Il giorno dopo Nemesis volle passare nuovamente per quella via per accertarsi delle condizioni della ragazza sbandata. Gli si strinse il cuore allorquando la trovò quasi nella stessa identica posizione di quando l’aveva veduta ventiquattro ore prima, con qualche ciuffo di capelli che spuntava appena dall’ampio piumone.
Sicuramente, ancora una volta, non aveva potuto dormire come si doveva la notte e ora doveva recuperare. Sennonché un’idea più subdolamente afflittiva gli si fece spazio nella testa: era malata. Ecco perché stava sempre ferma, non la vedeva più agitarsi, per non dire proprio berciare litigando coi passanti. Nemesis se ne addolorò.
Una ragazza che sta sulla strada, che si ammala, ha molte più probabilità di una persona comune di sviluppare una patologia grave, rifletté Nemesis. Così al ritorno, quando stava per ripassarle davanti, – per quanto la sua indole riservata non glielo avrebbe mai prescritto – pensò che forse era il momento di intervenire. Allora immaginò che, una volta nei pressi di quella panchina adibita a giaciglio, si sarebbe seduto sull’altra panchina gemella che era proprio lì accanto. Dunque avrebbe atteso che lei si fosse accorta di lui; ma se anche lei non l’avesse fatto, lui a un certo punto le avrebbe detto: ciao, come stai? Ti senti bene? Ultimamente ti vedo sempre sdraiata come fossi malata? Hai forse bisogno che ti compri una medicina? Hai la febbre? Su questa via, come saprai, c’è una farmacia…
Ma quando Nemesis effettivamente si trovò a passar di lì, semplicemente, non ebbe il coraggio di fermarsi per cercare di parlarle. Tra le altre cose, temeva che ella avesse potuto reagire in maniera sconsiderata mandandolo a quel paese, per quanto in quel mentre sembrasse invece assolutamente remissiva e battuta dalla vita: bisognosa di tutto l’aiuto del mondo.