Veleni #2

I veleni a cui si è preparati bene o male li si sa almeno un po’ affrontare, mentre veleni sconosciuti, incogniti, la cui portata non è stimabile, spaventano molto: e potrebbero non esserci controffensive verso essi. Oppure non si potrebbe avere il tempo necessario di reagirvi per trovare un rimedio.

veleni2

The Flash (serie)

La malattia di una serie te la prendi se per caso guardi qualche puntata di seguito. E io alla fine me la sono presa… Ma partiamo dal principio…

Quando ero piccolo ricordo che venne annunciato in pompa magna sulle reti fininvest il telefilm di Flash. All’inizio ne rimasi esaltato. Costringevo i miei genitori a vederlo. Ricordo che mia madre sorrise quando si disse che Flash era molto veloce anche… a letto!

Provai con tutto me stesso a farmelo piacere, ma alla fine, anche io che stravedevo per i supereroi, dovetti accorgermi mio malgrado che le storie facevano (molto) schifo. Così ricordo che neppure vidi tutte le puntate: abbandonai il telefilm schifato. E mi dispiacque perché il personaggio di Flash mi era sempre piaciuto, anche se su di lui fino allora avevo letto poche storie cartacee, principalmente per le vicissitudini editoriali toccate alla DC Comics in Italia, nel periodo in cui ero un forte consumatore di fumetti americani.

…Poi sono passati decenni, ed è arrivata questa serie di Flash, in cui lui è un ragazzino e ha intorno molti personaggi interessanti. Questa nuova incarnazione di Flash mi piace molto di più. Principalmente perché somiglia molto ai fumetti, non nel senso che si rispettino le storie originali alla lettera, ma nel senso che tutto può accadere, tra viaggi nel tempo, buoni che diventano cattivi, gente che muore che in realtà riciccia fuori come la gramigna, varianti negative dell’eroe, eccetera, comprese le incongruenze.

È chiaro che uno che può viaggiare nel tempo e creare dei suoi residui temporali non perderebbe mai nessuna battaglia se usasse sempre questo trucchetto, e ciò vale anche per tutti coloro che posseggono questo suo identico potere, ma la serie è carina lo stesso… 😉

Per un periodo ho visto una serie di Flash anche su Boing, la quale a dire il vero mi sembrava molto scadente, eppure c’erano gli stessi personaggi. Ora non so dire se ho avuto una visione approssimativa e troppo frettolosa io, oppure si trattava di una stagione poco riuscita, o addirittura per bambini piccoli. Boh.

flash

Salvazione

Vidi che sul suo profilo aveva messo come status “depresso” postando il messaggio: pongo fine a questo atteggiamento di falsità, che ormai mi regala la sola repulsione. Il messaggio era stato scritto appena cinque minuti prima e nessuno lo aveva commentato, visto l’orario notturno. Anche io era un caso che mi fossi connesso a quell’ora.

Conoscendo la sua propensione alla depressione, anche molto cupa, mi allarmai parecchio. Perché la sua era di quelle anche, al limite, che fa venire brutte idee nella testa ogni tanto, e se non la si contrasta adeguatamente potrebbe portare a compiere gesti affrettati e irreparabili. Le mandai un messaggio in cui le comunicavo tutta la mia disponibilità:

Ke succede? Ho letto il post. Se ti serve un amico io sono qui.

Lei mi rispose immediatamente.

Non ho più alcun motivo per vivere. Voglio farla finita.

La chiamai. Lei rispose, ma rimase in silenzio.

«Dove sei, K? Sei a casa tua? Senti, sono dalle tue parti, perché non ne parliamo assieme?», cercai di essere più dolce possibile. E lei era così abbattuta che si sarebbe gettata nelle braccia di chiunque le avesse detto quelle stesse parole.

«È inutile, tanto…», furono tuttavia le sue prime parole.

«Ti prego, parliamone…»

«Ormai ho deciso…»

«Hai deciso cosa? Scema!»

Non rispose.

«Guarda che se fai quella grossa cazzata non ti perdono, hai capito?», non avevo neppure il coraggio di pronunciarla.

«Mi dispiace», mi disse quasi piangente, «ma io…»

«Non voglio sentir storie! Adesso vengo a prenderti e tu parli con me, chiaro?»

