Gina si recò in bagno la mattina presto. Si lavò con quel sapone non-sapone. Poi utilizzò il nuovo deodorante non-deodorante. Una colazione svelta (che non era propriamente una colazione). Poi veloce accompagnò i bimbi al nido e alla scuola.
Tornata a casa sapeva che quel giorno non avrebbe avuto nulla di urgente da fare. La spesa l’aveva fatta il giorno prima. La casa non era ancora da lavare. Le ultime lavatrici le aveva appese appena la sera prima. E non aveva incombenze da compiere per i genitori, tipo pagare bollette già scadute.
Gina si sedette al pc. In realtà sapeva bene a cosa si sarebbe dedicata quel giorno. Già sapeva che sarebbe stata libera così da dedicarsi a quella cosa che da tempo le frullava nella mente…
Primo. La raccolta delle informazioni.
Si collegò alla rete e chiese in giro, a tutti quelli a cui poteva chiedere, se sapevano qualcosa di lui. Sì, di lui, di cui non si parlava da anni, che nei discorsi ormai non veniva nemmeno più fuori quando si rievocavano le vecchie gite in campagna. Fu molto discreta, come da sua natura. Discretissima. Nessuno capì che aveva imprevedibilmente riallacciato i contatti con lui (quando anche lei non se lo sarebbe mai immaginato fino a qualche tempo prima). D’altronde era stato lui a farlo. E lei era caduta dalle nuvole. Le aveva detto tutte quelle cose che le avevano fatto vorticare il cervello. Le aveva dato la sensazione che tutto potesse ancora accadere. Le aveva nuovamente fatto credere alle favole. E lei si era detta: ma pensa un po’ te. come cambiano delle volte le persone. da ragazzo era così, e da uomo è divenuto cosà… cioè un vero uomo…
Ma su di lui nessuno sapeva le ultime notizie. Non ci fu nulla da fare. Un fantasma, era. D’altronde lui era così misterioso. Misterioso con tutti: le aveva anche detto di non dire a nessuno che era lui che si nascondeva sotto quello pseudonimo. Non esisteva per nessuno: tranne che per lei. Per lei faceva delle eccezioni. Per lei era tornato…
Dato che gli ami che aveva gettato non avevano prodotto alcunché, fu costretta a sbilanciarsi. Così tradì il suo segreto (sì, lo tradì subito, bellamente, senza rimpianti) e con un’amica si sbottonò. E fece subito centro. E si disse che allora aveva fatto bene a tradire quel segreto. Che in amore tutto era lecito…
La cosa che però le disse quell’amica (che prima, quando ancora non sospettava di quel loro rapporto clandestino, o meglio che ce lo avesse avuto proprio con lui, non le aveva detto nulla), quell’amica che si era improvvisamente ricordata di un incontro fortuito per la strada con l’amico di lui, la lasciò un po’ di sasso. Nel senso che non sapeva come interpretarla. Era anche un po’ scomoda da credere. Così Gina decise temporaneamente di rimuoverla, metterla da parte nella sua coscienza. D’altronde non gliene poteva chieder conto perché altrimenti lui avrebbe capito che lei la sapeva già e si sarebbe tradita. Avrebbe rimandato, dunque. Non poteva che appurarla in un momento successivo. Quando finalmente lui e lei si sarebbero rivisti. Sempre se lui ne sarebbe stato degno.
Inoltre c’erano sempre le rivelazioni che lui le aveva confessato di sua iniziativa, che erano anche quelle un po’ strane. Per questo lei, che non voleva più prender fregature dalla vita, ci voleva andare coi piedi di piombo. Non voleva imbarcarsi in relazioni che si sarebbero scassate subito e che magari poi si sarebbero trascinate per chissà quanto tempo, con lui che diveniva una palla al piede e non la lasciava più stare.
Anche per quello, lei, scaltramente, era stata molto evasiva su certe questioni di cui lui gli aveva chiesto. Praticamente su tutto. Neppure gli aveva detto come si chiamavano i suoi figli (incredibilmente, ci era riuscita!), né dove abitasse in quel mentre, né che lavoro facesse o non (a seconda del periodo). Con un’impareggiabile faccia di bronzo, gli aveva negato anche informazioni essenziali, fingendo di non capire, o facendo morire l’argomento a favore di un altro. Però su una cosa non aveva potuto fingere. La voglia che lui gli aveva fatto tornare, voglia di essere… donna, dopo quel brutto periodo di abbattimento. Ma anche lì, si era mossa in maniera che in seguito avrebbe sempre potuto ritrattare, così come le donne sanno fare bene. E Gina era molto donna. Non era un caso che si chiamasse Gina.
