Viaggio nel profondo sud

 

Anche questa è una storia vera. E anche questa riguarda quel mio amico di cui vi ho già parlato… Quello con la voglia perenne di trombare e disposto pure a lanciarsi in qualche avventura pur di avere qualche soddisfazione in tal senso…

         La nostra vicenda inizia in una mattina di estate, quando il mio amico riceve una chiamata da un numero che non conosce. Ovviamente risponde. Chiedono di una persona che non è lui… Il mio amico sente che la voce della ragazza all’altro lato però è assai amabile (la giusta commistione tra dolcezza ed intrigo, che non manca mai di colpire i cuori così sensibili da afferrarla al volo!). Così lui si mostra in qualche modo interessato alla sua conversazione e lei, sulla stessa lunghezza d’onda, lo ricambia (forse perché anche il mio amico ha una bella voce? Forse, ma forse no… Le conclusioni a dopo). Fattostà che riescono a stare mezz’ora al telefono (ed evidentemente solo perché entrambi lo avevano desiderato con intensità). Infine si salutano con affetto dichiarandosi esplicitamente favorevoli a chiamarsi altre volte, qualora ricapiti.

         Il mio amico pensa che è davvero un peccato che lei abiti nel profondo sud (molto lontano da lui), altrimenti non si farebbe sfuggire l’occasione di incontrarla e di… colpirla e affondarla! Pazienza, si dice lui…

         Alcune ore dopo, nel pomeriggio, lei gli inizia a fare degli squilletti. Lui, allettato di riascoltare quella bella voce di ragazza che pende dalle sue labbra e che si è esibita molto disponibile a fornirgli e richiedergli un po’ di tenerezza, non resiste alla tentazione ed infine la chiama.

Succede che nei giorni seguenti i due si sentono di continuo ed ognuno si apre sempre più verso l’altro; si scambiano informazioni circa i rispettivi lavori, le famiglie, quello che piace loro fare, come trascorrono il tempo libero, dove sono andati di bello in vacanza, ecc. Insomma, dopo giorni di questa conoscenza virtuale, si direbbe che si intendano a menadito (ed entrambi sono sempre più attratti l’uno dall’altra). Naturalmente nel loro lungo discorrere non omettono di presentare il loro rispettivo aspetto. E lei gli dice (invogliandolo sempre di più) che è bella, alta, ha lunghi capelli fulgidi, un bel corpo (provvisto di seno extra) e… che spesso ha così tanti spasimanti che li deve scacciare come mosche, ma fortunatamente per lui, in questo momento è libera (e lui si accende di speranza!).

         Decidono di scambiarsi le relative fotografie digitali. Lui le spedisce subito la sua, mentre lei ha un momentaneo problema tecnico e proprio non riesce a farlo. Lui ha più di un sospetto che lei non si fidi a mandare per la rete una sua immagine, per questo, pur comprendendo che gli ha mentito, la scusa…

         Nel frattempo il mio amico mi aggiorna di ogni nuovo dettaglio nella loro pseudorelazione e mi racconta anche la vicenda della foto. Mi dice: «…Comunque non mi spaventa il fatto che non me l’abbia mandata. Dato che mi ha dichiarato che è bella (e che le ragazze di solito sono eccessivamente severe per quanto riguarda la valutazione del loro aspetto), al limite, se non dovesse essere proprio bella bella, c’è da star sicuri che sia per lo meno carina (e poi con tutti quelli che dichiara che le ronzino attorno… Io non mi tengo più! Aho! Io piglio e parto! Quando mi ricapita più un’occasione così?! Questa è bona, disponibile, ha una voce bellissima e con lei mi trovo perfettamente a parlare di tutto! E, anche se dovesse andare male, almeno me sarò fatto ‘na scopata sicura!… Non riesco a resistere alla tentazione di vedere questo raro bocconcino dal vivo!…» (ricordatevi queste parole…).

         Lei gli aveva già dichiarato che fosse impossibilitata a lasciare il suo paese, ma che, se per caso lui la fosse andata a trovare, l’avrebbe accolto con piacere e avrebbero passato un’intera giornata assieme… E lui, in una bella e propizia giornata di sole, prende un giorno di ferie dal lavoro, compra un pacco di preservativi (ritardanti per lui e stimolanti per lei), si fa una valigia abbondante (in modo che, se buttasse bene, si potrebbe fermare senza problemi una decina di giorni), e parte dal suo nuovo e selvaggio amore (naturalmente dopo averlo concordato con lei)!!!

         Sia chiaro che una cosa del genere a me non sarebbe mai potuta accadere, e non solo per gli ovvi motivi di buonsenso, ma anche per questioni del tipo che io mi porrei il problema di recarmi in un luogo sconosciuto a vedere per la prima volta una persona della quale non so nulla (o meglio, so solo le cose edulcorate che mi ha detto lei stessa)… E se poi è un’imboscata? E se poi mi accoppano? E se lei mi porta a casa sua e poi mi violentano e mi rubano i soldi e poi mi costringono a prostituirmi? Io non mi prenderei mai un rischio del genere!…

         Fattostà che il mio amico si fa quelle due o trecento ore di treno e, a pranzo, giunge nel luogo pattuito. Quindi scende dal convoglio, ma non vede nessuno che corrisponda alla descrizione, e attende. Decide di chiamarla al cellulare. Dopo aver eseguito la chiamata nota una cicciona (si, ancora una cicciona! Ma giuro che non ce l’ho con le ciccione!) che risponde all’apparecchio proprio in quel momento (e la tipa era una che, quando lui era sceso, lo aveva adocchiato in modo particolare…).

         Gli risponde come al solito quella voce allettante ma l’inganno è ormai svelato: la sua amata è… quella cicciona! I due fanno appena in tempo a farsi un cenno di riconoscimento, quindi lui si inventa al volo che ha un’altra valigia da prendere. Risale sul treno, ma non riscenderà più!…

         Lei, sgomenta, prova a richiamarlo sempre con quella vocetta angelica, invocando il suo nome e implorando di fornirle una spiegazione. Ma lui, per un pezzo, si limita a riattaccarle dopo qualche parola (infine spegne il telefonino per non essere più disturbato)…

         Lui è furioso con lei per avergli mentito. Lei gli aveva detto che era stupenda! E che aveva un nugolo di spasimanti che avrebbero fatto follie per lei! Tutto ciò si era rivelato palesemente falso!

Ancora inferocito, il mio amico mi commissiona un disegno che la raffiguri, che ha deciso di spedirle assieme ad una lettere assai truce nella quale la insulta a più non posso, assicurandosi così che lei non lo cercherà più (e quel disegno, per quanto io lo facessi brutto, lui mi dice sempre di farlo ancora più brutto, di più! di più! perché lei era più brutta del mostro di Lockness! Grassa come un dirigibile, con membra informi e un viso orribile per niente femminile!…).

 

         E qui finisce l’avventura del signor Bellafregatura,

che siccome volle una volta partir per l’amore

(per la ragione però di essere tirato dal pisello),

non gli venne risparmiata la fregatura del cuore

che mai potrà abbellir neppur alcun orpello…

I 3 reintegri della fiat

 

La fiat deve rispettare le regole! Non può fare come cazzo gli pare (come spesso abituata a fare).

È chiaro che accettare di riassumere tre persone solo perché una sentenza del lavoro gli ha dato ragione, imponendo però loro il vincolo di non ripresentarsi a lavoro (pur percependo uno stipendio) è un chiaro tentativo di:

1 ribellarsi alla sentenza del giudice (perché evidentemente quelli della fiat vorrebbero avere delle leggi tutte loro e fare come cazzo vogliono loro)

2 svilire i lavoratori come uomini, non concedendogli quello che prima gli spettava (e li nobilitava, come si suol dire)

3 evitare che le suddette tre persone possano fare dei proseliti tra gli altri operai

4 farli passare in qualche modo per lavativi, qualora anche uno solo di essi avesse accettato il reintegro senza lavorare materialmente. Infatti, se questo fosse successo, la fiat avrebbe certo detto qualcosa del tipo: «Vedete? In fondo a loro non interessa guadagnarsi il pane onestamente… Loro sono interessati solo ai soldi (non come noi che davvero ci curiamo della sorte dei nostri lavoratori e li amiamo!). Per questo non dovete seguire quei messia fasulli che si spacciano per difensori dei diritti dei lavoratori quando, alla prima occasione, se ne hanno la possibilità, li violano subitamente!»

 

Ecco perché la proposta della fiat (e dei geni che l’hanno partorita) ha qualcosa di fortemente mefistofelico ed offensivo.

 

Vi ricordo poi che la fiat ha preso un sacco di sovvenzioni statali (solo perché è un importante fabbrica nostrana) per continuare e favorire lo sviluppo del lavoro in Italia. Vi sembra che così lo faccia?! E vi sembra che lo faccia volendo chiudere delle fabbriche in Italia per spostarle dove le costano di meno?!

A me sembra proprio di no!

La fiat può fare tutto quello che vuole purché restituisca tutti i soldi che ha preso dallo stato in questi anni e rispetti le sue leggi (perché, anche se la cosa gli fa rodere il culo, anch’essa deve sottostare alle leggi dello stato che la ospita).