«Ho deciso, mi dispiace…»

«Fammi almeno provare a convincerti a distoglierti. Te lo chiedo come favore personale!»

«Non…»

«Senti, se non ti convinco, lo facciamo assieme, okay?»

La mia proposta la colpì nel profondo.

«Oddio, no. Tu non devi farlo…»

«Lo farò se non ti riesco a convincere…»

«No, no, lascia stare… Adesso attacco e ti saluto…»

«Se mi attacchi sai come andrà a finire. Ti seguirò su quella strada, con o senza il tuo consenso», dissi duro.

E lei, poverina, che non voleva avermi sulla coscienza, alla fine decise di acconsentire a vedermi. Era sicura che parlandomi mi avrebbe convinto a non seguirla su quella fosca strada senza uscita. Io avevo sperato proprio in questa sua voglia di non trascinarmi nelle tenebre con lei. E c’ero riuscito, almeno a fare quello: a vederla.

Ci demmo appuntamento al parco vicino casa sua. Corsi parecchio sulla moto per non farla aspettare troppo. Lei capì che non mi trovavo affatto vicino casa sua quanto le avevo detto. Era stata solo una bugia.

Temevo che ci avesse ripensato. Ma riuscii a giungere per tempo prima che lei mi negasse quell’ultimo tentativo di confronto.

Era in piedi davanti la nostra solita panchina. Le luci della strada le rendevano la carnagione spettrale, ma già di suo era più sbattuta del solito. Si vedeva che aveva pianto. Era senza trucco. Sembrava un’anima in pena in attesa d’essere condotta al fiume Stige.

«Eccomi! Ma si può sapere che ti è successo?!», la abbracciai.

«Sapessi!», mi disse stringendosi a me come se altrimenti un forte vento avesse potuto portarla via. E quel vento, a dire il vero, sussisteva, solo non era fatto d’aria ma semmai dei suoi lunatici umori.

Mi riferì i guai che l’affliggevano. Un rapporto amoroso zoppo che la faceva sempre soffrire – le avevo detto più volte di liberarsene, anche perché un amore che dava tutta quella sofferenza non poteva essere accettato, ma lei non era mai riuscita a portarselo interamente alle spalle –; il rapporto conflittuale con la famiglia, in particolare con la madre, che non le aveva mai dato l’amore che avrebbe dovuto; poi c’era quel caso di malattia grave, irreversibile, da parte di un suo caro, che la faceva tanto penare; più i soliti problemi economici, e qualche grossa fregatura che lei si prendeva sempre dalla vita…

Io le provai tutte. Provai a dirle che il giorno dopo sarebbe bastato poco affinché avesse visto le cose in maniera differente. Le dissi di chi stava indubbiamente peggio di lei. Le dissi tutte le potenzialità che comprendeva la sua vita. E le dissi che le volevo bene, e come me tantissime altre persone, anche se a lei non sembrava. Le dissi tutto ciò: ma non servì a nulla. A un certo punto capii che non l’avevo convinta, nonostante avessi dato il meglio di me. Capii che voleva licenziarmi e che era davvero intenzionata a farla finita quella notte. Ma non potevo accettarlo. Allora mi venne in mente quella cosa folle. Ma neanche troppo.

«Allora vuoi morire, hai proprio deciso, eh?», le dissi cambiando tono di voce, facendolo divenire più sferzante. Lei annuì non intuendo dove volessi andare a parare. «E come ti vorresti ammazzare, hai già un piano?»

Sì, ce l’aveva. Ma non voleva dirmelo. Lo intuii perché per me lei era come un libro aperto. «Magari impasticcandoti, eh?», le dissi e capii dai suoi occhi che era proprio quello che avrebbe fatto appena l’avessi lasciata da sola. Anche il discorso di ammazzarmi con lei, vedevo che non avrebbe più dato frutti. Ormai lei era totalmente concentrata su se stessa e non le importava più niente né del mondo né di me.

«Senti, non ho ancora abbandonato l’idea di farti cambiare idea. Però, visto che le maniere gentili non sono servite, ho deciso di passare alle maniere forti», dissi.

Lei fece un passo per allontanarsi da me. C’era adesso un timore nel fondo dei suoi occhi. Sapeva che avrei fatto di tutto per salvarla, anche l’impensabile. Di colpo capì che non avrebbe mai dovuto accettare di vedermi, se davvero voleva suicidarsi.

