Impugnava il suo lungo bastone raccattato in giardino e cominciava ad agitarlo gridando quel mantra proibito che, così ripetuto, aveva il potere di scacciare i bambini dell’asilo che per gioco venivano ad assediare la nostra fortezza segreta. «Cazzo! Cazzo!» diceva, e ammetto che incutesse un certo rispetto se non proprio timore. Lui era più bravo di noi in quella cosa (come pure in molte altre) e nonostante noi provassimo ad imitarlo, il risultato ultimo non era mai il medesimo perché, per quanto ci impegnassimo, i bambini piccoli non avevano davvero paura di noi altri due, me e Bruno, e si vedeva che solo lui, Michel, il migliore di noi, il più carismatico, poteva scacciarli.
Loro lo volevano. Volevano che fosse lui a farlo perché era il più efficace a fargli provare davvero quel certo brivido che si ha sull’altalena quando si chiudono gli occhi: un rizoma di paura autentica, di possibile estinzione poiché si sentivano di fronte a qualcuno o qualcosa che metteva davvero a repentaglio la loro vita (per finta).
Io mi prodigavo nelle mie facce più serie e spaventose ma osservavo quei bambini sghignazzare e ignorarmi quasi totalmente. Doveva allora giungere Michel di corsa a far loro spavento scacciandoli fuori. E poi ci diceva: «Dai! Datemi una mano! Non posso pensare a tutti io! Cazzo!» perché anche dalla parte di Bruno (che pure era più rude di me) essi avevano sconfinato, e a Michel gli toccava di tappare anche quella falla. Ma in fondo lo sapeva pure lui che noi due al suo confronto eravamo solo comparse, o al massimo suoi fedeli compagni; cosa che comunque ci esaltava perché Michel era un treno di entusiasmo per la vita.
Michel fu con noi solamente un anno, ma già da subito calamitò su di lui tutte le attenzioni dei compagni integrandosi in un battibaleno. Era molto intelligente e la maestra non faceva che decantarne le lodi. «Michel di qua… Michel di là… Ma che bravo che è Michel!», diceva. E noi tutti lo stimavamo oltremodo, mentre qualcuno (tra cui anche io, che all’epoca ero molto superbo) lo invidiava perché voleva essere lui il migliore.
Dunque in classe si scatenava sempre una gara a chi rispondesse prima e meglio alle domande della maestra. E i “bravissimo” si sprecavano essendo essi, in verità, mietuti un po’ da tutti.
Sennonché un giorno facemmo una statistica e venne fuori che io ero quello che rispondeva meglio in assoluto. Ciò mi colmò di gioia, mentre Michel parve infischiarsene che gli avessi soffiato quel primato di cui evidentemente non sapeva che farsene…
Col senno di poi, adesso che sono adulto, posso dire che non sono sicuro che Michel fosse poi tanto speciale e straordinario anche dal punto di vista dello studio, per quanto l’insegnate sembrasse assai sincera ogni volta che lo lasciava intendere. Forse c’era dell’altro: un segreto su Michel che noi non sapevamo, ma che lei custodiva. Forse Michel veniva da una strana situazione familiare; forse aveva avuto qualche serio problema in passato; forse era diabetico; forse fu per quello che rimase con noi solo quell’anno e poi cambiò scuola, e di lui non si seppe più niente. Forse la maestra lo incensava oltre che per i suoi evidenti meriti, anche perché riteneva che Michel andasse gongolato un poco, tirato su.
Fattostà che Michel era il bambino più eccentrico, fantasioso e spiritualmente ricco di tutti. Inoltre non amava appiattirsi a giocare sempre a pallone, come facevano quasi tutti gli altri (seppur, quando lo faceva sapesse essere un calciatore appassionato e valente come e più di altri). Per questo aveva la mia stima incondizionata e gli stavo sempre appiccicato, sperando che inventasse un gioco nuovo, alternativo alla predominanza generale.
Ricordo che adorava la cioccolata. Per colazione si portava sempre appetitosi panini farciti sia con la cioccolata bianca che nera! E non serve dire che lo ammiravo anche per quello perché, mentre io mi dovevo sorbire paninozzi assortiti con insaccati sempre troppo presenti o troppo poco (che non mi andavano né su né giù), lui poteva godersela con il “dolce”! Poi magari annaffiava il tutto con un bel succo di frutta, mentre io mi contentavo della mia misera boccettina d’acqua.