 

Forse tutte queste storie finiranno quando gli ordinamenti giuridici la smetteranno di essere così accomodanti con certi manager superpagati che si fregano (letteralmente) le ricchezze delle aziende per le quali lavorano e le svendono a chi gli fa comodo, o le fanno miseramente fallire (vedi anche Telecom e compagnia)…

 

Marchionne, potresti andare all’inferno?

Cossiga col K…

         Cossiga, Cossiga, Cossiga…

…Quello che sui muri di Roma c’era scritto: KOSSIGA BOIA.

…Quello simpatico che diceva sempre le battute.

…Quello così innamorato delle interviste che alla fine ne doveva sparare sempre qualcuna grossa.

…Quello che ogni tanto ci faceva l’immenso favore di dirci qualche segreto che non si doveva sapere (ma ce lo rivelava solo a metà, perché sennò che segreto era?), che comunque Baffino sapeva già.

…Quello che picconava, sì, ma con amore!

…Quello che, candidamente, ci parlò senza vergogna di Gladio.

La sniffomane della TIM

Mentre Morgan viene sospeso da Sanremo per una stronzata, Belen continua a fare la pubblicità della TIM e a fare la carriera che fa (che non le invidio affatto perché è quella che si merita, tutta sniffate e ciucciamenti)…

Che fine ha fatto la gente (ipocrita!) sdegnata che ha chiesto la testa di Morgan?! Tutti a mandare sms?

 

Fottetevi, fottetevi, fottetevi!

 

Ps: spero che questo mio innocente sfogo non mi impedisca un giorno di diventare il presidente onorario del Codacons, o di Sanremo…

I banditi del negozio di elettronica

 

         C’era una volta un negozio di elettronica molto fornito in cui era un piacere andarci. Avevano prezzi bassi e quando entravi ti veniva voglia di uscirtene sempre con qualche gingillo tecnologico (che magari non avresti mai utilizzato)… Ricordo di averci comperato un carica batterie senza nemmeno possedere le pile ricaricabili!…

         Ah, ma il tempo cambia tutto e le cose belle finiscono presto… Quel negozio si trasferì in un’altra via e finì praticamene a due passi da casa mia… E quel cambiamento non riguardò solo la locazione ma… mutò qualcosa anche nell’animo e nelle persone fisiche che lavoravano in quel negozio…

         Una volta mi accadde di andarci e di dover aspettare per cinque minuti che il tipo con i capelli rasati, la faccia da pitbull e al quale non andavo a genio immagino per il solo fatto di avere la capigliatura fluente (ed intendo dire che lui, evidentemente fascista perso, mi aveva identificato indubbiamente per comunista aderente ai centri sociali), decidesse infine di fammi l’immenso favore di svolgere correttamente il suo lavoro anche con me e fornirmi quella singola informazione che gli chiedevo… Mi rispose quasi controvoglia, tanto che fui tentato di dirgli: «Comunque se non mi vuoi come cliente, non c’è problema… Basta dirmelo, caro il mio naziskin, e vedrai che ti accontenterò con grande soddisfazione di entrambi…»

         Un’altra volta ci andò mio padre (che non aveva la faccia da comunista) e gli affibbiarono due decoder illegali (che loro nemmeno avrebbero dovuto vendergli) ed un cavo femmina/femmina quando lui ne aveva chiesto uno maschio/femmina. E, quando dopo sei mesi uno di quei due decoder non omologati si ruppe, mio padre tornò lì con lo scontrino e gli disse che era in garanzia e che quindi avrebbero dovuto sostituirglielo… E sapete cosa gli dissero? Che avrebbe dovuto portarcelo lui al centro di assistenza! Una talmente tanto palese bugia che neppure un farloccone come mio padre ci poteva credere… Ma lui abbozzò e fece così perché sapeva che quelli avrebbero potuto in qualche modo rifarsi su di lui… Mio padre mi disse anche che quando quella notizia sconvolgente gli fu comunicata, il tipo che glie la stava dicendo, glie la proferì con tale convinzione che quasi egli stesso se ne era convinto…

         Un’altra volta ancora ebbi la pessima idea di andare a prendere una cartuccia per stampante. Mi servì il solito nazista che quel giorno aveva la faccia di averlo appena preso nel culo… Ci mise diversi minuti per trovare la cartuccia che mi serviva… Ma poi, prima di farmi pagare, dovette adempire ad un’altra faccenda; per questo la mia pratica venne passata ad un altro (che era un tipo bassino, con la faccia da fight club e con opzione sadomaso, che però sembrava anche più scazzato dell’altro; forse erano parenti?). Fattostà che questo mi controlla la cartuccia e mi dice che quella che il nazi mi stava per affibbiare non andava bene. Allora me prende un’altra (e stavolta anche io controllo che è giusta). Ma mi dice che ce l’ha solo “originale” e non ne ha una compatibile e più economica. Faccio l’errore di accettare (spendendo dieci euro di più di quanto avrei dovuto e, non ricordando che avrei potuto acquistarla altrove). Poi gli affido la cartuccia vuota, che per legge dovrebbe smaltire lui, e questo mi fa: «No guarda… È inutile che me la dai che tanto io la butto nella mondezza perché non so dove buttarla… Meglio che ci pensi tu…». Ed io, allarmato dal distratto ambientale che quel tipo doveva aver già prodotto per tutta la sua vita, ho pietà del mio caro pianeta Terra e me la tengo…

         Da allora non vado più in quello che una volta era un brillante negozio di elettronica ma che oggi è diventato un covo di banditi spietati ed insensibile che ormai manca poco che nemmeno facciano più lo scontrino…

Due conti

         Questa è una storia vera.

         C’era un mio amico che durante un certo periodo della sua vita si dette molto da fare con le ragazze. Ci provava quasi con tutte e raramente (a dir la verità) riusciva a trarne il profitto che si sarebbe ripromesso. Ma questa non è propriamente la sua storia…

         C’era anche una tipa un po’ bizzarra. Se uno la guardava, la prima cosa che si pensava era che lei si imbellettasse proprio come una meretrice… Era una tipa molto formosa e alta, con un trucco pesantissimo sulla faccia (che era assai banale e non proprio bella). Aveva anche lunghi capelli da maliarda e si vestiva in modo un po’ provocante. Ad ammirarla bene penso che si sarebbe potuto intuire che veniva dalla provincia e che nella città forse voleva in qualche modo sfondare.

Che altro dire di lei? Non era particolarmente intelligente o sveglia e non era raro notarla assonnata o intontita o in uno dei suoi momenti di goffaggine (aveva il vizietto di pestare i piedi alle persone che le attraversavano la strada). In più, in genere, si accompagnava con altri tizi che sembravano in qualche modo più sbandati o esagitati della media, e che evidentemente l’avevano riconosciuta come una di loro…

Fattostà che il mio amico e la tipa si conobbero ed il mio amico provolone ci provò con lei (dato che lo “attizzava”). Personalmente insieme proprio non ce li vedevo, perché lei era una di quelle ragazze perennemente indecise e che non sanno cosa vogliono, mentre il mio amico era uno di quelli che parte con l’idea di farsi una scopata e poi vede come va… Le premesse c’erano tutte affinché il loro rapporto andasse a scatafascio prima ancora di iniziare. Però, a dire la verità, ero anche consapevole che delle volte mischiando assieme due componenti disparati si trova una strana ed impensabile alchimia che realizza una nuova, sostanziale e robusta stabilità. In parole povere, per essere certi di certe cose (e l’unione tra un uomo e una donna è una di queste per le quali questa legge vale a maggior ragione) bisogna irrimediabilmente saggiarle!

E loro si sperimentarono e si misero insieme. E così lui prese l’abitudine di riaccompagnarla sempre alla casa di lei (che era fuori città), perché non è bene che una ragazza debba transitare in luoghi scuri e isolati; e i due iniziarono a frequentare cinema, bar, locali, ecc… Insomma fecero tutto (o quasi tutto) quello che ogni normale coppia faceva allora.

Invero però alla loro unione mancava solo una cosa affinché si potesse dire normale: non avevano giaciuto assieme (e con questo intendo dire che non avevano avuto rapporti sessuali). Infatti lei gli aveva detto che lei non la dava al privo venuto e che non gli andava di sentirsi pressata da quel punto di vista… Per carità, un discorso giustissimo, anzi consiglierei di fare lo stesso ad ogni ragazza (non la date subito a destra e manca, care figliole, almeno se cercate chi vi ami sul serio! Perché se uno vi ama sarà disposto ad aspettare un po’, mentre se uno è interessato solo ad una botta e via vi lascerà presto stare… Ah, ma fate attenzione a quelli che non hanno fretta ma solo perché comunque ce l’hanno già calda da qualche altra ragazza, eh!).