Cominciò a cercare ossessivamente notizie di lui in rete. Ma niente. A parte i link che l’ingenuo le aveva consegnato spontaneamente. In realtà uno di essi si dimostrò esser un calderone notevole, talmente immenso e sfizioso che… ci avrebbe impegnato chissà quanto prima di studiarselo tutto. Bene. Quello era in verità un ottimo inizio. Tuttavia, per forza di cose, se lo sarebbe fatto poco alla volta. Poco alla volta avrebbe scoperto tutto di lui, del suo mondo segreto.
Poi c’erano le altre informazioni sfiziose che le aveva donato lui, non rendendosi conto che le elargiva un vantaggio notevolissimo. Così lei smanettò con le mappe e con gli snodi della sua vita che lui le aveva rivelato e trovò delle piste, molto buone. Delle piste che avrebbe sicuramente seguito.
Così, giorni dopo, Gina decise di farsi una passeggiata in quella zona. Si mosse all’incirca quando riteneva che lo avrebbe fatto anche lui. Conosceva ormai i suoi orari a menadito. E già dalla prima volta fu spropositatamente fortunata. Se ne veniva giù dal ponte nuovo, tranquillamente, camminando adagio. Neppure ci sperava tanto. Però… All’incrocio decise di attraversare per storto. Infatti aveva visto uno che poteva essere lui. Ma ti pare che sia davvero lui?, si disse tra se e se Gina: avrei davvero tanto culo!
Ma era proprio lui. Non c’erano dubbi. Era cambiato, sì. Ma erano anche passati degli anni. Tuttavia non poteva che esser lui. Adesso che lo vedeva, riconosceva i suoi movimenti, quei movimenti che aveva naturalmente registrato automaticamente in tutti quegli anni che aveva condiviso con lui.
Lui la osservò un attimo con attenzione estrema ma poi distolse lo sguardo. Non l’aveva riconosciuta? Poteva benissimo essere. Anche perché lei si sentiva molto cambiata in tutti quegli anni, si sentiva diventata molto più brutta. Che tristezza, pensò Gina: sono così cambiata che non mi ha riconosciuta.
Si incrociarono. Lui la superò. E lei glielo lasciò fare, e quando lui l’ebbe oltrepassata sentì un brivido discendergli sulla schiena. Lui proseguì deciso per la sua strada e non si voltò indietro. Lei invece si fermò e lo guardò andarsene. Da quello si convinse che effettivamente non l’avesse riconosciuta. Altrimenti, uno come lui, che si manifestava sempre così felice di parlare con lei quando chattavano, non l’avrebbe mai lasciata andare senza neppure guardarla.
Gina diede un occhio all’orologio. Adesso capiva. Beh, effettivamente era un po’ in ritardo. Nel senso che lui se ne andava perché quella era l’ora in cui sempre lo faceva mentre lei… Beh, diciamo che in quella prima volta aveva voluto farsi solo un giretto nella zona, per vedere in che luoghi si muoveva lui. Un’altra volta avrebbe tentato un approccio. Toh!, anche tu qui?, che ci fai in zona?, quanto tempo!, abbracci e baci e tutto il resto, e lieto fine. Già se lo vedeva succedere davanti agli occhi…
Nei giorni successivi Gina riesaminò le piantine, gli indizi e gli orari. Adesso aveva tutto per scoprire dove lui sarebbe sicuramente rimasto almeno un’ora in un dato periodo. I posti deputati non erano molti. Erano tre. Tre possibili luoghi. In uno di questi lo avrebbe sicuramente scovato. Partì dal più probabile. Poi, qualora avesse fatto un buco nell’acqua, sarebbe passata agli altri. E teoricamente, se nessuno di quei posti si fosse dimostrato giusto, ce ne potevano essere almeno un altro paio non troppo distanti che avrebbero potuto andare bene.
Ma occorreva impegnarsi e Gina era pronta a farlo. Allora lasciò l’incombenza dei bambini da portare al nido e a scuola alla madre. Le disse che aveva un colloquio di lavoro. La madre le chiese come mai quel colloquio glielo avevano dato così presto e lei si barcamenò dicendo che non dipendeva da lei, e che comunque il fatto non era che glielo avevano dato presto ma che se avesse accompagnato lei i bambini sicuramente non sarebbe giunta in orario. La madre non odorò puzza di bruciato e non si oppose, nonostante l’età cominciasse a farsi sentire e accompagnare i bimbi non fosse in cima ai suoi desideri.
