La prima poesia di Nemesis


Un giorno Nemesis se ne navigava placidamente sulla rete, quando ad un tratto una pubblicità allettante catturò il suo occhio. Era la réclame di un editore letterario che affermava di cercare versi originali per una prossima pubblicazione di inediti di scrittori sconosciuti.

Nemesis si ricordò di quella poesia, alla quale era molto legato, che poi era stata la prima poesia che si era azzardato a comporre nel suo periodo blu, quando, pur non covando aspirazioni da vate, aveva dedicato molto del suo tempo al tentativo di incanalare nei versi le decantazioni delle sue emozioni…

Ed invero Nemesis riteneva che quella sua prima poesia (che era stata quasi una dichiarazione di intenti per tutta la sua esistenza, e che lui non sapeva quanto fosse permeata su di sé molto più di quanto non immaginasse) gli fosse venuta molto bene e reggesse anche al trascorrere del tempo; cioè quando gli era capitato di rileggersela in tranquillità a casa sua, sul sofà, in ogni occasione che lo fece la trovò sempre attuale, ben scritta, satura di indubbi significati pregnanti. Insomma era proprio una bella poesia, anche se era stata la prima, e quindi avrebbe forse dovuto essere acerba rispetto a tutte quelle (e furono molte) che vennero dopo. Ma no, la poesia reggeva benissimo il confronto con le altre, anche con quelle nelle quali Nemesis infuse tutta l’esperienza e la maestria che nel frattempo aveva accumulato.

Non a caso, quella toccante poesia, Nemesis l’aveva poi imparata a memoria e ogni tanto gli piaceva recitarsela, riassaporandone l’aroma nell’anima. E fu per questo motivo che Nemesis commise quell’errore e, senza pensarci troppo, si iscrisse alla selezione dei nuovi talenti, alla quale partecipò proprio con quella poesia alla quale era assai affezionato.

E quando quelli gli dissero che erano interessati alla sua poesia e che gli doveva concedere tutte le autorizzazioni su di essa (in compenso però loro lo avrebbero citato senz’altro con il suo nome, in modo che lui ne avrebbe ricavato indubbia fama), Nemesis non pensò minimamente a quello che faceva e, forse subdolamente lusingato dall’implicita proposta di successo, gliela cedette. Sì, gliela cedette per un prezzo assolutamente irrisorio: un commerciale, caduco desiderio di successo, cioè il nulla più assoluto!

Solo più tardi Nemesis si accorse del suo grave fallo. Ma ormai la frittata era fatta. La poesia era stata pubblicata e lui aveva firmato tutte le autorizzazioni che prevedevano che loro avessero tutti i diritti sulla stessa e che lui non potesse esigere alcunché. Il bieco editore gli propose poi subito l’acquisto del libro che contena la sua poesia ad un prezzo che gli dichiarò assai esiguo, poiché scontato del cinquanta per cento. Era un’occasione, quella, che non doveva lasciarsi sfuggire, a detta loro.

Ma Nemesis, giunto a quel punto, aveva del tutto stanato il loro raggiro e, se pure una volta era stato avventato, questo non significava che era quell’allocco che loro si credevano (il quale, per appagare il proprio ego, sarebbe stato disposto a dispensare una bella somma di denaro).

Così Nemesis fece decadere il diritto di opzione per aderire a quella vantaggiosissima offerta e, quando ricevette l’ennesima loro incalzante sollecitazione a sottoscrivere, rispose loro di non farsi più vivi e che non li aveva mai autorizzati a rompergli l’anima fin quando non avesse effettuato quell’acquisto che loro pretestuosamente gli caldeggiavano ripetutamente. E almeno se li tolse dalle scatole…

Ad ogni modo Nemesis, non avendo acquistato il libro, volette vigilare che davvero la sua poesia fosse stata acclusa nella raccolta. Dunque un giorno entrò in una grande libreria molto fornita e chiese di visionare il tomo in questione.

L’impiegato che lo servì non sembrò per nulla meravigliato della sua richiesta e ciò gli fece intuire che non fosse il primo che quel dì gliela avesse posta. Il commesso lo accompagnò praticamente nel retro del negozio, dove si tenevano le scorte, o gli articoli in attesa di collocazione, o anche i prodotti che non sarebbero forse mai stati dislocati in siti maggiormente in vista (come sarebbe stato il caso del libro di poesie).