Comunque la correttezza di quel ragionamento non implicava necessariamente che la tipa fosse la santarella che qualcuno di voi potrebbe pensare; e nulla mi toglie dalla testa che lei non avesse potuto avere (al suo paese) un altro fidanzato con il quale ad esempio facesse l’amore e tutto il resto (sinceramente da questo punto di vista lei non mi dava alcuna sicurezza). Per cui, se qualcuno di voi pensa che la vittima in questa storia sia la ragazza (perché il mio amico in fondo se la voleva solo scopare), questa cosa non è affatto scontata, e non ci è dato modo di saperla…

Fattostà che erano passati dei mesi e questa non glie l’aveva nemmeno fatta annusare. Il loro rapporto andava avanti tra alti e bassi ma già mostrava i primi scricchiolii. Nella loro relazione era già subentrata una specie di noia e la ragazza si mostrava spesso altera, capricciosa, e insoddisfatta. Mentre al mio amico toccava di farle da autista servizievole, sempre pronto ad intervenire per condurla ovunque in caso di necessità. Inoltre ogni volta che uscivano assieme al mio amico toccava il compito di… pagare immancabilmente il conto! Ma non c’entrava molto la galanteria in questa faccenda. No, il fatto era che lei pretendeva che lui lo facesse, perché quello doveva essere un suo compito… Ed il mio amico si iniziava a stranire di andare sempre appresso alle sue bizze da prima donna…

Ad ogni modo il mio amico era uno di quelli che almeno per certi versi ci sapeva fare con le ragazze e sapeva come muoversi in talune circostanze. Ed un giorno riuscì ad attirarla a casa propria quando non c’era nessuno… Il mio amico le aveva fatto capire che dopo mesi di astinenza lei non poteva più sottrarsi ad avere almeno un piccolo e semplice orgasmo ordinario con lui… E la tipa, nonostante fosse ancora ritrosa sulla questione, aveva capito che la storia del non concedersi con facilità non reggeva più tanto (quanto ancora avrebbe dovuto aspettare prima di farlo? Un anno?); pure lei era del tutto consapevole che stava tirando troppo la corda e che se non gli avesse dato almeno un contentino lui avrebbe potuto anche andarsene…

Così il grande giorno dell’accoppiamento venne ed io fui fortunato di vedere alcuni momenti salienti del loro approccio. Il mio amico si comportò come un navigato latin lover (marinaio) e le si ostentò calmissimo, dolcissimo e affidabilissimo. La attirò nella sua tela senza poterle darle un pretesto di scappare. Invece lei mi sembrò per tutto il tempo nervosissima, già consapevole del destino penetrante che l’attendeva, ed il suo volto corrugato e la sua espressione pensierosa la dissero lunga circa i tormenti che in quel momento stava vivendo.

Che pensare di lei a questo punto? Forse davvero era una che lo aveva fatto raramente e che si era sempre concessa poco nel corso della sua esistenza? O forse era turbata perché in fondo lui non le piaceva affatto e lei lo sapeva benissimo? Chi può dirlo!? Ad ogni modo la tipa venne colpita (e affondata facilmente) una volta ed il suo amplesso fu anche più rapido di quello di lui (mai sentita una cosa del genere in vita mia!).

Passarono altri mesi e la tiritera tra di loro assunse le stesse identiche fattezze di prima che si congiungessero. Lui la doveva portare ovunque lei pretendesse e doveva sempre pagarle tutto. E lei adesso poteva non dargliela per un bel pezzo, dato che si era sdebitata da relativamente poco e che chissà per quanto tempo non glie l’avrebbe fatta più vedere…

Ma il dover andare sempre affannosamente dietro ai ghiribizzi di una donna impossibile e scostante non andava per nulla bene al mio amico, che già da tempo aveva preso a farsi due conti… Il mio amico a quei tempi non lavorava ed era del tutto dipendente dalla (non esigua, ma certamente nemmeno abbondante) paghetta che gli davano i suoi genitori, che lui spendeva quasi totalmente per acconsentire alle futilità della sua ragazza (perché dover andare in posti dove si pagava per entrare? Perché dover spendere per bibite da poche lire almeno il doppio, se non dieci volte tanto quanto era il loro presso di mercato?). Il mio amico si fece i suoi conteggi e calcolò la cifra mensile che lei lo obbligava a spendere per riverirla… Ed era una bella cifretta! Poi considerò che tutto quello che aveva sborsato sa quando la conosceva gli era servito per ottenere solo la miseria di una scopata veloce (che non sapeva quando gli sarebbe ricapitata)! Infine sentenziò che fin dal principio, se fosse andato con delle semplici prostitute di strada, avrebbe speso molto ma molto di meno e avrebbe avuto l’uccello più soddisfatto! E questo era un concetto incontrovertibile che non potei ribaltare quando mi venne comunicato…

Alcuni mesi dopo lui si stufò delle sue pretese irrazionali e fece in modo di non ricucire l’ennesimo strappo che si era originato tra loro due. Così si lasciarono e non si rimpiansero nemmeno molto…

Contumacia

         Un giorno ricevetti quella sua email. In quel periodo le poche volte che ci sentivamo prediligevamo quel canale di comunicazione piuttosto che altri.

         Ero impegnato nel lavoro ma mi ero preso un momento di pausa per far riposare i neuroni. In tali circostanze ero sempre molto contento di poter impegnare la mia attenzione su altre attività che consideravo parallele e variabilmente stuzzicanti.

         Lei mi scriveva:

 

         Non ti voglio più vedere e sentire.

Non mi chiamare più.

 

E basta.

Per prima cosa pensai che si fosse sbagliata (ma chi poteva essere che lei odiava a tal punto da rivolgerglisi a quella maniera perentoria e inappellabile?). La seconda cosa che pensai fu che quello fosse uno scherzo crudele che lei mi faceva per farmi preoccupare. In tal caso si sarebbe divertita un po’ e poi mi avrebbe svelato che si era trattato solamente di una specie di prova (che lei si era malvagiamente goduta) per vedere come io avrei reagito a quelle sue parole disdicevoli.

Ma poi esaminai la terza opzione, che cioè fossero vere sul serio. E allora mi prese una sensazione di nausea allo stomaco, che mi si attanagliò comunicandomi che io credevo maggiormente in quell’eventualità rispetto che ad altre.

Che fare? Era ovvio che anche se quello che lei mi diceva fosse stato vero non potevo certo congedarmi da lei (per quanto tendessi a compiacerla in tutto) con il dubbio che lei stesse solo scherzando (anche se in quel caso prima o poi me lo avrebbe detto, no? A meno che però si fosse potuta offendere mortalmente perché io avevo creduto a quella sua balla e dopo avesse deciso che non mi avesse più voluto vedere sul serio…). Era scontato che dovessi tentare di capire che cosa gli era preso…

Ogni istante che passava la mia mente prendeva sempre più concretamente in considerazione la possibilità che la situazione fosse estremamente grave (e forse irreparabile). E se lei avesse sentito qualcosa su di me che l’avesse oltraggiata? Io mi sentivo con la coscienza abbastanza pulita, e anche se vi erano delle situazioni che la riguardassero, e di cui lei non era a conoscenza, che mi vedessero come protagonista non proprio irreprensibile di quella che fu un tempo la mia vita, e che forse le sarebbero dispiaciute, non ritenevo che anche lo scoprirne qualcuna potesse costituire un tale delittuoso reato, tanto dall’essere odiato e allontanato a quel modo, senza che io mi potessi almeno difendere. Eh sì, perché c’era la concreta possibilità che lei davvero non volesse più confrontarsi con me in alcun modo…

Ma cosa poteva aver sentito su di me? Cosa le potevano aver detto? E se le avessero spacciato una bugia per verità (magari qualche invidioso, o magari solo per divertirsi a vederla avere una reazione decisa contro di me)? Ma se anche fosse stato… perché lei, prima di giudicarmi, non era venuta a parlare con me, dato che eravamo amici? Non eravamo amici, Giulia? O forse non lo siamo mai stati e io me lo sono solo immaginato, e magari tu mi hai solo fatto credere che lo fossimo? Se mi volevi bene non avresti dovuto credere in me nonostante qualsiasi apparenza?

Da dove iniziavo? Quale sarebbe stata la mia prossima mossa? Normalmente l’avrei chiamata al suo telefono personale, ma il fatto che non lo facessi da tempo mi mise un bastone tra le ruote a seguire questa strategia. Forse la cosa più corretta sarebbe stata quella di mandarle un’email, proprio come aveva fatto lei… Ma, se la faccenda era così delicata come sembrava, invece forse avrei dovuto fregarmene delle nostre convenzioni e parlarle direttamente (se non a quattrocchi, come in realtà mi sarei sentito in dovere di fare, almeno al telefono). Ad ogni modo quest’ultima cosa potevo metterla in pratica anche successivamente, no?

Tentai la via dell’email e, dopo qualche lungo momento speso a ragionare su cosa sarebbe stato più opportuno scriverle (avrei potuto dirle così tante cose, avrei potuto mettere le mani avanti e farle una specie di imprecisate scuse preventive, riaffermandole quanto le volessi bene e quanto ci tenessi a lei; oppure le avrei potuto subito sbattere in faccia quanto fosse scorretto il suo modo di comportarsi e che anche agli assassini confessi si concedesse la possibilità di difendersi dalle accuse che li riguardavano)… mi decisi per un messaggio pacato che gettava l’accento sull’emozione che lei mi stava provocando in quel momento.

 

Che cosa è successo?! Stai scherzando?

Mi stai facendo prendere un colpo!

Per piacere fatti sentire e spiegami se mi stai solo prendendo in giro, o se ritieni davvero di avere qualche motivo per dirmi quelle brutte cose…

TI PREGO, SBRIGATI A RISPONDERMI.

