Dalle ombre #9

. L’amara lezione

Un pomeriggio io e R.T. ci eravamo appartati in un’aula deserta della scuola per fare dei disegni che ci vedevano assai partecipi. Io mi dedicavo ai personaggi e lui agli sfondi. Il nostro palese intento era quello di ricopiare gli eroi dei cartoni animati. In verità non era la prima volta che ci ritagliavamo uno spazio simile, tra un gioco e l’altro, tra il fare i compiti assieme durante i pomeriggi del doposcuola.

Ma quel giorno avemmo una bruttissima sorpresa. All’improvviso vedemmo entrare nella stanza L.C. assieme a un altro ragazzo del nostro gruppetto esclusivo (il quale quel giorno indossava un cappellino che lo faceva sentire un gran giamburrasca fico), oltre che il bullo che le suonava a tutti nella classe, con cui L.C. aveva finito per affiliarsi non avendo potuto fare di meglio.

Erano venuti apposta per menare le mani, lo capii subito dal loro modo di fare autoritario. Ciò mi spaventò a morte, perché ai tempi ero molto sensibile e pauroso e la violenza mi paralizzava sconvolgendomi. A ogni modo scoprii presto che non erano lì tanto per me, che in definitiva piacevo a tutti e si poteva dire non avessi nemici. Erano lì per R.T. Non mi ci volle molto anche per comprendere che esso non aveva alcuno scampo. Si erano messi in testa di punirlo per alcuni suoi atteggiamenti. Tutti e tre infatti nutrivano nei suoi riguardi delle acredini più o meno marcate, e in taluni casi c’ero di mezzo io, o meglio la gelosia per il rapporto che intrattenevo con lui a discapito loro.

Così lo attaccarono con delle scuse puerili che rappresentavano meri pretesti. Fu il bulletto il primo ad alzare le mani dando l’esempio. E R.T., vedendosi perso, si mise subito a piangere. Poi anche gli altri due non rinunciarono ad assestargli la sua sanzione, che si materializzò in un paio di schiaffi. Quando toccò a L.C., lui si manifestò molto più cattivo degli altri e, anche se il colpo che gli assestò fu solo uno, non si poté dire che non fosse proprio sentito.

Il bulletto, abituato a ben altre battaglie a perdifiato nelle strade selvagge del rione popolare in cui viveva e imperversava, di fronte alle subitanee lacrime inconsolabili di R.T., non poté che perder presto interesse per lui canzonandolo per la sua codardia mentre già gli voltava le spalle andandosene. Sicuramente non si era aspettato molta opposizione, però così non c’era gusto per lui, tanto più che al suo fianco, per una volta, insolitamente, aveva potuto contare sul supporto di altri due bambini scudieri agguerriti che gli facevano da guardia-spalle, a lui che tra l’altro si sarebbe gettato in una rissa anche contro cento persone pur di non fare la parte del vigliacco.

Così i tre se ne andarono alla chetichella; ma non prima che L.C. mi avvertisse dicendomi chiaro e tondo come stavano le cose. Se avessi continuato a frequentare R.T., anche io avrei potuto fare una brutta fine prima o poi. Quella frase mi fece molta paura.

Mentre tentavo inutilmente d’esser di conforto a R.T., esso era perfettamente consapevole che non potevo dargliene in nessuna maniera, di conforto o aiuto. Perché anche io ero debole esattamente come lui. Perfino di più, come vedremo.

Oggi, a rievocare quell’amara punizione, penso: dunque quei tre ragazzini si erano messi d’accordo per menare espressamente le mani. Ma come era stato possibile tutto ciò? Che si erano detti: adesso andiamo lì e lo picchiamo? E da dove e da chi era partita quella violenza? Come avevano potuto, quei tre, così diversi tra loro, aver trovato un comune accordo su quella cosa così aberrante e malvagia? Che si erano detti per, infine, avallare tutto ciò?!

Non lo scoprirò mai. Erano solo bambini. Ma si erano comportati da gangster.

The quiet american (film)

Siamo negli anni in cui si contendevano il Viet Nam i francesi e i comunisti, quando gli americani non avevano ancora deciso di entrare apertamente in guerra, seppure la loro lunga mano già influenzasse abbondantemente lo scenario, ovviamente appestandolo.