«Senti, visto che vuoi morire, allora mi offro io di aiutarti a farlo, ci stai? Ma non con le pasticche. No, facciamo a modo mio. Dato che disprezzi così tanto la tua vita, tanto da volerla buttare nel cesso, allora di certo non ti dispiacerà se quella tua vita di cui non sai che fare me la prendo io, te la sfilo io a forza di botte…»

Aveva un po’ paura di me. Sentiva il suono della mia voce, sentiva quelle strane parole che mai avrebbe immaginato udire uscire dalle mie labbra, e rabbrividiva. Ma prima ancora che per la paura delle botte, rabbrividiva per quello che era riuscita a farmi pensare e dire, per il punto di esasperazione a cui mi aveva portato.

«Che poi, le botte», ripresi, «potrebbero essere viste anche come una sorta di punizione… Se difatti ti pensi così indegna di vivere come ripeti sempre… Beh, una sonora punizione penso che te la meriti, non credi?», le dissi avvicinandomi a lei prima che mi sfuggisse.

La afferrai per un braccio. Lei mi guardava con sospetto e afflizione. Non sapeva se davvero l’avrei fatto, ma di certo era un po’ tardi per bluffare. A quel punto non mi potevo più tirare indietro.

Cercò di divincolarsi. Ma la mia presa si fece di ferro. E le faceva male.

«Lasciami!», mi disse provando dolore al braccio che le stringevo.

«Sai cosa voglio. Per lasciarti, mi devi dare la tua parola che non farai alcun gesto estremo questa notte, come pure per tutte le notti in seguito. E questa notte starai con me, così controllerò che non mi prendi come al solito per il naso», le dissi. «Allora accetti?»

Avrebbe potuto dirmi una bugia ma «No!» disse riottosa.

Allora partì il primo ceffone, che si andò a stampare proprio nella parte sinistra del suo volto. Fu molto pesante e le lasciò il segno rosso.

Da quel momento cercò di sfuggirmi ma io la battevo sempre ogni volta dicendole che sarebbe bastato accettare le mie condizioni e avrei smesso all’istante di picchiarla e l’avrei pure medicata. Ma lei quella benedetta parola di assenso non me la voleva dire e si beccava le botte stoicamente. A tratti mi pareva pure che ragionasse pensando che anche quello poteva essere un modo giusto per lei di morire, tutto sommato. Allora caricavo ulteriormente i miei schiaffi per farle cambiare idea e per procurarle più dolore, ben sapendo che ci sarebbe voluto molto tempo per ammazzarla a quel modo, se davvero avessi voluto farlo. Ma io non l’avrei mai fatto. Al limite mi figuravo a raccogliere le sue spoglie stremate dopo una bella battitura, con lei infine svenuta. Allora l’avrei portata all’ospedale, ma di certo non l’avrei mai davvero uccisa solo picchiandola.

Le nostre lotte attirarono l’attenzione del vicinato il quale, come era ovvio, prese le sue difese accusandomi di farle violenza. Venne la polizia. Appena li vidi mi fermai. Non c’era più bisogno di picchiarla. Avevo ottenuto il mio scopo. E lei non sarebbe scappata. Aveva il volto tumefatto e livido però le sarebbe stato impossibile ammazzarsi quella sera e per diverse sere da quel momento. Perché, quando i poliziotti redassero il verbale con il mio interrogatorio, dissi loro per bene il motivo per il quale l’avevo picchiata: per impedirle di uccidersi.

All’inizio pensarono che fossi pazzo o che ci provassi. Ma dopo riuscii a spiegarmi e dissi infine loro: «Se volete incriminarmi, fate pure. Il giudice stabilirà se e quanto ho colpa. Ma io vi ho detto che lei è a rischio suicidio, per cui va seguita, anche contro la sua volontà, da personale adeguato (sperando che sia preparato a sufficienza per il suo difficile caso). Dunque, se incarcerate me, non potete evitare di occuparvi anche di lei, perché ormai è tutto scritto e qualora lei davvero si togliesse la vita, domani o tra qualche tempo, e si scoprisse che voi non avete tenuto minimamente conto di quel che vi ho detto, allora anche voi finireste per passare dei guai».