 

Credo che data l’occasione il mio fosse, in finale, un messaggio perfetto, e mi immaginai di poterla almeno impietosire e che lei potesse perlomeno rispondermi qualcosa del tipo: “Sai di cosa parlo” e che dopo, insistendo un po’, presto mi avrebbe detto a cosa si riferiva e si sarebbe tolta il rospo dalla gola. E poi mi sarei potuto difendere (e l’avrei sicuramente riconquistata, presto o tardi, perché non le avevo mai fatto nulla di realmente malvagio, perché mi sarei scusato così tante volte che l’avrei impietosita – ma in tal caso avrei dovuto fare attenzione a non accrescere troppo il suo orgoglio spasmodico -, e perché sapevo essere molto convincente quando volevo, e con la forza della mia logica e dei miei sentimenti l’avrei riportata dalla mia parte)…

Attesi con impazienza per trenta minuti. Sapevo che lei era sempre connessa alla rete e che il mio messaggio l’aveva già ricevuto. Ma bisognava chiedersi se lo avesse voluto leggere e se non l’avesse cestinato subito (ne sarebbe stata perfettamente capace se davvero era arrabbiata con me).

Credo che fui fin troppo gentile lasciandole la possibilità di organizzare una risposta di qualsiasi genere, che comunque non venne. Decisi di rompere gli indugi e fare quello che fin dal principio sarebbe stata la cosa più corretta da fare: chiamarla. E lo feci alle ore 13:05 in punto (cioè mi preoccupai che lei, nel caso fosse a lavoro, si trovasse nella fascia della pausa pranzo, e che fosse quindi libera di rispondermi).

Selezionai il suo numero dall’agendina ed effettuai la chiamata. Udii il telefono squillare mentre il mio cuore aumentava il ritmo con il quale batteva. Dopo nove squilli batteva al massimo della velocità possibile. Fui quasi sollevato che dopo venti squilli non rispondesse (anche se sarebbe stata lei quella che avrebbe dovuto innanzitutto aver timore di qualcosa e giustificarsi). Poi attaccai. Comunque era possibile che avesse lasciato il cellulare da qualche parte e che lei si fosse eclissata dal mondo (ogni tanto lo faceva e diventava irreperibile). Ad ogni modo lei si sarebbe trovata poi il mio numero e avrebbe capito che la cercavo (e una parte di me sapeva che lei sarebbe stata fiera che io le fossi corso appresso appena lei avesse lanciato il suo amo).

Ma di certo non se la sarebbe cavata con così poco. Adesso che lei aveva lasciato scoppiare la bomba si doveva prendere tutte le conseguenze… La iniziai a chiamare ogni dieci minuti ed ottenni i seguenti risultati. La prima volta ancora il suo telefono squillò a vuoto. La seconda volta lo trovai staccato (quindi c’era e aveva deciso di non rispondermi!). Anche quello costituiva una prima risposta ma che sicuramente non mi soddisfaceva. Tentai ancora. La terza volta il telefonino era di nuovo libero e squillò ancora a vuoto (lei non era disposta a rinunciare ad esso solo per colpa mia, per cui lo aveva riacceso auspicando che io desistessi). Stavolta però decisi di non attaccare e di continuare ad oltranza a lasciarlo suonare. E dopo venticinque squilli sentii il segnale di occupato. Avrei anche continuato a provare per farle un dispetto (come osava lanciare un sasso di una portata simile e poi nascondere la mano?! Non ne aveva alcun diritto!) ma mi venne in mente di accelerare un po’ le cose. La chiamai a lavoro. Sapevo che lei ci teneva molto a non essere disturbata su quella linea (sempre se davvero si trovasse lì) e quindi il mio sarebbe stato quasi un ricatto: se tu non mi rispondi io allora ti rompo le scatole sul posto di lavoro… Ed infatti ottenni il privilegio di sentire per l’occasione, dopo tempo immemore, la sua voce squillante e alterata rispondermi…

«Pronto?!…»

«Giulia, sono io… Volevo sapere…»

«Senti, non mi devi chiamare per nessuna ragione a lavoro! Semmai ti chiamo dopo…»

E poi mise giù. Ma io la conoscevo bene e immaginavo che lei non mi avrebbe chiamato. Inoltre aveva detto furbescamente quella parolina, “semmai”, che nella sua testolina la liberava da ogni obbligo concreto e formale di risentirmi. Per questo decisi di inviarle un sms speciale, uno di quelli che ti dicono se la persona destinataria lo ha letto oppure no. E immediatamente mi tornò la comunicazione che lei lo aveva fatto. Le avevo scritto:

 

Adesso stai davvero esagerando.

Pretendo si sapere di cosa mi

accusi, Giulia.

 

Attesi invano una risposta che non venne e una chiamata che allo stesso modo non mi arrivò. Quel pomeriggio ricordo che non riuscii più a combinare nulla e che in sostanza smisi allora di lavorare. E quando venne la sera ero però ricolmo della speranza che lei potesse impietosirsi, le potesse venire un singolo dubbio che qualsiasi cosa pensasse di me potesse non essere vera, o che semplicemente potesse tornarle un barlume di ragionevolezza che le facesse capire che almeno una spiegazione me la doveva. Almeno quello! Ma quando arrivarono le 22 capii che lei non mi avrebbe chiamato. Allora lo feci io, sia a casa che sul cellulare, ma in entrambi i casi non ottenni risposta.

Lei sapeva che io non ero di quelle persone estremamente egocentriche che pretendono di ottenere delle risposte per forza (e che quindi prima o poi avrei smesso di chiamarla e l’avrei lasciata perdere); allo stesso modo io non volevo darle quel tormento e sapevo che, se per caso lei si era messa in testa di non parlarmi più per il resto dei suoi giorni, non sarei riuscito ad impedirglielo, e nemmeno l’avrei obbligata dal desisterne.

Passai una nottata di inferno. Mi coricai solo a mezzanotte ma mi rigirai nel letto per almeno tre ore. Avevo l’abitudine di lasciare il cellulare spento ma in quell’occasione lo accesi, rialzandomi dal letto, quando ravvisai che le potesse venire una crisi di coscienza che l’avrebbe spinta a chiamarmi anche nel cuore della notte, o in un orario mattiniero.

Mi addormentai stremato solo un’altra ora dopo, mentre mi calavano dagli occhi delle lacrime silenziose delle quali nessuno avrebbe mai saputo dell’esistenza, compresa Giulia, che forse non avrei più né rivisto né sentito.

La mattina dopo ero distrutto dal dolore e capivo che qualcosa di grosso era cambiato, qualcosa che mi era scivolato tra le mani senza che me ne accorgessi, e che non avessi modo di farci più nulla. L’unica maniera per scoprire la verità sarebbe stata quella di mettere Giulia con le spalle al muro e poi parlarle, ma si sarebbe trattato, come già accennato, di dover comunque compiere un atto di azione violenta, perché lei non avrebbe mai accettato di sottomettersi docilmente a quell’eventualità.

Con le blande fiducie residue trascinai la mia pena per tre giorni, quando ormai ero quasi certo al cento per cento che non l’avrei mai più vista. Ma il quarto giorno decisi di tentare il tutto per tutto e di giocarmi l’unica altra carta che mi rimaneva per darle una scossa pur rispettando la sua volontà irrevocabile e crudele. Mi appostai all’uscita del luogo dove lei lavorava e mi misi in aspettazione. Mi posi in una posizione sufficientemente lontana dalla quale, per iniziare, le avrei potuto vedere bene gli occhi (e lei i miei), e poi lei sarebbe stata libera di decidere se deviare verso di me oppure proseguire per la sua strada, scegliendo di ignorarmi. Non volevo infatti imporle di ritrovarsi faccia a faccia con me per essere costretta ad affrontarmi, se lei non voleva (e chissà se lei capì mai che anche nel momento in cui ci dicemmo addio io le rivolsi ancora il pensiero più carino che potessi donarle date le circostanze).

In verità c’era anche la congiuntura che lei uscendo non mi avesse visto (ed in tal caso l’avrei seguita e mi sarei dovuto poi inventare qualcosa di diverso per suscitare il suo interesse); infatti se, come una parte di me si figurava, anche lei si ritrovasse distrutta dallo stesso medesimo dolore che pervadeva pure me, sarebbe stato molto verosimile che fosse sfilata con gli occhi bassi, e talmente afflitta nell’animo da non desiderare di vedere nessuno, non potendo sostenere alcuno sguardo senza rivelare altresì il proprio immenso patimento…

Avevo già stabilito che quello sarebbe stato il modo nel quale l’avrei trovata, ed a dire la verità era stato proprio quello il motivo che ultimamente aveva agitato così tanto il mio sonno impedendomi di riposare decentemente: il pensiero che lei soffrisse mortalmente e che non riuscisse a liberarsi di quei tormenti che le assediavano l’anima, che oltre che ferire me, affliggevano in primis lei…

Poi l’orologio di una chiesa batté l’orario che attendevo e sentii il mio cuore stringersi nel momento della verità che sarebbe arrivato tra breve. Mi chiesi se per caso lei si fosse esentata dall’andare al lavoro (infatti il suo stato di prostrazione poteva essere così elevato che forse…). Ma, quando la vidi, quel dubbio mi si rivelò in tutta la sue erroneità…

Lei sembrava sempre uguale a come la ricordassi. Pareva serena, mediamente stanca, e che pensasse ai fatti suoi. E non aveva occhi cerchiati, o borse sotto gli occhi come me. Per lei era tutto normale… E quando vide la mia faccia addolorata e assorta dalla sua persona che le implorava solo una spiegazione essenziale, lei sono sicuro che mi distinse perfettamente, e allo stesso modo mi riconobbe e capì il mio male. Ma la sua unica reazione, dopo un minuscolo sobbalzo provocatole dalla sorpresa del rincontro, fu solamente quella di proseguire il suo percorso e quindi di mettere sempre più distanza tra me e lei. E Giulia non si voltò, né rallentò nemmeno una volta, e anzi posso dire che fu assolutamente risoluta nel non fermarsi e non darmi neanche la possibilità di un comprensivo approccio umano.

