Gocciole sottili distillate da me

Gocciole sottili distillate da me

 

Oggi ha piovuto gocciole sottili che mi hanno solleticato come piccoli sputacchi del destino.

         Le membra sono molli se faccio pochi metri.

         Si suda per un nonnulla se ci si mette in moto

         Ma poi se si sta fermi subentra il gelo che ti attanaglia dal profondo.

         Mangiare un gelato potrebbe darmi un po’ di sollievo,

         Come è per quel signore?

         Ho appeso in camera un mio disegno tutto colmo di gabbiani in volo.

         Ve ne è solo uno, piccolo e tutto nero, che è a terra a guardare gli altri.

         Quando piove sono ferocemente pago che il mondo raffiguri il mio stato d’animo.

         Il crepuscolo è sempre stato il momento preferito della mia giornata.

         Non sopporto chi ride. Penso che sia un idiota o un mio nemico.

         Ma è il tempo che scorre che mi provoca sgomento:

         Temo che lo faccia troppo in fretta.

         Tutti quanti voi, come è possibile che abbiate un senso?

         So già che in fondo un senso non ce l’avete.

         Una volta una farfalla si posò su un mio dito che gentilmente le porsi.

         Ancora me lo ricordo con affetto poiché per me fu un bellissimo momento.

         Il mio presente è infarcito del mio passato che continua a riaffiorare.

         Mentre il futuro semplicemente ho capito che non esista.

         Ho assistito al momento nel quale una foglia si è staccata ed è caduta.

         Ho avuto l’impressione che dovessi afferrare qualcosa.

         Ma che altro c’è da capire oltre il fatto che tutto muore (ed io lo so bene)?

         Credo che ravvisare degli infanti con le loro tenui voci

Sia l’unica vera gioia che mi rimanga.

         Tutto il resto è nulla. È rabbia. È edonismo.

         Porterò sempre con me quei momenti nei quali tutte quante loro

         Mi hanno guardato in modo diverso e per un attimo si sono fatte quella domanda.

         Vi ringrazio per avermi pensato.

         Lo scorrere del mare mi ossessiona.

Mi è dentro anche se da anni non lo ho la capacità di vederlo.

         Sento quelle acque rimescolarsi all’infinito

         Ed è una magnifica coscienza sapere che andranno avanti fino alla fine dei nostri tempi.

         Degli ululati lontani mi ricordano di continuo che c’è sempre qualcuno che soffre.

         Ma io che posso fare?

         Ci fu un periodo della mia vita nel quale temevo di addormentarmi.

         Delle volte perché facevo degli incubi spaventosi.

         Altre volte perché sapevo che avrei potuto non risvegliarmi più.

         Altre ancora che sarei potuto esser vilmente attaccato.

         In confronto ad allora oggi sono il ritratto della felicità.

         Sarò sempre felice.

         Quando morirò vorrei che tutti quanti sapessero

         Che sono stato molto più felice di quanto essi hanno pensato.

         Al contrario di molti, la morte non mi fa paura.

         Ma come tutti temo la sofferenza prolungata.

         Mi riconosco in un ritratto che mi fecero quando ero bambino.

         Ma per chi all’epoca non mi conobbe, io non sono colui che vi è raffigurato.

         Ma a me… chi mi conosce tutto sommato?

         Un mio amico una volta mi disse che in fondo non sapeva nulla di me.

         Non esiste nessuna donna che si fidi interamente di me.

Nessuna delle donne che ho conosciuto si fida interamente di qualcuno.

Tuttavia esse amano avere in dono delle bugie che le rassicurino.

Per questo per me ogni storia finisce con loro.

Perché io ho bisogno che qualcuno si fidi di me

Mentre loro non concedono a nessuno la loro fiducia.

Inoltre detesto le bugie.

Ecco le uniche due razze degli esseri umani:

Gli uomini e le donne.

Ho imparato ad amarmi.

Una volta non era così e ne soffrivo molto.

Quindi cercavo negli altri quello che mi mancava.

Ma anche se lo avessi trovato mi sarebbe sempre mancata la cosa più importante:

L’amor proprio.

Oggi so che chi non ama se stesso non può amare un’altra persona.

Per quanto sembra che tutti vogliano ignorare questo precetto fondamentale dell’esistenza.

Mi fanno pena coloro che si avvincono gli uni agli altri per questioni di pietosi tentativi di sussistere e ricercare uno falso scopo.

E che poi, anche volendo, sono incapaci di separarsi.

Mi dico che a me non potrebbe mai accadere.

Ho compreso quale sia la cosa più importante per gli esseri umani:

La consapevolezza.

Nasce tutto da lì, o miei ignari fratelli.

Benedetta Parodi è già cotta. Chi se la mangia?

 

         La sorellina piccola della Parodi si è messa in testa di voler sfondare in televisione (d’altronde perché la fortuna deve arridere solo a Cristina se lei si sente anche più carina e valente della suddetta?!)! E allora cosa fare?

         {cotta e mangiata!}

         Innanzitutto arriva a condurre tg e programmi gossippari. Poi la genialata! Come fare ad incrementare vertiginosamente la sua popolarità ritagliandosi uno spazio tutto per sé che la metta sufficientemente in mostra? Una rubrica di cucina! Cotto e mangiato!

         {cotta e mangiata!}

         Così (non si sa come, e non lo voglio sapere) riesce ad ottenere un proprio spazio all’interno della potente armata del tg5 ed inizia a dare consigli culinari!

         {cotta e mangiata!}

         Benedetta ci tiene a parlare sempre con la sua vocettina da femmina servizievole, spesso inclina la testa come una geisha e sorride in modo smodato per scaturire simpatica. Inoltre cura anche ogni singola parola che dice (giurerei che i testi se li scriva da sola perché qui e là sono troppo insensatamente mentecatti per essere opera di un altro). I suoi intenti sono chiarissimi (agli occhi di chi vuol vedere): vuole risultare assolutamente seducente e disponibile, ma anche una brava ed irreprensibile madre e donna di casa; vuole essere sempre bendisposta in modo da ampliare il più possibile il suo raggio di notorietà. Perché più notorietà vuol dire più soldi

         {cotta e mangiata!}

         Okay… Adesso però basta Benedetta. Okay, si capisce che per qualche dollaro in più saresti disposta a fare chissà cosa! Ora basta, per favore! Tanto il messaggio è passato e noi abbiamo capito… Lo sappiamo che tu sei sempre lì pronta a tutto se ci scappa fuori qualcosa, va bene? Ora smetti di sorridere in quel modo così gonfiato per quelle stronzate che dici, per favore… Il tuo favoreggiamento mi dà la nausea!

         {cotta e mangiata!}

 

PS: spero che questo mio commento critico non mi impedisca un giorno di condurre uno di quei bellissimi programmi come… il tg5, studio aperto, verissimo, pronta a tutto, te la do io l’america, ma’ndo vai se la banana nun ce l’hai, svisceriamo la conoscenza, la vita in diretta, tele camere, markette, troiette, succhia la notizia, forum, tutto su per il c…, cappero moscio, ecc…

Ibraimovic campione di m£rd@!

         Certo Ibraimovic ha una tecnica superiore agli altri e sa toccare la palla come pochi…

         Peccato che però sia sempre quel bulletto da due soldi che ama spaccare le gambe degli avversari utilizzando il karate, che ha appreso approfonditamente.

         E non pensiate che sia violento solo con coloro che lo provocano in modo similare… Nossignore! Lui se la prende anche con chi non gli ha fatto nulla, e non è neppure fondamentale la motivazione di dover segnare un gol… Lui fa così solo perché gli piace. Perché è uno str£$%&. Solo per quello.

         Altro che psicologo… Ibraimovic dovrebbe subire un trattamento sanitario obbligatorio, o comunque dovrebbe essere tolto dalle strade poiché elemento troppo pericoloso per calcarle. Ibraimovic è un potenziale pazzoide ambulante sempre pronto a scatenarsi.

L’urlo (The shout)

         Film antico (credo degli anni settanta o dei primi degli ottanta) molto bello ed intrigante, e soprattutto girato con un senso della tensione eccelso, nel quale si fonde una perfetta e uggiosa ambientazione inglese con la manifestazione arcana della paura attraverso il fascino dell’esoterico, e del mistero incomprensibile, irrazionale e spaventevolmente repellente (tuttavia il film non viene considerato da bollino rosso, non temete)… Confusi? Intrigati?