Li convinsi. Io rimasi agli arresti domiciliari attendendo il processo. E lei cominciò a esser seguita da una brava dottoressa esperta di persone che si volevano togliere la vita. E quando giunse il processo, lei venne a testimoniare che io l’avevo picchiata solo per impedirle di suicidarsi e non per un qualsiasi altro motivo. Dunque il mio gesto era stato di grande altruismo e di questo mi ringraziava, disse tra le lacrime. Perché avevo avuto ragione io, alla fine: la sua vita non era mai stata così pessima come lei si credeva. Le ci voleva solo del tempo per accorgersene. E aveva avuto bisogno dell’aiuto di qualcuno per farlo.

salvation

Cold skin (film)

Un uomo che vuole isolarsi dal resto del mondo, viene portato su un’isola (quasi) deserta per registrare la forza del vento. Gli viene presentato il guardiano del faro il quale però si mostra piuttosto scorbutico e ostile.

La prima notte sull’isola la sua baracca viene attaccata da delle bestie mai viste. Allora l’uomo si rifugia dal guardiano del faro. Presto scopre l’esistenza di creature antropomorfe, che sembrano per metà umane e metà pesce. Una di esse è stata “addomesticata” dal guardiano, che la tratta come un cane. Alcune notti le creature attaccano le abitazioni degli umani per ucciderli…

Posso utilizzare questo film per ribadire un mio concetto principe. La storia è bellissima. Se solo si fosse indugiato maggiormente su alcuni approfondimenti psicologici e non si fosse corso come si avesse avuto il diavolo alle calcagna, ne sarebbe potuto venir fuori chissà forse un capolavoro. Ma è questo che distingue un discreto film da un film di un’altra categoria: il tocco del regista, le cadenze riflessive ed emozionali che egli imprime alla pellicola…

coldskin

Battiti di cuori e di ali nell’orto di St Kilda — Lucy the Wombat

ERRORI DI PERCEZIONE Il pregiudizio è il contrario del cinguettio. Io credevo che gli uccelli, specialmente quelli più piccoli, fossero poco più che animaletti volanti con le penne al posto dei peli, il pensiero mobile, la vocina delicata e l’indole diffidente, facilmente incline a spaventarsi. Li spiavo con sospetto. Si teme sempre un po’ la…

via Battiti di cuori e di ali nell’orto di St Kilda — Lucy the Wombat

Veleni

Il veleno A annulla il principale effetto del veleno B. Ma è pur sempre un veleno.

Il veleno A alza la pressione e induce un incremento nel battito cardiaco. Il veleno B – o forse si dovrebbe parlare di veleni B – abbassa la pressione e induce un rallentamento del battito cardiaco.

Il veleno A è comunque più forte del veleno B.

Se solo si potesse dosarli nella giusta misura, ci si potrebbe pure illudere d’averne un beneficio. Ma si tratterebbe pur sempre di veleni. E io non sono un’alchimista…

veleni

Effetto valanga

Un giorno ti accorgi che una persona ha miseramente tradito la fiducia che riponevi in lei. Questo ti amareggia molto. Da allora ti chiudi a riccio. Diventi sospettoso anche di tutte le altre persone. Capisci che, così come l’ha fatto quella persona, di imbrogliarti, potrebbero farlo anche le altre.

Ecco un esempio dei grandi danni che può produrre una singola persona che si comporta male.

Secondo volume dei Meridiani dedicati a Lalla Romano

Le parole tra noi leggere

Stavolta (o dovrei dire, nuovamente) l’attenzione dell’autrice si focalizza su suo figlio, da quando comincia a parlare in poi. Ne viene fuori un romanzo stravagante, molto ironico, talvolta grottesco. Chi ama il genere forse lo apprezzerà. Io dopo un po’ mi sono stufato e non l’ho completato.

L’ospite

Scarnissimo romanzo in cui si parla di una nonna ansiogena che ha a che fare col suo nipotino neonato, tra le proprie inadeguatezze, le piccole gelosie, lo stupore innamorato per l’infante, la vecchiaia che avanza rendendo più superficiale e mediocre un’esistenza superflua di cui mi domando il motivo.