E la vidi arrivare in fondo alla strada e divenire sempre più piccola, sempre più confusa con le altre persone del tutto ignare del suo infante mondo, ed infine svoltare e scomparire per sempre.

Da allora non la vidi più e non seppi mai quale fu il vero motivo che la spinse a prendere quella decisione.

Il Male

         A quei tempi tu già mi avevi giudicato utilizzando il tuo metro multiforme e a te assoggettato. Ed io, per un motivo o per l’altro, già ero diventato solamente una grigia figura che (a vuoto) ti girava attorno, e la cui vista ti dava ormai solo noia o fastidio. Era quindi comprensibile che tu facessi di tutto per estraniarti da me e che non incoraggiassi più da mesi quel dialogo che una volta era stato stupendo e fecondo tra noi due.

         E non mi sorpresi più di tanto quando un giorno non potesti più trattenere la tua rabbia  e prorompesti sputandomi addosso il tuo livore in una maniera che non mi avevi mai rivelato, e soprattutto in tale eloquente incontinenza (e chissà in che modo obbrobrioso ti avevo dato fastidio, amore mio, senza neppure accorgermene; chissà da quanto tempo la tua coraggiosa persona doveva sopportare stoicamente quella molestia che ti infliggevo non rendendomene conto, mia amata). Mi dovevi proprio odiare, vero amore mio?

         Ed io abbassai lo sguardo, mi venne da piangere, ma ingoiai il boccone amaro che tu volessi che mangiassi; quel boccone che mi mettevi davanti alla bocca con tale disprezzo e con incontrollata ira; quel boccone che tu volesti che io divorassi nonostante fosse urticante e colmo del tuo veleno, che proveniva da quella zona di te più capace di generare nera avversione, come fosse un vischioso petrolio nero in grado di alimentare ogni foggia di male sulla terra…

         Ero così abituato al tuo disprezzo che non potei nemmeno reagire… Ma quella volta tu stessa ti accorgesti di aver esagerato e che per la prima volta mi avessi rivelato il tuo vero pensiero su di me, senza più le celate sembianze dell’alterigia, della noia, o dell’indifferenza. Stavolta mi avevi dimostrato quanto mi detestassi e quanto io fossi in cima alla tua lunga scala dei personaggi a te più invisi. E quando io me ne tornai mestamente a casa tu vedesti i miei occhi abbattuti e umidi e quella sera riflettesti molto su quello che era successo, ed infine prendesti delle decisioni e determinasti delle strategie che io non mi sarei mai immaginato che tu fossi in grado di attuare…

         E quando il giorno dopo la tua voce tornò ancora una volta carezzevole quando ti rivolgevi a me, era talmente stridente la tua nuova bontà, soprattutto rispetto al nostro recente passato, che io subito rammentai e ne dedussi che quelle tue dolci parole dovevano essere una compensazione per i tuoi eccessi precedenti, che davvero mi avevi scagliato con troppa esagerata violenza, senza più tener presente la tua proverbiale e artefatta amichevole diplomazia.

         E così pensai che tu volessi solo riequilibrare la bilancia (e che poi saresti tornata alla tua spietata freddezza con me, come sempre facevi alfine). Ma quando mi prendesti il braccio e te lo avvinghiasti al tuo, come solo le donne sanno fare, per quanto fui compiaciuto, avvertii subito la consapevolezza di quanto quel gesto rappresentasse qualcosa di… troppo (e quella scoperta mi rese molto triste). Infatti era troppo improbabile e improponibile che tu fossi così bendisposta come pareva. Era troppo quello che mi restituivi dopo quello che ormai da mesi mi toglievi. Troppo e tutto insieme. Non poteva essere vero che ti fossi finalmente così repentinamente riconvertita al mio amore e che lo avessi compreso in solo ventiquattro ore. Non poteva essere, a meno che, in quel momento io stessi sognando e mi trovassi in un incantevole sogno d’amore che ti vedeva come protagonista e nel quale non avevo mai avuto il piacere di immergermi.

         Mi sono sempre chiesto come facciate voi donne ad essere alcune volte così dirette ed espansive, mentre in altre pretendiate che lo siamo noi e vi offendete se per caso non ci nasca quel medesimo pensiero che quando è sbocciato nella vostra testa è divenuto immediatamente legge assoluta e desiderio irrinunciabile, e che sarà punito se non verrà corrisposto nella maniera e nel momento preciso nel quale si sia in voi manifestato così limpidamente… Quel medesimo pensiero e quella medesima azione che però in un altro momento potrebbe essere un mortale e uno sfacciato affronto alla vostra dignità di donna, che da allora potrebbe essere ferita, solo perché il vostro lunatico e cangiante punto di vista è variato e voi siete in preda ad un altro delirio (lontanissimo e opposto dal primitivo), oppure siete meramente vicine al nulla, inteso come l’assenza di alcun buon sentimento…

         Ad ogni modo camminammo per la via per diversi passi, con tu che ti stringevi a me ed io che, oltre ad annusare la falsità di quella tua mossa (della quale non riuscivo ad essere appagato), mi chiedevo: “Ma come? Non ha timore che qualcuno ci veda? Non ha paura di far credere agli altri che lei mi contraccambia? Perché tutti sanno che io la amo (come lei non ha esitato dal vantarsi), ma lei si è sempre impegnata a far sapere loro quanto io le sia seccante e quanto trovi il mio amore inopportuno”… Non avevo ancora capito l’ennesimo scatto di malvagità che aveva compiuto il suo malevolo intelletto. Chi mai lo avrebbe potuto immaginare?!

         Non mi lasciò il braccio fino alla fine (e io mi chiesi come sarebbe stato averla sempre come amante, avere lei che mi riservava quel trattamento in ogni momento e in ogni luogo, e non solo allora; come sarebbe stato bello che le sue bugie melense fossero state mielose verità, così zuccherate da abituarmi ad un nuovo sapore, il suo, che mi avrebbe spinto in un mondo al di fuori della realtà, in un universo parallelo dove ogni cosa era il frutto impregnato della sua divina eccelsa manifestazione, dove solo lei contava e dove io ero esclusivamente lo spettatore estasiato della sua bellezza e della sua magnificenza)…

         Ma poi dovette separarsi sul serio dal mio arto, ed io avvertii subito la carenza di lei che mi scaldava la pelle e la carne e ne provai nostalgia. E fu in quella occasione che lei mi rivelò la sua doppia trama, che io, così sazio di lei, non compresi allora (ma lo avrei fatto purtroppo presto, e quanto avrei voluto non arrivarci mai!). Ero così ubriaco e stordito da lei che le manifestai tutta la mia contentezza di poterla aiutare il giorno ancora innanzi con le mie capacità, che molto volentieri le avrei prestato per quella faccenda che doveva sbrigare… Eppure finalmente tutte le carte erano in tavola ed erano state scoperte (e avrei dovuta intenderla). E nelle mie lei vide un’apertura incondizionata a giocare e a seguirla nel suo gioco, mentre nelle sue io ne vidi solo l’aspetto esteriore, come se mi soffermassi ad osservarne le forme e i colori, e non cogliessi l’ormai palese quadro d’assieme che tutte quante unite costituivano e svelavano…

         E il giorno dopo ci mettemmo al tavolino a studiare quella faccenda che le premeva molto, ed io le elargii le mie migliori parole (che le pronunciai con affettuosità infinita e smisurata comprensione e pazienza) ed i miei migliori consigli per innalzarla laddove lei si sarebbe voluta spingere per appagare la sua aspirazione di divenire più importante agli occhi di tutti… E purtroppo non riuscii a godere della sua rara e preziosa vicinanza perché mi fu evidente fin dall’inizio che lei era ora ripassata sulla strada opposta e che lentamente vi si sarebbe inoltrata nuovamente. Ed io vedevo che la sua voce non era più così soffice e ben disposta verso di me, e che se io le sorridevo lei rimaneva seria ed imperturbabile, ed ad ogni mia carineria lei rispondeva col nulla… E più io mi spingevo verso la fine della mia lezione e più lei mi si allontanava per tornare ad essere la solita inesorabile gelida presenza incolore, capace di accendersi solo con gli altri, con tutti fuorché me…

