1.
Erano passati molti anni. La congiura non esisteva più. In qualche modo lui l’aveva sconfitta. O forse sarebbe più corretto affermare disinnescata. Infatti era riuscito a far sì che essa, semplicemente, perdesse d’interesse per lui, probabilmente focalizzandosi su qualche altro disgraziato, poiché essa necessitava sempre di nuova gente da fagocitare nei suoi oscuri ingranaggi, gente che doveva spezzarsi sotto il peso di quell’angoscia tanto insopportabile e insostenibile.
Nemesis ne era uscito. Anche se questo non voleva dire che era riuscito a prendersi la sua vendetta, o che i congiuranti e i loro obnubilati scopi fossero stati estirpati una volta per tutte.
Nemesis si era contentato di fuggire. Per sopravvivere, aveva trovato questo compromesso. E la congiura non era più un suo problema. In verità, qualche volta, a immaginarsi i poveracci ai quali ora toccava quel destino che una volta era stato il suo, si angustiava assai; e allora si sentiva un vigliacco, per essersi estraniato dalla lotta. Tuttavia, questo, era un pensiero fugace che gli baluginava solo saltuariamente nella mente, perché in definitiva, quel suo scantonamento, non solo se lo era costruito passo dopo passo con molta difficoltà, ma indubbiamente se lo era meritato. Chi, se non lui, si meritava di vivere il resto della propria esistenza in totale pace, fosse stata pure una pace piatta, talmente pregna di noia da accompagnarlo fino alla fine dei suoi giorni?
2.
Così Nemesis non sapeva più nulla dell’ignobile complotto compiuto ai suoi danni; come pure di coloro i quali erano stati sicuri partecipanti a esso. Non sapeva più nulla di Occhi di Serpente e di Mr Pera, né dell’Elfa Kitty, o dell’Uomo Nero. Erano tutti scomparsi; si erano celati al suo sguardo, ma sopratutto si era celato lui al loro. Solo il fato delle due spie a lui più vicine gli riverberava in verità ogni tanto nell’anima con una punta di godimento. Infatti nel loro caso focalizzava con divertimento il triste (ma non per lui) destino avuto dalle due spregevoli donne conniventi. Rammentava con giubilo di come quel giorno aveva letto sul giornale della smilza, trovata brutalmente ammazzata all’interno di una discarica di rifiuti. La sua salma aveva rischiato seriamente di essere triturata e bruciata come solitamente accadeva per tutti i rifiuti in loco. Solo la solerzia di un operatore ecologico aveva salvato le sue spoglie da quella fine atroce. Cosicché i parenti del suo paese riuscirono a farsi restituire il corpo per celebrare un rispettoso funerale ecclesiastico in cui venne elogiata come fosse stata una povera martire santa.
La polizia aveva indagato sulla sua coinquilina. Ma della cicciona si scoprì che si erano parimente perse le tracce. Essa era diventata quindi la principale indiziata di quel truce delitto. Solo molti mesi dopo venne ritrovata anch’essa, e si scoprì che forse aveva avuto una fine ben peggiore della sua amica e collega. Ma a dire la verità fu trovata dapprincipio solamente una delle sue gambone, per la precisione dal ginocchio in giù, fino al piede, nel fiume della città nella quale lei risiedeva. Quando il fiume fu dragato, vennero ritrovati gli altri suoi ributtanti pezzi, i quali invero per la maggior parte erano stati ampiamente rosi da ghiotti ratti che, trovandosi di fronte a tanto ben di dio, dovevano aver banchettato prelibatamente per mesi.
Così anche la cicciona era stata rinvenuta e la polizia stabilì che probabilmente chi l’aveva uccisa doveva aver fatto fuori anche la sua amica smilza. Nemesis trasaliva di gioia quando pensava che entrambe avessero avuto la sorte che meritavano. Fu molto contento che la polizia non pensò a lui come responsabile dei delitti. D’altronde era da tempo che con le due non aveva più avuto alcun tipo di rapporto…
3.
Pertanto la congiura non esisteva più, o almeno non dava più incomodo a lui, il quale comunque ne era rimasto fortemente segnato e conduceva ormai una vita assolutamente riservata, occultata alla vista di tutti. Si era trovato il quartiere meno popoloso della città e di esso aveva scelto di abitare nell’edificio ancor meno frequentato. Usciva di casa prevalentemente con il buio, quando la probabilità che incorresse in altre persone era più bassa. Se per caso gli bussavano alla porta (eventualità che non si verificava da lustri, l’ultima volta era stato un venditore di enciclopedie porta a porta di Geova), lui non solo non rispondeva, ma neppure guardava dallo spioncino, per non correre il rischio di rimanere turbato da ciò che avesse potuto vedere (non voleva più che si materializzassero davanti ai suoi occhi dei mostri scimmieschi, come una volta gli era accaduto).
In casa sua c’era quasi sempre un buio pesto e le persiane e le finestre erano sempre posizionate in modo che da fuori non si ci potesse impicciare di cosa accadesse dentro. Dunque anche eventuali vicini ficcanaso erano sistemati. A dire il vero la maggior parte di essi immaginavano che in quella casa non ci vivesse nessuno, se non saltuariamente al massimo uno sbandato, o un mezzo barbone. Nessuno sapeva che Nemesis aveva acquistato degli occhiali a infrarossi tramite i quali si muoveva a piacimento in casa sua anche nell’oscurità più profonda, e sopratutto non dimenticandosi di controllare che fuori altri non facessero altrettanto.
