La metafora dell’orso polare


 

Un individuo buono e onesto è un po’ come un orso polare… Se ne sta lì tranquillo per i fatti suoi, pensando a poche cose basilari: il pesce, la tana, i cuccioli… Poi un giorno qualche $tronzo gli cambia improvvisamente le carte in tavola, con l’effetto serra che gli fa sciogliere il ghiaccio da sotto il sedere… E la vita del povero orso (di indole buona e moderata) diventa presto un inferno, una perenne lotta per la sopravvivenza…

Questo accade se noi buoni paciocconi lasciamo andare, non guardiamo più in là delle nostre più strette esigenze, non vigiliamo sui misfatti che gli altri compiono facendo finta di non fare nulla di male, mentre invece fanno solo i loro (sporchi) interessi…

Il mio libro “Anarcolessia”



Dopo una lunga gestazione (resa tale soprattutto dalla sventurata malattia che mi ha colpito ultimamente), è finalmente ufficialmente uscito il mio (primo) romanzo: Anarcolessia.

E chi se lo sarebbe mai immaginato che il primo sarebbe stato proprio questo?… Fino a qualche mese fa neppure era terminato (essendo ancora sotto forma di racconto!). Avrei scommesso che il primo avrebbe visto come protagonista Nemesis, cioè il personaggio sul quale in assoluto ho scritto di più (ma di lui ne riparleremo presto…), e non un gruppo di idealisti anarchici. Invece…

Anarcolessia [Trama]

Nel paese X, il più corrotto del mondo, un manipolo di anarchici, provenienti da percorsi culturali variegati e capeggiati da un misterioso leader di cui non si sa nulla, si uniscono per approntare la Rivoluzione definitiva, la quale renderà finalmente il pianeta quel Paradiso Terrestre che sempre avrebbe dovuto essere ma che, per via delle lusinghe del sordido potere, non è mai stato…

Questioni pratiche…

Ho pubblicato Anarcolessia tramite un editore online che realizza una sorta di autopubblicazione. Ciò vuol dire che, purtroppo, non ho copie omaggio da distribuire amabilmente verso coloro che conosco… Quindi, se volete leggerlo, avete le seguenti opzioni…

1 Anarcolessia costa 10 euro più le spese di spedizione ed è scaricabile da questo link (si paga con carta di credito o con una semplice carta Postepay).

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2 Se le vostre finanze non vi permettono tale spesa, potete acquistare l’ebook, che costa solo 75 centesimi (vedete cosa si fa per la cultura?)!

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3 Per quanto riguarda i miei amici, mi offro di regalare, a chi ne farà richiesta formale, il file originale che ha generato il libro, a patto però che lo si legga entro un anno (altrimenti la maledizione di Nemesis ricadrà su di voi!). Resta inteso ovviamente che leggere il libro è tutta un’altra cosa…

Appropinquatevi!


Test proiettivi


Il giorno nel quale – sconfortato che nonostante l’impegno e il riposo non riuscissi a guarire dal mio periglioso male – decisi infine di presentarmi al pronto soccorso, i medici mi fecero gli esami di rito ma poi non trovarono nulla, a sentir loro, di particolarmente grave che giustificasse le mie rimostranze (alcune delle quali non erano in grado di spiegarsi e neppure di riferire cosa fossero). Perciò la minuta dottoressa, approfittando anche del fatto che le avevo appena summenzionato che, volendo, avrei potuto riportarle tutta una serie di patologie che per non esser troppo prolisso non le avevo detto, alla fine mi fece quella domanda che sembrava innocua…

«Vuoi provare a parlare della tua sintomatologia anche con un altro medico che ti ascolterà volentieri?», mi disse con una faccia differente dall’espressione con la quale mi aveva parlato fino ad allora, quasi più materna e provando compassione per me…

E io intuii qualcosa. E prontamente le risposi: «Ma questo medico è un cardiologo? Oppure è solo uno psicologo o simili?». E lei ammise «È psichiatra. Comunque perché non tentare, dato che noi non veniamo a capo della questione?»