         E quando presto terminammo lei si alzò e se ne andò via. Ed io solo allora compresi appieno l’efferatezza profonda del suo piano, che in una sola volta aveva finto di far pace con me, scusandosi per una sua troppo disumana crudeltà (per restituirmisi, così, estremamente molle e arrendevole), e nell’attimo dopo mi aveva banalmente usato solo per rubarmi una conoscenza della quale si era convinta che avesse necessità. E poi, il capolavoro finale, di cui lei stessa sono sicuro non fu nemmeno conscia e che le venne inconsapevolmente senza che fosse ricercato razionalmente… mi inflisse quella ferita che mai avrebbe potuto essere curata in futuro… Sì, perché lei mi fece capire la reale consistenza dell’accaduto e che io ero solo un burattino nelle sue mani, che lei avrebbe potuto muovere come voleva e quando avrebbe voluto. E soprattutto mi ribadì per sempre che la sua natura prevedeva il raggiro e il ricorso ad ogni mezzo pur di ottenere il suo obiettivo, mentre, la mia, quella di essere un povero succube della sua… E la cosa forse più amara di tutte fu che lei non capì mai di quanto io fossi consapevole della sua blasfema operosità e di quanto io scegliessi comunque di amarla e di non rivelare il suo gioco, pur di darle quelle uniche poche cose che potesse volere da me… Quelle cose che sarei stato felice di donarle gratis senza che lei me le estorcesse con l’inganno, con un pugnale già insanguinato delle mie ferite precedenti che lei da tempo mi infliggeva, e che ora mi aveva affondato nella parte più irraggiungibile della schiena, dalla quale non sarebbe più potuto essere tolto.

         Così la vidi compiacersi della propria scaltrezza e subito abbandonarmi, mentre io la guardavo con gli occhi languidi pieni di un amore che non mi avrebbe mai riconosciuto.

La stretta di mano

         Ci dirigiamo, io e il mio amico, al capolinea coperto degli autobus. Siamo stanchi. Per di più fuori c’è un cielo plumbeo senza speranza che ci secca l’anima e al quale non ci possiamo opporre. Non parliamo. Non ne abbiamo voglia e non servirebbe a niente. Però il mio amico sta un po’ meglio di me. Si vede. Io sono sul depresso, lui solo sull’abbattuto, e si riprenderà appena si sederà alla sua tavola imbandita e la mogliettina gli farà trovare la minestra fumante che lo conforterà… Beato lui.

         La rimessa è praticamene un capannone chiuso sopra, come se fosse un hangar, e tutto quel grigio che vi vedo dentro non è altro che un’ulteriore amplificazione del tempo esterno e del mio stato d’animo che vibra al suo richiamo di mesta afflizione.

         Il mio amico può scegliere la vettura che lo porterà a casa tra tre linee, mentre io sarei obbligato a poterne prendere solo una. Tutti i mezzi sono strapieni di gente che vi si accalca e vi si arrampica sopra anche se non ci sarebbe più spazio. Ma io non mi ridurrò mai così miserevolmente come loro. No, io sono un essere un umano…

         Il mio amico sale su di un autobus (il meno colmo) e si prepara al viaggio. Ma per i miei gusti quello che ha scelto sarebbe ugualmente inutilizzabile e, anche se potessi, non lo seguirei. Prima di andare mi fa: «Beh, io vado…» So che non attenderà con me un mezzo che mi possa soddisfare. So che ha fretta di andare e che per lui non è così importante il dover rinunciare alla sua dignità di uomo. Lo lascio avviarsi ben sapendo che mi sentirò ancora peggio quando lui non ci sarà più, ma tant’è…

         Assisto alla partenza di tutte le vetture praticamente nello stesso istante. E ognuna mi passa davanti facendomi respirare il suo caldo e nocivo alito di smog, che non a caso è la contrazione di due parole: smoke (fumo) e fog (nebbia). Due brutte parole fuse insieme fanno una parola ancora più brutta.

         Sono completamente solo. Non è rimasto nessuno. Per un attimo mi sento colpevolmente difforme per non aver seguito lo sciocco gregge. Loro, è vero, sono degli stolti, ma almeno sono gli elementi di un gruppo di persone. E certe volte è così duro sentirsi un estraneo…

         Faccio qualche passo e mi ritrovo all’ingresso di un edificio. C’è molta gente che proprio adesso sta uscendo come formichine. Mi prende quasi un colpo e mi sobbalza il cuore: con la coda nell’occhio, ravviso Sophie.

È sempre magnifica (e anzi mi sembra così matura)… Sarebbe stupendo poterla avvicinare e magari… Ma non mi faccio illusioni. L’ultima volta che la incontrai lei fece finta di non vedermi e si dileguò appena le voltai lo sguardo… D’altronde Sophie mi odia e non vuole più vedermi. Ed io ho già compiuto i passi che avrebbero dovuto riavvicinarmela, e non ha funzionato…

         Proprio stasera non ho alcuna voglia di incrociare il suo sguardo e leggerne negli occhi ancora dell’imbarazzo, o del feroce algido risentimento mascherato da indifferenza (ma ancora peggio non ambirei che lei venisse a conoscenza del mio assoluto stato di prostrazione: ne avrei vergogna e avrei il timore di piangere). Allora le passo davanti e faccio finta di non averla vista (così sei contenta, Sophie? Così ti va bene? Non dovrai neppure eludermi…), e mi vado a porre quasi interamente alle sua spalle, ma anche in una posizione tale che, se lo desidera, potrà seguirmi con lo sguardo e divertirsi ad osservarmi o a detestarmi quanto vuole. Potrà anche intuire come mi sono pietosamente ridotto senza di lei…

         Sto fermo e aspetto che tutta la gente scorra. Rimango girato e non guardo nessuno, e nessuno credo che mi noti, così abbottonato nel mio cappotto blu come sono. Sembro un individuo normale, uno come tanti, e la gente giustamente sta pensando ai fatti propri e a quello che l’attende per la serata. E anche tu Sophie… E se nemmeno mi riconoscerai avrai tutte le giustificazioni, Sophie. E io non ce l’ avrò con te, te l’assicuro…

         Ma poi avverto la sua voce ineguagliabile che mi si diffonde insolitamente vicina, e lei che mi dice…

         «Ciao! Come stai, Adrian? Come mai da queste parti?»

         Riconosco il suo tono. È serena, distesa e non vi è traccia di rancore nei miei confronti. È così bello scoprirlo dopo tutto questo tempo… Allora è vero che gli anni curano ogni cosa, pure i dolori peggiori, Sophie. Inoltre lei ha pronunciato il mio nome (in quel suo modo delicato e sincero) ed è così incantevole sentirlo ancora ripetere dalla sua morbida lingua.

         Nell’attimo stesso in cui mi parla, senza che me ne accorga, mi prende repentinamente la mano e me la stringe alla sua. E quello vuol dire incontrovertibilmente solo una cosa: pace. Pace, oh mia Sophie… Allora non mi detesti più, Sophie?

         Camminiamo per la via come complici compagni, mentre la gente ignara defluisce, ci supera e ce la facciamo sfilare ai lati. Io le parlo scarsamente e con tono tenue e monocorde, ma è lei e il suo ottimistico entusiasmo che la fanno da padroni, ed io mi lascio baciare dalla luce che da lei superbamente si diffonde.

         Non posso non guardarle gli occhi, che sembrano accesi dall’incarnazione stessa della voglia di vivere. Come è serena Sophie, come è stupenda e leggera, ma anche forte. Sei davvero cresciuta, sai Sophie? Sei una persona migliore, Sophie. Chissà come e quando hai raggiunto un tale stato di elevazione…

         Sento la sua stretta sempre presente e credo che non mi sia mai successo che lei mi regalasse il dono così prezioso di poterle stringere la mano (e me l’ha offerta lei, senza che glie la rubassi io con un inganno).

         Sophie, dove sei stata tutto questo tempo? E con chi? Sophie, davvero è possibile che noi due possiamo ancora amarci con l’innocenza di due bambini? O forse con la consapevolezza di due adulti? Non mi lasciare la mano, Sophie…

Il sogno di Cassandra in tre movimenti

 

Primo movimento

 

         Un giorno io ed un mio amico ci recammo all’ottavo piano del mio palazzo per andare a visitare la sagra paesana delle ciambelle. E, accanto a ciondoli, pendenti, braccialetti, abiti folcloristici e souvenir della mia terra, trovammo ogni sorta di ciambelle tipiche, di tutte le dimensioni, realizzate in tutti i materiali possibili, commestibili o meno. Io le conoscevo già e rimasi meno estasiato del mio amico, ma ad ogni modo quel colpo d’occhio mi fece ritornare ai momenti sereni della mia vita da adolescente, che riassaporai con piacere.

Ci intrattenemmo nel pianerottolo, tra le bancarelle, per lungo tempo (e chissà quanto avremmo potuto rimanerci, dato anche che poi, entrando nelle case, la mostra mercato non si arrestava affatto e anzi prendeva nuove e stuzzicanti forme). Ma poi ravvisai stagliarmisi innanzi Cassandra, che non vedevo da un bel po’. Erano molti anni che non ci incontravamo e la cosa non era casuale. Ci eravamo lasciati piuttosto male da ragazzini e avevamo finito per odiarci e non volerci più incrociare. Essendo praticamene nel posto dove aveva la residenza la prima versione di Cassandra, cioè quella con gli stessi tratti somatici che prima di lei amai e che tra l’altro originò la stirpe delle Cassandre, non mi stupii di rincontrarne lì la seconda, quella con la quale ero rimasto in rapporti peggiori (seppur non le avessi mai rivelato di averla amata perché mi ricordava un’altra ragazza molto simile a lei).

