DOT: Vicinanza


La giornata ci è propizia e la smilza non si fa vedere (da allora non la vedrò più, deo gratias!). Nella stanza subentra solamente un ragazzo barbuto con gli occhiali, che però si mette compostamente dietro di lei. Così è come se fossimo da soli, io e lei, in quella piccola stanzetta, e l’atmosfera è molto differente da quella opprimente della volta scorsa.

Questo mi favorisce poiché, un po’ per la contingenza, un po’ perché non sono più uno sconosciuto totale per lei, un po’ perché spero che abbia capito la mia bontà d’animo, o perlomeno la predisposizione benigna che ho verso lei, Cristina (oggi ho deciso di chiamarla così) tende a non vedermi più come un intruso, un corpo estraneo: semmai mi percepisce come uno più o meno nelle sue identiche condizioni. Quindi non un nemico, bensì un confratello. Anche se un confratello che le frega le risorse.

Durante la nostra comune permanenza, ci scambiamo ogni tanto delle innocenti occhiate esplorative… Osservo il mio riflesso nel monitor del portatile. Non devo essere poi così male agli occhi di una ragazza, penso e me ne compiaccio. Forse, addirittura, le interesso. Ma sarebbe straordinario se avessi fatto colpo più di quanto lei lo ha fatto nel mio cuore. Perché io sono sempre stato così, fin da bambino: assai incline a infatuarmi in quattro e quattrotto di una che magari neppure mi cagava. E poi sono così impulsivo…

 

LA DONNA RAZZO (un racconto scritto da Nemesita)


Lui era giovane e bello e sembrava una rock star, con quel suo taglio di capelli così istrionico. Lei era una ragazza dolce e ingenua come tante, ancora non traviata da nessuno, una di quelle che amano poiché non hanno conosciuto alcun male. Insieme si amavano di un amore puro e incontaminato…

Ma un giorno Tari venne rapita dal Monarca delle Televisioni il quale la colpì in volo facendola precipitare con il suo aereo. E Lui, il suo bell’innamorato, distrutto dal dolore, ne celebrò la morte imbastendo un funerale senza spoglie.

Ma l’obeso e malvagio Monarca delle Televisioni in realtà non l’aveva uccisa. O meglio, aveva sì ucciso Tari, la Tari innocente di prima, ma solo per riplasmarla a suo piacimento in un essere tanto mostruoso quanto perversamente ammaliante, un’arpia prodigiosa che danzava nell’aria tessendo spirali magiche di calamità.

Così, quando Lui la rincontrò, non si accorse che era Lei, perché Lei era tutt’altra persona, tutt’altra entità, era per l’appunto irriconoscibile. E sorrideva in quel modo perfido godendo del male che infliggeva. Per cui Lui non aveva motivo di crederla la sua Tari. D’altronde Lei pure non lo riconosceva, e difatti tentava tenacemente di ucciderlo…

Ma era davvero così? No, in realtà Lei, in qualche lontano anfratto della sua coscienza, lo aveva riconosciuto! Sì, l’aveva riconosciuto perché l’aveva amato troppo affinché l’oscuro Monarca delle Televisioni, che pure le aveva fatto il lavaggio del cervello ripulendole tutta la memoria, riuscisse nel suo intento monopolizzante e azzerante.

Dunque Lei rammentava: ma quello non le impediva di comportarsi ugualmente come l’Opulente Signore le comandava. E, in definitiva, Lei poteva solo, non vista da nessuno, lasciarsi scendere una lacrima negletta per celebrare il ricordo di quella che era e che non sarebbe più stata, perché il giogo dell’Oscuro Signore era troppo forte e la imprigionava per, un giorno, sperare di potersene liberare. E poi Lei aveva compiuto tutto quel male che… come averebbe mai potuto perdonarsi seppure un giorno avesse riacquistato la libertà e l’arbitrio perduti?

 

Il contaminato composito del mobbing – Seconda parte


Una settimana dopo Nemesis si prese ben quattro ore di permesso dal lavoro per esser sicuro di riuscire a parlare con qualcuno del Sindacato. Stavolta si recò direttamente all’ultimo piano. Gli ascensori erano entrambi rotti e dovette arrivarci a piedi. Una volta sul piano, osservò che dalla parte destra c’era una lunga fila di persone con in mano un numeretto che si prendeva poco più là. Chiese loro se erano in fila per le vertenze e gli dissero tutti di sì. In particolare un tipo con la barba, dall’aria stranita, gli disse:

«Sono qui da tre ore e la fila non cammina…»

Ma quel giorno Nemesis aveva un diavolo per capello e non era intenzionato a stare al gioco di quella burocrazia che sembrava volerlo assai scoraggiare. Così istintivamente si recò nella parte sinistra del piano, anche se ancora non sapeva per quale motivo. In quei luoghi non mancavano le sedie per sedersi perché non c’era anima viva. Nemesis seguì la segnaletica per il bagno. Alla fine del piano trovò il bagno ma anche una specie di strano stanzino che dapprima pensò essere uno sgabuzzino, ma poi, quando una ragazza sui trenta con in mano una borsetta ci si infilò dentro e poté osservarne l’interno, si accorse che si trattava di veri e propri uffici. Con faccia tosta bussò alla porta malmessa appena chiusa pronto a farsi aprire. Si aspettava dei rifiuti, di essere scacciato, ma non avrebbe fatto nulla. Forse avrebbe provato a litigare con qualcuno lamentandosi della fila interminabile dall’altra parte.

Dopo che ebbe bussato, gli aprì la porta la stessa donna che aveva visto entrarvi. Era una donna non troppo alta, con un’aria molto dimessa. E sembrava anche molto più gentile della massa delle persone che lavoravano là. Gli disse timidamente:

«Desidera?»