Mi manifestai fortemente sconsolato.

«Ma a me non serve uno psichiatra… So distinguere benissimo tra mali fisici e mali inventati…»

«Ci vuoi pensare un po’?», mi disse lei fiduciosa che tra qualche minuto avrei capitolato. E infatti io pensai che ormai ero stato lì tutte quelle ore, sdraiato, a fare esami, e se avevo fatto trenta potevo fare trentuno. Così, anche se non avrei mai dovuto accettare poiché convinto che il mio male avesse indubbie origini fisiche, cedetti.

Mi fecero aspettare il medico circa un paio di ore, poiché egli ancora doveva prendere servizio. Alla fine però arrivò.

Era molto diverso da tutti i medici e gli infermieri che avevo conosciuto quel giorno. Avrei potuto intuire che si trattasse di uno psichiatra anche solo osservando il suo atteggiamento misurato, sospettoso, falsamente amicale. In verità, avessi dovuto fidarmi delle mie sensazioni più inconsce, lo avrei dovuto prontamente assimilare a una persona perversa, con gravi turbe sessuali, la quale magari era sempre in cerca di nuove vittime di cui approfittarsi… Ma questo rimanga tra noi, tra le mie impressioni più ataviche e voi lettori che state leggendo…

Possedeva ben tre cellulari, tutti disposti ordinatamente sul tavolo, i quali squillavano ininterrottamente interrompendo frequente il nostro colloquio. Ma tanto io potevo aspettare, no? In fondo era da appena otto ore che stavo lì disteso su una barella, senza bere, mangiare, andare in bagno, no?

La sua tecnica (che immagino egli giudicasse molto arguta) era quella di spiazzarmi di continuo mostrandomisi delle volte loquace, altre introspettivo, altre pungente e sagace, altre riservato ed educato. Così, il furbone, punzecchiandomi e alternando il bastone alla carota, pensava di far emergere qualche mio punto debole. Ma io ormai ero talmente scoglionato di aver perso tutte quelle ore lì senza concludere nulla che ogni cosa la prendevo con filosofia…

Il succo della questione fu questo: mi chiese perché un soggetto con sintomi come i miei era stato inoltrato da lui. E io gli dissi che mi era stato chiesto se volessi parlare (anche) con lui poiché gli altri, i medici veri, non mi avevano trovato nulla di particolarmente grave (in fondo non ero ancora morto, no?), e non potendo accettare l’idea di essere della gente inadeguata, ignorante, raccomandata, avevano cercato di scaricarsi la coscienza facendo passare che sicuramente allora, se il mio male non era fisico (eppure c’erano molte cose allarmanti sulle quali non avrebbero dovuto glissare così facilmente…), doveva essere mentale!

Chiaramente quest’ultima parte non gliela riferii proprio così, per ovvie ragioni… Fattostà che lo psichiatra, saputa la storia disse: «Ah, ho capito… Capisco, capisco…». Da ultimo mi segnò un ansiolitico (che non ho mai preso poiché, se uno si sente debole e con la pressione bassa, come ero io, e si prendesse un ansiolitico, credo che rischierebbe di rimanerci, nevvero medici dei miei @oglioni del @azzo?!) come pure di effettuare dei misteriosi test proiettivi

Ma che roba saranno mai questi test proiettivi?, mi cominciai a chiedere anche un po’ intrigato poiché la psicologia mi interessa e, in piccolo, posso dire di averla un minimo studiata da autodidatta… Non conoscevo però (o non ricordavo) il significato di questi termini… “Proiettivi”… Forse rappresentavano l’ultima tecnica progredita in fatto di test psicologici ed erano in grado di far emergere, che ne so, le propensioni psicologiche di una persona, un po’ come l’enneagramma…

Bah! A ogni modo decisi che, anche se, ripeto, il mio male nasceva da situazioni fisiche oggettive che non potevano scaturire da situazioni psicosomatiche, avrei fatto quei test…