Un reporter inglese da tempo segue pigramente l’evoluzione dei fatti. La verità è che quella guerra piena di morti lo nausea ed è ormai per lui scarsamente importante. Ciononostante è interessato a rimanere lì poiché innamorato di una giovane ragazza locale la quale senza il suo intervento sarebbe stata probabilmente destinata alla prostituzione. Lei d’altronde lo ricambia, vedendolo come il proprio salvatore. A turbare il loro idillio d’amore – che però sarebbe senza futuro poiché lui, a Londra, è già sposato con una donna cattolica non intenzionata a concedergli il divorzio per nessun motivo al mondo – subentrano alcuni fattori. Primo: il giornale per cui lavora gli chiede di tornare indietro, dato che ritiene ampiamente esaurito il suo ruolo in loco. Lui allora si inventa che deve indagare su una grossa storia e prende tempo. Grossa storia che poi si materializzerà davvero… Secondo: l’arrivo di un americano – tanto per bene e fascinoso – che ha un ruolo di ausilio alla popolazione; che gli fa lo scherzetto di innamorarsi a prima vista della sua compagna, di fatto entrando in competizione con lui per lei… Terzo: la comparsa di una misteriosa terza egemonia, né comunista, né francese, che si interpone tra le fazioni con il chiaro intento di estrometterle. Tale egemonia è capeggiata da un belligerante leader fascista che non si sa bene dove abbia racimolato esercito e armi in dotazione, ma si capisce facilmente che non esiterà a sacrificare civili innocenti pur di arrivare laddove si propone.

Una buona storia, tratta da un libro, con Michael Caine, in cui emergeranno in maniera palese gli scempi e i massacri che da sempre governi che si dicono civilizzati pur compiono sulle popolazioni. Primi fra tutti, gli USA.

Vatti a fidare degli americani!

Su Tong: Cipria

In questo romanzo ci troviamo in Cina intorno gli anni ’50, nel periodo in cui il governo si mise in testa che la prostituzione fosse un’indecenza e sarebbe quindi dovuta sparire. Le prostitute vennero allora obbligate a reintegrarsi nella società in ruoli considerati più ammodo. È la storia in particolare di due di esse, molto amiche, con caratteri che si compensano, una mite l’altra più tosta, le quali si ritrovarono egualmente spiazzate da questa costrizione. Una fugge. L’altra, suo malgrado, rimane nel centro di reintegro ma non riesce ad adeguarsi ai nuovi standard e ai ritmi richiesti…

Questo romanzo ci dà uno spaccato adeguato della Cina che fu (ma faccio notare che tali concetti sono facilmente estendili a ogni luogo ove esista la prostituzione); ma sopratutto sgretola con incredibile semplicità alcuni falsi miti sul mercimonio del corpo svelando l’ipocrisia che da sempre riguarda questo argomento quando se ne parla. Per esempio i benpensanti bigotti sembrano sempre ignorare che esistano prostitute che si prostituiscono essendone soddisfatte. Esistono prostitute che si sentono maggiormente sfruttate svolgendo altri impieghi (oggi le chiameremmo sex-workers). In questi casi è menzognero e fuori da ogni logica cercare di “emancipare” delle persone che prediligono avere quel ruolo all’interno della società piuttosto che un altro.

Su Tong, in maniera asciutta, riesce a far capire molte cose. Si sofferma in particolare sulla singolare e spiacevole situazione di queste prostitute “redente”. Disprezzate quando facevano le prostitute, ma bistrattate anche una volta che hanno smesso di fare il mestiere, perché il loro stigma rimane comunque immutabile.

Io sono perfettamente d’accordo con la tesi-teorema del libro: se una persona non è sfruttata da nessuno e preferisce questo lavoro a un qualsiasi altro, non c’è chiaramente nulla di male.