Sembrava una giovane di bottega per quanto era timorosa. Nemesis colse la palla al balzo per mostrarsi deciso.

«Voglio parlare con qualcuno dell’Ufficio Vertenze!»

La giovane donna non fece una piega.

«Prego, si accomodi. Mi segua.»

Nemesis, seppur basito per l’inatteso sviluppo, fu felice di seguirla. Non gli sembrava vero di non esser stato respinto. Comunque non credeva che sarebbe riuscito davvero a parlare con qualcuno nell’immediato, sarebbe stato troppo bello altrimenti e non voleva illudersi.

La giovane donna gli fece fare un bel giro e dovettero attraversare svariate stanze per lo più deserte o in cui la gente si faceva i fatti propri. In una vide anche una tipa che giocava col cagnolino. In un’altra uno che si limava le unghie. In un’altra ancora un tizio che fumava e beveva birra guardando una partita di calcio alla tv via cavo.

Infine arrivarono in una stanzetta un po’ più caotica delle altre in cui l’aria era maggiormente viziata. Nella stanza c’erano due scrivanie. Una era della donna, e fu lì che essa fece accomodare Nemesis. L’altra era di un uomo dall’aria annoiata, intento a scorrere con gli occhi un gazzettino di moda maschile.

Quando Nemesis e la ragazza entrarono e questa ebbe salutato garbatamente il tizio, questi, non degnandola di risposta e contrariandosi, abbassò presto il gazzettino, si alzò in piedi, aprì una finestra e si recò verso la porta che lo divideva dall’esterno, che non era quella dalla quale erano venuti sia Nemesis che la sua accompagnatrice. Aperta la porta, disse quasi sottovoce sicuramente sperando di non essere udito:

«Il prossimo…»

Fuori si sentì un leggero parapiglia. Poi emerse dall’uscio proprio quell’uomo barbuto incontrato da Nemesis pochi istanti prima il quale si palesò molto sorpreso di vederlo anche lui là comodamente seduto all’interno della stanza destinata alle vertenze. Tuttavia non gli disse nulla né lo cercò più con lo sguardo in seguito.

Nemesis e la ragazza cominciarono a parlare. Esordì Nemesis:

«Ma è davvero questo l’Ufficio Vertenze?»

«Certo.»

«E allora… la fila lì fuori?»

«È che c’è molta gente.»

«Okay. Ma i numeretti…»

«Sono per evitare che la gente litighi tra loro per passarsi avanti.»

«Ma io sono entrato senza numeretto…», disse infine Nemesis non potendo trattenere la sua curiosità ben sapendo che forse sarebbe stato retrocesso per quel motivo. Malgrado ciò la ragazza sorrise mitemente.

«I numeretti non sono necessari a noi, ma a voi. Ripeto, per evitare che si scatenino risse per chi è arrivato prima. A noi non interessa parlare prima con uno piuttosto che un altro. Per noi siete tutti uguali.»

«Ma… io sono entrato da quell’altra parte…»

«Certo. Si può entrare anche da quell’altra parte. Non è mica obbligatorio entrare solo di qua.»

«E perché non lo dite alla gente?»

«Ho fatto domanda per apporre un cartello, ma qui ci sono tempi lungi per tutto. Se sapesse… Sei mesi fa ho chiesto di avere del semplice materiale di cancelleria: una gomma, una matita, delle penne nere e blu. Ancora sto aspettando…»

Nemesis comprese la tristezza della vicenda e da allora si dedicò alla propria faccenda esponendo alla ragazza, incredibilmente disponibile, i fatti che voleva riferire. La ragazza gli disse che aveva sicuramente ragione lui, che la sua azienda operava in maniera molto scorretta e come minimo sarebbe stato giusto multarla, e lui poteva chiedere un risarcimento per tutto quello che gli era toccato di fare e subire.

Nemesis fu molto contento delle sue parole. La ragazza aveva un lieve difetto di pronuncia che in realtà gliela rendeva molto faceta. Sembrava avesse un problema a pronunciare alcune consonanti, come si fosse trattato di una poppante.

Infine la ragazza gli segnò su un pezzettino di carta l’indirizzo di uno studio legale. Gli disse che ora sarebbe toccato mettere le cose in mano agli avvocati per fare sul serio, lei era solo una semplice operatrice. Nemesis osservò l’indirizzo appena consegnatogli e notò che anche esso era curiosamente molto vicino a quello della sua azienda. La ragazza gli prenotò un appuntamento per la prossima settimana e gli disse che forse avrebbe trovato anche lei in quell’edificio perché sovente esercitava lì.

La settimana dopo Nemesis si recò puntualmente puntiglioso al luogo dell’appuntamento. Ebbe qualche problemino anche lì per scoprire a che piano recarsi ma infine se la cavò in appena venti minuti. Una volta al piano, parlò con la segretaria all’ingresso:

«L’avvocato Granladroon, prego…»

«Si accomodi nel salottino attiguo. Verrà chiamato quando sarà il suo turno. Lei è il signor…?»

«Nemesis.»

La segretaria fece un segno di spunta su un foglio dattiloscritto e annuì.

Nemesis si accomodò nella sala d’attesa. In quella sala si affollavano varie persone, per lo più stranieri. Nemesis contò un uomo di origine gitana, lavoratori dell’est dall’aria emaciata e donne affrante con il volto stremato dagli abusi. Un’ora dopo vide passare anche quella giovane donna con il difetto di pronuncia con cui aveva parlato giorni addietro al Sindacato. Fu tentato di attirare la sua attenzione, ma essa, abituata a non fare caso alle persone nella sala d’attesa, passò troppo in fretta per notarlo. Da allora Nemesis sperò di poterci riparlare. Tuttavia ben presto si rese conto che non sarebbe stato così. Infatti, il ruolo introduttivo alla stanza degli avvocati, era svolto da una signora la quale periodicamente si metteva sull’uscio e chiamava dei nomi.