Chiesi di prendere appuntamento dove mi era stato suggerito di recarmi. La segretaria cicciona (si capiva che fosse tale) che rispose al telefono però mi intimò che quel tipo di test si potevano fare solo dopo un attento scrutinio col medico incaricato in quella struttura, quindi prima avrei dovuto effettuare una visita con lui. In seguito però scoprii che non era vero quello che la cicciona aveva detto: era solo una scusa per farmi pagare un esoso ticket in più…

Viene il giorno dei test. Per paura di fare tardi mi presento un’ora prima. Aspetto nella sala di attesa. Ogni tanto scorgo passare un curioso personaggio vestito tutto di nero il quale mi indaga guardingo con occhio sospettoso mentre leggo il libro che sto usando per ingannare l’attesa. Il tizio si reca in bagno, poi sale e scende frequente delle scale per un paio di volte, infine lo sento stordirsi con della musica classica/new age.

Scatta l’ora della mia visita. Ripongo il libro nello zainetto e scopro che il tipo curioso è proprio il dottore incaricato della mia analisi. Mi fa entrare nel suo studio dove rintraccio immediatamente un forte odore stantio. All’inizio mi sembrerebbe di fumo, ma dopo colgo che potrebbe essere dell’altro (come a esempio di aromi terapeutici). Nella costipata stanza sono presenti dei tappeti, un computer acceso e un mucchio di altri oggetti che la rendono ancora più compressa.

Il tipo, da seduto, sembra ancora più piccolo ed esiguo, uno scricciolo (insignificante, a voler esser cattivi) d’uomo. Scopro presto che ha uno inconsueto intercalare quando desidera che si proceda con la narrazione: come una specie di rantolo trattenuto di cui forse non si rende neppure conto. Mi chiede perché mi trovo lì e io comincio a spiegare. Lui scrive molto (a penna, non batte a macchina) e ogni tanto mi sollecita facendomi domande, o utilizzando quella specie di singhiozzo di cui ho detto.

Mi tiene appena venti minuti. Poi il suo giudizio si assurge a essere inappellabile (e io mi rendo conto che sono stato davvero ingenuo a spingermi su quella strada… Che cosa mi aspettavo? Che l’oste dicesse che il suo vino è cattivo? Oppure che il dentista dicesse che non c’è proprio niente da fare, neppure una semplice pulizia dei denti?): a sua detta devo fare psicoterapia! Mi manifesto scettico (come può sentenziare una cosa del genere semplicemente da quelle poche domande che mi ha posto!? Non ha alcun strumento in suo possesso per poter emendare un tale giudizio! E poi si tratta sempre di psicologia! Si trattasse di una questione matematica, potrei dargli ragione, perché la matematica è immutabile e insindacabile da un certo punto di vista… Nel caso della psicologia, invece, parliamo di una materia sulla quale esistono solo linee guida, ma nessuna certezza!…).

Non sembro molto contento del suo responso. Lui, saputo che scrivo, mi dice che anche Leopardi era depresso e avrebbe dovuto curarsi. Mi cita addirittura Kafka, sul quale vorrei ribattergli che egli a mio giudizio era solo un uomo addolorato per la carenza di affetto paterno, che non definirei necessariamente soggetto che avrebbe dovuto essere psicanalizzato… Ma non ha alcuna importanza; non lo convincerò mai della mia opinione, per cui ci rinuncio.

Mi dice che devo fare un paio di test, fra cui quei test proiettivi. Ma io, che sarei tentato di dirgli subito che non mi interessano più, gli chiedo di cosa si tratta esattamente. E lui allora, da abilissimo mercante, con un giro di parole e di argomenti, non me lo dice! Mi porta in segreteria e mi mette in mano quei famosi test proiettivi, che devo fare subito, dice. Per gli altri si vedrà eventualmente la prossima volta (sono i test di Rorschach – che scoprirò anch’essi essere test proiettivi, seppur di tipo differente –, le famose macchie speculari! Non voglio fare quelle cazzate! Non servono a niente!).

