Esser guardati come una donna

Comprendo bene quando una donna mi guarda. Sono abbastanza piacente. Per cui è normale che le donne mi desiderino, siano allettate da me. Però non mi spiego perché anche gli uomini lo facciano! È disgustoso! E non è che mi guardino per curiosità o chissà quale lecita motivazione: no, mi guardano con sguardi laidi, come volessero possedermi, come fossi una donna, come fossero tutti una massa di pederasti che solo per facciata sposino donne ordinarie più o meno attraenti. E tutto ciò è incredibile perché allora vorrebbe dire che quasi tutto il mondo maschile è contaminato da questa rivoltante peculiarità.

Ma sembra che sia il solo a esserne consapevole. Sembra che nessuno lo noti, neppure le donne al fianco di questi disgustosi omosessuali-bisessuali. Se solo non mi guardassero con quella nauseante bramosia, non avrei nulla da ridire perché ognuno può nutrire i sogni erotici che vuole purché non arrechi danno ad alcuno. Ma non è così, e osano guardarmi con quegli occhi di brace, pure mentre sono accanto alle loro inconsapevoli, sciocche donne. Mi guardano come fossi una sgualdrina qualsiasi che mostra loro le tette, mentre io al massimo posso contraccambiare il loro abietto sguardo con un’espressione di profondo biasimo o anche di odio purissimo, per avvertirli di starmi alla larga altrimenti potrei anche reagire, un giorno.

DOT: La ragazza con il nasone 2

E un altro giorno ancora…
La ragazza con il nasone mi si è di nuovo seduta davanti, stavolta decisamente più vicina della volta scorsa. O almeno mi sembra che sia quella ragazza col bel corpicino che però era rovinata dalla sua proboscide: quella che a un tratto mi aveva guardato severamente volendomi comunicare chissà cosa, volendomi intimidire, la stronzetta.
Però, se anche è lei (non ne potrò esser certo neppure quando me ne andrò), molte cose sono cambiate. Per primo, dato che fa freddo, è molto più trapuntata di allora, per cui, non è più in grado, tramite la sua nudità spinta, alla quale ha dovuto rinunziare, di suscitare né in me né in nessun altro alcuna impressione dissoluta.
Poi, anche i suoi capelli hanno qualcosa di diverso… Ricordo che l’altra volta, per il caldo, li teneva legati. Invece stavolta li ha sciolti. E devo dire che non le stanno affatto male. Ondulati, neri, e quasi ricci, che le arrivano non oltre le spalle. Però, quel suo nasone (sarà che ce l’ho proprio davanti e mi si presenta esattamente di profilo) finisce irrimediabilmente per deturparla, anche più della volta scorsa. Dunque stavolta davvero non la guardo neppure per un secondo. E quando lei tenta di riproporre quel suo giochetto perverso del fissare intensamente qualcuno sperando che chi è fissato la riguardi, non le capitolo e non la degno di alcuna corrispondenza. Ben le sta!, dopo il raggiro che mi ha tirato l’altra volta. Io non dimentico, stronzetta.
La misera tapina sbadiglia, si stiracchia, tenta di sobillare la mia attenzione in qualche altro modo, ma fallisce, sempre. A proposito: c’è una cosa da dire. Non è solo lei a essere cambiata nel frattempo, ma anche io. E il mio look invernale è decisamente più affascinante di quello estivo, nel quale la mia magrezza finisce per farmi passare per un ragazzino tisico invecchiato precocemente. Ecco perché dunque lei mi spasima tanto. D’inverno sono proprio un gran fico!
Addio ragazza col nasone! Non hai più alcun potere su di me, sempre ammesso che tu ne abbia mai avuto almeno un cincinino.
Le tocca di sprofondare lo sguardo in quel libro che quest’oggi le risulta noiosissimo, in cui ogni pagina, per esser oltrepassata, deve esser letta più e più volte. Gioca un po’ con il cellulare ma, anche lì, cattive notizie: nessun bel ragazzo si è interessato o ha chiesto di lei. Rassegnati.
La volta dopo…
Rincontro la nasona. Fa più caldo, per cui può di nuovo sfoggiare quei sui completini che la lasciano mezza nuda. Almeno di questo sarà contenta…

Rinunzie

Rinunziai alla bellezza perché, mi dissi, le donne belle sono troppo difficili da conquistare. Hanno un mucchio di spasimanti che fanno incessantemente loro la corte. E poi, anche dopo la conquista, non sarebbe stato per nulla semplice tenerle con me. Le ragazze belle hanno una visione del mondo troppo incentrata su loro stesse ed è assai difficile andarci d’accordo. Quella fu la prima rinunzia: la bellezza.