Per qualche ragione a lui incomprensibile, Nemesis venne sistematicamente scavalcato da tutti, anche da coloro i quali giunsero ore dopo di lui. Alla fine Nemesis era diventato di cattivo umore e cominciò a sparlare della persona che chiamava i nomi dicendo che non si atteneva al giusto ordine. Ma fece un errore e in quel mentre si rese conto che la signora doveva essersi accorta per forza del suo malcontento.

Mezz’ora dopo, quando ormai era rimasto il solo seduto nella saletta d’attesa, venne convocato nella stanza dell’avocato, ma questi ancora non era presente. Parlò con una specie di segretaria dell’avvocato, che era la stessa signora che chiamava la gente. Si trattava di un’attempata signora con i capelli tinti di biondo. Nemesis snocciolò la sua storia e la signora disse che senz’altro era stato indirizzato bene, che l’avvocato trattava cause come quelle tutti i giorni. La donna lo intrattenne anche con la storia della propria vita dicendogli che quando era stata giovane, il suo datore di lavoro aveva tentato di obbligarla a un rapporto sessuale. Disse che se avesse accettato la sua vita avrebbe preso una svolta molto diversa da quella che invece prese, sarebbe diventata ricca e non avrebbe più avuto problemi di soldi. Tuttavia avrebbe dovuto barattare quell’agiatezza con la propria libertà di donna indipendente non ricattabile e a lei questo non sarebbe mai andato bene. Per questo era entrata nel Sindacato e da allora si era battuta per i diritti dei più deboli.

Nemesis, che non era per nulla interessato alla sua storia, le fece una strana faccia che la donna interpretò come non avesse creduto che un tempo potesse essere bella e attraente e allora lei ci tenne a specificarglielo ancora una volta:

«Lei mi vede così adesso, ma un tempo ero, da giovane, ero davvero una bella figliola…»

Nemesis allora fu costretto a considerare meglio la sua figura e invero intravide ora perfettamente la bellezza della donna, che era molto formosa e piacente. La donna sentì di esser riuscita a fargli cambiare idea e si allacciò l’ultimo bottone della blusa che dava sul suo generoso seno matronale. Nemesis divenne rosso in volto come lo avesse sorpreso a sbirciarci dentro.

In seguito la donna volle spulciare tra le carte (che facevano parte del faldone che Nemesis si era previdentemente portato appresso) che l’avvocato della ditta nella quale lavorava Nemesis gli aveva fatto firmare un anno prima, promettendogli che così sarebbe stato assunto in maniera definitiva. La donna richiamò l’attenzione anche delle altre persone presenti nella stanza. Alla fine, scuotendo la testa, una di loro, che sembrava la maggiormente competente in materia legislativa lì dentro, disse sconsolatamente:

«Bel capolavoro! Firmando questo, si sono parati il culo su tutto il pregresso. Su quello non puoi più accampare alcun diritto…»

Poi però gli venne una curiosità…

«Vediamo un po’ chi è l’avvocato che ha combinato la porcata…»

Sfogliò le carte del documento con autentica curiosità. Poi la sua espressione mutò. «Ohhh», fece. Disse che era un avvocato che conosceva bene. Disse anche che era un suo buon amico. Dunque quel tipo non volle più continuare col discorso della porcata e lasciò andare la cosa.

Dopo quella rivelazione, la signora un tempo molestata sessualmente cambiò espressione anche lei. Riprese in mano la pratica di Nemesis e gli disse:

«Senti, visto il tuo caso, è meglio se invece dell’avvocato Granladroon, ti assegniamo l’avvocato, Befine, che ne dici? Tanto la prima visita non è ancora avvenuta…», e con fare circospetto cancellò il nome dell’avvocato dalla cartellina col caso di Nemesis e vi appose il nuovo nome. Mentre Nemesis non seppe che dire. Di certo non poteva esporre alcuna scusa per rifiutarsi. Ma soprattutto non capiva le motivazioni che avessero indotto la donna a comportarsi in quella maniera. La signora, un tempo gran fica ma oggi donnetta con la cistite cronica alla fica, diede a Nemesis un indirizzo in cui recarsi tra due settimane per discutere il suo caso col nuovo avvocato.

Due settimane dopo Nemesis si recò negli studi del nuovo avvocato, dislocati stavolta molto lontani sia dalla sua azienda che da casa sua. Si trovavano in una nota zona residenziale ma anche rinomata per i numerosi studi notarili, piuttosto fuori mano e difficilmente raggiungibile con i mezzi pubblici.

Dopo la solita anticamera di un’ora, Nemesis fu fatto entrare nella stanza dell’avvocato, che aveva fama di grande anfitrione d’esperienza del Foro. Nemesis era molto emozionato e aveva anche un po’ di tremarella. Era la prima volta che si serviva di un avvocato. Una volta che avrebbe messo la pratica nelle sue mani, non sarebbe più tornato indietro e si sarebbe andati al muro contro muro con la sua azienda…

Mentre aveva atteso il suo turno, Nemesis aveva anche capito chi fosse questo avvocato. Era un uomo sui settanta, di media altezza, che ispirava grande autorevolezza, con una voce profonda e a tratti paterna o altisonante. Dunque era lui che si attendeva di trovarsi di fronte una volta entrato nella stanza dell’avvocato. Tuttavia invece si trovò di fronte uno dei suoi numerosi assistenti. Questi era un tipo monocorde con faccia invariabile, uno che si sarebbe detto perfetto per eseguire un monotono e noioso lavoro di pura vidimazione. Sembrava un tediato impiegato delle poste reso disgustato dalla ripetitività del proprio lavoro. Nemesis gli spiegò la faccenda manifestandosi anche molto accorato e accurato. Nella sua testa si era fatto uno schema mentale con le cose più importanti da riferire. Tale discorsetto se lo era ripetuto innumerevoli volte prima di allora finendo per renderlo molto funzionale.