È molto, molto peggio quando invece uno prostituisce i propri ideali. Quello è davvero immorale e imperdonabile. Tipo i politici. Loro sì che sono delle vere mignotte. Le peggiori di tutte. Come pure quelli che per duemila euro al mese eseguono le leggi/disposizioni dei superiori senza obiettare mai nulla, neppure quando esse sono palesemente ingiuste. Pensate, esistono persone che rinunciano alla propria anima per appena duemila euro al mese. Non vi sembra un po’ pochino? Il Diavolo sta proprio facendo affari d’oro in questo periodo…

3:-)

Delirius Dementhia: Cuscini

Torna a casa tutta trafelata. La sento: è piena di fruscianti sporte. Chissà che ha comprato stavolta… Abbiamo tutto, non ci serve niente. E lei sempre a darsi da fare, ad acquistare cose nuove, buttare le “vecchie” (ancora efficientissime) e ricominciare il ciclo all’infinito. Ah, lo shopping compulsivo, che peste che è per le donne!

Farfuglia cose. Cerco di tenerla fuori dalla mia stanza ma lei si avvicina e mi obbliga ad ascoltare quel che ha da dire:

«…Hai sentito?! Ho preso i cuscini nuovi… Se dopo ti vuoi divertire a metterli… Io intanto lavo i vecchi…»

No, non mi voglio affatto “divertire”. Non è divertente quando ti piomba in casa una schiavista che ti vorrebbe subito assoggettare a una mansione, di cui tra l’altro a te non solo non frega niente ma trovi anche che sia altamente inutile e una perdita totale di tempo. Così non faccio un cazzo. Non mi muovo.

Sento che mette su la lavatrice.

Più tardi, è sera. Tira fuori la roba dal cestello. Mentre cerco di mangiare in santa pace, si viene a lamentare da me in cucina.

«Non è venuta bene!», apre davanti a me uno di quei cuscini imbottiti per sedie che avevamo usato fino a un giorno fa ed era sempre andato benissimo e neppure si era mai deformato. La gommapiuma è tutta sfaldata, quasi polverizzata. Ammiro il suo ennesimo “capolavoro”.

«Complimenti», dico caustico.

«…Perché non vanno messi in lavatrice, che sennò si rovinano!», si affretta a giustificarsi. «Anche a casa di quella mia amica gliela avevo fatto fare ed era successa la stessa cosa…», ammette.

Ah, dunque lo sapevi già! E allora perché cazzo l’hai rifatto, demente?!, penso.

«Questa roba non va in lavatrice!», sentenzia. «Andrebbero lavate solo le foderette esterne!»

Adesso ci sei arrivata, idiota?, e perché prima non ci hai pensato, tu e la tua solita irruenza distruttrice?!

Come al solito, poi, fa tutto da sola.

«Adesso butto tutto!» (che sarebbe una delle sue godurie preferite).

«E allora butta, butta…», dico con noncuranza.

Ma lei non vuole davvero buttare quella roba, anche se ormai inservibile, perché farlo sarebbe come ammettere platealmente davanti ai miei occhi che ha fallito, cosa che lei non vuol minimamente concedermi.

«Anzi, no. Sai che faccio? Ci ricompro i cuscini dentro, così ho il cambio con le nuove», fa una giravolta.

«E allora non buttare niente…», commento laconico, tanto è impossibile stare appresso alle sue bizze cervicali.

«Ma questa roba dentro la devo buttare!», esegue un’altra giravolta per volermi per forza contraddire in qualche modo. «Adesso la scuoto fuori dalla finestra!», aggiunge.

«Non farlo!», le dico. «È incivile. Poi quella roba neppure è biodegradabile. Non va messa in circolo nell’ambiente circostante come se niente fosse!»

«E allora come faccio?!», sbotta come se fosse colpa mia e le dovessi fornire io un’altra soluzione.

«La butti a terra e poi la scopi e la metti nel secchio della mondezza, scema!», le dico volendo esser molto più gentile di quanto meriterebbe.

Lei comincia a farlo ma, subito, smette, come perdendo ogni entusiasmo.

«Non viene… Non viene… Rimane dentro! Questa roba va sgrullata fuori!», ritorna alla carica. Ormai ha questa idea fissa nella capoccia bacata che possiede e nessuno può togliergliela. Non si capisce perché mai, la stessa azione, compiuta sul pavimento di casa nostra non debba funzionare mentre eseguita fuori la finestra sì.