Rinunciai appresso alla sincerità, perché mi resi conto che le ragazze mentivano sempre perché avevano sempre qualcosa da nascondere sentendosi assai inadeguate rispetto all’altro sesso e pure alle altre donne. Dunque era quasi una crudeltà pretendere che loro non mi mentissero dicendomi ogni volta la verità. Sarebbe stato come snaturarle, violentando la loro essenzialità più vera. Per questo rinunziai alla sincerità.
Ma rinunziare alla sincerità andava a braccetto con rinunziare alla fedeltà. Le ragazze sono sempre così problematiche, poverine. Non lo fanno apposta. Per questo hanno bisogno di continue conferme. Per questo sono infedeli e promiscue. Non lo fanno mica con cattiveria. Anzi. Più amanti hanno e più ciò è indizio della loro insicurezza. E io dovrei essere l’orco di vedute ristrette che le coarta a stare con me e solo con me, come avessero le catene? No, io non voglio essere quell’orco che le fa stare tanto male, che restringe le mura delle loro fantasie facendole sentire in prigione. Per questo rinunziai anche alla loro fedeltà.
In seguito rinunziai all’intelligenza. Infatti, a cosa serviva avere accanto una ragazza intelligente se le mancavano altre doti? No, l’intelligenza era una qualità superflua, in fondo. In fondo si sarebbe potuto star bene anche con un mucchio di ragazze stupide. Meglio una stupida con cui stare bene che una intelligente con la quale non si condivide nulla a livello emotivo. Le ragazze troppo intelligenti vivono su un altro pianeta ed è impossibile indovinare i loro desideri, anche quando te li dicono. Hanno valori troppo differenti dai miei e tendono alla depressione e a un’eccessiva serietà. Meglio rinunziare all’intelligenza allora! Lo feci a cuor leggero.
Non passò molto che rinunziai anche alla simpatia. Anche quella non era una dote fondamentale che dovesse avere una ragazza. Ragazze simpatiche? Sì, magari lì per lì ti diverti, ma poi, quando si fanno i conti, che cosa rimane di una ragazza simpatica se ti rendi conto che quella è davvero l’unica cosa che ti può dare? E poi alla lunga quella simpatia finisce per scolorire anch’essa. No, a che ti serve farti due risate se poi magari quella ti tradisce, è tragicamente idiota, bugiarda e totalmente inaffidabile (anche se ho rinunciato già alla sincerità, alla fedeltà e all’intelligenza)?
Per un periodo pensai che la spensieratezza fosse una dote che doveva possedere la mia ragazza. Ma non era così, nonostante più volte avessi riscontrato come fosse impossibile stare con ragazze troppo tristi che al massimo non potevano che attaccarti la loro tristezza. Per questo avevo pensato fossero da preferire le ragazze spensierate. Il fatto però era che quelle troppo spensierate avevano la testa sulle nuvole, vivevano in un mondo tutto loro, fuori dalla realtà. Erano talmente sconclusionate che con loro si avrebbero avuti problemi anche solo a decidere che cosa mangiare al ristorante e dove andare…
Una delle ultime rinunzie che feci fu il sesso. A un certo punto infatti mi accorsi che fare sesso con una ragazza dava più grane che soddisfazioni. Okay, a parte la mera soddisfazione sessuale che poi durava, stringi stringi, pochi secondi, quando c’era, e se non era troppo corta o troppo lunga, sempre sperando che per entrambi avesse raggiunto più o meno la stessa intensità; a parte questo, c’erano un mucchio di complicazioni da considerare o anche lati negativi. Vogliamo fare un rapidissimo elenco delle questioni fortemente sensibili a rischio di mandare tutto a puttane? La sua soddisfazione sessuale, che in certi periodi veniva raggiunta all’istante, in altri era complicata come spedire un fottuto razzo sulla luna; il mistero dei preliminari (quando li voleva e quando no); la mia eiaculazione precox (ogni uomo sa che prima o poi gli tocca, non c’è nulla da fare, ma vaglielo a spiegare a una donna, che ti taccerà subito di impotenza più o meno latente); le posizioni; quando farlo e come farlo; i suoi mal di testa posticci. I suoi piedi gelati. I suoi momenti in cui lasciandosi andare ti abbatte la libido e rimani a chiederti: oh mio dio, ma per quale motivo devo fare questo immane sforzo di trombarmi questa tipa che, senza trucco (trucchi), ha questa faccia qua che sembra che mi accusi di qualcosa e nemmeno so di cosa?!