Mentre mi inoltro nella stanza nella quale dovrò compilare i test, osservo gli altri suoi pazienti che attendono il loro turno seduti tutti sulla medesima panca (anche se l’ambiente è molto grande e potrebbero scegliersi qualsiasi tipo di sedia o posto). Noto una bella moretta alta che mi ricorda una certa tizia incontrata una volta a un colloquio di lavoro la quale aveva la passione delle armi e delle divise. La poverina ha in volto una posa dolente, come soffrisse di qualcosa che le procura assai fastidio. Gli altri tizi sono un uomo e una donna attempati (sicuramente parenti molto stretti, forse madre e figlio) entrambi con un’espressione ritardata, uno più dell’altra… Passando davanti a loro mi sento fortissimo: io non sono così, mi dico orgoglioso, né lo sarò mai. Questo piccolo psicologo insignificante invece vorrebbe assimilarmi con queste povere anime in pena… Giammai!

Il dottore se ne va dicendomi che ci vorrà un po’ di pazienza, i quiz del test sono tanti. Purtroppo sparisce troppo in fretta affinché gli possa dire che non intendo redigerli… Osservandoli bene mi accorgo che ‘sti cazzo de test proiettivi altro non sono che i… quiz del militare! Quei sgangherati test che tocca redigere allorché si fanno i cosiddetti “tre giorni”! Quelli che domandano se ti piacciono i fiori e poi controllano se rispondi che faresti pure il fioraio (e tu, secondo loro, dovresti rispondere per forza di sì, se hai risposto sì alla prima domanda! Come se in tal caso fare il fioraio sia automatico e non implichi una serie di altre questioni da dover valutare attentamente prima di aprire eventualmente un’attività del genere! Ma andate a cagare! Voi che li avete ideati e voialtri che ancora li utilizzate come sommo strumento per stanare le psicosi!).

Più volte, scoraggiato dalla loro spropositata quantità (sono più di cinquecento!), sono sul punto di andare di là e di dire alla segretaria cicciona che li terminerò un’altra volta (già sapendo che non mi farò più vivo)… Ma infine mi dico che tanto questa è l’ultima volta che mi faccio coinvolgere in questioni del genere, per cui posso fare un ultimo grande sforzo, per quanto esso mi pesi.

Circa quasi due ore dopo li termino e li porto dalla trippona disonesta, la quale chiede a me se le domande con le crocette (piuttosto che quelle annerite) sono le correzioni oppure no… E questo mi lascia intendere che il suo compito sia anche in qualche modo di inserirle in un database… Mi dice poi che devo andare a pagare il ticket (in un posto non troppo lontano da lì) e dunque tornare per restituirle le impegnative, che sono diventate ben tre: una per la visita, l’altra per i test proiettivi e l’ultima per un certo responso che non so bene cosa comprenda esattamente…

Eseguo le disposizioni deferentemente (nonostante ancora una volta sia tentato di andarmene, e senza pagare, ma so che se lo facessi quella mi romperebbe le palle fino allo sfinimento dato che possiede il mio cellulare) e torno a riconsegnare le impegnative. Ma non la trovo nella sua stanza (è ora di pranzo, dove sarà la trippona?). Chiedo e mi viene indicata una stanza nella quale potrebbe trovarsi. Busso, apro e infatti è lì. Si è messa al computer e sta inserendo, una per una, le risposte che ho annerito (e se si sbagliasse a inserire qualcosa? Ecco che il suo errore cagionerebbe un giudizio ancora più sconclusionato da parte del medico. Senza contare che lei ha tutto l’interesse affinché quella non sia l’ultima volta che mi veda e quindi che io risulti insano di mente! Possibile che nessuno ci abbia pensato? Possibile che lo psicologo non sappia del modo di agire della sua segretaria? A pensar male non ci si sbaglia di molto…). Saluto e me ne vado a casa.

Trovo oltremodo sconvolgente che nel duemiladodici ancora si avalli l’uso di test di siffatta cialtronesca natura per stanare le malattie mentali. Se uno sbaglia a mettere una crocetta viene marchiato a fuoco come malato mentale per tutta la vita! Ma scherziamo?!