         Ve lo consiglio caldamente e non vi racconto la trama per non rovinarvi alcuna sorpresa. Vi aggiungo solo che probabilmente non vi basterà vederlo una volta sola per afferrarne tutti i richiami, i simbolismi, e i collegamenti tra un fatto ed un altro…

Pokermania!

 

         Tutti il mio dispregio a quelle personalità famose (calciatori, attori/trici, conduttori, modelle, giornalisti, venditrici di fumo, spompinatrici…) che forniscono la loro faccia (e anche tutto il loro corpo) per prestarsi a pubblicizzare il gioco d’azzardo in tutte le sue forme, contribuendo quindi ad incrementare le fila di quei miserevoli mentecatti che sviluppano delle compulsioni al gioco tali da far perder loro e alle loro famiglie tutti i loro averi!

         Complimenti!

La famiglia Bradford, Melrose Place, Baywatch

In questo periodo abbondano riproposizioni di più o meno antichi telefilm degli anni ottanta e novanta.

Già vi ho parlato di X-Files che, rivedendolo, sembra piuttosto ridicolo (e annacquato!), soprattutto se paragonato con il realismo degli odierni telefilm.

Oggi voglio aggiungere altri tasselli su altre serie tv…

 

La famiglia Bradford…

Un simpatico panzone con la faccia da bonaccione (che oggi definiremmo uno sfigato) si ritrova vedovo. Così si unisce ad una donna molto magra che sembra il suo perfetto opposto. Il fatto però è che il grassottello si era dato molto da fare con la moglie precedente (e forse per questo lei era morta?!) e aveva sfornato una lunga serie di figli e figlie di tutti i tipi (ma tutti bellocci a modo loro), tanto che se si mettevano tutti assieme erano anche in grado di formare una piramide umana!…

E ricordo che ad esempio i suoi figli (se non vado errato) fossero solo tre: David (maschio moro con occhi azzurri, sanguigno, istintivo, persona gradevole ma facile all’ira se sottopressione), Tommy (riccetto con un fascino meno aggressivo, un po’ incerto sulle cose del mondo, perennemente lamentoso); poi c’era, il piccolo Nicholas (bambino odiosetto con il caschetto e con la faccia schiacciata…) che con le faccende dei grandi c’entrava fino ad un certo punto…

Ma poi c’erano anche e soprattutto una lunga serie di figlie nelle quali evidentemente le fantasie degli sceneggiatori si erano proprio scatenate. E di esse solo alcune avevano un carattere molto definito, mentre le altre erano lì solo per mettere la faccia (o forse per mostrarci quanto fosse vacuo il mondo femminile rispetto a quello maschile?); in particolare c’era una riccetta che era spesso incazzata (e che all’epoca era una delle mie preferite), poi c’era la bionda dai grandi occhi e dal naso notevole (che mi stava molto simpatica), poi c’erano delle paffute figliole che per qualche motivo (per come erano conciate) mi ricordavano più che altro piccoli cani da compagnia, più che ragazze comuni…

Quando ero piccolo vedevo sempre la famiglia Bradford. Ero curioso di sapere che cosa sarebbe successo loro e quali piccoli grandi problemi si sarebbero trovati ad affrontare (anche se poi rimanevo sempre un po’ deluso perché francamente i temi non erano di mio gradimento).

Comunque credo che nelle famiglie numerose non ci si annoi mai…

 

Melrose Place

Un fottio di personaggi amorali, che parlano in modo sguaiato, che agiscono pure peggio, ignorando ogni logica legge raziocinante! Questo è Melrose Place!

I dialoghi, che vorrebbero essere altamente cinici, finiscono invece per essere involontariamente comici! Tanto che se Elio e Le storie tese volessero recitarli da capo, non cambiando nulla, ne verrebbe fuori una bella commediola satirica al vetriolo circa un certo tipo di società di oggi! Anzi, lancio l’idea! Che qualcuno lo faccia! Anche voi, autori comici che non sapete più cosa scrivere: prendete una puntata di Melrose Place e ispiratevi!

Non sono mai riuscito a vederne una puntata intera… Questa serie è per gente molto ma molto superficiale e cretina!

 

Baywatch

È incredibile che Baywatch sia realmente esistito! Ancora non me ne capacito!

La trama del telefilm è al cinquanta per cento: “facciamo vedere le tettone delle bagnine quanto sono grosse e come rimbalzano quando corrono”. L’altro cinquanta è: “facciamo vedere qualche nuotata e cazzeggiamo in vario modo (che non possiamo far vedere solo tette, sennò non ce mandano in onda)”…

Da piccolo dovetti sospendere la visione di questa serie per evitare di tirarmi troppe… Avete capito…

Film che ho visto o rivisto ultimamente:

 

Colpo d’occhio

Film italiano con 3 protagonisti molto bravi (Rubini, Scamarcio, + un’attrice di cui non so il nome). Credo che sia il primo (ma non il solo) film nel quale Rubini e Scamarcio lavorano assieme.

I temi del film sono: l’amore, che cosa si è disposti a fare per esso, il tradimento, l’arte e che si è disposti a fare per affermarsi. Ma la cosa bella del film sono le atmosfere, le musiche e le inquadrature, che mi hanno fatto ricordare il cinema di A. Hitchicock (o come si scrive), ma senza le botte di ironia che il panciuto regista ci buttava dentro… Questo film neppure sembra un film italiano!

Mi duole solo che il finale sia leggermente sotto le aspettative che mi ero fatto (il regista sembra a quel punto smarrire parte del suo brio eclettico).

Comunque è una pellicola da vedere! Io l’ho vista su RaiMovie (e sicuramente la replicheranno presto), ma potrebbe comparire anche sulle altre reti Rai…

 

Basta che funzioni

Dell’intramontabile Woody Allen… Mi è piaciuto molto. Ho riscontrato che ormai prediligo i film nei quali lui in genere non recita ma è solo sceneggiatore/regista (forse mi sono stancato di lui e del suo personaggio?).

Il film parla di un solitario pessimista che tenta di farla finita almeno in un paio di occasioni e che suo malgrado incappa (principalmente) in una ragazzina (che sposerà) che gli cambierà la vita… Molto simpatico, e molto divertenti anche le scene in cui si scherza sull’omosessualità (spero che presto dedichi un film solo a questo tipo di argomento, credo che mi sganascerei in tal caso!).

 

Kissing Jessica Stein

Che bella commediola sull’omosessualità al femminile! Garbata, ironica, interessante! La risposta colta a Bridget Jones…

 

Son de mar + L’immagine del desiderio

Ho sempre pensato che Bigas Luna fosse un idiota. Infatti avevo bene in mente le età di Lulù (con Francesca Neri, che non mi era piaciuto affatto) e Bambola, con la bovina bionda truccata, colossale flop… Ma poi ho visto “Son de mar” e “L’immagine del desiderio”, in cui bene o male l’erotismo c’entra sempre (più per il secondo), e mi sono ricreduto.

A giudicare da questi due film Bigas Luna è un regista raffinato ed evocativo e sa essere anche rarefatto…

 

Il creatore di favole

Se non sbaglio è la storia vera di un giovane e talentuoso giornalista americano che aveva il vizietto non da poco (dato che scriveva per un giornale considerato una colonna del giornalismo serio, mica come noi qui in Italia!) di inventarsi di sana pianta i suoi scoop.

Un film insolito, senza scene di sesso, con un ritmo tutto suo. E uno dei pochi film in cui personalmente non ho fatto il tifo per il protagonista (e anzi lo avrei voluto vedere impiccato! Odio le bugie!).

 

The listener

Pellicola molto, molto, molto anticipatrice, che quando uscì non venne degnata della giusta importanza (e che oggi ne assumerebbe molta di più, se qualcuno si ricordasse che esistesse). È la storia di una ditta segreta (americana) che come lavoro ascolta tutte le conversazioni che avvengono nel mondo attraverso le linee telefoniche (comprese quelle sui cellulari, e anche quando gli apparecchi sono spenti). Per qualche motivo la cosa viene fatta passare per legale (per motivi di sicurezza nazionale)… Il problema nasce quando un’importante azienda esterna che si affida ai servizi della prima ditta, per redimere una questione di presunto spionaggio industriale, si mostra pronta anche ad ammazzare un’inconsapevole ragazza italiana che non c’entra nulla con la faccenda…

Il film è di una potenza suggestiva incredibile (e fa venire voglia di frantumare il cellulare addosso al muro…) e anche le esigue scene di violenza hanno una forza adrenalinica ed indignate notevole…

Per quanto mi riguarda, brutti stronzi, mi potete tranquillamente ascoltare, tanto io vi mando comunque affanc$%&$!