… Il modo in cui guardava quando lo facevamo. Come guardava la parete come pensasse alla spesa da fare (come stesse facendo uno sforzo per ricordare quella cosa che doveva assolutamente comperare); oppure le volte che chiudeva gli occhi tenendoli stretti stretti come fosse lei a non voler vedere la mia faccia… Oppure la sua arte annichilente: come potesse tirar fuori un argomento in grado di distruggere l’eccitazione maschile come niente altro; e lo fanno apposta anche se loro giurano che non è così. Come quando tu stai lì tutto preso a pensare: okay, tengo, tengo, tengo, vado dritto duro fino in fondo stavolta, e allora ti stai anche immaginando di scoparti Monica Bellucci, tanto per ringalluzzire l’attrezzo, e lei se ne esce con… sua madre. E quell’immagine immonda che tu odi come potrebbe non avere effetti devastanti su quello che tanto difficilmente si sta tentando di fare? A quel punto non puoi che pensare che ti stai trombando la figlia di quella donna schifosa, la versione giovane di quella donna; nondimeno un giorno la tua versione sarà esattamente uguale a quella vecchia e allora ti renderai conto che sei stato un grandissimo coglione a farti infinocchiare con una donna così bisbetica, così come era stato un grandissimo coglione il coglione prima di te, cioè il padre della tua ragazza nonché marito della vecchia strega… Così, anche se vorresti non dargliela vinta continuando a tentare l’impossibile e cioè scopartela nonostante quell’inopportuna evocazione maligna, sei lì con il membro dentro lei e pensi che ti stai trombando quella ragazza tanto simile a sua madre, uscita dalla vagina di quella donna insopportabile…
Beh, potrei andare avanti per ore sul perché alla fine decisi di rinunziare al sesso. Solo questo argomento prenderebbe centinaia di pagine e pagine, e non arriverei a terminare mai il discorso. Per questo mi fermo qui…
Una volta rinunziato al sesso, mi chiesi: che cosa mi rimane di una ragazza, se non facciamo sesso e ho già rinunziato a un sacco di altre cose che avrebbe potuto darmi? Allora mi dissi: beh, è sempre un essere umano la ragazza con cui mi accompagno, no? Non potremmo quindi essere “amici”? Ma mi zittii subito. No! Impossibile! Una donna non potrà mai esserti amica perché non è nel loro DNA esserlo. Guarda per esempio come esse si trattano tra loro. E come mai potrebbero essere amiche con persone di una razza differente se con quelle della loro razza (cioè con le altre femmine) non riescono minimamente a essere davvero amiche nonostante le facciate di circostanza?
Ma non è che abbia rinunziato ad averle come amiche. Perché in realtà questa ipotesi non l’ho mai contemplata sul serio. Bensì ho rinunciato a farci due parole. Perché in fondo, resomi conto che avevo rinunciato a tutto, mi sono accorto che avevo accanto delle sconosciute con nessuna cosa in comune con me, troppo differenti per poterle trattare come un mio pari. Non siamo d’accordo su niente, né mai lo saremo. Per questo rinunziai a scambiare due parole con loro…
Beh, è facile capire come andò poi, quale fu il passo successivo. Una volta rinunziato anche a parlarci, dopo aver rinunziato a tutto il resto, un giorno non mi rimase che convenire che non c’era più nulla che mi potesse fornire un qualsiasi motivo per rimanere con loro. Così feci il grande passo e rinunziai alle ragazze. A tutte.