L’assistente del grande avvocato fece spesso cenno di sì con il capo invogliandolo a parlare e manifestandogli che era interamente dalla sua parte. Tuttavia, a fine discussione, dovette dargli una notizia imprevista.

«Lei ha perfettamente ragione in tutto, a protestare, lagnarsi nei confronti della sua azienda, e ha sicuramente il diritto di chiedere un rimborso esiguo per tutti gli anni che ha lavorato lì, però c’è un piccolo particolare. In realtà non tanto piccolo… Lei non ha in mano prove sufficienti a dimostrare quel che dice…»

Al che Nemesis insorse. Ribadì i punti a suo favore, gli fece ancora una volta innanzi il grosso faldone con i documenti che lui aveva così maniacalmente messo da parte, i quali, a sua detta, tutti quanti rappresentavano prove inconfutabili del truffaldino modo d’agire della sua azienda. Inoltre gli sembrava strano che fino a un attimo prima fosse stato sempre incoraggiato e rassicurato circa la vittoria certa della sua causa mentre solo allora gli si prospettassero dei problemi per aggiudicarsela.

Il colloquio si concluse con l’assistente che licenziò Nemesis dicendogli di fornirgli maggiori e più schiaccianti prove. E Nemesis, sbiancato come un lenzuolo, si alzò dalla sedia, salutò e si chiuse la porta alle spalle conscio che non sarebbe mai stato in grado di fornire prove di quel tipo. Sarebbe stato come far ammettere all’azienda il loro modo di operare scorretto per loro spontanea volontà, e ciò era impensabile che accadesse.

Una volta che fu uscito, l’assistente chiamò al telefono l’avvocato. Questi un minuto dopo entrò nella stanza e gli chiese come era andata e l’assistente gli disse che secondo lui era riuscito a distoglierlo a sufficienza e che Nemesis non si sarebbe più fatto vedere. E così fu. L’avvocato chiamò l’azienda di Nemesis mettendoli al corrente del fatto.

Associazioni a delinquere


È chiaro che quando si verificano molteplici roghi uno appresso all’altro nello stesso territorio ci sia dietro il preciso intento di arrecare un fortissimo danno (e magari impegnare le forze di polizia in certe cose per distoglierle da altre).

Per questo, quando in questi casi si becca un piromane con le mani nel sacco, non gli va ascritto solamente il reato di piromania, ma gli si deve addebitare molto di più perché egli, vigliaccamente, ha appiccato un incendio sapendo che quel comportamento in quel momento avrebbe arrecato un danno ancora maggiore del normale.

Questi sono concetti basilari di Logica. Eppure la Giurisprudenza non ne tiene quasi mai conto…

Il contaminato composito del mobbing – Prima parte


Adesso che era successa quella cosa che gli aveva spalancato gli occhi, adesso che quell’atmosfera strisciante di perenne falsità poteva notarla ovunque, adesso che aveva le prove che essa fosse reale (e non una sua ossessione), adesso che intorno a lui non era rimasta neppure una singola persona decente che non si fosse macchiata di gravi crimini, menzogne o colpevoli omissioni, adesso Nemesis avvertiva di sentirsi davvero nauseato e fuori posto. Per questo cominciò a pensare di cambiare aria sul serio, di trovarsi un altro posto di lavoro, poiché non sopportava più di condividere il suo spazio vitale con quelle bisce rivoltanti, le quali dalla mattina alla sera, oltre che compiere la loro sporca missione, lo calunniavano, lo umiliavano, gli parlavano alle spalle, lo criticavano, lo spiavano, lo mettevano in aderenza col delitto, in situazioni scomode dalle quali, come minimo, se non se ne fosse tolto di mezzo al più presto, anche lui avrebbe finito per rimanervi invischiato.

E l’ultima di esse si era verificata quando, un giorno, Mr Pera lo aveva fatto convocare nella propria stanza dicendogli che gli doveva chiedere se poteva realizzargli qualcosa di molto importante. Nemesis vi si era recato pronto a dare il meglio di sé, poiché sapeva quali fossero le doti di Mr Pera e che egli non fosse uno sprovveduto circa le questioni che gestiva e dominava (al contrario di tanti altri con i quali gli toccava di lavorare); non a caso Mr Pera era a capo di gran parte dell’azienda, se pure sopra di lui ci fossero molti altri controversi direttori la cui faccia Nemesis neppure conosceva, che però a livello fattivo non erano certo paragonabili con la dinamica efficienza del buon amministratore Mr Pera, il quale era davvero una persona che risolveva i problemi veri piuttosto che uno di quelli che prendevano sciagurate decisioni (in base a interessi del tutto personali e contingenziali) che poi sarebbero ricadute sulla massa inerme delle persone; deliberazioni che spesso non potevano quindi che essere le più sbagliate possibili per tutta la collettività.