I tuoi occhi sono pieni di sale [di Rino Gaetano]

I tuoi occhi sono pieni di sale [di Rino Gaetano]

 

Amo il sale della terra, amo il sale della vita,

Amo il sale dell’amore, amo il sale che c’è in te.

 

I tuoi occhi sono pieni di sale

I tuoi occhi sono pieni di sale

Di quel sale mattutino che tu prendi in riva al mare

Di quel sale che a pensarci mi vien voglia di guardare

 

Le tue labbra sono piene di sale

Le tue labbra sono piene di sale

Di quel sale mattutino che tu prendi in riva al mare

Di quel sale che a pensarci ti vien voglia di baciare

 

Il tuo corpo è pieno di sale

Il tuo corpo è pieno di sale

Di quel sale mattutino che tu prendi in riva al mare

Di quel sale che a pensarci ti vien voglia di sognare

 

La tua mente è piena di sale

La tua mente è piena di sale

Di quel sale mattutino che tu prendi in riva al mare

Di quel sale che a pensarci ti vien voglia di pensare

Il sogno del felino possibile

 

 

Sarebbe stato possibile.

Se quel giorno di tanti anni fa, quando ci incontrammo in paese, io mi fossi comportato in modo leggermente diverso. Ma eravamo così giovani ed inesperti. Ed io ero troppo preso dalla mia rabbia immatura e dalle mie insicurezze, mentre tu, che volevi già un uomo forte accanto, che mi amavi ma non sapevi quanto, che però non mi avresti aspettato ancora molto… tu non eri disposta a concedermi ancora molto tempo per divenire quello che volevi che fossi.

Eravamo in uno dei nostri rari periodi di calma, uno di quelli che ci convincevano che, in fondo, potevamo andare d’accordo, che era molto meglio stare insieme che divisi perché avevamo molto di più da guadagnarci. Quel giorno tu, come al solito, dovevi studiare ed io ti ero venuto a trovare. Anch’io avrei dovuto studiare ma in genere, a quei tempi, preferivo (comprensibilmente, dal mio punto di vista) riservare tutte le mie migliori attenzioni a te (anche perché non avrei potuto fare altrimenti, con te che già mi rodevi il cervello e l’anima da mesi). Così accadeva frequente che mi limitassi a sederti accanto e magari farti qualche carezza (no, i baci no, era ancora troppo presto, mi dicevo scioccamente mentre tu vi speravi) quando tu avevi la testa affondata nei libri e mi riservavi qualche sorriso obliquo (che non rinunciava però a sedurmi); non sapevo che proseguendo con quell’andazzo ti saresti presto stufata di me, forse perché in quel modo ti stavo troppo addosso, o forse perché così ti impedivo di fare i tuoi giochetti con gli altri maschietti (cosa che, se ti scarseggiava, sembrava avvelenarti la vita)…

Oppure accadeva che ti aspettassi paziente fuori, da qualche parte, seduto su di una panchina, in un prato, in mezzo ad un po’ di vegetazione che aveva il potere di rasserenarmi e togliermi tutti i dubbi su di te. Ultimamente facevo così, forse perché avevo capito che tu lo preferissi (ed io ti amavo così tanto che mi dicevo che se il mio amore aveva noia di vedere la mia faccia per tutte quelle ore, allora io non glie l’avrei fatta intravedere… Pensavo che l’amore potesse essere qualcosa di molto delicato, che potesse subito esaurirsi, o spegnersi come una fiammella; per cui andava sempre ben soppesato e protetto. In realtà, avevo perfettamente ragione per quanto concerneva il nostro rapporto instabile, anche se non sapevo che quello era un sintomo inoppugnabile che la nostra relazione fosse profondamente sbagliata, o per lo meno acerba).

Ma quel giorno, invece, avevo fatto qualcosa di diverso, ed ero stato io lo stacanovista che si stava stancando gli occhi a forza di consumarli sui libri. Quel giorno, non ricordo bene perché o quale fosse l’argomento da avvincermi tanto, ma il fatto fu che quando tu uscisti per andare a recuperarmi per poi recarci insieme a casa oppure a mangiare qualcosa, mi trovasti stanco ma ancora avvinto dal mio libro, sul quale ero così chino che non mi accorsi di te fino a quando non mi fosti ad un solo passo (e allora vidi i tuoi inconfondibili piedi nudi e garbati, che indossavano sandali marroni, fare capolino nel mio campo visivo). Solo allora sollevai il capo su di te elemosinandoti ancora qualche minuto per terminare la mia lettura. E tu prendesti benissimo la cosa. Tanto che mi dicesti: «Bravo! Mi fa proprio piacere sapere che ti impegni tanto nello studio! Sono davvero contenta di te! Sei cambiato! Sei più maturo!». Accolsi quei complimenti in silenzio, ma essendone chiaramente felice. D’altronde per te le cose più importanti già allora erano quelle e non ne facevi mistero, vero R.? Lo studio, il lavoro, un buon posto, fare tanti soldi e vivere la bella vita, non è vero? Ma se io stavo studiando con assiduità non era certo per quello, amore mio. No, io lo facevo solo per passione. Perché avevo tutta la passione genuina che invece tu non avevi, o mia fredda e oscura regina dal cuore di pietra…

Poi venne Davide ad interrompere simpaticamente il nostro idillio. Si lamentava della sua vicina di casa, che era molto carina e che lui avrebbe voluto conoscere più approfonditamente, quando lei invece, non solo non lo degnava di alcuno sguardo, ma sembrava proprio che lo ignorasse, poiché non si accorgeva nemmeno della sua presenza fisica. Infatti Davide era piuttosto basso, quel nano seduttore raccontatore di menzogne impenitente col pisello piccolo (tutto è proporzionato…) che passava sempre da una fanciulla all’altra (le ragazzine lo ritenevano così seducente!…).

Vidi Davide rosicare di impotenza. Finalmente aveva trovato una che non abboccasse al suo fascino da pirata ripulitosi che si è appena fatto la doccia ma che non rinuncia all’orecchino con la croce cristiana pendente… Davide scattò ancora un’ultima volta andandole dietro, quando lo incitai a farlo poiché avevo notato che la tipa avesse problemi col suo amato gatto semiselvatico, che spesso portava in giro al guinzaglio, ma altrettanto spesso si perdeva perché il micetto (che amava la libertà) cercava sempre di sfuggirle.

Davide le chiese se le poteva essere utile e lei (per la prima volta) lo notò (!) rispondendogli che le avrebbe fatto comodo se le avesse ripreso il gatto, appena scappatole. La ragazza era già quasi sull’isterico e temeva che il micio sarebbe finito stecchito sotto una macchina (ma in verità in quella zona non ce n’era neppure una in movimento, dato che l’area era chiusa al traffico automobilistico). Ci gettammo tutti all’inseguimento del gatto, anche io. Ma subito apparve chiaro che il gatto aveva una predilezione per me. Infatti, appena mi vide, mi si volle avvicinare famelico ed iniziò a strusciarsi con trasporto sulle mie gambe. Il felino aveva una strana espressione sulla faccia, come se io fossi un topo, o come se volesse giocare con me non esitando anche ad usare gli artigli (che temevo assai poiché altre volte li avevo provati), o se da un momento all’altro si sarebbe divertito a zomparmi addosso in un imboscata, o a scalarmi. Ed avvenne proprio una cosa del genere ed il gatto mi arrivò agilmente sulle spalle e mi iniziò a battere una zampa sulla testa (come se io fossi una pallina). Mi immobilizzai per la paura. Sapevo che il gatto fosse una creatura mediamente socievole e che attaccasse solo se costretta, ma sapevo anche che un gatto che ti voglia far del male (o che semplicemente voglia giocare con te in modo un po’ pesante) potrebbe procurare dei danni irreparabili.