         Cassandra fu subito turbata appena mi vide, ma non erano più i tempi che, come una ragazzina, si sarebbe vilmente confusa nella folla facendo perdere le sue tracce. Le si leggeva palesemente in volto che per lei ero un fastidio che avrebbe voluto risparmiarsi volentieri, anche perché evidentemente le spalancavo una finestra ancora viva sui ricordi che condividemmo. Cassandra era accompagnata dal suo solito boyfriend. Lo avevo visto già una volta, per questo sapevo che fosse lui. Era un tipo robusto e alto, con gli occhiali, moro, e con in viso sempre una barba di almeno due giorni. Somigliava tantissimo ad una mia vecchia conoscenza. Era spiccicato ad una persona che avevo bene a mente, solo che lui era nettamente più grosso. Tuttavia la somiglianza era talmente elevata che quasi mi sentii di chiedergli, fregandomene per la sfacciataggine, se avesse un fratello minore che gli somigliasse molto… Sembrava un intellettuale e parlava abbastanza bene, però anche lui fu evidentemente scombussolato dalla mia presenza, come se ci fossimo conosciuti personalmente, e non solo per interposta persona, e pure lui avesse con me una vecchia storia d’amore alle spalle finita male. Immagino che lei gli avesse detto ogni cosa di noi e dell’importanza (che scoprivo in quel momento, perché non mi fu mai chiara, né garantita) che mi assegnò quando ancora dovevamo sviluppare le nostre caduche personalità

         Cassandra e il suo ragazzo mi parlarono controvoglia e afflitti, ma alla fin fine decisero di non ignorarmi affatto. E il suo ragazzo si stupì di una verità che io gli svelai, mentre Cassandra invece mi corresse quando dissi una frase che corrispondeva solo alla mia opinione e di cui non ero sicuro della veridicità.

         Rimanemmo alcuni brevi ma lunghi minuti a parlare e io mi mostrai completamente rilassato e anche divertito e stuzzicato dall’imbarazzo che entrambi mi manifestavano potessi infondergli. Poi ci separammo, e nel mio animo il loro approssimarsi fu come uno scherzo e come se non li avessi mai visti. Girato un angolo già non ci pensavo più e tornai a discorrere con il mio amico.

 

Secondo movimento

 

         Alcuni giorni dopo (mesi?) andai a presenziare alla trasmissione di un noto giornalista con lo scopo di presentare il mio nuovo libro. L’ambiente era un po’ disadorno e grigio per i miei gusti, e l’atmosfera leggermente rarefatta e ristretta. Accanto alla sedia del conduttore c’era giusto il posto per altre quattro sedie messe davanti ad un tavolo che compariva e scompariva in base al mutevole ricordo che ho di questa vicenda, e non sono sicuro se fosse ad altezza dei nostri petti, o fosse uno di quelli bassi e trasparenti in cui sarebbe più comodo appoggiarci i piedi.

         Fattostà che in quella occasione il navigato anchorman aveva solo due ospiti: me, in qualità di scrittore, e Cassandra, in qualità di editore. Appresi in quella circostanza per la prima volta che Cassandra facesse quel mestiere (che non mi sarei mai aspettato, seppur fossi certo che lei avesse raggiunto un impiego sicuro e in cui si facessero molti soldi, perché per lei quell’aspetto era sempre stato importante).

         Quando la vecchia volpe di intervistatore capì dalle nostre facce che ci conoscessimo si gettò subito sulla notizia e cercò di carpire come mai Cassandra risultasse così a disagio e ritrosa, mentre io apparissi del tutto controllato e beffardamente ironico. E poiché egli non ottenne molte risposte dalla ritrosia di lei, si concentrò su di me, che invece gli parlai in modo assolutamente sincero. Io comprendevo che sarebbe stato sicuramente meglio tacere sulle nostre storie passate (e soprattutto visto che potevano non essere piacevoli per almeno uno di noi due) ma, mi sentivo così superiore al mio passato e ai miei sbagli, da ritenermi quasi un innocente di fronte ad esso. In più, per me il passato era definitivamente morto e sepolto, per cui non mi dava alcun fastidio riferire anche le situazioni più sconvenienti e personali.

         Cassandra si limitò a lanciarmi occhiate preoccupate, sapendo che non avrebbe potuto impedirmi di rivelare a tutti la verità e che i suoi interventi avrebbero potuto ben poco contro la sciolta vigoria della mie parole.

         Il giornalista mi chiese, dopo qualche domanda di rito per mettere a fuoco la questione (che aveva già intuito), se avessimo avuto una storia d’amore. Io lo sorpresi dicendogli (senza mentire) di no. Però poi il mio eccesso di zelo e di adesione alla verità mi costrinse ad aggiungere che era vero che non fossimo mai stati assieme, ma che comunque all’epoca mi ero innamorato di lei. Aggiunsi anche che non potevo essere certo che finanche lei mi avesse amato. Allora la foca ammaestrata si voltò verso Cassandra e le pose la stessa domanda mirata che aveva fatto a me. E lei, molto provata dalla mia sincerità e dalla domanda insinuante, mi stupì ammettendo che anche lei era stata innamorata di me.

         Poi l’intervista su tali fatti di cuore andò avanti per un’altra mezzora (prima che la trasmissione terminò) nella quale si seguì il medesimo registro, con me che parlavo senza pormi alcuna questione, e con lei che cercava di rettificare, mettere pezze, ma che spesso si riduceva a dover ammettere la gran parte delle cose, tra un impaccio e l’altro. La sua unica fortuna fu solo che effettivamente non fummo mai davvero una coppia vera, per cui quando l’adiposo e insinuante scribacchino cercò di scandagliare dalle mie parole dei particolari che la gente potesse trovare oltremodo incresciosi o scabrosi, si ritrovò infine a stringere un pugno di mosche e perse interesse per la nostra passata storia (che per quel motivo mai altro ci avrebbe pubblicamente più chiesto da lì in poi). Ma se quel tale fosse stato anche una persona dotata di sensibilità, e il suo scopo fosse stato sempre il medesimo, di alchimiare oro dai fatti privati della gente, si sarebbe certo maggiormente concentrato sui nostri animi che sulle nostre fattive azioni, e allora avrebbe trovato quell’emozione che avrebbe aperto i nostri cuori e quelli di tutti gli ascoltatori del programma.

         Quando la trasmissione cessò Cassandra, parlandomi in privato senza che orecchie straniere potessero udirci, mi riprese dicendomi che non avrei mai dovuto dichiarare quelle cose. Ed io le risposi che in fondo avevo detto solo la verità, domandandogli se lei la temesse. E lei, dato che percepì che fossimo su due fronti diversi e incompatibili, non mi rispose.

 

Terzo movimento

 

         Qualche giorno dopo ero chiuso in casa a riposare. Ero sprofondato in una di quelle tregue silenti e concilianti dell’anima, che delle volte sono assai necessarie e salutari per ritrovare qualcosa di sé che si potrebbe perdere, e per rimettere tutte le sue componenti a posto all’interno di essa, affinché poi si possa riabbracciare la più piena serenità nel futuro.

         La casa era buia e anche fuori si era all’imbrunire. Non sentivo il bisogno di accendere luci che avrei trovato importune. E il mio stato d’animo interno era uguale a quello che vedevo al mio esterno.

         Suonarono alla porta e, prima ancora di seccarmi e che quel suono potesse turbare la mia trasparente armonia, la aprii e feci entrare la visitatrice: Cassandra. Lei aveva ormai quella espressione infelice e triste che le avevo visto nelle precedenti due occasioni. Mi disse che era venuta per parlarmi e così fece, in piedi, davanti a me, nella semioscurità, mentre il buio fuori era meno forte del nero dei suoi occhi (che mi sembrarono belli e affascinanti come non mai).