Ma ero un cuore tenero, io, anche se non sembra, e volevo ancora ostinarmi a credere nell’amore per cui… mi guardai un po’ intorno e decisi di provare a passare… agli uomini. La mia fu una scelta per nulla dettata dalla cupidigia erotica, tutt’altro, fu una decisione completamente fredda e scientifica. Infatti con gli uomini sarei stato in grado di parlare, pensavo, comprenderli, di non avere alcun segreto dato che erano esattamente come me, no? Questo pensai cominciando ad avere relazioni con gente del mio stesso sesso…
Che amarezza quando mi resi conto che non funzionava neppure così! Che neppure le tante cose in comune con gli altri ragazzi potevano saziare  quell’apparentemente semplice desiderio di amore che sentivo di avere nel fondo del cuore… No, neppure con loro funzionò perché scoprii che non era tanto una questione di uomini o donne, né tanto meno di caratteristiche o peculiarità dei singoli. Si trattava di un’insormontabile questione di egocentrismo. L’egocentrismo insito in tutti gli esseri umani avrebbe sempre impedito loro di trarre soddisfazioni dalle relazioni che essi avrebbero intrattenuto. Non c’era speranza! E quella era una tautologia…
Fu per questo che infine rinunzia a una rinunzia messa in atto molti anni fa e tornai a farmi le pippe. E da allora trovai tutto quel cercavo. Qualcuno che mi amava, che mi conosceva a menadito, che faceva sempre il mio bene e che mi faceva godere esattamente come, quando e quanto volevo. Qualcuno con cui parlare che mi dava sempre il massimo della sua attenzione. Qualcuno estremamente ironico esattamente orientato come me, su tutto, su qualsiasi cosa. Un sogno! Così, dopo aver rinunziato a quasi tutto tranne che all’onanismo, potei trovare finalmente quella felicità tanto agognata che non sapevo proprio dove ricercare, che, erroneamente, avevo sempre cercato nelle altre persone, in persone incomplete e inadeguate. E invece, tutto quel di cui avevo sempre avuto bisogno, era sempre stato solo dentro me… Amen.

Dei rionali dissennati

Nel quartiere di Nemesis vivevano almeno due pazzi consolidati (ma forse, scorgendo con maggiore accuratezza tra i suoi concittadini, avrebbe potuto trovarne di altri, molti altri da annoverare in quella dissennata categoria). Il primo era un tipo andato fuori di testa allorché la moglie lo aveva lasciato per un ammaestratore circense. Dopo il divorzio non si era più ripreso. Da allora vagava perpetuamente nei vicoli del quartiere fumando come un turco, passeggiando lento e talvolta cercando di attaccar bottone con la gente incontrata, giovandosi di argomentazioni assai semplificate come le barzellette. Altre volte invece faceva ai propri interlocutori domande a bruciapelo. Una volta, in una solitaria domenica mattina, sul presto, incrociò Nemesis e gli chiese, leggermente alterato:
«È colpa mia?!»
E Nemesis pensò non fosse il caso di contraddirlo, così rispose calmo:
«Ma certo che no!»
E il tipo parve immediatamente avvantaggiarsene e acquietarsi.
Ma più interessante, almeno secondo il giudizio di Nemesis, era un altro matto, senz’altro perché, se il primo in alcuni momenti poteva anche passare per sano, quest’ultimo appariva palesemente e ineluttabilmente pazzo. Era un ragazzo più o meno dell’età di Nemesis il quale si distingueva dalle persone normali fin dall’abbigliamento, che difatti appariva trascurato. Si acconciava senza tener conto di un minimo criterio estetico. Spesso girava in ciabatte e vestendo di rosso.
Anche questi era un gran camminatore come il primo e sovente Nemesis lo avvistava la mattina quando si recava a lavoro. Aveva lunghi capelli scuri leggermente riccioluti, era abbastanza alto e dinoccolato (quasi come Nemesis) e amava parlare, sempre, anche da solo, intrattenendosi con le proprie dissertazioni come avesse avuto davanti qualcuno con cui discorrere. Dunque ci si accorgeva di lui anche da lontano, sia per quella sua strana postura fiera e storta che gli faceva mettere il petto in fuori e divaricare le gambe arcuate come fosse un primate, e sia, come detto, perché egli non taceva mai quella sua voce stridula che pareva artefatta, in falsetto, macchiettistica, teatrale.
Poteva accadere di incontrarlo in un giorno di festa e che egli facesse gli auguri per la festività corrente. In tal caso la gente, capendo al volo il chiaro disturbo dell’esaurito, pur non conoscendolo, gli contraccambiava educatamente gli auguri, magari con un sorriso poiché era indubbio che il pazzo non fosse per nulla pericoloso (come non lo sono mai i veri pazzi, pensava Nemesis).