Per fortuna venne la sua padroncina a raccattarlo riprendendoselo nelle proprie braccia (mentre Davide imprecava perché non era stato lui a farglielo recuperare) e potei guardare bene l’animaletto. Era un bellissimo esemplare che, a giudicare dalla sua curiosa energia, stava molto bene sia da un punto di vista salutare che psicologico. Il gatto mi guardò ancora con quei suoi occhi che penetravano nell’anima, come se solo lui sapesse chi fossi. Tese le zampette verso di me e miagolò. Era palese che volesse raggiungermi ancora, ma la sua padrona non capì quella cosa che a me sembrava ovvia… Come era morbido il pelo rosso e bianco di quel gatto. Sembrava fatto di una coperta intessuta ed intarsiata di preziosi drappi orientali. Era il gatto più bello che avessi visto. Ma anche la creatura vivente più bella che avessi mai mirato… Confesso che da un po’ ho un debole per i felini, che considero gli esseri viventi più affascinanti del creato, ma all’epoca non era ancora così.

Come tutti gli altri, R. rimase immota a guardare lo spettacolo di quel gatto che mi voleva, non provandone gelosia ma forse ravvisando una certa similitudine tra lei stessa e quel felino. Purtroppo non fui pronto a cogliere anche io quel ragionamento o a scandagliarle a dovere i suoi pensieri. Quella rivelazione mi sarebbe potuta essere molto utile…

La mia storia con quel gatto non finì in quell’istante. Infatti il micetto scappò altre due volte. Nella prima mi si avvicinò al galoppo felpato (come sanno fare bene loro) per venire a farmi la pipì addosso (non so esattamente il perché, ma penso che lo fece per una questione di affetto e possesso, e per impedire che altri gatti mi potessero considerare terra di conquista!). Nella seconda occasione invece mi prese d’assedio e mi costrinse a rinchiudermi (assieme a R., che volle seguirmi) in una automobile spenta, nella quale mi rifugiai per evitare che di nuovo facesse i suoi bisogni su di me. Osservai il gatto saltare sul cofano e spingersi alla base del parabrezza e con la zampetta dargli un paio di colpetti, come a dirmi «Ma che fai non esci? Io sono venuto apposta per te!». Quando fece quel gesto mi fece così tenerezza (e mi parve così deluso) che volli tentare di contraccambiare il suo tintinnio congiungendo anche io, nello stesso punto dove la sua zampina si era fermata sul vetro della vettura, il mio dito indice. Lui lo percepì e tentò di penetrare il vetro già saggiato. Ma ciò non gli bastò e lo percepii ancora sfiduciato. Allora decisi di abbassare un pochino il finestrino (ma non abbastanza affinché potesse introdurvisi, cosicché potei tirare fuori qualche dito e aspettare che lui, che, intelligentissimo, aveva capito tutto, si dirigesse in fretta sul padiglione, per poi sporgersi con la zampettina da quella tenue apertura che gli avevo lasciato, e riconnettersi con me in quel delicato contatto…

Quando il gatto se ne andò (o fu sotto controllo) potemmo uscire dalla macchina. R. sembrava divertita dell’accaduto e sorrideva nel suo modo plateale. Io ero solo più disteso. Ci recammo alla fermata dell’autobus che quel giorno sembrava un posto incantato che avrebbe potuto essere il nostro paradiso terrestre. Mi misi seduto su di un muretto rialzato vicino alla fermata. Ebbi R. davanti per alcuni minuti e potei ammirarne la bellezza incontrastata e gaia. Era possibile, riflettei… In fondo era possibile che andassimo d’accordo, non era forse così? Non era quello che ci aveva dimostrato quella giornata stupenda trascorsa tra libri e gatti?

Dopo alcuni minuti R. si sottrasse alla mia vista, forse perché la iniziò a trovare troppo invadente, e si volle sedermi accanto, alla mia destra. Così aspettammo entrambi senza fiatare che passasse l’autobus, ancora immersi in quella soavità generatasi chissà per quale causa, mentre un bel tramonto ci omaggiava del suo spettacolo e la luce si faceva sempre più tenue e rossastra. Fu quando l’orizzonte divenne di fuoco che capii che per me R. era come una gatta. Bellissima, elegante, superiore a qualsiasi altra creatura, ma anche inafferrabile, incontrastabile, ingestibile, altera, indomabile. E, se anche mi avesse amato, sarebbe stata sempre una gatta imperscrutabile e lunatica che si affidava ad istinti momentanei e primigeni; mentre io un poveraccio che l’amava e che si affannava a starle dietro, tentando di capirla, onorarla, riverirla, senza però la possibilità concreta di poter un giorno dire davvero di esserle vicino nell’anima, o essere certo che lei avesse voluto rimanere sempre con me.

Così il sogno mi aveva dimostrato che, se è vero che io e lei saremmo potuti essere anche felici, se le cose fossero state solo un po’ differenti, era altresì vero che però tale felicità sarebbe stata una chimera che non avremmo mai raggiunto interamente.

Martina#3: La simbologia del figlio

 

         Da allora iniziò il mio incubo. Non riuscimmo a far ricoverare Martina. Poiché avevo un ascendente notevole su lei andai spesso con loro per favorirne gli spostamenti. Assistetti alle scene dei medici che la interrogavano. Martina con loro appariva perfettamente sana e tranquilla (forse perché aveva imparato a comportarsi a quella maniera in presenza di camici bianchi). Poi la conversazione scivolava sempre sul punto focale, e loro le chiedevano perché non voleva stare con suo marito e voleva stare con me. Ma Martina rispondeva loro con un tale piglio e una tale convinzione che sembrava che davvero volesse quello che affermasse.

         «Non sono forse libera di amare chi voglio?!», diceva lei arrogante a quei medici che alzavano le braccia e infine ci dicevano che non potevano stare a sindacare sulle scelte amorose di una donna.

         Smettemmo di sperare di ricoverarla. A quel punto, avendo esaurito la mia funzione ammorbidente verso Martina, ero pronto mestamente a farmi da parte (seppure sapevo che così avrei abbandonato Balbo alla sua pena personale per il resto della vita). D’altronde avevo già fatto tutto quello che potevo, mi ripetevo per farmi coraggio ad eseguire lo strappo definitivo. Ma presto mi resi conto di quanto mi sbagliassi.

         Innanzitutto c’era il discorso del lavoro. Martina continuò a svolgere il suo incarico correttamente, seppure da allora si mostrasse assai più svagata e sconveniente negli atteggiamenti con le altre persone. E quello non era un motivo valido per licenziarla. Anche Balbo non mi venne affatto incontro, pensando che per lei fosse vantaggioso conservare un buon posto di lavoro (e soprattutto essere sorvegliata per tutto il tempo da delle persone che l’avrebbero protetta. A dir la verità lo capivo perfettamente e al suo posto credo che mi sarei comportato esattamente come lui. Per questo non riuscivo ad odiarlo).

         «Non puoi licenziarla, Adrian…»

         «Come non posso?! Mi rende la vita impossibile! Si comporta come se fosse la mia amante!…»

         «Lo so, ma sul lavoro mi dici che è abbastanza irreprensibile…»

         «Sì, per ora… Ma è solo una questione di tempo… Andiamo, Balbo… Sai anche tu che prima o poi farà qualche grosso errore che io o qualcun altro non potremo perdonarle…»

         «Non necessariamente, Adrian. Vedi, Martina è pazza, ma non è stupida (come si suol dire). Sa che se si adopererà bene e se nemmeno uno si lamenterà, nessuno potrà toglierle quel posto…»

         «…Quel posto! È me che vuole!… Comunque hai torto! La posso licenziare perché mi arreca un evidente danno…»

         «Suvvia, per qualche bacetto…»

         Mi inferocii così tanto che Balbo dovette calmarmi.

         «Ascolta, Adrian… So perfettamente che in realtà hai ragione tu. Lo ammetto. Hai ragione, non lo posso negare… Ma sai quanto sia meglio che una come lei possa avere intorno delle persone buone come voi, e soprattutto tu…»

         Riuscì a rabbonirmi.

         «Amico mio, mi chiedi davvero troppo tollerando questa situazione, non trovi?», gli parlai con il cuore in mano.