         Lei mi proferì circa queste parole:

         «Adrian, è ora che io te lo dica, perché ho scoperto che ormai mi è impossibile continuare a tacertelo. Per tutti questi anni ho cercato di fare finta di nulla, e io stessa quasi me ne convinsi, credendo che potessi andare avanti e accantonare il nostro passato, facendo tacere la voce del cuore che mi torturava e voleva che io continuassi a pensarti. Ma solo ora comprendo che la mia è stata unicamente una stupida e vergognosa bugia che ho continuato a ripetermi tentando di farmi un lavaggio del cervello… E il motivo del perché dovresti averlo capito anche tu, Adrian… Perché io ti ho amato con tutta me stessa e, quando la nostra relazione si è rotta, io non fui più in grado di riallacciarla, troppo avvinta dal dolore e troppo sconvolta dalla passione che tu mi scatenasti, che fino ad allora mi era totalmente ignota… Sì, fu un misto di dolore e paura di soffrire ancora di più a non farmi riavvicinare a te. Come pure il maledetto orgoglio che fino ad oggi accecò la mia vista impedendomi di vederti come il mio solo e insostituibile amore!… Così te lo confesso, infine… Io ti amo e ti ho sempre amato, ed oggi… sono solo una povera donna in pena, perché colui che più di tutti mi fece soffrire fu anche la gioia più fuggevole e grande della mia misera vita, e fu colui che sempre cercai negli altri, non riuscendolo a rintracciare neppure in piccole parti… Sono una poveretta e penso di non aver conosciuto nulla di prezioso in vita mia, tranne te, e credo di meritarmi tutte le pene che ho patito e che patirò per sempre. Tuttavia ti ho voluto dire la verità perché era giusto che tu infine la sapessi, e che il cerchio su di noi si chiudesse…»

         Quelle parole mi meravigliarono molto, perché non era stata la Cassandra che avevo conosciuto io che le aveva proferite, ma una Cassandra che non avevo mai incontrato e che forse avevo al più solo intuito. Precedentemente Cassandra era stata del tutto diversa con me da come si poneva adesso… Cassandra un giorno decise di non volermi più, che io non fossi più alla sua altezza, e che le procurassi più fastidi che gioie, più svantaggi che vantaggi, e allora mi cassò dalla sua lista delle persone preferite come se nulla fosse e senza proferirmi parola alcuna. Cassandra fu con me crudele, spietata, e devastante, e per un lungo periodo io ci stetti così male da rischiare di perdermi nelle tenebre dell’afflizione, e lei fu quella che più di tutte mi fece soffrire, e io più volte mi interrogai se quel dolore fosse frutto della mia grande inesperienza, o fosse direttamente proporzionale all’immenso amore (che io credetti di tributargli) che dopo si trasfigurò disperatamente nell’infinità di un buco nero che mangia ogni albore, quando lei non mi volle più e mi costrinse ad accettare il suo mesto verdetto inappellabile.

         Cassandra era cambiata sul serio e mai l’avevo vista più sincera, sensibile, e indifesa. Tanto che non provai pena per lei… No, perché mi emerse una malvagia idea di vendetta, facendo soffrire la medesima donna che ora mi rivelava che per me sarebbe anche morta, quando in gioventù fui io a rischiare di farlo, avvolto dalle sue fatali spire di serpe senza cuore…

Cassandra era lì, innanzi a me, con i suoi grandissimi occhi gravidi nei quali splendeva una luce nera più accecante di tutte le altre luci che in vita mia avevo avuto il privilegio di osservare. E poi, la sua pelle bianca le faceva da contraltare rendendomela nella mente più pura di come non fosse mai stata nemmeno da bambina.

         E il perverso desiderio di corrompere quella sua beltà tenerissima che un tempo mi fu diabolicamente avversa, e che ora mi appariva inderogabilmente angelica, mi fece compiere le azioni che realizzai di lì a poco… Le misi una mano sulla spalla, e poi la lasciai scendere per quella sua avvenente curva che le disegnava il braccio. Lei mi guardò negli occhi ancora sconvolta dal patimento (ma non piangeva… Non vidi mai piangere Cassandra, nemmeno nei suoi momenti più cupi…). Le sussurrai alcune poche frasi apostate che invero corrispondevano ad autenticità, ma che avevano il solo scopo di farle ancora più male nel momento in cui avrei affondato il mio coltello incandescente (ardimentoso di dissacrarla) nel suo cuore candidamente offertomi senza alcun riparo…

         «Cassandra, come sei bella… Sei ancora più bella di allora… E solo ora mi sembra che veda appieno la bellezza di cui eri dotata, che adesso è finalmente pienamente sbocciata… I tuoi occhi tristi sono i più belli che abbia mai visto…»

         Lei riuscì ad oppormi solo un inutile «Che fai?…» che non fermò le mie mani che si fecero sempre più audaci. Sapevo che lei stava con un altro e che comprendeva che sottomettendomisi sarebbe stata quella peccatrice che aveva sempre cercato di non essere. Tuttavia non aveva alcuna forza per contrapporsi a me e capii che non avrebbe sollevato neppure un muscolo, anche solo per allontanarmi di pochi centimetri da lei, che mi voleva; sapeva che non avremmo dovuto farlo, ma semplicemente non aveva il potere di respingermi, rivelandomi così la sua reverenza incondizionata verso di me, che ero l’unico che lei amasse sul serio e che le avrebbe potuto fare quello che voleva…

         E io ne approfittai. Ne approfittai eccome. Le misi le mani sotto la maglia, e le lambii le costole, e le raggiunsi immancabilmente i seni che sentii morbidi e tiepidi come sostanza plasmabile al sollazzo delle mie dita castigatrici. E poi mi divertii a guardarla fissa negli occhi e leggerne l’impotenza. Le tolsi la maglia senza che fiatò e, in un battito di ciglia, lei si rinvenne nuda nella parte superiore. E per la gonna fu ancora più rapido, coma anche per le mutandine che praticamente nemmeno ricordo di averle sfilato. So solo che lei mi fu davanti del tutto indifesa mentre io potevo ammirarla con passione e curiosità ovunque volessi, mentre lei sentiva la novella consapevolezza di una bambola, sempre stata tale, che però un giorno, per magia, acquista la coscienza di colei che sa di essere un mero oggetto nelle mani del suo proprietario.

         Ero deciso a spingermi al massimo dell’ottenibile e a fornirle l’umiliazione suprema che non avrebbe mai scordato per tutta la sua vita. Mai così avevo fatto con qualcuna, e mai avevo fatto l’amore per infliggere ferite insanabili sulla pelle di una sventurata. Però in quella occasione quello fu il mio intento. Ma, se mi amava sul serio, sarebbe stata davvero una mortificazione quella per lei, oppure sarebbe stata felice di poter essere la mia cagna per una volta in vita sua? Avrei dovuto ragionare sull’illogicità e la contraddittorietà dei miei pensieri e sentimenti. Ma invece mi spinsi avanti…

         Le passai una mano sulla morbidezza del pelo pubico. Non vi sarebbe nemmeno bisogno di dire che fosse nero proprio come i suoi capelli, proprio come le sue sopracciglia, proprio come i suoi occhi. Lei fremette già vagheggiando la penitenza alla quale l’avrei sottoposta, ma fu in quell’istante che le vidi negli occhi quell’espressione di fiducioso e amorevole sacrificio che deve avere la vittima quando si getta nelle mani del suo carnefice quando tutto è ormai perso per lei. E fu quello, credo, che mi fece cambiare repentinamente atteggiamento facendomi crescere nel cuore la passione per l’essenzialità di Cassandra, che credevo sopita. E, quando mi si spalancò la sua guaina, mi sembrò come una tenera ciambella che non aspettasse altro di essere morsa e divorata…

         E, quando facemmo l’amore mentre lei ancora mi si era totalmente arresa e si limitava al massimo a chiudere gli occhi ogni tanto negli apici della nostra perturbazione, io la presi finalmente (da quanto tempo agognavo quell’evento tanto sospirato!) e lo feci con amore, e non con l’odio mellifluo di un falso cicisbeo che anela solo a compiacere il proprio membro, o il proprio ego…

         Passammo delle ore stupende nudi e abbracciati e inseparabili. Poi lei mi disse che doveva andare, ma io, tuttora conscio della mia presa su di lei, le impedii di lasciarmi e rimandai l’addio di un giorno. E quando l’indomani lei mi confermò ancora che mi avrebbe dovuto abbandonare, dopo che io le proferii con i baci e con le carezze e con le parole tutto l’amore strozzato che non avevo mai potuto esprimerle prima, la vidi per la prima volta dopo anni sorridere, e allora mi sentii smarrito. Perché mi accorsi che prima o poi lei mi si sarebbe separata e io non avrei potuto rinviare oltre il momento del distacco, che ineluttabilmente sarebbe comunque presto o tardi arrivato. Ma soprattutto compresi di essere passato dall’altro lato della barricata e di essermi trasformato da profanatore indolente e malvagio e adoratore dell’offesa, a delicato e perennemente infelice sospiratore dell’amore avvolgente e annichilente.

E, quando lasciai andare Cassandra (perché non potevo incatenarla a me), dopo averne assaggiato la carne in tutti i punti (come fosse fatta di dolci ciambelline alle quali non si poteva resistere) ed essermene saziato fino alle soglie del rigurgito, e averne annusato ogni suo segreto odore affinché ne serbassi per sempre il ricordo in me anche se non ci fossimo più visti… Provai e conobbi la gelosia più depressa, perché lei era libera di lasciarmi ancora, di farmi impazzire e di massacrare il mio cuore facendolo sbranare dai cani feroci dell’amore non ricambiato, o della chimerica folle brama di possesso dell’oggetto amato.

E quando Cassandra si obliò per sempre alla mia vista mi inflisse la sconfitta più atroce che patii nella mia vita e dalla quale non mi ripresi più; la medesima sconfitta che quando era stata acerba avevo avuto la prontezza e la forza di dimenticare e mutare in trionfo e nella disfatta di lei… L’esclusiva sconfitta che ora mi malediva e mi sprofondava nelle viscere dell’inferno, così come lei sanava e le permetteva di tornare a respirare l’aria di tutti i giorni senza provarne nausea e palpitazione, facendola sopravvivere con fierezza e nuova sicurezza.