«Non farlo!», le impongo io, che non voglio litigare coi vicini di sotto essendo per di più dalla parte del torto. Se mi prendono in castagna che dico?, che ho una moglie sciagurata e fuori di testa?!

Lei comunque la smette. «Vabbè, ci penso dopo…», dice, che tradotto significa che lo farà quando non guardo. Ma per ora mi va bene: non posso controllarla ventiquattro ore su ventiquattro.

Un’ora dopo, quando mi sto per appisolare davanti la tv, la sento sbattere furiosamente quelle foderette fuori la finestra, con quella violenza insita in lei, che sempre la contraddistingue.

Che donna deprecabile. Signora dell’ipocrisia. Regina della stoltezza.

“Dove li sgrullo?”

Cartoni irrinunciabili: I Supereroi! #4

Anche i cartoni dell’Uomo Ragno (e non Spiderman!) per me erano irrinunciabili. Ma ovviamente sto parlando dei vecchi cartoni, non delle schifezze per adolescenti scemi che girano oggi.

I vecchi cartoni dell’Uomo Ragno erano bellissimi. Per primo ricordo quelli degli anni ’60, con musiche di accompagno interne al cartone se vogliamo tipiche di quei tempi, con spruzzate jazz e quant’altro. Mi piaceva l’atmosfera notturna che si respirava, anche se non si trattava di un capolavoro.

Mentre invece capolavori del genere supereroistico probabilmente furono quelli che seguirono. Se quelli degli anni ’60 erano abbastanza cupi e crepuscolari, quelli degli anni ’80 furono molto più solari e ottimistici.

Il successo del primo di essi determinò una nuova serie dell’Arrampicamuri, ma stavolta, non mi spiego bene il motivo, con due comprimari: la supereroina Stella di Fuoco (creata appositamente per il cartone e poi integrata senza troppo successo, mi risulta, nell’universo fumettistico Marvel) e l’Uomo Ghiaccio. Esatto, quello degli X-Men. Non so proprio chi partorì questa balzana idea (tanto più che nel mondo dei comics i due eroi non hanno mai spartito nulla di particolare, a malapena si conoscevano), sta di fatto che il cartone era realizzato bene e nonostante tutto l’idea funzionò. Così il nostro simpatico Arrampicamuri di quartiere poté affrontare anche minacce forse più grandi e complesse di prima.

Il bello di questi cartoni era che grossomodo riuscirono a catturare le atmosfere che si respiravano negli albi della Marvel. 😉

Applausi per queste serie. CLAP CLAP.

Kid – Una strana storia

Breve fumetto per collezionisti, distribuito a Lucca Comics nel 1996 per celebrare i cento anni del media.

Non ci sarebbe molto altro da aggiungere, vista la natura puramente didascalica dell’opera, ma la trama ve la racconto lo stesso… Un ragazzino (con un orecchino) si ritrova catapultato/risucchiato nel magico mondo dei fumetti, da cui non fa che cercare di scappare. Incontra ben cento personaggi famosi dei giornalini, da Superman a l’Uomo Mascherato, da Diabolik al gruppo TNT, da Tarzan a Mandrake, da Dylan Dog a Paperino… Alla fine il ragazzino riesce a tornare a casa, si toglie la parrucca, si capisce che è calvo e si scopre che in realtà era… La sorpresa finale non ve la racconto… Vediamo se qualcuno indovina solo con questi indizi… 😉

È un albo in bianco e nero, disegnato abbastanza bene. Forse imperdibile per alcuni appassionati di questo pittoresco universo.

Tech-NO-logy

La mattina mi arriva un suo sms che dice pressapoco che le dispiace tanto ma il nostro previsto matrimonio salta, poi mi spiegherà meglio perché.

Le rispondo subito allarmato chiedendole spiegazioni, invitandola a contattarmi appena può.

Non la chiamo, no, anche se è importante, perché lei è a lavoro, e soprattutto la mattina ha da fare.