         «Lo so. E ti sarò per sempre debitore (e non basterà mai quanto ti restituirò perché il credito che stai contraendo con me è smisurato)… Ma in fondo… Solo a te lo posso chiedere, e solo tu me lo puoi fare questo enorme favore…»

         Discutemmo altre volte dell’argomento. Una volta arrivai anche a minacciarlo che lo avrei denunciato. E lui mi rispose che mi si sarebbe opposto con tutti gli strumenti legali che avrebbe avuto in suo possesso, anche se sapeva che probabilmente infine la causa l’avrei vinto io. Ma non ebbi mai il coraggio di far seguire alle mie parole i fatti. E Martina rimase con me in quell’ufficio che da allora, il solo immaginarlo, mi dava l’orticaria.

         Agli inizi Martina mantenne un certo (passabile) ritegno con tutti. Notai che in presenza di altri fosse più moderata nelle sue manifestazioni di amore. Così ci trasferimmo nella grande camerata che poteva comprendere ben sei, o alla bisogna otto, di noi. Da quel momento seguii sempre la maggior parte di loro, anche quando si andava in bagno. La possibilità di rimanere solo con lei divenne la mia oppressione ricorrente. In tali condizioni lei si limitava a baciarmi quando ci vedevamo al mattino e quando ci lasciavamo.

         Ma questo limbo tutto sommato ammissibile non durò molto e lei progressivamente prese a pretendere sempre di più. Spesso si alzava dalla sua postazione all’improvviso e reclamava di venirsi a coricare sulle mie ginocchia facendomi interrompere il lavoro (da allora la mia produzione scese in picchiata del cinquanta per cento). Voleva che le facessi le coccole e che le dicessi che l’amavo, e l’unico modo per scrollarmela, fino alla sua prossima stravaganza, era proprio quello di darle quel che desiderava.

Non vi dico le umiliazioni pubbliche alle quali fui sottoposto… Anche i colleghi più sensibili rimasero shockati da molti di questi accadimenti, ma la maggior parte (beati loro) riuscì ad abituarsene facendosi una sorta di callo alla faccenda. Così tutti diedero per scontato le bizze di Martina e molti riuscirono quasi a non vederle quando queste accedevano.

         Il faccione di Martina che mi si avvicinava sempre di più per baciarmi… me lo sognavo ripetutamente anche la notte (e dunque neppure là riuscivo a sfuggirle!). E tutti quei sogni urticanti e avvilenti che feci, in cui noi alla fine ci accoppiavamo (e delle volte lei prima mi doveva legare per farmi soggiacere, o mi tramortiva, o mi feriva mortalmente) non fecero altro che annunziarmi con sonori campanelli di allarme dove, prima o poi, saremmo sicuramente arrivati. Infatti di lì a poco accadde che l’azienda si rese conto che ormai noi due fossimo diventati delle palle al piede per tutti (ed io accolsi la notizia con gioia perché, se ci avessero licenziato, sarebbe stato sciolto il vincolo più forte che mi legava indissolubilmente a lei). Venne fatta una riunione per discutere appositamente di noi due. Ma, con mia grande sorpresa e con mio grande sconforto, non vennero prese le decisioni drastiche che mi sarei aspettato. Tutt’altro! L’azienda ebbe pena di noi e ripiegò su una soluzione tampone: decisero di metterci, a me e Martina, da soli in una stanzetta simile ad un ripostiglio, e mi fecero capire che non si aspettavano poi molto a livello di produttività, a patto però che non disturbassimo il normale andazzo negli altri e la normale armonia dell’azienda. Rimasi sconvolto da tale decisione: mi avevano immolato come un agnello sacrificale per poter conservare la loro borghese quotidianità!

         Il primo giorno che ci trasferirono Martina era euforica, ebbra di gioia e di lascivia che le usciva da tutti i pori, mentre io avevo gli occhi sbarrati, mi ero ammutolito e mi sentivo incapace di reagire. Qualcuno mi dirà che avrei potuto lasciare tutto ed andarmene. Ma non era così semplice… Non era semplice trovare un altro lavoro. Non sarebbe stato semplice sentire una parte dei tuoi conoscenti avercela con te perché non avevi “aiutato quella povera persona tanto buona afflitta solo da un leggero handicap mentale”. Non sarebbe stato semplice guardare ancora gli occhi rancorosi di Balbo… Non sarebbe stato semplice continuare a vivere se Martina si sarebbe ammazzata (cosa di cui aveva già accennato che si sarebbe verificata se lei non avesse potuto starmi accanto). Ecco quali erano i miei robusti lacci inscioglibili!

         Quel giorno sapevo che sarebbe successo qualcosa di brutto. E così fu… Quando si chiuse la porta alle nostre spalle Martina mi guardò con una faccia da pervertita. La vidi togliersi le mutandine sotto i miei occhi allibiti, in un gesto per nulla seducente o elegante. La vidi poi sollevarsi la gonna e rivelarmi il suo pelo pubico, che aveva uno strano fascino irretente… Martina mi si sedette sopra e poi si aprì anche la camicetta rivelandomi i suoi seni penduli e scialbi che sembravano pere appassite. Vidi il suo enorme volto baciarmi, leccarmi con la stessa voluttà che ci avrebbe messo se avesse voluto mangiare dopo un lungo digiuno forzato. Provavo ribrezzo per il suo viso tondo, i suoi occhi atteggiati nella posa dell’amore, le sue labbra dritte ma spesse, la sua bocca che gli si apriva rivelandone la lingua insalivata, e i denti bianchi che pareva mi azzannassero. E poi quelle sue mani tozze con sempre al dito l’anello nuziale, eterno vincolo del matrimonio con Balbo. Le avrei potuto anche vomitare in faccia se avesse insistito un altro po’… Ma quando poi, senza vergogna, osò anche fare il passo indecente di slacciarmi i pantaloni e tirare fuori il mio povero sesso rappreso (per la ripugnanza e la paura), insolitamente, la vista reiterata della sua vagina fulgida favorì in me una sorta di elettrizzante seduzione (che forse era malata) e trovai irresistibile unicamente quel suo triangolino che prometteva di consegnarmi il solo piacere che potesse portarmi più in alto della mia attuale depressione… Così facemmo l’amore e trassi enorme sollievo e piacere erotico nel penetrarla e poter sfogare le mie sopite e per troppo tempo angustiate passioni. E in quei momento non fu un problema il suo alito che sapeva di patatine fritte, la sua saliva che mi sbavava sulla faccia, sul collo e ovunque, e la sua faccia con quegli occhi da ebete che mi guardavano stretti in fessure. In quel momento… non riesco a trovare altre parole per esprimermi… In quel momento io l’amavo sul serio!

         Ma dopo il coito, nei dieci secondi successivi ad esso, tutta la mia ripulsione per lei tornò esattamente come prima, tanto che le diedi una spinta e la feci cadere di schiena dalla sedia, facendole battere le terga sul duro pavimento. Diede una brutta botta e poi rimbalzò e si rivoltò mostrandomi le natiche grasse e piatte. Anche il suo grande sedere mi faceva schifo come (quasi) tutto di lei (se si eccettuava quella incredibile e prodigiosa guaina). Temetti di averle spezzato la spina dorsale ma Martina, pur rimanendoci male, non si fece nulla, ed inoltre la felicità di essersi finalmente unita carnalmente con me la fece sorridere di gioia.

         Da quel momento lo facemmo altre numerose volte (d’altronde al chiuso di quella stanza, con quella porticina rossa che nessuno mai apriva, ci sentivamo totalmente isolati dal mondo, come difatti lo eravamo. E la gente si ricordava di noi solo all’ora del pranzo, quando raggiungevamo la mensa come tutti). Spesso la dovetti prendere a calci nei reni per farle capire che non lo volevo fare, e presi l’abitudine di percuoterla senza trattenermi lasciandole anche evidenti lividi su gambe, braccia, e anche in faccia. Pensavo: se per caso qualcuno mi accuserà ufficialmente di averla picchiata, almeno ci sarà un processo e io mi separerò da lei, e poi, se anche dovessi essere giudicato colpevole, cosa improbabile, almeno avrò ottenuto di essermi liberato di lei per qualche anno… E chi?… Chi di loro potrà mai accusarmi di non aver fatto bene?! Iniziai a guardare con aria di sfida tutti gli altri, come a dir loro: visto che mi fate fare?! È solo colpa vostra se sono ridotto così! E allora perché non mi denunciate alla polizia, se ne avete il coraggio?!