Nemesis osservò uscire da quel ripostiglio due persone che dovevano essere i clienti che prima di lui avevano inoltrato la medesima richiesta. Erano un uomo e una donna che pareva che non si conoscessero.

La donna era una vecchia conoscenza di Nemesis: la sua ex amica Rose… Nemesis ne rinvangò il ricordo di quando entrambi lavoravano all’agenzia di pulizie… Ricordò che Rose gli avesse rivelato di scrivere anch’essa poesie… Ricordò che lui si era invaghito di lei per un periodo, e per quello le aveva dedicato una bella poesia che però non trovò il modo di consegnarle prima che i loro rapporti si rompessero bruscamente.

Rose appariva molto diversa da allora. Non gli sembrava più quella donna intelligente e sensuale che allora aveva creduto. Gli pareva essere diventata una donna ordinaria, con propensioni alla casalinghitudine. Una donna priva di ogni grazia.

Infatti, quando lei gli passò accanto con gli occhi sul pavimento, dapprima lui quasi non la riconobbe, e quando invece lo fece non ebbe alcun rimpianto di essersela persa per strada (d’altronde era stata lei che lo aveva depennato dalla sua vita e non il contrario). Anche Rose forse lo riconobbe, ma non tradì in nulla la sua espressione assorta e pensosa con un’inclinazione alla malinconia e fece finta di non riconoscerlo.

L’altro uomo che la seguiva verso l’uscita invece era un tipo un po’ pingue che sembrava un bambolotto gigante. Era una di quelle persone che ad ogni età avrebbero conservato sempre una sostanziale patina di fanciullezza. Il tipo sembrava un bamboccione buono, un po’ tardo forse, ma del tutto impossibilitato a fare del male ad alcuno. Anche lui era sul malinconico… Chissà che tipo di poesie avranno scritto quei due, pensò Nemesis tra sé.

Nemesis sfogliò il libro. Era un volume anonimo, con una copertina color fumo di Londra. Scorse l’indice degli autori ma non si trovò. Allora, allarmato e lievemente alterato, diede un’occhiata all’indice delle poesie. E lì effettivamente rintracciò la sua cara poesia. Saltò alla pagina in questione e la lesse tutta ricavandone una morigerata gioia e un po’ di rilassatezza. Era la sua, non vi era dubbio, e non era stata cambiata neppure una virgola. Il problema però, scoprì, era che fosse stata attribuita ad un certo “Nessim”.

Ci rifletté su qualche istante e poi capì: qualcuno aveva deformato Nemesis in Nessim. Tale pensiero gli procurò fastidio. Avrebbe dovuto andare a lagnarsi dalla casa editrice e far valere le sue ragioni di autore… Ma già sapeva cosa gli avrebbero risposto: che ormai la stampa era stata fatta e che non se ne sarebbe parlato di cambiare niente fino alla prossima ristampa (che però non ci sarebbe mai stata); inoltre, utilizzando scanner vari, per loro sarebbe stato facile falsificare il documento in loro possesso (con la firma di Nemesis) e far credere che davvero lui si fosse firmato con quello pseudonimo. E se anche lui li avesse trascinati in tribunale, in una causa che poteva essere lunga anni, la quale lo avrebbe svenato sia nel portafoglio che nell’anima, ci sarebbe stato infine pure il caso che poi quella causa l’avesse persa (condannato a pagare le cospicue spese processuali e quant’altro)…

Quindi Nemesis decise di sorvolare. Ringraziò cortesemente l’annoiato commesso (che si era infilato un dito nel naso) e ripose il libro sullo scaffale, uscendo dalla libreria anch’egli come Rose e quell’altro prima di lui.

In strada pensò ancora a quanto era stato stupido a vendere la sua poesia più amata ad un’azienda di avvoltoi. Ma ormai era fatta. Nemesis non ci poteva più fare nulla.

Nemesis poteva però ancora recitarsela. Quello nessuno avrebbe potuto toglierglielo. Così, per l’ultima volta nella sua vita, se la declamò… E parlò ancora di un destino ferale che serbava la follia a chi avrebbe voluto capire la vera natura delle cose… Perché la verità era come la luce e, se la si guardava troppo fissamente, procurava una consapevolezza-pazzia di cecità… E dunque, diceva Nemesis nella poesia, per diventare più saggi non restava che guardare, sì, la luce, ma socchiudendo gli occhi, per poi riaprirli piano piano; così, lentamente, si sarebbe diventati più coscienti… Tuttavia, più ci si sarebbe spinti su quell’eccelso percorso, e più però si sarebbe diventati ciechi-pazzi… Così la vera verità non poteva che portare a non essere acclusa sul serio, poiché essa, forse, non era nelle possibilità dell’essere umano di essere intesa.