Nemesis si incamminò tra corridoi e scantinati e ascensori e temette di perdersi poiché, per arrivare da Mr Pera, dovette passare per un percorso a ostacoli per il quale solitamente non transitava, dato che per dei lavori di ristrutturazione si era provveduto a chiudere un varco principale, oltre che un’intera camerata con molte persone all’interno. Per questo, degli operai lavoravano alacremente imprecando, mentre le persone chiuse dentro piangevano e li supplicavano di fare presto poiché avevano problemi alla vescica, si sentivano male, mancava loro l’aria ed avevano il calo degli zuccheri; ragioni che non facevano che esacerbare maggiormente gli interventisti, i quali erano abituati ad adoperarsi con i loro ritmi blandi, e dunque bestemmiavano con maggiore convinzione a ogni loro nuova lamentela.

Quando fu arrivato davanti l’ufficio di Mr Pera, Nemesis si schiarì la voce, controllò il suo aspetto in una vetrata specchiante (era ineccepibile, seppur pareva che nella sua espressione vi fosse qualcosa di eccessivamente agitato, di cui lui quasi si spaventò) e bussò alla porta del superiore. Mr Pera gli rispose subito «Avanti!».

Nemesis apprese immediatamente che, curiosamente, Mr Pera era al telefono con Occhi di Serpente, e non fece nulla per nasconderglielo. «Eccolo qua il nostro Nemesis!», disse affettuosamente rivolgendosi alla persona all’altro capo del filo. «È appena arrivato. Te lo rimando tra qualche minuto, non ti preoccupare. Se non lo vedi, sai che sta da me…».

Tuttavia Nemesis non avrebbe potuto essere sicuro che si trattasse proprio di lei (avrebbe potuto essere anche la Nana Timida) se, appena interrotta la comunicazione, Mr Pera non gli avesse garbatamente aggiunto la frase: «Mi scoccia sempre con il parcheggio, ahhh! Anche se stavolta non era per questo… Ma anche con te è così pressante delle volte?» e gli aveva sorriso facendo l’amicone. E Nemesis aveva risposto: «Delle volte», volendo tagliar corto poiché non gli interessava parlare di Occhi di Serpente (anche se comunque era strano che, appena si fosse mosso dalla sua postazione, lei, che spesso se ne rimaneva chiusa nella sua stanza a fumare, si fosse interrogata su dove potesse essersi portato), mentre molto di più gli premeva di appurare il motivo per il quale Mr Pera lo aveva chiamato.

Mr Pera fu un perfetto padrone di casa e lo mise più a suo agio possibile. Gli introdusse la faccenda e come essa gli si era manifestata lampante per la prima volta nella testa mentre era in bagno a farsi la barba. Dunque espresse i suoi ragionamenti inappuntabili che finivano per coinvolgere Nemesis, poiché lui aveva le competenze necessarie per risolvere quella questione nel migliore dei modi. E pertanto gli fece la domanda diretta, se poteva eseguirgli quell’attività, che considerava sia assai utile che proficua per tutti.

Ma Nemesis, che durante l’esposizione aveva dormito del sonno del saggio, che era stato attentissimo e che aveva ascoltato rimanendo quasi esclusivamente in silenzio, lo sorprese uscendosene con la frase che… quello che Mr Pera gli stava così affabilmente proponendo di fare non è che non si potesse realizzare (perché lui ne sarebbe stato perfettamente in grado), ciononostante era semplicemente illegale.

Nemesis si pentì quasi subito di aver pronunciato quella parolina che nell’azienda era oltremodo tabù. Mr Pera gli fece una faccia aggrottata e volle quasi subito censurarlo dicendogli:

«Che brutta parola che hai usato… Illegale!»

Tentò di sdrammatizzare dicendogli che quel procedere era pratica ormai comune ovunque e che presto neppure sarebbe stato così “formalmente disdicevole” come era ora, poiché gli era giunta voce certa che il Governo, non potendo più chiudere gli occhi sullo stato delle cose, avrebbe sicuramente finito per condonare le situazioni pregresse circa quella questione, e con un decreto presto l’avrebbe del tutto liberalizzata, facendo sì, per l’appunto, che nessuno si potesse sentir dire che cose similari erano “formalmente disdicevoli”. E allora esse sarebbero diventate solo una nuova condizione alla quale adattarsi nel modo più rapido possibile e alla quale tutti avrebbero dovuto soggiacere…

Ma Nemesis, che non ne era affatto convinto, gli rispose, da vero diavolo, che allora, quando il tutto sarebbe stato lecito, lui l’avrebbe fatto, ma non prima, perché la responsabilità oggettiva di quella cosa sarebbe ricaduta senz’altro su di lui e, se la Legge lo avesse sorpreso con le mani nel sacco, lui non avrebbe potuto difendersi dicendo che non sapeva che la tal cosa fosse illegale, poiché “la Legge non ammette ignoranza”!

La dissertazione di Nemesis fu così precisa e circostanziata che Mr Pera comprese che non ci sarebbe stato nulla da fare per smuoverlo minando le sue certezze. Così lo salutò repentinamente dicendogli però di pensarci bene, e Nemesis altrettanto scaltramente gli disse che lo avrebbe fatto; ma in cuor suo giù sapeva che non avrebbe mai cambiato idea, e non solo per il criterio della legge, ma perché, per lui, quello che Mr Pera gli chiedeva, era qualcosa di eticamente sbagliato che dunque Nemesis non avrebbe mai avallato con il suo lavoro, legittima o illegittima che fosse stata un domani la legge di competenza.

E quello era stato l’ultimo tassello, oltre alle solite violazioni sulla privacy dei dipendenti, che aveva scatenato le ire di Nemesis, il quale un giorno decise di cautelarsi e di andare a parlare con un avvocato del Sindacato che avrebbe dovuto essere esperto di questioni simili. Lo stabile del Sindacato era stranamente molto vicino alla sede dell’azienda nella quale Nemesis lavorava; così, la prima volta, Nemesis prese solo un permesso di una sola ora, prima di pranzo, per recarvisi e fare ritorno, per cercare di divenire ferrato su tale questione, o almeno sperare d’intuire come essa funzionasse.