Supereroi per sempre: 2. Tragedia al club


Provai anche a dirgli che non avevo l’attrezzatura giusta, né racchetta, né tanto meno scarpe, ma ovviamente lui mi disse che non c’era alcun problema e che nel suo club si forniva tutto, anche le mutande alla bisogna, perché gestire un club di tennis per supereroi implicava doversi fare carico di una serie di problematiche che prevedevano un po’ tutto. Per cui lui, questioni simili, le aveva già preventivate da un pezzo.

Mi portò negli spogliatoi, mi fece scegliere gli abiti, e anche la racchetta (ne presi una in grafite nera che era un gioiellino). Poi uscimmo verso i campi, e più ci avvicinavamo e più udivamo i classici rumori delle palline colpite, oltre che un vociare divertito di super che durante le pause, tra un punto e l’altro, non riuscivano a trattenere l’ugola, ormai abituatisi a trattare con supercattivoni iperloquaci e logorroici che amavano conversare mentre cercavano di cuocerli al forno o elettrizzarli con una scarica mortale…

Notai che il campo era molto frequentato da velocisti. Il tennis pareva attirare sopratutto supereroi di quella specie. E assistetti all’incredibile spettacolo di vedere un tale che si muoveva così veloce che i miei occhi stanchi lo percepivano solo come una scia, il quale mi mostrò come giocare una partita (molto equilibrata) contro di sé, vincendo e perdendo contemporaneamente. Un’esibizione impressionante, che mi fece capire che quello che invece avremmo fatto io e il Gorilla su uno dei campi centrali sarebbe stato al confronto uno spettacolo indegno e indecoroso.

Sorvolo sul match. Dico solo che vinse il Gorilla, ma non perché fosse più bravo tecnicamente di me, ma solo perché correva così tanto che anche se la mia classe era incommensurabilmente migliore della sua, mi toccava fare il punto almeno quattro o cinque volte prima di vincerlo per davvero, poiché lui arrivava sempre sulla palla, riuscendo spesso a rimandarla dall’altro lato della rete…

Così ci avviammo nuovamente negli spogliatoi. Io ero stanco morto e un po’ depresso per la cocente sconfitta. Lui invece aveva acquisito un discreto buonumore e mi cominciava a sfottere con le solite battute che propendevano verso la mia ridotta sessualità di mezzo uomo…

Mi adagiai pesantemente su una panca di legno e mi tolsi le scarpe. Ero stanco e, fosse stato per me, sarei rimasto lì almeno una ventina di minuti prima di riprendermi. Accanto, altri uomini si facevano gli affari loro (era infatti uno spogliatoio comune e non eravamo soli, io e il Gorilla).

Ma a un tratto una crescente sensazione di panico si sparse un po’ ovunque (e dapprima non si capiva da dove venisse). Della gente cominciò a sfrecciare in tutte le direzioni. Il Gorilla si allarmò, per primo perché quello era il suo club ed era lui il responsabile, bene o male, di tutto quello che accadeva. Vivemmo degli attimi di concitata tensione. Poi il Gorilla chiese «Ma che succede?! Qualcuno vuole farmi il favore di riferirmelo?!», e un tipo stile blob, la cui massa gelatinosa era simile a quella di un budino al caramello, gli disse, mentre fuggiva verso destra… «C’è uno con la pistola!».

Non ci fu nemmeno il tempo di domandare “dove?” che il tale in questione ci fu davanti. Aveva indubbi caratteri fisici orientali (era cinese o giapponese), era vestito di nero, aveva un volto allucinato (forse era drogato), e teneva quel revolver (che sembrava molto pesante) in pugno, con tutta l’aria che prima o poi l’avrebbe davvero utilizzato.

E infatti dopo che la sua attenzione fu catturata dapprima su il Gorilla e dopo su di me, che stavo perdendo il controllo della mia pigmentazione e passavo dal rosso, al blu, al giallo, senza soluzione di continuità, il tipo mi puntò la pistola alla faccia (ero a due metri da lui e mi sembrava vicinissimo) e fece per far scattare il grilletto. «Vi ucciderò tutti, super di merda!», disse.