William S. Burroughs: Checca


William S. Burroughs, autore dell’allucinato e paranoico “Il pasto nudo”, narra la storia (fortemente autobiografica) di un omosessuale tossico emigrato in Messico per sfuggire alle maglie della giustizia statunitense (per una storia di possesso di droga). Qui, in uno stato a metà tra il perdigiorno e la pederastia incallita, tenterà a più riprese di stringere una relazione sessuale con uno che propriamente gay non è…

La prosa è asciutta e “molto americana”, peculiare di un certo modo di scrivere tipico dell’epoca… Ma il tema delle droghe, inaspettatamente, è in secondo piano e direi che non è parte inalienabile della storia…

Non mi è dispiaciuto leggere questo libro, tra l’altro molto più ironico di quanto sembri, in quanto intriso di numerose storielline buffe che il protagonista racconta di continuo per fare colpo sul suo bel fusto…

Radio Rock e CasaPound


Recentemente, in una delle storiche e più apprezzate emittenti radiofoniche di Roma, cioè Radio Rock, è accaduto qualcosa che è stato riportato anche sui giornali.

Nella fattispecie, un giorno, se non sbaglio il fondatore della radio stessa, ha deciso, senza avvisare gli altri dj né avvertire nessuno, di effettuare un’intervista con uno dei rappresentati della discussa associazione di Destra (chiamiamola così) CasaPound.

Morale della favola, due note voci radiofoniche della suddetta radio, cioè Prince Faster e DJ Armandino, sdegnati dalla scelta effettuata dalla direzione, hanno deciso (assai dolendosene) di dissociarsi nettamente da tale iniziativa recidendo la decennale collaborazione fra loro e la radio (e ad oggi non ho notizie se la frattura si sia, come spero, ricomposta, oppure no).

Dunque la domanda che mi sono posto è stata: ed io, fossi stato al loro posto, che cosa avrei fatto? Avendone la possibilità, ospiterei mai sul mio blog un accreditato esponente di CasaPound?

Ci ho riflettuto parecchio. La scelta impone di fare necessariamente alcune ponderazioni. Infatti CasaPound è un’associazione di persone (la parola “culturale” non ce la metto…) che spaccia indubbi valori neofascisti (almeno dal mio punto di vista) e non è raro vederla impelagata in dispute facinorose con alcuni ragazzi dei centri sociali…

Dunque io offrirei mai il mio rilevante spazio, io che sono antifascista e che detesto il fascismo in tutte le sue forme (vedi articoli precedenti) sul mio blog, per intervistare uno di CasaPound, permettendogli di farsi pubblicità attraverso di me?

La mia prima risposta è stata “giammai”! Che tutti abbiano diritto di parlare, purché non siano però dei fascisti che sponsorizzino pseudo-valori fasulli, o persone che riferiscano cose mendaci (ricordo a tal proposito a chi non lo sapesse che la Carta Costituzionale italiana fu allestita all’indomani della Seconda Guerra Mondiale sulla base di principi indubbiamente antifascisti)!

Ma poi ho anche pensato che intervistare qualcuno non vuol dire necessariamente andarci a cena. E allora mi sono detto che, qualora decidessi di operare una tale scelta giornalistica, sarei sempre io quello che fa le domande. E credo che se uno fa le domande giuste spesso non deve aver alcuna paura delle risposte (pur inverosimili e mendaci) che qualcuno può affermare, perché in tal caso ci penserebbero tali risposte a qualificare assai bene il rispondente.

Dunque non intervisterei mai uno di CasaPound, perché non ritengo che egli avrebbe nulla di utile da dirmi, ma se avessi del tempo da perdere e decidessi di farlo però porrei loro delle domande che potrebbero considerare scomode.

Un esempio? Se ad esempio dovessi intervistare uno del PDL (uno qualsiasi) gli domanderei per prima cosa che cosa pensa del processo Mills, dell’acquisizione di b della Mondadori, di Mangano stalliere di Arcore, delle varie stronzate che ogni giorno dice b, di quale sia la sua posizione verso coloro che incoraggiano la prostituzione minorile e così via… Ed infine gli chiederei (sempre se la persona in questione non sia ancora scappata, risentitasi, con la coda tra le gambe), come può un essere umano intelligente ed onesto militare nel PDL?!