         Nonostante le percosse Martina non si perdeva mai d’animo (essendo sinceramente convinta che io l’amassi sul serio) e nemmeno piangeva più di tanto allorché mi scagliavo senza misericordia su di lei quando, a sua volta, tentava di violentarmi (perché era questo il reale stato delle cose, non un altro!). Piano piano Martina capì quale fosse la chiave universale per aprire inderogabilmente la lampo dei miei pantaloni: la vista del pelo della sua fica spontanea ma atroce… Così capì che quando lei si spogliava preventivamente e me la faceva osservare, io ne rimessi incantato ed infatuato, in contemplazione. Allora non potevo fare a meno di mirarla all’infinito mentre lei mi avvicinava sempre più. Ed era inutile se le davo qualche pedata per scacciarla. Lei si rialzava e sapeva che sarebbe stata solo questione di tempo prima che mi avesse concupito.

Riuscì a farmelo fare tutti i giorni (a anche più volte al giorno delle volte). Capitò che, ormai esausti, ci abbandonassimo l’uno nelle braccia dell’altra e rimanessimo ore in quella posizione. Allora, totalmente svuotati di tutte le brame amorose, delle ire, delle pulsioni, e dell’irrazionalità, mi pareva di rivedere la faccia della vecchia Martina, quella che era mia amica, quella che non mi guardava come se fossi una fetta di torta con la panna, quella che non conosceva la malvagità del mondo. E allora mi appellavo a lei e cercavo di riportarla alla ragione…

«Martina, ma che stiamo facendo? Tu sei spostata con un uomo che ti ama… E io, lo sai che non ti amo, se non come amica… Martina, io potrei amarti solo come la dolce mogliettina del mio caro amico Balbo, che eri una volta… Martina, la vogliamo piantare di avvinghiarci come animali in calore? Non credi che adesso tu possa tornare alla tua vita normale, adesso che ti sei sfogata e che hai commesso tutti gli adulteri che avresti potuto compiere nella tua vita? E poi non ci pensi al tuo bambino? Che cosa gli dirai quando crescerà e capirà le cose? Come giustificherai i tuoi tradimenti?»

E Martina mi guardava come un tempo, con la sua faccetta timida ed educata da scolara elementare, e mi diceva…

«Sì, hai perfettamente ragione, Adrian. Dovremmo proprio smetterla di fare queste brutte cose sconce e istintive… Non si fanno queste cose… Proprio non si dovrebbero fare… Questa è l’ultima volta… Poi giuro che vado da Balbo e gli dico che non lo faremo più, così lui sarà felice e si metterà a piangere, e poi lo farò anche io, e poi piangerà anche il nostro bambino (anche se lui non saprà perché). E ci ritroveremo tutti e tre uniti in un abbraccio, stretti stretti, che non ci scioglieremo più (e anzi qualcuno dovrà poi aiutarci a dividerci sennò poi rimarremo sempre così). E poi ci saranno le domeniche con i pranzi ai quali sarai invitato anche tu. Che ne dici? Sarebbe bello se tornassi ogni tanto a frequentare la nostra casa come facevi prima, no? Non ci sarebbe nulla di male e Balbo so che sarebbe contento… Tanto più che ormai tutto sarebbe superato e appianato… E anzi dovresti venire allora tutte le domeniche e portarci le paste in dono… E, quando noi ci abbracceremo tutti quanti uniti, dovresti venire anche tu (perché ormai tu, Adrian, fai parte della famiglia, non trovi?). E tu mi terrai stretta stretta ad un lato, mentre dall’altro terrai Balbo, proprio come farò io (il bambino lo metteremmo al centro. L’importante è che sia protetto, no?). E poi, quando Balbo dormirà, io e te ci faremo una passeggiata in giardino, e magari anche una nuotata in piscina. E poi ci spalmeremo la crema solare… Ma che dico… La crema sarebbe meglio non spalmarcela prima. Dovremo farlo dopo. Solo dopo che avremo fatto l’amore ce la metteremmo, altrimenti finiremmo per mangiarcela, dato che ci baceremo e leccheremo per tutto il corpo…»

Le nostre conversazioni finivano sempre così, con la vecchia Martina che progressivamente veniva rifagocitata e tolta di mezzi da quella nuova, che infine, dopo avermi fatto credere al suo cambiamento, si ritrasformava nella creatura famelica e torpida, e con me che la spintonavo e le ammollavo degli schiaffi, ma anche dei pugni, delle ginocchiate o delle gomitate, e la facevo sanguinare, o le rompevo qualche vaso sanguigno.

Una volta, al culmine dell’avversione verso di lei, le usai violenza cingendola da dietro e cercano di provocarle dolore introducendomi nel piccolo pertugio del suo ano. E allora la sentii gridare non proprio di piacere… Fui cosciente che le facevo male ma, fino a quando potei, non mi fermai. Ma quello che ne ricavai fu solo la magra ricompensa di vederle uscire qualche rigagnolo di sangue da quel posticino, cosa che lei rimarginò come se niente fosse (d’altronde si sa che le vacche sono altresì resistenti e che non muoiono facilmente).

Le sue allusioni circa le mie visite domenicali a casa sua non erano affatto inventate. Infatti Balbo voleva avere il polso della situazione di come andasse con Martina, e mi invitava ogni domenica da lui. Dapprincipio mi faceva delle domande esplicite. Ma quando la situazione era precipitata aveva presto optato a limitarsi a ravvisarmi in faccia per capire tutto. Quello gli bastava e non pretendeva altro, cioè che gli rivelassi particolari scabrosi e sconvenienti, che lui intuiva perfettamente, e la cui esposizione avrebbe imbarazzato più lui che me. In tali occasioni, in cui lui vedeva le borse sotto i miei occhi e taceva su tali argomenti per deviare su quelli stantii della politica e del tempo, io non mi capacitavo di come potesse vilmente consegnarmi sua moglie tutti i giorni per poi fare finta di nulla quando mi avesse davanti. Lo guardavo con profondo disprezzo (come ormai guardavo tutti, compreso me nello specchio) e pensavo a che uomo mediocre si fosse ritrovato ad essere, un po’ per necessità e un po’ per codardia.

Alcune volte accadde sul serio che Martina volle avermi nella sua casa mentre Balbo, nell’altra stanza, dormiva (non so come poteva farlo, quel cristiano, mentre sapeva il rischio che correva lasciandoci la strada libera!). Allora avvenne che Martina mi attirasse in salotto e poi, come al solito, prendesse a denudarsi. C’è da dire che una volta mi regalò della biancheria di pizzo di buona qualità e che, agghindata a quella maniera, quasi poté solleticare per lo meno la mia curiosità, dato che me la vedevo come una strana bambola adiposa che faceva tenerezza per come avrebbe voluto sedurre, che non poteva per evidenti lacune fisiche e soprattutto spirituali. Quella strega ebbe il potere di far cambiare il mio atteggiamento per lei facendomi il gesto osceno di allargarsi i lembi della sua vagina fradicia e di farmela puntare, con in faccia un sorriso melenso (e quello rimarrà sempre il primo elemento nella mia speciale classifica della scostumatezza, e confesso che, ancor oggi, se per qualche motivo quel ricordo mi assale, quando nell’incoscienza del sonno ho allentato la presa dell’autocontrollo, ha la facoltà di farmi erompere in polluzioni abbondanti ed incontenibili)… Le saltai subito addosso e il mio unico pensiero fu quello di percuoterla con il mio bastone del piacere fino alla nostra completa e reciproca soddisfazione…

Un tale comportamento dissennato da parte nostra non poté che portare alla sua immancabile ingravidazione. Come mai non prendemmo mai precauzioni, direte voi? Da parte sua penso che lei ebbe sempre la costanza di ricercare quell’evento (e forse nella sua mente malata quel nascituro era l’unica cosa che mancasse); mentre, da parte mia, spero che mi crederete se vi dirò che non potei mai farlo. Infatti io partivo sempre dal presupposto che non avrei mai avuto un rapporto sessuale con lei, ed il fatto che ogni volta vi ci cedetti può comprovare, oltre che la mia palese debolezza, anche la mia buonafede.