Utilizzai il mio potere empatico per attuare un complicato stratagemma difensivo che adoperavo sempre qualora volessi confondere il mio avversario: gli feci così spostare la mira quel tanto che bastava per mancarmi. Il colpo esploso prese il Gorilla su di un braccio, ma io sapevo che per via della sua pellaccia dura difficilmente gli avrebbe prodotto danni seri. E infatti il proiettile lo scalfì solo, rimbalzandogli contro e terminando la sua corsa a terra.

Il giapponese allucinato sembrava sorpreso di avere sbagliato mira, ma pure consapevole del motivo del perché questo fosse successo. Mi si avvicinò allora minaccioso, intenzionato a riprovarci. Feci sbottare il mio potere al massimo grado e tentati di farmi consegnare la pistola. Ma avvenne una cosa inaudita e lui mi resistette (non era mai accaduto prima che qualcuno potesse riuscirci a quella distanza così breve; inoltre sentii il mio potere come se accusasse una ripercussione, un’eco, come se entrasse in risonanza con un potere simile o speculare… Avrei capito dopo di cosa si trattava).

Ma l’agire del mio potere, unito con la sua riluttanza mentale, produssero un cambiamento sostanziale nella sua psiche e lui, capendo che non sarebbe mai riuscito a premere ancora il grilletto verso di me, si sentì l’essere più miserabile del creato, lasciò sgorgare il suo vero io inadeguato e infantile, e si avvicinò la rivoltella alla tempia. Si voleva ammazzare, come un kamikaze fallito che non potesse più crear danni al suo avversario.

Tentai ancora di impedirglielo, ma lui si dimostrò per certi versi più forte di me e si spostò la canna della pistola dalle meningi alla base molle del mento. Poi mi guardò con i suoi occhi enormi e tristissimi e mi disse con fare piagnucoloso e melenso «Così sarò più sicuro di morire…».

Il Gorilla, comprendendo l’ardua lotta psicologica che stesse avvenendo tra me e l’attentatore, e che essa in qualche modo immobilizzasse e intralciasse non solo questi, ma anche me, cercò di intervenire presagendo come sarebbe andata a finire. Ma non fece in tempo a sfilargli quella dannata rivoltella dalla mano e a impedire il folle gesto.

Il giapponese matto si sparò in gola e io vidi i suoi occhi perdere luce e spegnersi per sempre (o almeno così credevo)…

Antonio muore


Antonio Tabucchi è morto.

Tecnicamente il migliore scrittore che conosca (anche se nei suoi romanzi questo non si vedeva quanto forse avrebbe dovuto).

Un grande intellettuale che si è sempre battuto in particolare contro il neofascismo.

E pensare che certi nani mafiosi, pedofili, corrotti e corruttori ben più longevi di lui invece ancora vanno in giro…

Il mio corpo mi ha tradito


Fino a tre mesi fa avevo un controllo maniacale sul mio corpo. Ed ero perfettamente in grado di stimare cosa fossi capace di fare e cosa non. Infatti non eccedevo mai e non venivo mai colto in castagna dal destino. Sapevo quello che mi potevo permettere e cosa non potessi…

Da un sintomo presagivo il male e vi provvedevo per tempo…

Ma da qualche mesi a questa parte ciò non è più vero… E se non mi sento in forma può parimente accadere che forzando trovi delle energie che prima mi erano del tutto invisibili, come pure che peggiori le cose. Alla stessa maniera, ci vuole un solo istante per me per passare da uno stato (che avrebbe dovuto essere) di serena affidabilità, ad uno in cui le energie mi scemano via come risucchiate da un diavolo maligno…

Dunque non ho più alcuna certezza nella vita. Non posso confidare nemmeno in me, nel mio corpo…

Supereroi per sempre: 1. Vecchie glorie


Non so come, quel giorno mi ritrovai a passare per il centro tennistico del Gorilla. Forse ero sovrappensiero, o forse sotto sotto avevo voglia di rivederlo, chissà, anche se sapevo che se mi avesse avvistato non avrebbe resistito alla tentazione di propormi una partitina a tennis, gioco per il quale stravedeva da quando, come me, si era ritirato dalla carriera supereroistica.