PS: ma chi dà i soldi a Forza Nuova e a CasaPound per insozzare sempre le strade di Roma con i loro (spesso) vergognosi manifesti fascisti? Proprio non riesco ad immaginarmelo…

http://it.wikipedia.org/wiki/CasaPound

Ridicolmente burbanzosi vili eccessi dell’Autorità


Nemesis non seppe mai cosa rischiò quel giorno e a quale grave supplizio scampò. Nemesis sapeva solo che quel giorno se ne camminava come sempre placidamente, per i fatti suoi, ed era tutto intento a pensare alla sua MAV, e allora si angustiava e se la rivedeva davanti, non potendo dimenticare i suoi occhi di giada, capaci come pochi di sbrilluccicare di delizia e letizia…

Fu in quel mentre che, in parte sovrappensiero, osò spingersi su quella via, molto popolaresca seppur insigne, dalla quale lui badava sempre di tenersi a largo, e questo per un motivo ben preciso: essa era infatti uno degli ignobili e ripugnati covi del Potere, nel quale si potevano rintracciare cioè ambigui e ritorti personaggi (spesso rei confessi dei peggiori crimini di cui ci si potesse macchiare nei confronti dello Stato e del popolo sovrano). E dato che Nemesis schifava ed aveva sempre schifato, fin dall’età del voto, tali ributtanti individui ammanicati coi poteri forti, che erano essi stessi casta e potere forte, conniventi con il malaffare dalla notte dei tempi, complici, faccendieri e galoppini e furbetti arroganti di turno… egli se ne era sempre comprensibilmente tenuto da parte, avendo da tempo appurato che la sua retta persona non avesse e non avrebbe mai avuto nulla da spartire con tale disgustosa feccia umana, la quale feccia disonorava il concetto stesso di “essere umano”, per il quale Nemesis riteneva che si dovesse avere un ritegno assai maggiore…

Nemesis aveva lo sguardo perso nel vuoto, rimestando nel languido ricordo della sua amata che lo aveva abbandonato, quando d’un tratto commise l’affronto supremo: si spinse ad attraversare, a passo d’uomo, su un tratto di strada che prevedeva delle strisce pedonali perfettamente delineate sul terreno. Il che non sarebbe stato un affronto, tutto sommato, se però non fosse stato il caso che, quel luogo, quelle strade, e perfino le strisce pedonali, erano sotto il malsano influsso delle masnade del potere… Per di più Nemesis fu anche assai sfortunato perché, proprio in quel momento, una loro cricca, fece la sua apparizione all’orizzonte e volle passare prima di lui sul tratto di strada che lui stava oltrepassando.

E a dire il vero Nemesis assistette benissimo all’arrivo della macchina scura con i vetri affumicati. Certo, Nemesis vide quell’automobile di lusso e ad alta cilindrata, la vide che sfrecciava insensatamente veloce, in sfregio alle più elementari leggi del codice della strada e del buonsenso. E in quel momento pensò qualcosa del tipo: “L’auto è ancora lontana. Inoltre io ho indubbiamente la precedenza, e non posso credere che fin da lì non abbiano già avuto il tempo di avvistarmi da un pezzo… Quindi non vi è motivo di pensare che, per qualche ragione, finisca sotto le loro ruote. Perché mai una cosa del genere dovrebbe accadermi? Senza contare che neppure sono sicuro che quella macchina stia proprio per tagliare la mia strada trasversalmente, come a me sembrerebbe. Dunque… self control!”.

Questo pensò Nemesis il puro; ma invero le sue avvisaglie si rivelarono esatte, dalla prima all’ultima, compresa quella (che era più un presentimento) che gli aveva suggerito il chivalà al primo adocchiamento di tale veicolo, il quale infatti gli attraversò la strada.

La macchina saettava così celere che davvero Nemesis temette di essere investito, ed infatti finì per bloccarsi sulle strisce pedonali, così come capita a chi, sentendosi prossimo all’incontro frontale con un terribile pericolo, non sa se gli convenga di più accelerare il passo, piuttosto che spingersi indietro eseguendo una rapida retromarcia…

Così accadde che la macchina oscura fu prossima ad investirlo ma infine inchiodò i pneumatici sull’asfalto e si fermò a pochissimi centimetri dal ginocchio destro di Nemesis, il quale nel frattempo aveva preso ad accusare un lievissimo tremito (infatti per un attimo egli credette davvero che quelli sarebbero stati gli ultimi istanti della sua vita).