No. Qui non ci siamo proprio. Davvero troppo poco per poter chiamare questi scritti romanzo. Sembra che se lo sia appuntato frugalmente nelle pause caffè. Sembrano solo appunti, non un testo completo. E non c’è sufficiente pathos. In definitiva, non succede niente, e quel che accade non produrrà alcun cambiamento, o danno, o vera emozione. Un piattume monotono monocorde, nello stile quanto nella storia.

Una giovinezza inventa

Qui finalmente speravo di (ri)trovare un po’ di “ciccia” nella storia di questa educanda spedita al collegio. E invece… no! La narrazione si (dis)perde tra le effimere o indifferenti compagne della ragazza, qualche professore, innocue crisi ormonali (mai state così innocue), pacchi di barbosissima filosofia, sentimenti epistolari manierati, e sopratutto grafomania per il puro gusto di scrivere. Così tutti gli spunti che un lettore (come me) avrebbe potuto trovare interessanti si dissolvono in pochi capoversi. Non so, una passione torbida, un richiamo sessuale, una storiaccia tra persone di età diverse… Seppure questi elementi siano accennati, non raggiungono né aggiungono alcunché.

Anche questo l’ho abbandonato prima del termine.

Inseparabile

Eh, no! Qui si esagera! Questo addirittura sarebbe il continuo di uno dei suoi romanzi che più mi hanno infastidito (L’ospite, di poche righe sopra), come ce ne fosse stato bisogno! Eh, no. Qui ho mollato quasi subito, non mi sono lasciato fregare.

Segnalo solo che stavolta in sottofondo c’è la crisi coniugale dei genitori del bimbo al centro del romanzo.

Nei mari estremi + Le lune di Hvar

…Per quanto riguarda questi due ultimi romanzi, ho visto che sono scritti nello stesso stile rarefatto e sbrigativo degli ultimi e ho deciso di non leggerli proprio.

In definitiva su Lalla Romano posso affermare dunque le seguenti cose.

Si interessa ai rapporti tra persone e sopratutto alla vita domestica. Ma spesso non approda a niente, non sono storie in cui succede davvero qualcosa. Giunti alla fine è come se il libro fosse appena cominciato. Il che non è che non si debba assolutamente fare, solo che se si verifica per praticamente tutti i libri di un’autrice allora non va bene, a mio modesto modo di vedere.

Peccato perché Lalla Romano scriverebbe bene. Però sembra sia rimasta troppo schiava della sua quotidianità per permettersi di immaginare una storia davvero impegnativa, inventata quanto serve, con componenti di pathos capaci di interessare davvero il lettore. Scrivere così, è solo grafomania allo stato puro: va bene per i racconti, ma per tirarci fuori un libro ci vuole ben altro.

Forse il lavoro da giornalista l’ha pesantemente condizionata nello stile, divenuto col passare del tempo troppo asciutto e striminzito. Così Lalla ha scelto (non so quanto consapevolmente) la via più facile. Forse mentre scriveva questi romanzi faceva troppe cose assieme e non è riuscita a produrre niente di meglio.

In definitiva, ribadisco che mi sia decisamente piaciuto solo Tetto murato, una delle sue prime opere. In seguito non ha più raggiunto quelle vette.

Case

Ieri sono entrata in cinque case. E in quasi tutte e cinque sono stata accolta come una regina, da gente molto, molto gentile. Non credevo che la gente fosse così gentile. Io avrei fatto altrettanto? Perché penso di no? Ma sì, dai, anche io quando sto bene mi comporto esattamente come loro.

La prima casa mi è servita per sbloccarmi. Eppure è stato semplice bussare, farmi aprire e parlare con dolcezza. Nella prima casa c’era un odore di bucato appena fatto. È stata la casa più profumata che io abbia potuto scoprire in vita. No, non poteva essere lì il Male che stavo cercando di stanare, non poteva proprio esser lì, mi sono detta non volendo vedere una delle tante dolorosissime verità del mondo, cioè che i più gentili delle volte sono i più malvagi…

Nella seconda casa non mi aprivano. Poi è venuto uno che era il padrone. Aveva un po’ paura di me, poveraccio, chissà cosa si pensava. Lui ha fatto un po’ di storie prima di farmi entrare, ma solo perché non mi conosceva e aveva intuito dai miei occhi come la follia potesse dissimularsi in me. Ma una volta rassicurato da un tipo che mi conosceva, non ha fatto più storie e mi ha aperto la sua dimessa dimora. Loro se la passavano molto peggio di quelli della prima casa. E l’odore di quella casa era molto spoglio. Non puzzava per niente come mi credevo. Così, appena ci ho messo un piede dentro, già sapevo che non era lì il grande male che volevo affrontare a muso duro. Non lì, ma allora dove? Per fortuna non avevo preso iniziative ben più bellicose, altrimenti avrei finito per scagliarmi contro degli innocenti – INNOCIENTI?! INNOCIENTI?!