Il Gorilla era stato uno dei componenti originari della Lega dei supereroi, insieme a me, Sky Rocket, Purple Train, l’Uomo Titanico e Spiral Girl, ed era un tipo in gamba; nulla da dire, coraggioso e valente come eroe. Fattostà che però ormai il rapporto tra di noi si era incanalato su una via che comprendeva la battuta e il motteggio a oltranza, cosicché trascorrevamo praticamente tutto il tempo, ogni volta che ci vedevamo, a scambiarci scherzi filosofeggianti oltremodo offensivi e piacevolmente scurrili, i quali, vi assicuro, se da un certo punto di vista potevano rivelarsi assai divertenti e capaci di far passare noiose giornate che altrimenti sarebbero state molto grigie, da un altro punto vista avevano determinato la non sempre augurabile situazione che ci si sfottesse sempre e comunque, e anche su argomenti duri da digerire come la morte. Ancora avevo ben presente di quella volta che, non sapendo della meschina fine della sua fidanzata dell’epoca, la Fiamma Umana, osai fare l’ennesima battuta che poi si rivelò essere assai fuori luogo. Gli chiesi che fine aveva fatto la sua focosa ragazza e se ancora non si era consumata pienamente a forza di bruciare di rabbia per le sue inadeguatezze sessuali, e lui abbassò gli occhi e mi disse che il Freezer Lunatico l’aveva da ultimo rapita e poi ammazzata gettandola nella parte scura della Luna…

Da allora il nostro rapporto entrò in crisi, perché entrambi rimanemmo consapevoli di quello spiacevole accaduto e, a forza di rimandare di cercare di sistemare la situazione, l’avevamo infine così cristallizzata che oramai era impossibile, sia per lui che per me, di porvi un qualche rimedio, o anche solo una pezza. Era per questo che tendevo a evitare il Gorilla dalla data di quell’incidente. Ma oramai ero giunto proprio innanzi al suo club di tennis per supereroi ed era assai probabile che da un momento all’altro mi spuntasse davanti e mi fermasse chiedendomi di fare qualche scambio con lui.

Infatti fu quello che puntualmente avvenne. Udii scampanellare alle mie spalle e me lo vidi sulla sua due ruote (altro suo hobby da quando aveva appeso il costume al chiodo) venirmi incontro pedalando lento, senza mani, in maniera che la sua bici tendesse naturalmente a sfarfallare un po’ a destra e un po’ a sinistra, a seconda della pedalata.

Mi sorrise e mi chiamò come ormai solo lui mi chiamava, con quel vecchio nome che avevo subito rintuzzato appena spuntato sui giornali. «Camaleonte!», mi disse. A inizio carriera ero chiamato Camaleonte perché una delle mie caratteristiche era talvolta quella di cambiare il colore della mia carnagione a seconda dello stato d’animo che vivessi in quel momento, o che vivessero le persone a me attigue. In realtà non era proprio un potere, quello, diciamo che era più un mio attributo secondario (nella maggior parte delle volte del tutto inutile). Perciò ci tenevo che per la stampa io fossi sempre chiamato l’Empatico, dato che quello era il mio potere: comprendere e/o indurre delle sensazioni nella gente (cosa questa, sì, assai utile nella lotta contro i malviventi).