Altri al posto mio darebbero di matto. Ma io cerco di mantenermi calmo. Lei so che in certe situazioni si stressa facilmente. Attribuisco a quello il motivo del suo ripensamento. Conto di essere in grado di tranquillizzarla a sufficienza per convincerla a tornare sui suoi passi. Anche se non sarebbe il massimo sposarsi con tali premesse…

Ho una sensazione di nausea, che non passa. La sensazione che ancora una volta mi abbiano fregato. Stavolta proprio non credevo sarebbe potuto accadere, non con lei. Ma a questo punto forse mi sbagliavo. Forse…

Passano i minuti e lei non risponde. So che quando è a lavoro spesso si comporta così, quindi non dovrei necessariamente preoccuparmi. Ma certo il non sapere niente mi consuma.

Circa un paio d’ore dopo squilla il telefono. È lei. Faccio un bel respiro profondo e rispondo.

Non hai ribattuto niente. Ho deciso di chiamarti. Hai letto il secondo messaggio, sì?, mi fa immediatamente.

Rifletto un attimo. No, non l’ho letto, le dico. Mi è arrivato solo un messaggio in cui mi dici che non vuoi più sposarti, affermo sconfortato. Ce ne era forse un altro? E comunque ti ho risposto…

Mannaggia, mi fa lei; nel secondo messaggio ti dicevo che era tutto uno scherzo! Perché oggi è il primo di aprile! Pesce d’aprile, ammmooore!

Le dico che è un’impudente. Si fida troppo della tecnologia. Che non si fanno questi scherzi del cavolo. Che io non le avrei mai fatto questo scherzo perché so che avrei potuto rischiare di farcela rimanere secca.

Il non detto di questa storia d’altronde è anche che… si capisce che se si è sentita di farmi questo scherzo, è proprio perché dà per scontato che il nostro matrimonio sia qualcosa di irrevocabile. 🙂

Praticamente la cosa avvenuta è la seguente, sentite qui, giusto per farvi capire quanto sia inaffidabile la tecnologia…

Cominciamo dal principio… La mattina mi manda quel messaggio in cui mi dice che non vuole più sposarsi. Ma subito dopo me ne manda un altro in cui mi dice che ovviamente è uno scherzo.

Quando accendo il cellulare, a me arriva solo il primo. A cui rispondo come detto sopra. Ora, pure a lei questo mio messaggio non è mai arrivato…

Ci mandiamo entrambi gli screenshot dei messaggi ricevuti per dimostrarci ciò, anche se non ce n’è bisogno. Fine.

Capito quanto è affidabile la tecnologia?!

E vi assicuro che, anche se normalmente riterrei assai improbabile quanto accaduto, i fatti sono andati davvero così!

In culo alla tecnologia!

Paul Auster: Sbarcare il lunario

Romanzo autobiografico che, a sorpresa, mi ha interessato, sulle grosse difficoltà incontrate dallo scrittore prima di sfondare in questo ramo così particolare e difficile. Auster ci racconta come da giovane fosse molto idealista e si convinse che avrebbe fatto lo scrittore senza scendere a compromessi. Poi però dovette scontrarsi con la dura realtà. Così arrivò a trenta anni avendo accumulato una serie di esperienze lavorative fallimentari e incredibili, di tutti i tipi (come mozzo su una petroliera, come sceneggiatore di film a Parigi, come traduttore e quant’altro), oltre che ben due matrimoni sul groppone…

Durante tutto questo periodo lui continuò quasi sempre a scrivere. Al principio sopratutto poesie. Poi anche atti teatrali unici. L’ultima fissa creativa che gli prese, anzi la penultima, fu inventarsi un gioco di carte che simula una partita di baseball. Un gioco che si impegnò con tutto se stesso per pubblicare in qualche maniera ma non vi riuscì mai nonostante sembra non fosse affatto male.

Invece l’ultima cosa che fece (con cui si conclude pure il libro) fu quella di scrivere un romanzo poliziesco che riprende molti stilemi tipici del genere (ma ne sovverte anche altri, in modo da risultare più intrigante per il lettore), romanzo che Auster non è che valutasse molto e infatti considerava e considera tutt’oggi un’opera meramente “commerciale”, ovvero creata per incassare dei soldi nel più breve tempo possibile. Di questo romanzo, che invero non ho trovato affatto malvagio, ho già parlato e si intitola Gioco Suicida. Nell’appendice lo troviamo qui ristampato per intero. Appendice che contiene anche il gioco di carte, e i tre atti unici teatrali di cui sopra, che sono: Laurel e Hardy vanno in paradiso; Blackout; Nascondino.