Michel insidiò addirittura la mia crescente fama con le bambine e divenne, di conseguenza alla predilezione della maestra, pure il preferito di ogni singola piccola figlia d’Eva presente nella classe. Ricordo come Monique amasse inseguirlo in giardino con quella aulente faccia sorridente da pre-cocotte (delle volte si vede fin da piccoli quello che uno diventerà…). A ogni modo l’anno seguente sarei diventato io il suo preferito rifacendomi ampiamente di quella prominenza che in quel momento essa e le altre ragazzine non mi accordavano…
Michel idolatrava i cartoni animati giapponesi, in particolare quelli con i robottoni. Ma il suo programma preferito in assoluto era Megalomen. Quando giocavamo infatti spesso lo interpretava con ardore e ai nostri occhi si trasformava realmente in quel protettore dell’umanità contro i malvagi. Qualche volta a Bruno toccava comicamente di impersonare il mostro cattivo che finiva per soccombere; questo, per poterlo vedere all’opera, nell’intento di scattare e fare tutte le mosse tipiche del personaggio (combinate con acute invocazioni vocali di armi innovative e tecniche superpotenti genialmente ideate dallo stesso Michel).
Michel abitava lontano ed era uno dei pochi che prendeva la “riservata” numero uno, quella che arrivava alle porte di Parigi, al nord. Un giorno eravamo proprio in attesa delle “riservate” che ci riportassero a casa, quando gli accadde quella cosa che avrebbe potuto essere molto più pericolosa di quanto si rivelò poi: quella cosa che gli fece rischiare la vita.
Era stato per tutto il tempo a giocare con una moneta. Non so perché aveva cominciato a mettersela in bocca: forse per sorprenderci, per farci vedere che aveva il coraggio di farlo. A un certo punto però, giunti per l’appunto a fine giornata, mi guardò con un’espressione rapita e spaventata e mi confessò di averla… ingoiata. «L’ho mandata giù…», mi disse terrorizzato dal suo gesto. Ma io pensai fosse un suo ennesimo scherzo per attirare l’attenzione (delle volte ne faceva assai di scherzi, e poteva condire le sue dissertazioni con colorate bugie che ormai tutti gli condonavano. Sapevamo che era un contaballe di prima categoria. Però ci era simpatico anche per quello). Così non detti alcuna rilevanza alla sua faccia estremante verace e gli risposi: «Sì… Sì…», certo che mi avesse mentito anche quella volta.
Michel si allontanò lentamente camminando altrove, muovendo due o tre volte consecutive il gargarozzo, che si lambiva con una mano. Il giorno dopo non venne a scuola e io dapprima non feci alcun raffronto con quello che era successo. Ma poi, quando tutti ci interrogammo chiedendoci cosa gli fosse successo, ricordai l’accaduto e lo riferii ai miei compagni. Ma nessuno di loro credo ci dette troppo peso.
Il giorno ancora dopo Michel si ripresentò in classe. Era tutto felice come al solito e la maestra ci disse con fare solenne che il giorno prima Michel aveva avuto l’imprevisto della moneta ingoiata mentre effettuava uno dei suoi giochi di prestigio. Il resto ce lo fece spiegare dallo stesso Michel, il quale ci informò che dopo quella ammissione ai suoi genitori, questi lo avevano subito portato al pronto soccorso, dove gli avevano fatto la lastra allo stomaco e si erano accorti della moneta. Quindi avevano deciso di intervenire immediatamente, infatti, ci disse la maestra ammonendoci, è molto pericoloso ingoiare del metallo, perché poi esso si corrode con le secrezioni gastriche e buca lo stomaco.
«E come te l’hanno tolta la moneta dallo stomaco, Michel?», gli chiese sorridendo per imbeccarlo la maestra, che già sapeva la risposta. E lui ci disse imperturbabile che avevano usato una calamita. Gli avevano fatto scendere per il cavo orale e tutta la laringe, fino allo stomaco, una piccola calamita attaccata a un filo, e poi l’avevano tirata su con la monetina attaccata. A dirlo sembrava facile e mi parve che Michel avesse preso il tutto come l’ennesima avventura della sua vita. Ma io intuivo fosse stato molto più complicato di quanto affermava, e al sol pensiero già avevo le forze di stomaco.
Quando ci ritrovammo soli, a quattr’occhi, in qualche maniera volli scusarmi con Michel per non avergli dato peso nel suo momento di difficoltà, quando invece avrebbe avuto bisogno del supporto di qualche amico. Gli dissi che pensavo che scherzasse quando mi aveva riferito di avere ingoiato la moneta. Ma lui neppure ci aveva fatto caso. Infatti si era già fiondato nel suo bel mondo di fantasia, a ideare un nuovo gioco o a credersi Megaloman.
L’anno dopo Michel non si presentò più in classe e nessuno ci disse che fine avesse fatto. Chissà dov’è oggi Michel…