Ovviamente il Gorilla non aveva avuto molta fortuna invece con il suo nome. Glielo avevo infingardamente affibbiato proprio io, e con grande gusto, sapendo che lui un po’ ci si arrovellava, perché anche lui ne avrebbe voluto in sorte uno più moderno, o fico. E invero aveva provato a farsi chiamare prima Ercole e poi Sansone, dopo la sua conversione al Cattolicesimo e dopo il matrimonio. Peccato però che su quell’argomento ormai avessi già piantato semi che erano cresciuti diventando robusti, e ormai tutti non potevano non notare le sue gambe corte e secche e il suo petto enormemente sviluppatosi, il quale era il frutto di un esperimento genetico, riuscito solo per metà, che gli aveva, sì, donato forza e agilità sovrumana, ma lo aveva anche fatto ricoprire di pelo, facendogli aumentare pure l’aggressività. Questo almeno prima che cominciasse a prendere le sue medicine stabilizzanti, le quali tornarono a renderlo il mansueto cazzone sparacazzate di sempre.

Mi si affiancò con la bici e mi disse le solite frasi di rito, che ci facevo là e come stavo, e io gli risposti tutto okay. Non passarono cinque secondi che mi chiese se mi andava di fare una partita. Provai a tirarmi indietro dicendogli che ormai ero vecchio anche per il tennis, ma lui chiaramente insistette.

In quel momento notai una cosa assai insolita. Sul tratto che entrambi percorrevamo vidi a distanza di pochi metri ben tre gomme da cancellare. Erano bianche e abbastanza nuove, ma non totalmente. Qualcuno doveva averle perse chissà come (forse un padre che, venendo al circolo, si era portato appresso anche la cartella del figlioletto che ancora faceva le scuole elementari?). Senza pensarci le raccolsi e me le misi in tasca. Il Gorilla non mi disse nulla e anzi mi incoraggiò. Mi disse che gli facevo pure un favore se le prendevo io perché comunque lui le avrebbe dovute raccogliere per poi buttarle nella spazzatura. Inoltre il Gorilla, conoscendomi bene, sapeva di quella mia mania per le gomme da cancellare. Stranamente, fin da piccino, dall’asilo, quando mi capitava sotto mano una gomma da cancellare, non potevo fare a meno di rubarmela (e per fortuna che da adulto mi capitava solo saltuariamente questa cosa, altrimenti forse avrei avuto la grave infamia, io, un supereroe molto celebrato e con una grande carriera alle spalle, di finire in galera per… un articolo di cancelleria da pochi centesimi!).

Il Gorilla premeva troppo per la partita (non vedeva l’ora di stracciarmi, poiché doveva sapere che le nostre differenze fisiche sul campo da gioco sarebbero state lampanti ed evidentissime, come se un bambino avesse affrontato un adulto). Oramai ci sarebbe rimasto troppo male se non avessi accettato. Così feci lo sforzo di acconsentire per passare un paio d’ore in sua compagnia.

Le bugie dello scrittore


Vorrei porre l’accento su un concetto imprescindibile della letteratura: non esistono storie vere. Lo scrittore finge sempre, anche quando dice il vero. Anche quando racconta la verità. E questo perché? Perché che cosa è davvero la verità? Forse una lunga elencazione di fatti oggettivi? Nossignore. Non solo. E se pure quella elencazione fosse esaustiva, cioè completa, anche allora non saremmo di fronte alla verità. Infatti… cosa è la verità nella vita di un uomo? È una commistione di fatti ed emozioni che egli prova. Quindi è una verità per forza di cose soggettiva. Ma anche se per qualche ragione si riuscisse a distillare da essa una verità oggettiva, ci ritroveremmo sempre al medesimo punto di partenza, di dover descrivere, rendere conto di fatti, situazioni, accadimenti i quali per essere descritti dovrebbero essere esposti in una serie infinita di parole. Dunque qualsiasi realtà letteraria è come se fosse solo uno dei possibili scenari paralleli che un autore può dispiegare per narrare una certa storia, la quale può essere narrata per l’appunto in infiniti modi.

Molto spesso accade che un autore racconti una storia parzialmente o completamente autobiografica e che puntualmente qualcuno si offenda per quella storia, asserendo che essa è falsa, o non completamente vera dal loro punto di vista. Ma ciò, come detto, è molto sciocco che avvenga. Proprio per i motivi che ho appena citato…

Dunque, se qualcuno vi dedica una storia, non vi offendete. Al più penso che dobbiate esserne contenti. Parola di creatore di storie.