Il pazzo era dedito discutere incessantemente circa lo sport localmente più affermato, di cui era un gran conoscitore, anche se ovviamente non si poteva dire che le affermazioni che asserisse fossero sempre impeccabili e veritiere. Tuttavia, il fatto che spesso la pensasse esattamente come le persone con le quali discuteva, avrebbe forse dovuto far meditare quelle persone circa la ragionevolezza di tutti quei loro discorsi da perditempo…
Un giorno Nemesis assistette a una scena assai divertente che vide quel pazzo come protagonista… Era a un incrocio stradale che si biforcava in quattro. Nemesis veniva da sud, il pazzo veniva da nord, mentre a est dell’incrocio stanziava una signora non ancora vetusta ma ben avviata a quel destino. Il pazzo proruppe dunque in uno dei suoi soliti sproloqui rancidi senza capo né coda. A un certo punto venne però attirato come una falena dalla luce dallo sguardo interrogativo della signora, il quale a sua volta doveva essersi calamitato su lui. Mentre Nemesis li superò entrambi con scioltezza, il pazzo si avvicinò sempre di più alla signora, che volle raggiungere fin quasi a baciarla, per infine dirle in modo spiazzante:
«Salve. Io sono un pazzo. E straparlo.»
Nemesis allora si girò divertito a osservare i due interagire. Il pazzo sembrava ora non più un pazzo, bensì un sarcastico umorista; la signora invece aveva assunto una posa facciale ancora più scocciata, come a dire: ma questo qui mi vuol provocare, o è così pazzo da dirmi che è pazzo?! Tuttavia essa, cercando di mantenersi più imperturbabile di prima, non gli disse nulla. E Nemesis pensò che qualcuno doveva aver detto al pazzo che era pazzo e che dicesse delle boiate, per questo egli in quel momento lo ripeteva a pappagallo. Infatti i veri pazzi non ammettono mai di essere pazzi, tranne appunto nel caso siano stati convinti precedetemene da qualcuno dell’occorrenza, pensava giustamente Nemesis.
*
Nemesis non sapeva come mai quel ragazzo fosse diventato pazzo, o se fosse nato così. Fattostà che, non essendo affatto pericoloso, a nessuno importava veramente far sapere in giro il motivo della sua afflizione psicologica; anche a Nemesis non importava apprenderla. Ma ci fu poi un fatto che rese la vicenda del pazzo assai più misteriosa di quanto non si fosse immaginato fino allora…
Infatti un giorno Nemesis avvistò il pazzo alla fermata dell’autobus. Gli si avvicinò dato che doveva passare di lì. Tuttavia, più gli si accostava e più notava vi fosse qualcosa di insolito in lui. Per prima cosa non era impegnato in uno dei suoi dissennati monologhi. Poi neppure stava fumando qualche sigaretta, altra sua caratteristica più volte evidenziatasi. Infine, il suo volto era molto più posato e tranquillo, pareva rasserenato e placido, con un piglio di spiccata e innata gentilezza, e indossava un completo blu, per nulla inconsapevolmente raffazzonato come invece succedeva le altre volte. Nemesis non resistette a guardarlo negli occhi per qualche istante con le classiche apparenze di chi lo conosceva già nella sua memoria; e anche quello contraccambiò lo sguardo, con le movenze tipiche però di chi lo scorgesse per la prima volta. Dunque non vi era concordanza in quel loro scambio visivo.
Una volta superatolo, a Nemesis venne un dubbio. E se non si fosse trattato di quel pazzo? Ma allora chi era? Chi poteva esser dotato di una tale smisurata somiglianza? Forse un misconosciuto fratello gemello? Poteva essere. Difatti i due ragazzi, ammesso che fossero sul serio due, pur somigliandosi tantissimo, sembravano delle persone differenti e inconciliabili…
Sennò c’era anche un’altra ipotesi da vagliare, e cioè che egli fosse sotto l’effetto di alcuni farmaci capaci di farlo “riprendere”, di farlo ridiventare quel soggetto sano che sarebbe potuto essere allorché non fosse stato affossato dalla malattia. Ma esistevano farmaci tali da trasformare una persona così tanto? Forse no. Forse solo nel caso di patologie afflittive come a esempio la bipolarità, o la schizofrenia ciò poteva esser vero. Ma farmaci capaci di convertire un pazzo in una persona mite in grado di ragionare… quelli ancora non erano stati inventati (né mai un giorno lo sarebbero stati). Nemesis si sentiva di scartare questa ipotesi, seppure non avesse alcuna prova che l’avvalorasse o la screditasse.