Mi accorsi dell’infausto evento da come lei, per circa una settimana, mi apparve più debole, pallida in viso, e smunta come un’inferma. E poi la vidi rigettare. Si piegò su sé stessa da un momento all’altro e poi rigurgitò la colazione dandomi le spalle e conservando uno strano pudore (quando ormai mi aveva fatto assistere da spettatore e da protagonista diretto a tutto quello che poteva). Ancora incerto se esultare innanzi ad una sua prossima morte o aver pietà per lei, le chiesi: «Stai male?». E lei mi rispose, dopo essersi pulita la bava vomitante che ancora le colava: «No, sto bene. Sono felice. Perché sta arrivando il nostro bambino…». Poi si voltò e mi sorrise con un’ilarità così immonda che mi paralizzò. In quel momento Martina pareva così malvagia… Eppure era conscia di cosa volesse significare un accaduto di siffatte proporzioni? Certo che lo sapeva! Anche se vedeva tutto dalla sua ottica distorta e folle! Ma io solo sapevo a quello che sarei andato incontro…

Ci meditai e mi convinsi che cosa peggiore non sarebbe mai potuta accadere!… La nascita di un nostro bambino (e ne rabbrividisco ancora oggi al pensiero) significava avere un legame di carne ed ossa che ci avrebbe unito per sempre! Non bastavano già tutte le sudicerie e le esperienze mortificanti, e il lavoro, e Balbo, e tutto il resto! Ci voleva anche questa disgrazia adesso! Che cosa sarebbe accaduto dopo che la creatura sarebbe nata? Primo: tutti avrebbero capito cosa era avvenuto tra di noi… E se pure adesso c’era qualcuno che non se ne era ancora capacito perché mi aveva conosciuto bene nella mia vita precedente, e che quindi non mi avrebbe mai reputato tanto misero da ridurmi a scopare con una ritardata… Anche coloro infine si sarebbero arresi e avrebbero compreso… Ma non solo… A quel punto il nostro legame avrebbe avuto un qualcosa di accreditato ed innegabile. Ed allora… Ed allora… Mi immaginavo che anche un giudice sarebbe potuto piombare sulla nostra evidenza e annullare il suo precedente matrimonio con Balbo (“per consistenti cause di cessazione effettiva del rapporto”) e sancire invece la mia aggregazione con lei, facendomela sposare e obbligandomi ad accoglierla d’ora innanzi come se essa fosse sul serio la mia devota e amabile mogliettina!… Una tragedia!

Questo pensiero mi faceva impazzire e sapevo che non avrei mai resistito ad una esperienza del genere. Ne sarei morto, sarei impazzito io stesso, o mi sarei ammazzato. E confesso che pensai anche di ucciderla. Sì, fui così misero da pensare di uccidere una donna incapace di intendere e di volere… A tal punto era la mia prostrazione… A tal punto mi ero ridotto cercando solo di, non dico vivere, ma tentare di sopravvivere! E allora mi immaginai di strozzarla in uno dei nostri convivi d’amore (mentre ancora il pene eretto le spingeva dentro facendola godere). In tal caso la sua morte non sarebbe stata così pessima dopotutto, no?… Oppure la potevo portare in un posto isolato, con la scusa di una gita fuori porta (ah!, come sarebbe stata felice la sciocca!), e una volta che mi fossi accertato che ci fossimo appartati da tutto e tutti (e dallo sguardo pure di Dio), l’avrei accoppata in qualche modo (forse con un coltello da cucina infilato nella gola) e nessuno avrebbe sentito le sue grida da scrofa al mattatoio…

Ma in quei momenti non era tanto la possibilità che io potessi ammazzarla a farmi retrocedere (perché ebbi chiaro il sentore che, ormai, spinto da quelle contingenze, ne fossi diventato capace)… No, a bloccare la mia mano ed ogni mio concreto intento di liberazione fu il comprendere che così avrei assassinato l’esserino che lei teneva in grembo, quell’esserino debole ed indifeso che non aveva nessuna colpa di quello che stava accadendo… Lui no, lui davvero era l’unico che non c’entrasse nulla… E anche se un giorno avrei preso ad odiare anche lui, perché chissà, magari, sarebbe diventato come la madre… Non sarei mai stato in grado di sopprimerlo quando ancora era innocente, quando ancora il suo peccato non si era manifestato… Non sarebbe stato giusto e sentivo che avrei aggiunto, con il mio agire, un’altra ingiustizia a quelle che già si perpetrano nel mondo in ogni istante. E di questo non potevo farmi carico…

Una volta che eseguii questo ragionamento non avevo più scampo. Ero in trappola e non potevo fuggire. Ovunque mi voltassi sapevo che non ci sarebbe stata quiete per me. Solo tormento. Tormento e sofferenza…

E ricordo che, in quegli ultimi giorni di quella vicenda così triste da costringermi a scriverla per potermene liberare tutt’oggi, mi ero praticamente arreso al mio destino avverso e sovrastante, che come una marionetta mi manovrava ed aveva deciso che infine per qualche motivo oscuro dovessi essere io ad incarnare la persona più triste a questo mondo… Così lo avevo accettato. E non avevo più energie. E anche quando lei mi chiese altri accoppiamenti non le diedi le solite bastonature e mi adeguai a compiere il mio dovere di padre e coniuge…

Non potevo immaginarmi che quel giorno potesse avvenire il miracolo che mi salvò. Ed oggi, che ci ripenso, non posso che attribuirgli un significato mistico perché, nel momento più basso della mia vita, quando ormai ero spacciato, solo quello che avvenne poté strapparmi al pericolo e tirarmi di impaccio da quella infinita sequela di sciagure che si seguivano l’un’altra e tutte quante ormai mi pedinavano passo passo…

Di quel giorno ricordo pochissimo. Solo una gran confusione… Eravamo lì, io e Martina, chiusi nella nostra alcova-stanzino. Eravamo buttati per terra e lei mi stava torturando ribadendomi dei vestitini che avrebbe comprato al bambino e chiedendomi anche se lo avrei preferito maschio oppure femmina… Ad un tratto Innocenzo buttò giù la porta con un calcio (e non capirò mai perché lo fece e non preferì semplicemente aprirla). Era stravolto in una smorfia di terrore impellente.

«Dovete sbrigarvi ad uscire! È scoppiato un incendio! Tutti se ne stanno andando per le scale di emergenza!»

Rimase senza fiato ansimante. Io e Martina ci alzammo in piedi incerti.

«Sbrigatevi!» ci urlò. Poi scomparve. Ebbi il riflesso giusto di dirgli dietro: «Ma dove è scoppiato?!…» e sentii la sua voce allontanarsi che diceva: «Non si sa!»

Lo sentimmo correre con quanto fiato gli era rimasto in corpo e prendere la via delle scalinate (lui il suo dovere lo aveva fatto, dovette pensare). Non vidi più Innocenzo e non potei mai ringraziarlo a dovere. Fu lui a salvarci la vita, a me e Martina. Se non fosse stato per lui saremmo finiti senz’altro carbonizzati o asfissiati dal fumo nero. Fu lui a ricordarsi di noi quando nessuno lo aveva fatto. Infatti, appena si era sparsa la voce, la gente era stata presa dal panico e si era andata a comprimere nelle scale di emergenza, lasciandosi lavori a metà, oggetti di valore e tutto quanto il resto alle spalle per sempre.

Io e Martina iniziammo a corricchiare per quanto potevamo (eravamo assai spompati dalle nostre gesta lussuriose che da mesi ci infettavano la carne e lo spirito); ad ogni modo l’adrenalina che prese a montare ci aiutò non poco.

Una volta giunti alle scale assistemmo ad una scena da girone dantesco… Una quantità spropositata di persone si accalcava su quelle scalette di ferro arrugginito, che sopra tutto quel peso e quello sforzo sembravano molto più esili e sul punto di spaccarsi da un momento all’altro. Vidi masse di corpi, membra, volti trasfigurati dalla paura, avvolti gli uni negli altri. Quelle persona sembravano incapaci di scendere i gradini in maniera civile o perlomeno tollerabile. Parevano una grande slavina di carne umana ancora viva che preferiva rotolarsi piuttosto che procedere con le proprie gambe… Vidi gente camminare con le mani, altri strisciare ardendo di esser schiacciati, e altri che, tentando la furbata, facevano il surf sopra tutti loro ma poi rischiavano di essere risucchiati da un buco che si apriva all’improvviso (dal quale non sarebbero più ricomparsi); altri scivolare verso il vuoto, come se provassero a prendere il volo come uccelli, o come se avessero scelto di tuffarsi nel mare del cemento passando nel mare dell’aria… E questi si andavano tutti a spappolare a terra (e numerosissime furono le chiazze e le spoglie insanguinate che essi lasciarono come uccellini morti, che in seguito vidi con i miei occhi).