A questo punto non sapevo più con chi prendermela, ma il mio problema non si era affatto risolto. Allora a un certo punto ho visto la signora col cane. Poteva essere lei la prossima della lista. L’ho incontrata sotto casa, le ho spiegato la situazione e lei non ha fatto storie, come a dire, facciamo un favore a questa sciroccata che non sa più dove sbattere la testa. La signora col cane ha sempre degli atteggiamenti ambivalenti con me, ma quando le vado a chiedere un favore, diventa disponibile. Mi ha fatto entrare in casa sua, dopo aver rassettato un secondo. Ma non era lì quel che cercavo. Inutile dire che non c’era neppure l’ombra del Male in quella casa. Mi stavo allontanando dalla verità, ma allora dove andare? La signora però mi diede una dritta: mi confessò a mezza bocca che lei sentiva spesso una brutta puzza venire dai suoi vicini cattivi. Allora non potei esimermi dal visitare anche loro.

Bussai e mi aprì subito un vecchio molto mite. Anche lui non ebbe problemi a farmi entrare in casa sua. Lì c’era sì una puzza, ma non era quella del demonio sfuggente e cattivo che cercavo io. Annusai più volte, ma niente. Alla fine venne anche il figlio che mi guardò molto stupito; in lontananza osservai una donna fare i lavori di casa. Era il momento di salutare e andarmene. Il vecchio mi accompagnò sull’uscio dicendomi che anche lui doveva uscire. Prima di salutarmi mi disse che loro una puzza la sentivano salire dalla cantina. Adesso scoprivo che tutti sentivano una loro puzza! Ma è chiusa, mi disse. Beh, tanto valeva darci un’occhiata. Discesi le scale ma non sentivo nulla provenire da lì. E la porta era chiusa. Rimasi sul pianerottolo mentre il buon vecchio se ne andava.

Rincasai ma il mio tormento era inestinguibile. L’adrenalina e il movimento mi avevano fatta stare meglio ma il disturbo persisteva. Ma forse avevo capito una cosa importante. Quella puzza non veniva da sotto come mi ero creduta io. Quella puzza, di cui non c’era stata la minima traccia al piano di sotto, allora doveva provenire dal mio stesso piano. Gironzolai alcuni secondi sul pianerottolo e… BAM! Trovai tracce forti e insindacabili della puzza. Ma non aveva più quell’odore che avevo creduto erroneamente di attribuirle. Così capii che il vento mi portava quella puzza con l’odore di un’altra sostanza, che il vero Male non aveva quell’odore che gli avevo attribuito. Dannato vento, che correnti oscure seguivi per non farmici capire niente?

Da cosa capii la presenza dal Male? Dal battito cardiaco che era impazzito nel tratto proprio in cui c’erano due usci uno davanti all’altro. Avevo fatto trenta, tanto valeva fare trentuno. Suonai al primo campanello una volta. Non mi rispose nessuno. Suonai un’altra volta. In realtà quello era l’uscio di una signora piuttosto acida che purtroppo conoscevo bene, una signora inasprita dagli amari risvolti della sua vita. Non avevo voglia di incontrarla. Sapevo che mi avrebbe fatto delle storie. E sarebbe stata l’unica. E allora avrei dovuto dirle la brutta frase che l’avrei denunciata all’autorità…

Suonavo ma appurai che non mi rispondeva nessuno, né l’avrebbe fatto. Venni a sapere che era uscita. Suonai allora all’uscio successivo. Ascoltai dei rumori provenire dall’interno dell’abitazione. Mi aprì una ragazza che tempo addietro mi aveva guardato ammirata: da tempo smaniava per conoscermi. Le spiegai il mio tormento e dapprima si dimostrò comprensiva. Mi disse che anche lei sentiva qualcosa nell’aria e non capiva che fosse. Purtroppo però quell’ombra nera che mi aveva accompagnato, quell’ombra alla quale ero stata costretta ad affiliarmi per poter entrare in quelle case sconosciute, le fece intendere che fossi matta. Così, quando tornai a visitare il volto della ragazza, un po’ di timore affiorava dai suoi occhi, inoltre per lei la mia ricerca era diventata del tutto vana. Abbandonai con rammarico la sua abitazione sapendo che non vi avrei più messo piede.