Dopo lo spiacevole avvenimento Nemesis rimase praticamente paralizzato; e non ebbe il tempo neppure di dire “muh!” che da uno sportello della nefasta macchina scese lesto un nanerottolo stempiato e con gli occhiali, il quale indossava anche un lungo impermeabile che lo rendeva ancora più ridicolo, vista la scarsa altezza di cui Madre Natura l’aveva dotato. Il tipetto gli si presentò sotto al mento (Nemesis era ancora immobile) e gli andò ad alitare il suo più odioso monito di ottemperanza: «Bada a te che una cosa del genere non si ripresenti più! Altrimenti…» e gli fece segno con le mani come se vi tenesse un legno e lo spezzasse con acrimonia.

Inutile dire che Nemesis fu ancora più allibito e non seppe cosa e se rispondergli: fu preso totalmente in contropiede. Per questo non disse né fece nulla. L’ometto roteò su se stesso lasciando svolazzare il suo impermeabile da servizi segreti (e rivelando la presenza di una fondina commista ed annessa ad una minacciosa rivoltella), tornandosene dunque nel veicolo, che se lo risucchiò dentro e subito sgommò bruciando quel tratto di strada che mancava per giungere al parcheggio del palazzo del potere.

Solo allora Nemesis ricominciò a camminare sulla stessa direttiva di prima e si lasciò quel lugubre e stomachevole posto (dove il Male regnava incontrastato) alle spalle, riattivando l’intelletto e riflettendo sull’incredibile disavventura che gli era capitata.

Così ebbe modo di comprendere l’assurdità di tutta la vicenda: dei tizi (che dovevano essere la combriccola di un politico che si credeva molto altolocato) avevano avuto la pretesa, non solo di circolare liberamente sulle strade cittadine fregandosene dei limiti di velocità, ma anche di passare prima di lui, che era già sulle strisce pedonali e che da tempo aveva iniziato l’attraversamento (nel pieno ordine della vigente etica stradale). In più, avendo lui avuto il gravissimo torto di non farsi da parte al loro passaggio, credendo che giustamente avesse tutto il diritto di camminare laddove era, avevano rischiato di metterlo sotto e falciarlo nettamente con le ruote (e allora probabilmente la dipartita di Nemesis sarebbe stata rapida quanto scontata ed immancabile); da ultimo, risentiti per il suo esistere, avevano mandato quel nano malefico, alto molto meno di Nemesis, a intimidirlo e a dirgli che se la cosa si fosse ripetuta avrebbe passato un brutto quarto d’ora!

Solo allora Nemesis comprese l’opprimente abuso di cui era stato vittima e la palese insidia di cui era stato oggetto, sulla quale non si poteva sorvolare.

Fu così che la sua indignazione crebbe a dismisura e allora fu seriamente tentato di tornare indietro, cercare di entrare nell’edificio del turpe potere e rispondere a quell’omino e ai suoi fidi amici di malaffare e violenza che lui, Nemesis, non si sarebbe mai chinato di fronte al passaggio dei mafiosi e degli scarti della società come loro!

E fu sul punto di farlo, ma quando giunse nei pressi del palazzo appurò però quanto esso fosse sorvegliato dalle solite forse dell’ordine asservite, le quali avrebbero dovuto vigilare sulla Giustizia più che sui potenti, ma che invece non lo facevano… E dunque per lui sarebbe stato impossibile insinuarsi in quel luogo rigurgitante di topi di fogna senza essere bloccato e placcato all’ingresso; quindi la sua missione di rappresaglia era impensabile che si potesse compiere.

Così Nemesis se ne tornò inquieto in ufficio (si era infatti durante la pausa pranzo) ma dicendosi fermamente che, qualora una cosa del genere gli fosse accaduta nuovamente, avrebbe dovuto manifestarsi assai più pronto e, con testa alta e con il fare proprio dei giusti, avrebbe dovuto dare pan per focaccia ai corrotti ed arroganti prepotenti i quali da sempre appestavano il mondo con i loro lerci traffici e con le loro abominevoli malefatte. Era colpa loro se il mondo non era quel Paradiso Terrestre che sempre avrebbe dovuto essere; erano loro i responsabili che rovinavano il mondo con la loro bramosia di potere, per la quale erano disposti anche ad uccidere…

Nemesis ne era edotto e pensava che un giorno, tutti questi signori, avrebbero avuto la loro giusta sentenza di condanna. Sì, tutti assieme un giorno sarebbero stati processati e puniti, il giorno nel quale il mondo sarebbe diventato finalmente probo. Fino ad allora avrebbero continuato a farla da padrone l’Ingiustizia e la Meschinità.