La giornata di Nemesis era piuttosto monotona. Faceva un po’ di esercizio fisico; poi si metteva seduto, o a letto. Cucinava, faceva le pulizie e la spesa, ma gli avanzava comunque molto tempo libero. Così, dato che sapeva che facendo “qualcosa di personale” avrebbe potuto ridestare la congiura su di sé (quella congiura che attualmente era dormiente, ma che avrebbe potuto risvegliarsi ancora se lui gliene avesse offerto l’occasione), non poteva disegnare e sopratutto non poteva scrivere; non si sognava di “pavoneggiarsi” in alcuna maniera. In parole povere, si immaginava come fosse stato ancora su un palco, visibile a tutti. Ed era per evitare che lo si guardasse che aveva attuato la tecnica di annoiare i suoi eventuali dissimulati osservatori.
La televisione e la radio gli davano uggia e considerava internet un altro demone pari ai precedenti. Si concedeva solamente la musica. Quella era la sua unica amica e alleata e medicina. Per questo aveva collezionato migliaia di titoli musicali di tutti i generi i quali ascoltava quasi incessantemente dalla mattina alla sera, come sottofondo o come vero e proprio centro del proscenio della sua vita, vivendo delle emozioni che le canzoni gli suscitavano.
Ovviamente la sua paranoia aveva liquidato ogni forma di contatto umano avesse potuto avere. Quello non era stato molto difficile da realizzare. Aveva solo dovuto continuare sulla strada già intrapresa nei primi mesi in cui la congiura si era materializzata. Così si era eclissato senza dire una parola a nessuno e aveva fatto in maniera che le sparute persone che ancora avessero potuto considerarlo come amico lo credessero lontano, o troppo indaffarato, o anche poi non così “meritevole” come si erano creduti un tempo.
Nemesis si ritrovava a cinquant’anni con i capelli ormai imbiancati, senza uno straccio di persona accanto a sé. E il suo male corrodente non si chiamava più “congiura” o “paranoia”, bensì “malinconia” o “solitudine”.
Difatti l’unica questione che ormai lo tormentava era una solitudine sorda. Mai avrebbe immaginato che un giorno si sarebbe ridotto a quel modo. Lui che aveva debellato la congiura, lui così indipendente; lui che si era scoperto così fragile e desideroso di contatto umano: anche lui, come gli altri.
Quel male lo consumava da anni. Eppure lui sentiva che ormai non poteva più porvi rimedio. In primis perché non si fidava di nessuno. Ma anche perché per lui ormai sarebbe stato troppo complicato stabilire delle relazioni reali con altri esseri umani, relazioni che non si sentiva in grado di portare avanti poiché temeva che gli avrebbero succhiato via quell’appartata, costante, piacevole inerzia nella quale era sprofondata la sua vita.
Sentiva di esser come su di una torre dalla quale poteva osservare invidioso il resto del mondo e desideralo, ma nella quale non avrebbe potuto far salire nessuno; né invero nessuno sarebbe mai salito seppure avesse voluto poiché lui da ultimo sarebbe sembrato troppo “mostruoso” a coloro i quali pure avrebbero potuto giungere, intrigati dalla sua diversità.
Nemesis era ormai condannato alla solitudine eterna. Era quella la sua pena da scontare. Era quella l’eredità che gli aveva lasciato in dono il potersi liberare dei lacci della maligna congiura.
4.
Eppure Nemesis doveva pur fare qualcosa per riassaporare la propria umanità… Ma cosa? La soluzione la trovò il giorno che udì provenire da balconi non molto distanti da sé una voce femminile di buona fattura che parlava al telefono con un’amica. In quel momento pensò che sarebbe stato bello se quella persona avesse pronunciato il suo nome invece di quello che diceva. Perché in fondo a lui sarebbe bastato solo quello: che qualcuno (preferibilmente una donna, se poteva scegliere, perché così avrebbe compensato anche quell’amore che non sperimentava più da decenni) avesse pronunciato il suo nome con tenerezza e magari trasporto.
Quella folgorazione agitò la sua mente per giorni interi prima che riuscisse a trovare il bandolo della matassa. Poi un dì capì come avrebbe potuto fare. E allora si mise in contatto con uno dei numerosi servizi telefonici professionali che vendevano qualsivoglia di prestazione, dal telefono amico, alle linee hot, ai servizi commerciali. E si accordò con un’agenzia affinché ogni giorno venisse chiamato; all’inizio una volta al giorno, poi, quando si rese conto che il servizio funzionava bene, diede mandato di chiamarlo più volte al giorno e pure la notte, senza alcuna cura dell’ora. Anzi, le telefonate che riceveva a notte fonda a sua sensazione erano quelle che poi finivano per essere le migliori, perché esser destato dal sonno da una bella voce che pronunciava il suo nome aveva il potere di infondergli un senso d’amore e di letizia che lo accompagnava per ore.
Le telefonate che riceveva non erano affatto normali. In esse non si svolgeva alcuna conversazione. Aveva infatti dato istruzioni precise che dovesse essere pronunciato solamente il suo nome, più e più volte, con un tono dolce, talvolta interrogativo, altre volte esclamativo, altre volte ancora come si stesse conversando abitualmente. E dopo al massimo due minuti si doveva attaccare e porre fine alla chiamata.
In seguito a una sperimentazione di alcuni mesi, Nemesis fece in modo di selezionare le voci che gli lasciavano una sensazione più gradevole. Scelse così quelle che gli parevano più belle e quelle che si accordavano maggiormente alla melodia del suo nome, ma anche quelle che pronunciandolo vi infondevano maggiore passione, sincerità, o tranquillità. Quelle che gli davano l’illusione che davvero lo amassero molto, per ciò che lui era davvero, qualsiasi cosa fosse ormai diventato.