All’ingresso, vicino la guardiola del portiere dello stabile del Sindacato, vi erano apposti dei cartelli, ma stranamente Nemesis li trovò assai confusi. Infatti recavano tutti indicazioni del tipo:

Ufficio ve te e SECONDO PIANO

ufficio reclami CHIEDERE AL PORTIERE

ufficio sinistri PIANO

uff. amm. Fott. Dott. Cul. TERZO PIANO

ufficio evacuazioni (sospeso)

ufficio cause QUINTO

I cartelli erano quasi tutti zoppicanti, malmessi e contenevano abrogazioni dovute probabilmente all’usura. Nemesis ritenne che l’ufficio delle vertenze fosse collocato al secondo piano. Ma per sicurezza chiese all’usciere. O almeno pensò di farlo. Ma in guardiola non era presente nessuno, se non un poliziotto piuttosto defilato che si nascondeva in un angolo davanti a un quotidiano. Nemesis bussò al vetro. Il poliziotto non diede segni di vita. Allora bussò con maggiore convinzione. Il poliziotto abbassò il giornale e gli fece vedere la sua faccia scocciata e oltremodo annoiata. Nemesis, ottenuta la sua attenzione, gli chiese se l’Ufficio Vertenze fosse al secondo piano. Il poliziotto rispose contrariato che c’erano i cartelli. Nemesis puntualizzò prima che quello potesse ritirare su il giornale che i cartelli erano incompleti. Allora il poliziotto disse che non lo sapeva, che doveva chiedere all’usciere. Nemesis gli chiese dove fosse l’usciere e il poliziotto rispose che non lo sapeva, ma che poteva cercarlo nell’edificio. Grazie al cazzo, pensò Nemesis portandosi verso l’ascensore.

Erano disponibili due ascensori. Uno aveva apposto sopra un cartello con su scritto FUORI SERVIZIO, l’altro no. Nemesis prenotò il secondo. Ma dopo pochi secondi, si accorse che la lucetta della prenotazione si spegneva da sola. Provò per altre due volte ma successe sempre la stessa cosa. Quando era ormai pronto a farsela a piedi, ricevette una voce dall’alto che se la prendeva con lui.

«La vogliamo finire di chiamare l’ascensore?!»

Nemesis alzò il capo e vide che qualche piano sopra c’era un uomo con la sigaretta in bocca che si era sporto dalla balaustra delle scale per protestare verso di lui.

«Perché? Non si può prenotare l’ascensore?», chiese Nemesis ancora garbato.

«No che non si può! Se me lo chiama, come faccio a caricare le cose?! Mi fa chiudere le porte!»

Al che Nemesis decise di non replicare e si incamminò lungo la scala. I gradini erano piuttosto ardui da scalare e anche una persona in ottima salute sarebbe stata in incomodo. Gli scalini, deformati dal tempo, erano piuttosto alti da valicare. Dopo una trentina di scalini Nemesis si ritrovò al primo piano. Mentre riprendeva fiato diede un’occhiata a qualche cartello ma non trovò molto se non una dicitura, che avrebbe potuto essere egizia, che diceva:

3<–

Incrociò una donna delle pulizie con l’alito pestilenziale, grassa e sfatta con la faccia adirata e sdegnata che lo guardò come fosse stato un barbone a un concorso di bellezza. La donna caricò sul carrello con lo spazzolone e il secchio una specie di pacco dal quale veniva emanata una puzza molto dolciastra, come si fosse trattato di marmellata andata a male, e poi con fare circospetto cercò di sparire nel più breve tempo possibile.

Nemesis si fece un giro nel piano ma lo trovò praticamente abbandonato. La cosa lo inquietò molto e si chiese come mai lo fosse. Ma alla fine di un corridoio, davanti all’ultima porta del piano, trovò un’indicazione:

PIANO PERICOLANTE – NON CAMMINARE

Allora si disse: ecco perché non c’è nessuno; ah, però allora la donna delle pulizie che cosa ci faceva qui? E poi si chiese ancora: ma se questo piano è pericolante, allora tutto l’edifico deve esserlo, no? allora perché non lo hanno ancora chiuso?

Con molti dubbi nella testa Nemesis arrivò al secondo piano. Qui vi trovò molta più “vita”. Davanti l’ascensore notò il tizio che prima lo aveva ripreso perché aveva chiamato l’ascensore, ancora indaffarato a caricare pacchi enormi sull’ascensore. Alla fine, per non farselo soffiare, aveva messo uno di quei pacchi davanti la chiusura delle porte, così che queste, quando provavano a chiudersi, incontrassero quell’ostacolo che le faceva riaprire.

A un certo punto, all’ennesimo pacco pesante caricato, l’ascensore cominciò ad emettere un segnale di avvertimento e all’interno di esso si verificò l’accensione di una spia luminosa rossa. Voleva dire che era stata superata la capienza massima di carico. L’operaio se ne accorse subito e parve perplesso. Un secondo operaio presto lo raggiunse dicendogli:

«Hai rotto anche questo?»

«Non l’ho rotto! L’ho solo caricato troppo…»

«E allora adesso che si fa?»

«Dobbiamo fare non più di quattro viaggi, per cui, non ci resta che provare a togliere qualcosa di un certo peso e metterci qualcos’altro di peso un po’ inferiore, in maniera che l’allarme non scatti più…»

«Va bene», disse l’altro rassegnato a farsi il culo…

Ora Nemesis poteva recarsi in due direzioni: a destra o a sinistra. Dato che non esistevano cartelli di sorta che potessero indirizzarlo, decise di prendere casualmente la via di destra. Trovò una lunga fila di persone di cui non si vedeva l’inizio. Ciò lo preoccupò. Decise di chiedere all’ultimo della fila:

«Scusi, siete tutti in fila per l’Ufficio Vertenze?»