Nemesis un giorno avrebbe liberato il mondo del peggiore di tutti, del Re delle Fogne…

Ho fame – Non ho fame


Quando ero piccolo faticavo a mangiare, ero “inappetente”, diceva il dottore. Per questo i miei genitori, allarmatisi, mi avevano portato dal medico ed egli, per farmi venire languore, mi segnò uno sciroppo per l’appetito (che se ci ripenso oggi mi viene da ridere e mi sembra una barzelletta!… Uno sciroppo per l’appetito! Che cosa inutile! Come se potesse servire a qualcosa! Chi può mai aver perso il suo tempo ad inventare una boiata del genere, in quest’epoca di obesità lussureggiante?).

Lo sciroppo sortì flebili risultati (a dimostrazione che era una ciofeca). Così mia madre si vide costretta a rimpinzarmi di quei pochi cibi di cui andassi ghiotto i quali non rifiutavo mai, cioè patatine fritte (fatte in casa) e petti di pollo panati… Penso che tra i sei e i dieci anni ne consumai quantità industriali (poveri pennuti)…

Però il dilemma dell’inappetenza rimase… Ricordo che mi sedevo al tavolo e bevevo un bicchiere di acqua, la quale già solo quella pareva saziarmi; poi era quasi uno sforzarmi a mandare giù qualcosa (che non voleva andarci). Ero anche piuttosto lento a trangugiare e i miei pasti duravano sempre come minimo una mezz’ora…

Crescendo l’appetito mi si sviluppò naturalmente. E oggi in certi momenti devo addirittura controllarlo, perché si sa che l’appetito vien mangiando (un po’ come tante altre cose)…

Sennonché in certi altri periodi invece confesso che mi basti pochissimo per sentirmi sazio e, ancora, fosse per me, non mangerei nulla. Proprio come quando ero bambino.

Non ho fame. Non ho fame, mamma. Che ci devo fare? Voi vi ingozzate ed avete sempre fame perché siete delle bestie. Io no. Io invece sono così diverso da voi… che forse anche in questo voglio dimostrarlo fino in fondo, ed un giorno forse mi sentirò di non nutrirmi più.

Non sono anoressico, ma in alcuni fraseggi della mia vita credo di esserlo stato.

Anarcolessia punto zero


Ai tempi dell’università una mia amica disse di me che le sembravo un mega-super-anarchico. Io, con pacatezza, le risposi che si sbagliava di grosso e che mi aveva frainteso.

Ma aveva ragione lei, dato che all’epoca non sapevo davvero cosa volesse dire “anarchia”, o almeno che cosa volesse dire per me. Infatti ritenevo che anarchia significasse: ognuno fa quello che gli pare, punto e basta! Quindi un vero caos!

Invece, con il tempo, ho capito che con tale concetto si può intendere molto altro. Per esempio per me anarchia vuol dire avere fiducia nell’essere umano, cioè ritenere che, dato che io sono fatto così (cioè buono, bravo, sensibile, acculturato dei principi fondamentali della vita), anche gli altri possano in fondo esserlo, e quindi si possa vivere tutti quanti assieme in pace e armonia (senza bisogno di alcuna legge poiché, arrivare ad un tale stato evoluto di società, implicherebbe che la società stessa sia perfetta), in modo cioè che basterebbe il buonsenso.

Dunque cos’è che impedisce agli uomini di sentirsi tutti quanti come fratelli e di vivere in serenità e in accordo tra loro, sentendosi parte di un medesimo, divino, piano esistenziale?

Ovvio. Sono sicuro che lo sapete (se non lo sapete preoccupatevi): l’ignoranza, la mancanza di cultura, le spregevoli lusinghe del Potere, le quali fanno in modo di corrompere i pensieri più puri dell’essere umano spingendolo alla depravazione e all’ipocrisia più spinta.

Dunque, sì. In tale accezione sono un anarchico. E come tale ho come nemico naturale tutti coloro che vogliono farci credere che questo sia l’unico e il migliore dei mondi possibili, che l’essere umano è una bestia, ed essendo tale che, tutto sommato, sia normale che al mondo esista la sopraffazione e lo sfruttamento dei più deboli.

Queste persone hanno tutto il mio disprezzo e mi opporrò sempre loro.