In Laurel e Hardy vanno in paradiso Auster utilizza i personaggi a cui immagino stiate pensando, cioè Stanlio e Ollio. Oltre a esserci scene comiche, ce ne sono anche di serie e fantastiche, perfino meditative. Praticamente Stanlio e Ollio devono costruire un muro accumulando pietre in una certa maniera che apprendono da un libro. Non si capisce dove si trovano. Non si capisce perché siano obbligati a compiere quel lavoro e perché lì appaiano praticamente solo loro, se si eccettua uno sconosciuto che una volta avvistano in lontananza ma che non si avvicinerà mai abbastanza per parlar loro. Stanlio e Ollio non ricordano neppure niente del loro passato. Probabilmente… perché sono morti e si trovano in un non-luogo… Curiosità: questa storia del muro da ricostruire è ripresa anche in un suo romanzo successivo, se non erro La musica del caso, che forse è il suo capolavoro – nota: secondo Auster tutto quello che ha scritto fa parte dello stesso identico libro, presentato in molteplici aspetti, delle volte molto dissimile dalle incarnazioni precedenti, ma pur sempre il medesimo libro.

In Blackout compaiono tre personaggi: Black, Green e Blue. I quali non fanno altro che parlare tra loro. Blue racconta una storia folle. Per mesi ha pedinato una persona che non sapeva chi fosse. Solo che questa persona non fa praticamente nulla di significativo, per quanto non si possa dire che non sia strana. Col tempo, Blue si convince che la persona a cui spedisce i suoi rapporti sia la stessa che deve spiare. Allora decide in qualche maniera di approcciarla, finché…

Se la trama vi dice qualcosa è perché una storia simile compare nel romanzo Trilogia di New York –e siamo a due.

In Nascondino invece ci sono sul palco un uomo e una donna, ognuno in un box rialzato, come fossero impiegati addetti a vendere biglietti di cinema, come fossero simili ma per sempre divisi. L’atto è una metafora dei rapporti uomo-donna, delle incomunicabilità tra loro, ma vuol esser anche piuttosto simbolico della condizione e dell’esistenza umana.

Per concludere, ho trovato questo tomo molto interessante, nonostante probabilmente in principio doveva esser stato concepito come semplice assemblaggio di scarti produttivi dello scrittore.

Serenity

Primo lungometraggio accreditato da scrittore e regista per Joss Whedon. Dopo sette anni sfornerà il blockbuster degli Avengers e la qualità sarà molto più scintillante. Qui invece sembra un altro, in questo film che in realtà dovrebbe essere una specie di epilogo per una serie tv troncata prima della sua normale conclusione. Non c’è niente che sia perfettamente a punto. Dalla recitazione degli attori, alla trama, agli effetti speciali, alla regia. Tutto è abbastanza raffazzonato. In effetti è più una storia da fumetto che da film, per come è realizzata, dunque non siamo di fronte a un film imperdibile. Tutt’altro. Seppure mi abbia sorpreso scoprire come qualcuno consideri tanto questa pellicola.

Siamo nel futuro. C’è una ragazzina con poteri particolari (non si sa bene quali, a un certo punto sembra solo che sappia combattere come una macchina) la quale viene sottratta dal fratello all’Alleanza (una federazione di pianeti che impera su tutto l’universo, che ricorda parecchio gli Stati Uniti) per ridarle la libertà. Ma l’Alleanza si incacchia di brutto. E andando avanti con la storia sembra che i motivi di interesse per la ragazza siano più rilevanti di quanto si potesse supporre, perché lei ha sepolto da qualche parte nella coscienza un’informazione che non vogliono venga divulgata. Allora partono all’inseguimento dei due, i quali trovano riparo su una nave di pirati spaziali, molto sgarrupati anche loro. A render ancor più complicata la questione c’è una razza di uomini bestiali ferocissimi che sembra siano tutti pazzi e infatti praticano cannibalismo. Una razza la cui origine non è nota…

La serenità è tutto nella vita…