Ma quel signore gli diede una risposta ambigua.

«No, io no.»

Nemesis rimase un attimo perplesso e poi dovette aggiungere:

«Ma è per di qui l’Ufficio Vertenze?»

«Non lo so», disse il tipo.

Allora Nemesis si rivolse alla signora immediatamente prima.

«Lei sa dirmi se è qui l’Ufficio Vertenze, signora?»

La donna si arieggiava con un ampio ventaglio.

«Qui si paga il ticket!»

«Il ticket? E per cosa?»

«Ah, se non lo sa lei! Non è che posso dirle per cosa lo pago io! Sono questioni private, sa giovanotto!»

Nemesis se ne stava per andare quando una signora avanti tre posti si intromise nella discussione.

«No, ciccino. Per le vertenze devi andare dall’altra parte del piano, davanti l’Ufficio Scostumatezze…»

Quell’ultima parola ingenerò buonumore in molti altri occupati a fare la fila i quali non si lasciarono sfuggire l’occasione di fare commenti di tutti i tipi.

«Adesso c’è anche un Ufficio Scostumatezze?! Ahahaha!»

«Eccome se c’è! Tu non vieni forse da lì? Ah! Ah!»

«Ma no, scemi, non capite che la signora lo sta solo prendendo in giro? Deve trovarlo molto carino, la signora… Beh, signora, se ha certe voglie perché non rivolge le sue attenzioni a qualcuno di noi che siamo nella stessa fila? Perché rivolgere delle attenzioni fugaci a uno sconosciuto che non è affatto detto che entri nella nostra fila, anzi, adesso che gli ha detto così, sono certo che non lo farà…»

Nemesis, nauseato da quelle ciarle, tornò verso l’ascensore dove si imbatté ancora nei due operai i quali avevano cambiato la dislocazione di molti pacchi e finalmente sembrava avessero trovato la quadratura del cerchio. Infatti erano riusciti a far entrare nell’ascensore un numero di pacchi che li soddisfaceva.

«Vedi che ce l’abbiamo fatta?», disse il capo dei due all’altro che annuì. «Adesso non ci resta che entrare noi e…», ma quando entrò, ancora una volta si accese la spia di sovraccarico dell’ascensore.

«Cazzo!», disse il capo.

«Dovevi calcolare anche tu! Non solo i pacchi!», disse l’altro.

«Cazzo… Beh, io quanto peserò, porca puttana?»

«Non sai quanto pesi?»

«No che non lo so! Non sto mica sempre a misurarmi come quella donnicciola cellulitica di mia moglie!»

«Dovrebbe fare la dieta…»

«La fa, la fa! Tu non ti preoccupare! Ma torniamo a noi…»

«Beh, secondo me tu non peserai più di me…», disse l’altro soppesandolo. I due omini avevano più o meno la stessa struttura fisica ridotta e non raggiungevano il metro e settantacinque.

«E tu quanto pesi?»

«Io? Poco. Ottanta, credo.»

Nemesis li lasciò portandosi oltre, dall’altra parte del piano, dove trovò varie porte con ognuna un cartello sopra, ma nessuno di questi riportava la dicitura che interessava a lui. Chiese alle numerose persone sedute sulle seggiole di attesa delle varie salette.

«Sapete se è qui l’Ufficio Vertenze?»

Alcuni lo guardarono come fosse stato un alieno non proferendo parola. Qualcuno però si degnò di rispondere.

«No, no, è lontano. Una volta era qui, ma l’hanno spostato…»

«E dove?», chiese Nemesis.

«Circa un anno fa era qui. Mi ricordo che sono venuto con mia sorella, che anche lei doveva fare una vertenza. Lei deve fare una vertenza…»

«Forse.»

«Non ne è ancora sicuro? Allora forse dovrebbe prima chiedere all’Ufficio Informazioni…»

«No, beh, sono quasi sicuro di farla. Però bisogna vedere che cosa mi dicono…»

«Capisco. Beh, io una capatina all’Ufficio Informazioni ce la farei ugualmente, fossi in lei…»

«Ma non credo che… Beh, e dove sarebbe questo Ufficio Informazioni?»

«Una volta era dall’altro lato del piano, ma poi ho saputo che l’hanno spostato all’ultimo piano…»

«All’ultimo piano? E perché mai avrebbero dovuto spostare un Ufficio Informazioni all’ultimo piano? Che utilità potrebbe avere in quella sistemazione?»

«Ah! Non lo capisce?»

«No. Proprio non ci arrivo…»

«Evidentemente non avevano altro posto per metterlo, no?»

«Avrebbero dovuto metterlo all’inizio, al pianterreno, o comunque al primo ufficio libero partendo da sotto e spostare quello che era lì al settimo piano…»

«Certo, avrebbero dovuto. Ma si dà il caso che l’alloggio del Direttore Generale di questa filiale sia proprio lì e che egli detesti fare le scale, sa, qui c’è sempre l’ascensore rotto…»

«Va bene adesso la saluto…», disse Nemesis per liberarsi di quella persona che in definitiva non gli era stata minimamente utile e gli aveva fatto perdere solo del tempo.

Tornò verso le scale e l’ascensore. Gli operai erano stati illuminati da un’idea.

«Ascolta! Adesso tu vai giù, okay?»

«Giù dove?»

«Al pianterreno! Dove sennò?!»

«E che ci vado a fare?»

