sparisce troppo in fretta affinché gli possa dire che non intendo redigerli… Osservandoli bene mi accorgo che ‘sti cazzo de test proiettivi altro non sono che i… quiz del militare! Quei sgangherati test che tocca redigere allorché si fanno i cosiddetti “tre giorni”! Quelli che domandano se ti piacciono i fiori e poi controllano se rispondi che faresti pure il fioraio (e tu, secondo loro, dovresti rispondere per forza di sì, se hai risposto sì alla prima domanda! Come se in tal caso fare il fioraio sia automatico e non implichi una serie di altre questioni da dover valutare attentamente prima di aprire eventualmente un’attività del genere! Ma andate a cagare! Voi che li avete ideati e voialtri che ancora li utilizzate come sommo strumento per stanare le psicosi!).
Più volte, scoraggiato dalla loro spropositata quantità (sono più di cinquecento!), sono sul punto di andare di là e di dire alla segretaria cicciona che li terminerò un’altra volta (già sapendo che non mi farò più vivo)… Ma infine mi dico che tanto questa è l’ultima volta che mi faccio coinvolgere in questioni del genere, per cui posso fare un ultimo grande sforzo, per quanto esso mi pesi.
Circa quasi due ore dopo li termino e li porto dalla trippona disonesta, la quale chiede a me se le domande con le crocette (piuttosto che quelle annerite) sono le correzioni oppure no… E questo mi lascia intendere che il suo compito sia anche in qualche modo di inserirle in un database… Mi dice poi che devo andare a pagare il ticket (in un posto non troppo lontano da lì) e dunque tornare per restituirle le impegnative, che sono diventate ben tre: una per la visita, l’altra per i test proiettivi e l’ultima per un certo responso che non so bene cosa comprenda esattamente…
Eseguo le disposizioni deferentemente (nonostante ancora una volta sia tentato di andarmene, e senza pagare, ma so che se lo facessi quella mi romperebbe le palle fino allo sfinimento dato che possiede il mio cellulare) e torno a riconsegnare le impegnative. Ma non la trovo nella sua stanza (è ora di pranzo, dove sarà la trippona?). Chiedo e mi viene indicata una stanza nella quale potrebbe trovarsi. Busso, apro e infatti è lì. Si è messa al computer e sta inserendo, una per una, le risposte che ho annerito (e se si sbagliasse a inserire qualcosa? Ecco che il suo errore cagionerebbe un giudizio ancora più sconclusionato da parte del medico. Senza contare che lei ha tutto l’interesse affinché quella non sia l’ultima volta che mi veda e quindi che io risulti insano di mente! Possibile che nessuno ci abbia pensato? Possibile che lo psicologo non sappia del modo di agire della sua segretaria? A pensar male non ci si sbaglia di molto…). Saluto e me ne vado a casa.
Trovo oltremodo sconvolgente che nel duemiladodici ancora si avalli l’uso di test di siffatta cialtronesca natura per stanare le malattie mentali. Se uno sbaglia a mettere una crocetta viene marchiato a fuoco come malato mentale per tutta la vita! Ma scherziamo?!