Ma di lì a poco la quasi incontrovertibile soluzione del mistero mi sarebbe giunta innanzi, talmente paurosamente da lasciarmi esterrefatta e inabile a ogni giusta contromossa. Un dì mi accorsi che il Male mi strisciava violentemente in casa. Osava entrare da altri anfratti non soliti per lui. Scoprii che entrava da sotto la porta d’ingresso della mia abitazione. La aprii e le mie attenzioni furono rivolte alla casa immediatamente prossima alla mia, quella dove non mi avevano mai aperto, quella dove non mi avevano mai salutato, quella dove avevo già bussato ben sapendo che non mi avrebbero risposto.

Era il momento di entrare in quel luogo e di parlare con il nemico. Dovetti ancora venire a patti con il diavolo facendomi accompagnare dall’ombra nera che si prendeva sempre gioco di me mettendomi i bastoni tra le ruote. Ma quello era il sol lasciapassare per poter accedere a quell’antro infernale. Da sola mi sarebbe stato impossibile farlo.

Bussammo, l’ombra nera e io, e ci fu subito aperto. L’unico cruccio che ebbi riguardava il caso che l’ombra nera fece in modo di annunciarmi, così non potemmo più contare sull’effetto sorpresa e qualcosa fu occultato ai miei occhi per rimanere ancora ignoto e ostile.

Ci aprì la regina dei porci. Aveva le gambe nude, camminava scalza per casa mostrando le sue oscene zampe da scrofa. Desiderai poterla fare allo spiedo. Quello sarebbe stato l’unico destino che avrei trovato giusto per lei. Per quale motivo viveva gente come lei? Me l’ero sempre chiesto. E non avevo mai trovato nessuna spiegazione plausibile. Per me, quelle come lei, erano al mondo solamente per cagionare fastidio agli altri. Non vi erano altri motivi per la loro esistenza.

Sembrava accogliente, sembrava dirmi: vieni pure nella mia enorme vulva odorosa; è così grande e ributtante che verrai consumata e assimilata e assoggettata anche tu. E li la puzza c’era. Eccome se c’era! C’era la puzza del Male in persona, il Male invisibile che non mi faceva più vivere. Però il Male non si vedeva. Dunque mancava la prova regina per poterla accusare di complicità col Maligno.

Le spiegai e mi condusse in cucina. Lì la puzza era meno forte. Ma non era lì che volevo vedere. E lei sembrava saperlo, e per questo cercò di tenermi lontana dalla zona più calda e rivoltante. Insistetti per entrare anche nella stanza che mi voleva tener chiusa. Dovetti insistere per tre volte prima di potervi accedere. Alla terza volta, visto la mia insistenza, la sua ritrosia sarebbe suonata sospetta pure all’ombra nera che mi accompagnava, che pure non era dalla mia parte. Così la scrofa oscena cedette e mi fece entrare. Scoprii un’altra ragazza in quella stanza, una ragazza muta, mai vista, che doveva essere la sua amante-giocattolo; almeno era vestita. Lì la puzza era fortissima, ma la regina delle scrofe ancora negava. Me ne stavo per andare quando mi accorsi di una sostanza gelatinosa che colava dal tavolo. Era la bava del mostro invisibile che cercavo. Gliene chiesi conto ma lei ancora volle negare. Disse che era lì da anni e si doveva far risalire all’affittuario precedente.

A quel punto me ne andai furiosa. Aveva avuto la faccia tosta di negare anche l’evidenza. Quel male nefasto così cattivo che vilmente mi stava facendo uscire l’anima dagli occhi e dalla bocca, era sempre stato vicinissimo, nella casa proprio accanto la mia, propagato dalla scrofa malvagia che godeva ad ammazzarmi poco a poco, giorno dopo giorno implacabilmente, con sadico divertimento.

scrofa