Inoltre, riflettendoci a fondo, Nemesis rinfrescò un ricordo di alcuni anni fa che fino ad allora aveva completamente stinto nei recessi delle sue esperienze. Una mattina aveva incontrato il pazzo, presumibilmente sempre sullo stesso automezzo nei pressi del quale lo aveva visto l’ultima volta, insieme a una persona anziana che gli assomigliava molto nei tratti del viso e ossei, ergo doveva essere la madre, o una parente strettissima. In realtà era il pazzo ad accompagnare la donna e non il contrario, e lui era insolitamente calmo e tutte le sue attenzioni si prodigavano affinché l’anziana donna, che infatti faticava a muoversi da sola ed era provvista di bastone in legno, fosse al sicuro da ogni impiccio. E quando venne il momento di scendere alla fermata stabilita, fu lui, e non altri, ad adoperarsi per assurgere a quel ruolo ausiliare al quale doveva esser stato assegnato…
Dunque Nemesis non era la prima volta che vedeva il pazzo nella sua facciata secondaria, oppure che vedeva il fratello del pazzo, così simile nei tratti facciali al pazzo da sembrare lui… E quella sera tornò a pensare al pazzo e alla sua mite duplicità. Si guardò allo specchio e si chiese se un giorno anche la sua faccia avrebbe assunto dei caratteri similari a quella del suo fratello pazzo, Azrael; tanto che un giorno la gente li avrebbe assimilati accludendoli nella stessa persona, forse sostenendo che Azrael e Nemesis in fondo erano stati sempre la stessa persona, in modo che non si sarebbe più potuto sapere chi dei due fosse stato realmente l’antesignano in fatto di pazzia, oppure quello vero…

DOT: Blande pulsioncelle erotiche

Un altro giorno ancora…
Oggi ho davanti a me un tipo pelato e alto, che sa tanto di Sinistra, e una tipa parimenti alta (più di me) ma non troppo bella, mora, che gli si è seduta accanto. Scopro con rammarico che si conoscono e che sono in qualche confidenza, il che mi dispiace.
Lei è scurissima. Pare tanto che abbia preso un’abbronzatura integrale. Nei pressi del suo seno, piccolo ma in grande spolvero, non scorgo alcuna linea di demarcazione tra l’abbronzatura e la non abbronzatura.
Non è molto bella… L’ho già detto? È alta e ha poche forme. Inoltre i suoi fianchi non sono proprio il massimo perché sembrano quelli di un uomo. E anche di faccia non è granché. Ha denti grossi e sporgenti, anche se dritti. Pure i suoi occhi hanno qualcosa che non me li rende attraenti. Non è degna di interesse, penso con dispregio.
Ma poi, con il passare del tempo, un po’ perché è l’unica femmina presente che ho sotto gli occhi, un po’ perché è mezza nuda e pure piacevolmente abbronzata, ogni tanto finisco per buttarle uno sguardo addosso, anche se ogni volta continuo a dirmi: naaa, è troppo brutta…
Poi però mi accorgo che ha incrociato le gambe come fosse seduta in terra, e dalla mia posizione si vedrebbe perfettamente tutto quello che sta sotto il tavolo! Tuttavia quel cerbero pelato che si ritrova accanto le è troppo vicino per non costringermi a esser prudente, mentre lei, intanto che naviga su internet, appare molto presa e beata, anzi sembra quasi che non le dispiacerebbe affatto che le dessi una sbirciatina sotto, miseriaccia!
Nondimeno passa il tempo e non trovo il coraggio di espormi. Farei davvero la figura del porco se venissi scoperto mentre le guardo le mutandine. Non potrei accampare nessuna scusa e temo troppo i loro sguardi di disprezzo. Lo direbbero a tutti i loro amici della biblioteca e da quel momento essa mi diverrebbe vietata! Però ci sarebbe anche da dire che, se lei non si fosse messa in quella posa provocante, a nessuno sarebbe mai venuta in mente l’idea di sbirciarle le mutandine, no? Mi sento come Verdone in Stasera a casa di Alice, quando sta per sbirciare dal buco della serratura del bagno…
Poco dopo, stanca di tenere quella posizione, rimette le gambe giù. E io penso: cacchio! sono stato uno stupido a non approfittare dell’occasione!
I due decidono di fare una pausa e allora si alzano in piedi. Ed è lì che scopro qualcosa che non avevo notato. Lei non ha la gonna, come mi ero creduto, bensì un paio di pantaloncini estivi (anche un po’ maschili). Dunque forse non le avrei visto un bel niente se anche mi fossi prodigato nel tentativo di setacciar sotto le sue belle mutandine. Però il dubbio se sarebbe stato possibile o meno scorgere qualcosa di interessante mi rimane, dato che quei pantaloncini sono piuttosto larghi e corti… Mah!