Gina quella mattina si lavò col sapone non-sapone e poi usò il deodorante non deodorante. Tutta pulita e lustra, indossò un vestito che le piaceva molto, che riteneva la facesse essere ancora molto sexy. Uscì di casa e si incamminò. Minuti dopo aveva superato il ponte, ma stavolta svoltò subito a destra, verso il primo luogo deputato al possibile incontro, mentre il cuore le batteva distintamente nel petto a ogni passo che si avvicinava.
Ma il primo luogo fu un po’ una delusione. Era chiuso. Non si poteva entrare. E poi non era per gente dinamica come lui. Con un po’ di amarezza, si portò verso il prossimo. Il prossimo era molto più probabile, adesso che ci pensava. Ma non voleva farsi troppe illusioni perché non le andava poi di rimanerci così male se qualcosa fosse andato storto.
Gina entrò dal cancelletto semiaperto. Il posto era grande. Dove poteva esser lui? Ma non ebbe neppure il tempo di chiederselo che lo vide seduto a una panchina. Sì, era proprio lui! Indossava anche gli abiti di qualche giorno prima (gli uomini non si cambiano mai!, pensò, non sono come le donne!). Benedisse quel particolare. E si avviò…
Adesso gli passo davanti e vediamo se mi riconosce!, pensò tutta eccitata Gina. Il suo passo fu deciso. Però affiorò il timore che non la notasse, che avrebbe avuto troppo poco tempo per accorgersi di lei con quella breve sfilata. Così decise di passargli molto, molto vicino. Adesso ti faccio il pelo!, pensò divertita, così vediamo se non mi noti!, pensò Gina che lo voleva sedurre.
E lui sicuramente si accorse di lei, o meglio che qualcuno gli passava rasente, molto più del lecito. Però Gina ebbe l’impressione che non alzasse gli occhi dal cellulare neppure per un momento. Allora toccò ancora una volta a lei rimediare alla situazione. Si andò così a sedere un paio di panchine dopo. E aspettò speranzosa che si voltasse verso lei.
Davvero non la riconosceva?!
Rimase a fumare avida la sua sigaretta puzzolente sperando in un abboccamento che però non avvenne. Gettò un paio di volte un occhio verso lui e lo trovò sempre impegnatissimo a scrivere, con lo sguardo chino al visore. Eh! Lo sapeva bene che quella era l’ora in cui chattava. Lo sapeva bene perché spesso c’era stata lei dall’altra parte. Con chi stava chattando con tutto quell’impegno e con quel piglio severo in volto quella mattina? Non doveva essere una donna. Lui neppure sorrideva. Sembrava accigliato e anche arrabbiato. Davvero era arrabbiato?
Gina attese inutilmente svariati minuti e si accese anche altre sigarette che non le andavano. Ma lui niente! Non lo vide mai sollevare la testa dal visore.
Certo: pensò anche che avrebbe potuto esser lei ad andare da lui e a dirgli: ciao, come stai? Ma il sol pensiero le faceva tremare le gambe. Non riusciva a farlo. E poi sentiva che si sarebbe commossa mettendosi subito a piangere. E non voleva farsi vedere così disperata e alla canna del gas, non voleva fargli capire quanto lui fosse stato importante per lei in quel periodo di depressione assoluta. Non riusciva quindi a recarsi da lui, dal suo salvatore. E lui sembrava che non avrebbe alzato la testa nemmeno per un attimo, che sarebbe potuto rimanere lì per sempre a ignorarla.
Gina pensò che fosse molto cattivo. Cattivo!, io sono venuta apposta per te stamane, deviando dai miei soliti piani e affibbiando anche i bambini a mamma pur di vederti, e tu neppure mi guardi!, cattivo, cattivo! screanzato!
Si sentì amareggiata. Come se lui la ignorasse di proposito. E poi c’era quel suo piglio tutto serioso e quasi scontroso che la faceva dubitare. Le dava una brutta sensazione di fatalità, che le cose tra loro sarebbero andate male. Forse lui non era quello che lei si credeva, dopo tutto. E ciò avrebbe rappresentato una tragedia. Gina non resistette più. Si alzò e se andò. Prima che avesse potuto farlo lui.