Entrare in quella torma di gente rappresentava già di per sé una prova di coraggio o una penitenza che uno si autoinfliggeva volontariamente (e avrei voluto volentieri farne a meno, e forse l’avrei fatto se mi fossi fermato a pensare, preferendo affrontare la morte del rogo piuttosto che quel martirio di spasimi). Una donna anzianotta notò il nostro imbarazzo ad introdurci a spintoni nella ressa e ci disse benevolmente: «Entrate qua… Io tanto non ce la faccio… Vi cedo il posto…». La donna si tirò fuori con le ultime forze facendoci cenno di introdurci prima che qualcuno di quelli dietro avesse occupato quell’imprevisto spazio vuoto. Mi ci gettai richiamando Martina, che mi rispose che mi avrebbe seguito. Ebbi coscienza che la povera vecchia spirò, anche se non la vidi nel suo ultimo istante.

Entrato nel torpedone demoniaco mi sentii terribilmente pressato da ogni direzione, e a giudicare dalle morbidità che sentivo dietro, che mi si addentravano nella schiena, dovevo avere Martina (il suo seno) proprio dietro di me. Più volte rischiai di rimanere incastrato da qualche parte, stritolato, o contuso. Inoltre furono molti gli individui senza scrupoli che per avere un vantaggio non esitavano a mordere, colpire con pugni o colpi di Karate, scalciare anche alle spalle, pur di avere più chance di sopravvivere. E con tali tipi mi sentii del tutto abilitato a comportarmi con loro allo stesso modo, e molti furono quelli che lasciai per terra con un cazzotto, o ai quali staccai un orecchio, o tirai i capelli per farli capitombolare…

Mano a mano che si scendeva la gente sembrava rigovernarsi, forse perché tutti intravedevano la grazia tanto agognata. Così negli ultimi passi che discesi potei quasi rilassarmi, godendomi la vista panoramica delle altre persone che si erano già portate in sicurezza e che si abbracciavano come i sopravvissuti che effettivamente erano. Tra di loro c’era anche Balbo che, quando mi intravide, mi calamitò gli occhi addosso e mi seguì con lo sguardo fin quando non misi piede in terra. Feci a Martina, girando appena la testa indietro, ma senza guardarla: «Guarda, Martina. C’è anche Balbo…». Ma lei non mi rispose. Pensai che dopo tutto quello che avevamo passato doveva essere stata messa a dura prova anche lei…

Ma quando io e Balbo ci ricongiungemmo (e solo allora posso dire che potei tornare a respirare a pieni polmoni e mi sentii piacevolmente leggero), lui mi disse scosso: «E Martina?!…». Mi voltai indietro e vidi che il seno morbido che avevo sentito nella schiena per tutto il tempo era quello di una donna (che, sotto shock, ancora mi seguiva) dai capelli biondi, con la faccia quadrata in cui risaltava una burbera mascella scolpita, con la bocca aperta come un pesce morto nella posa di un attonito e perenne stupore d’oltretomba, la quale aveva anche tutto il vestito strappato che le faceva per l’appunto mostrare i seni molli graffiati che al centro avevano dei capezzoli scuri come la pece…

«Pensavo che fosse lei…» dissi stupefatto a Balbo. Lui non mi credeva, o almeno non voleva credermi. Infatti immaginava che non mi sarebbe potuta capitare miglior sorte per avere la scusa di abbandonare Martina tra le fiamme. Balbo mostrò evidentemente di esecrarmi (e mai questo era accaduto prima). Ma il suo avvilimento durò poco, perché vidi i suoi occhi intenerirsi dalla commozione poco dopo, quando, dall’uscita principale dalla quale continuavano a venire persone alla chetichella, spuntò la figura annerita ed disinteressata di Martina. E non era sola: serrava al petto il loro figlio legittimo del quale, per una volta, non si era scordata. La raggiungemmo esterrefatti, lui per la gioia, io dall’incredulità della circostanza. Come poteva infatti Martina essersi ricordata di quella cosa così importante, ma che tutti quanti avevano scordato, proprio lei che un anno fa aveva lasciato suo figlio nelle mani della nurse come se niente fosse? Mi sembrava una grande contraddizione.

Ma qualcosa era cambiato per sempre dentro di lei (o forse si era ripristinato?). Capii dal suo sguardo fiero e freddo, e dal fatto che mi ignorò totalmente, che Martina… non era più innamorata di me. Anzi sembrava avercela con me… come se mi accusasse di non aver salvato quel figlioletto di cui (anche a detta di Balbo) non reputava più alcuna attenzione dal giorno del nostro alterco scatenante…

Non seppi mai cosa si fosse smosso, o disincagliato nella sua psiche di donna contorta ma ipersensibile. So solo che mentre Balbo piangeva tributandole elogi e dicendole parole del tipo «Martina! Che Dio ti ringrazi! Sei salva e hai anche salvato nostro figlio! Non ci speravo più!», lei prese placidamente la via di casa propria e invitò Balbo a seguirla con un semplice «Andiamo».

Da allora non li ho più visti. Mi giunse su di loro solo una singola voce che diceva che lei aveva deciso di abortire (un ultimo atto in mio sfregio, o un savio tentativo di rinsaldare la sua famiglia?). Non ho più visto il figlio di Martina e Balbo e non riesco ad immaginarmi se somigli più a lui o a lei. Non ho più visto Balbo e anche lui non mi ha più cercato… Ma lo capisco bene. Per fin troppo tempo ho preso il suo posto nella sua vita e mi sono sostituito, mio malgrado, a lui e ai suoi obblighi. È normale che non mi voglia più vedere, nemmeno da morto. E non ho visto neppure più Martina. Che cosa sarà di lei? Sarà tornata la donna delicata che faticava a mantenere le proprie opinioni davanti alle contrarietà degli altri, come ai primordi? Oppure sarà ricaduta in quel suo stato strano che la fece innamorare di me ma che avrebbe potuto scegliere come bersaglio chiunque altro? Molte volte mi sono chiesto come mai Martina avesse scelto me e non un altro, e sono riuscito a trovare solo due ordini distinti di risposte (più o meno razionali, mentre il campo dell’irrazionale non ho la minima intenzione di vagliarlo). Sono quasi certo che c’entrasse il fatto che io fossi il miglior amico di Balbo. Non poteva essere un caso. E non escludo nemmeno che in verità lei, agendo in quella guisa, volesse in qualche modo punirlo (ma di cosa non saprei). Oppure l’altra possibilità (e devo ammettere di sentirmi ancora oggi un po’ in impaccio a ripensarci) poteva essere che lei davvero si fosse innamorata di me nonostante le nostre enormi differenze (e soprattutto quando lei si trasformò in una sorta di Mrs Hyde al femminile). Sembra assurdo? Forse. Però questo spiegherebbe anche quel fascino animale che si sviluppò dalle nostre unioni carnali, che mai avrei creduto potesse esserci se non lo avessi saggiato di persona. E qualche volta credo che il nostro rapporto bipolare ci diede anche la sorpresa dell’amore, quello vero ed inspiegabile, quello che scatta tra due persone pure se queste si odiano e si detestano. Sì, alcune volte sono sicuro che io ricambiai Martina e l’amai, anche se non ne saprò mai l’origine. Oggi che è passato tanto tempo me lo posso ammettere, ed una piccola parte di me la rimpiange anche con nostalgia (perché non troverò mai nessun’altra che mi amerà e che io stesso amerò più intensamente di lei).

Non ho idea di dove sia Martina e non ho idea come sia, e come stia. Ma per qualche motivo insondabile me la immagino ancora mutata in quella terza creatura volitiva e consapevole di sé e di quello che la circonda. E mi immagino che non mi pensi più e che mi abbia ormai dimenticato per sempre.