«Adesso te lo dico, rincretinito! Tu stai lì e spetti l’ascensore. Io lo faccio partire, ma stai attento, lo faccio partire senza me dentro, spingo solo il tasto, okay?»

«Ah, ecco. Così capisco…»

«Su, vai!»

Nemesis arrivò al terzo piano. Lì trovò un vecchietto che appena lo vide guardarsi attorno gli chiese:

«Che deve fare?»

Nemesis sperò di essersi imbattuto in qualcuno che conosceva il fatto suo.

«Devo recarmi all’Ufficio Vertenze, sa dirmi dove è?»

«Deve scendere giù e fare il ticket…»

«Giù?! Ma ci vengo da giù, e mi hanno detto che l’hanno spostato da un’altra parte! E poi perché dovrei fare il ticket, si può sapere? Non dovrebbe essere gratuito?!»

«Signore, se uno deve andare all’Ufficio Demenze deve pagare un contributo allo Stato per la visita psichiatrica, non trova? Non l’ho fatta io la legge, non se la prenda con me…»

«Un attimo, un attimo! Io ho detto l’Ufficio Vertenze, non Demenze!»

«Ah, vertenze, avevo capito demenze. Perché per le demenze ci vuole il ticket…»

«Non sa dove è questo ufficio?»

«Prima deve fare il ticket. Dopo le dirò dov’è l’Ufficio Demenze…»

«No! No! Vertenze! Vertenze!», si incaponì Nemesis comprendendo di star parlando o con un duro d’orecchi o con un folle.

«Ah, no, questo non lo so, deve chiedere all’usciere…», alzò le mani l’uomo.

«Ma l’usciere non è al suo posto sennò glielo avrei già chiesto!»

Al che si intromise un vecchierello con un bastone seduto su una seggiola davanti a una porta con sopra il disegno di una croce rossa, come si fosse trattato di uno studio medico.

«Chi dice che l’usciere non è al suo posto?»

«Io lo dico!», disse Nemesis che si cominciava ad alterare.

«E come osa affermare il falso così impunemente?»

«Ma io non affermo il falso! Come si permette? Evidentemente dico che non c’è perché ci sono passato!»

«Dove sarebbe passato?!»

«Nell’ufficio dell’usciere! E lui non c’era!», alzò la voce Nemesis.

«Questo è impossibile! Potrei querelarla per una cosa del genere, lo sa?»

«Ma che sta dicendo?! Chieda al poliziotto se non ci crede!»

«Quale poliziotto?!»

«Quello al piano terra, quale sennò?»

«E perché dovrei chiederlo a lui?!»

«Perché condivide lo stesso locale dell’usciere assente, ecco perché!»

Ormai il tono dei due era molto concitato, tanto che sembrava che tra breve sarebbero passati alle mani…

«E invece no! Non può essere! Quel che dice è folle e illogico!»

«E perché mai lo sarebbe?!», disse Nemesis esasperato.

«Perché sono io l’usciere, ed è questo il mio posto! Quindi, come vede, mi trovo perfettamente in regola con le disposizioni!»

Nemesis rimase basito dallo sviluppo imprevisto, poi replicò a voce comunque alterata ma moderatamente meno esagitata.

«E allora perché diavolo il poliziotto non me l’ha detto?! E perché di sotto c’è un cartello che dice che l’usciere si trova là?»

«Non lo so! Forse perché non l’hanno avvertito della novità. È da un anno che mi hanno spostato qua. E il cartello… pure quello devono ancora cambiarlo, evidentemente…»

«Ma scusi, tutto ciò è dissennato. Lei è un anno che si reca a lavoro, che viene qui, che ogni giorno entra in quest’edificio e non le viene in mente che sia il caso di cambiare quel cartello all’entrata?», cercò di far chiarezza e di metterlo con le spalle al muro. Ma il vecchio non era disponibile ad accollarsi alcuna colpa.

«Giovanotto, ma io mica posso prendere questo tipo di decisioni! Queste cose le fa l’Ufficio Tecnico. È loro compito aggiornare la cartellonistica, non mio! Se mi pagassero, potrei farlo io, certo, ma dato che qui nessuno mi pagherebbe per fare il suo lavoro, che se ne andassero tutti al diavolo!»

Il vecchio sembrò stanco della disputa e, sfiatando come un pallone forato, si ributtò sulla sedia che aveva accolto precedentemente le sue stanche natiche ossute. Nemesis cambiò tono di voce e cercò di non essere oppressivo.

«Sto cercando l’Ufficio Vertenze, signor usciere. Sa dirmi dove è, o devo chiedere in Parlamento?»

L’usciere, sentendosi fiacco, rinunciò a battibeccare.

«È all’ultimo piano. Prima stanza a sinistra, in fondo al corridoio di destra…»

«Grazie», disse Nemesis con un tono uniforme, celando il suo risentimento. Poi guardò l’orologio e si rese conto che il suo tempo era scaduto. Decise quindi che sarebbe tornato un’altra volta…

Passepartout (trasmissione televisiva su Rai5)


Da un lato mi fa molto piacere sapere quanto sia giustamente considerata questa trasmissione alla RAI, tanto da essere mandata in onda due o tre puntate al dì (se non di più) in differenti orari su RAI5.

Solo che… non posso riguardare sempre repliche vecchie di anni che ormai ho acquisito! Se davvero, a ragione, si considera questa trasmissione così importante, allora che vengano stanziati quei pochi fondi necessari affinché siano prodotte nuove puntate.

Si spendono soldi per cazzate immani di tutti i tipi alla RAI, con programmi spazzatura che ingolfano e asfissiano i pomeriggi italiani… e non si trovano le risorse per trasmissioni simili?!?

Sembra quasi che lo facciano apposta per rendere la gente sempre più ignorante e becera, vero?