Tuttavia Gina cercò di non perdersi d’animo. A quel punto, quella storia di farsi riconoscere, divenne oggetto di fissazione per lei, di incubo e di tigna. Così altre mattine ripeté quel rituale del sapone non-sapone e del deodorante non-deodorante e dei bambini lasciata alla mamma non-mamma, cioè la nonna. Per svariate mattine consecutive entrava nel cancello semiaperto, guardava a sinistra e lo trovava sempre lì, seduto alla stessa panchina che sembrava non si fosse mai mosso. E sempre gli passava accanto con quella sigaretta accesa a cui non sapeva rinunciare, che gli serviva per ingannare il nervoso, per affrontarlo qualora si fosse destato. Ma lui non si destava mai. Sempre con la testa china. Sempre con quell’aria seria che delle volte sembrava arrabbiata. Tanto che a un certo punto si chiese pure se per qualche motivo avesse potuto avercela con lei…
Lei si sedeva poi sulla panchina e continuava a fumare. Ma col passare dei giorni si stancò di sentirsi sempre rifiutata. Così prese ad andarsene appena finita la sigaretta. E quando si alzava, lo odiava ogni giorno un poco di più.
Gina si avvilì. Sentiva che c’era qualcosa che non andava in lui e in quella situazione kafkiana. Lui, era troppo fermo. Era troppo arrabbiato. Ma non poteva avercela con lei perché altrimenti glielo avrebbe detto! Mentre nella chat lui era sempre gentilissimo con lei e sembrava amarla dal profondo. Allora Gina pensò che ci fosse qualcosa di molto grave in lei, che non era capace, alla sua età, grande e grossa, di recarsi da lui e di dirgli: eccomi qua!, scopiamo?! Le dava molta afflizione quel fatto. E non sapeva perdonarsi quella vigliaccheria da bimba. Eppure, se lui avesse saputo tutto quello che le era toccato in sorte e tutto quello che aveva patito, si diceva Gina, mai le avrebbe imputato quell’inadeguatezza che in realtà solo lei si attribuiva.
La sua frustrazione era così tanta che per alcuni giorni decise di rinunciare a quell’infruttuoso rituale. Aveva bisogno di ricaricare le batterie della propria autostima.
Ma comunque, quattro giorni dopo, era un venerdì, si forzò per fare un ultimo tentativo. Sentiva che sarebbe stato l’ultimo perché non aveva più la forza di non essere riconosciuta per quel che lui a parole le diceva sempre mentre nei fatti non succedeva. Inoltre sarebbe stata l’ultima volta perché era decisa a provocarlo. A smuovere lei la situazione. L’importante sarebbe stato sorridere, sorridere, sorridere, così da mascherare quelle lacrime che subito sarebbero giunte. Riteneva che non avrebbe pianto, anche perché, dopo tutte quelle volte a vuoto, si sentiva molto contrariata.
Quella mattina si lavò col sapone non-sapone, poi utilizzò il deodorante non-deodorante e si avviò per quella strada che ormai conosceva bene. Era una bella giornata di sole, anche abbastanza calda per non soffrire il freddo. Gina entrò dal cancelletto semiaperto e svoltò decisa a sinistra con in bocca la sua sigaretta appena accesa a darle coraggio. Ma lui… non c’era.
Proprio quella mattina non c’era. Ohh!, si disse Gina: vuoi vedere che oggi non viene? proprio oggi, porco giuda! Rallentò il passo. Lo sguardo le scorse lungo il sentiero, ma anche le altre panchine erano desolatamente libere. Allora si andò ad adagiare sulla solita panchina che occupava la mattina lei, due panchine più giù quella di lui. E si mise ad aspettare là guardando verso il cancelletto da dove sperava sarebbe presto giunto. Guardò l’orologio. Era l’ora di sempre, non era in anticipo lei…
Neanche trenta secondi dopo, si accorse però di una cosa molto importante. Lui era in quel luogo. Solo si era spostato molto più in alto. E lei lo avvistò. Lì davanti a lei, ma più in alto.
Gina si sentì molto delusa e frustrata. Allora si alzò rapidamente in piedi e decise che quello sarebbe stato l’ultimo sgarbo che lui le faceva. Lei non si sarebbe più impegnata a vederlo. Adesso avrebbe dovuto fare tutto lui, se davvero ci teneva a lei…
Gina si allontanò sempre più da lui. Mentre lui non capì cosa le fosse preso. Gina un bel giorno se ne trovò un altro. Tuttavia non ebbe mai il coraggio di comunicare a lui, a quello della panchina, che ci fosse quell’altro.
Gina un giorno smise totalmente di rispondere alle sue domande, ai suoi auguri, sperando che prima o poi lui l’avrebbe capito da solo che era il caso di togliere le tende. E un giorno lui lo capì e non cercò più di contattarla.
Gina chiamava quel che aveva in mezzo alle gambe “Gina”. Esattamente come lei.
