La puttana innamorata

Ognuno desidera un amore, anche una puttana. Ognuno ha un amore, anche una puttana…

Mi ero innamorato di una puttana (cioè proprio di una che esercitava il mestiere) anche se era assai sconsigliabile. D’altronde lei era pur sempre una donna. E io avevo intravisto la sua anima (o almeno così mi credevo), e non potevo far finta di non averlo fatto. O forse no. Forse ero solamente un grande babbeo, per essermi innamorato di una puttana che mi aveva sempre preso per il culo…

Lei lo aveva capito che mi ero innamorato, e se ne era un po’ approfittata. E quando le facevo i regali, lei non li rifiutava, anzi se li pigliava con avidità. Mi dava un bacio e mi faceva credere che c’era una possibilità, la possibilità che un giorno avrebbe smesso di fare la vita e forse si sarebbe sposata proprio con me.

Però io non capivo perché non lo facesse subito. Divagava sempre quando glielo chiedevo. Cominciai a starci male. Non potevo più sopportare che vendesse il suo corpo a tutte quelle persone, persone che la trattavano bene, come me, o anche persone che la trattavano male, come tanti altri di cui però lei, inspiegabilmente, non si liberava, non voleva liberarsi.

Volevo metterla con le spalle al muro, farle accettare la mia proposta. D’altronde io ero un buon ragazzo, un ragazzo di cuore, sincero, lavoratore, e non le avrei mai fatto mancare il pane. Certo, se voleva le ville e le piscine, io non avrei mai potuto dargliele; però ritenevo che la mia offerta fosse buona, che non avesse alcuna ragione per rifiutarla. Ma evidentemente mi sbagliavo.

La verità era lì davanti ai miei occhi eppure non la volevo capire. Lei continuava ad andare con altri. Io mi svenavo, le davo tutti i miei denari per non mandarla con quelli, ma poi i soldi mi finivano e quando accadeva lei tornava puntualmente sempre ad andare con quegli altri mascalzoni. Ma come poteva ancora degradarsi con loro dopo che io le avevo dichiarato i miei sentimenti? Non lo capivo.

Mi trattava esattamente come uno di loro. Ecco! Era quello il punto. Ma certo. Perché non l’avevo capito prima? Mi trattava come uno di loro, perché per lei non sarei mai stato diverso da loro: sarei sempre stato solo un cliente da spennare, un cretino che si era pure innamorato. Che poi dovevo proprio esserlo, un cretino, se mi ero innamorato di una donna senza qualità come lei, no?, doveva pensare lei. E qualche volta lo pensavo anche io.

Nonostante ciò, forse ancor oggi starei a perdere il sonno per lei se una sua amica, un’anima pia che si manifestò ben più caritatevole di lei, non mi avesse rivelato gli altri tasselli della verità che io ancora non conoscevo. Lei, la mia puttana, la puttana che amavo, amava a sua volta un uomo, un tale che una volta era andato con lei, un tipo alto e prestante, con il denaro e la bella macchina; un tipo che, avendo avuto un paio d’ore libere una notte, durante una trasferta di lavoro, aveva pensato bene di trascorrerle andando con una puttana come lei. E lei, non so bene perché, si era innamorata di lui. L’amica mi disse che l’uomo l’aveva pure picchiata obbligandola a fare cose disgustose che lei non avrebbe voluto fare… Era un tipo manesco e perverso a cui piaceva dapprima legare e poi annichilire le sue vittime. Tuttavia, inspiegabilmente, quel tipo aveva fatto breccia nel suo cuore. Quel tipo che poi spesso cominciò a incontrare di giorno, qualche volta accompagnato dalla fidanzata.

Quando la incontrava ovviamente faceva finta di non averla mai vista, alla mia puttana. Ma poi un giorno lei ottenne di venir salutata e da ciò ne trasse un gran piacere, anche se praticamente non fece altro che intimargli di salutarla sotto il ricatto silente di una ritorsione, se lui non si fosse piegato. E da quel momento non se lo era più tolto dalla testa…

Così, in definitiva, io avrei dato il mondo intero a quella puttana, e sarei pure passato sopra alla sua vita sregolata, se così la vogliamo chiamare, perché io sentivo di amarla, mi ero innamorato di lei. Ma lei invece non mi amava, mi disprezzava, e mentre con me rastrellava tutto quel che poteva tentando di prosciugare le mie modeste risorse, si era invaghita di quello che non la cagava di pezzo e non l’avrebbe mai voluta, quel tipo che era già fidanzato, che non avrebbe mai lasciato la sua compagna per mettersi con una puttana, con una sudicia puttana come lei, che aveva pure picchiato a sangue per vezzo nell’unica volta in cui l’aveva chiavata di brutto, e poi le aveva pure pisciato sopra lasciandola rantolante e mezza morta legata al letto.

Così, un giorno mi dissi che dovevo essere forte e accettare la realtà: quella lì era solo una puttana, e lo sarebbe rimasta per tutta la vita. E comunque, non mi voleva bene. Dunque non fu più la mia puttana. E sarebbe stata la puttana di altri.

 

PATATE LESSE CHE SEMBRANO AL FORNO

PREMESSA: personalmente gradisco molto le patate in tutte le loro declinazioni. E delle volte le consumo lesse al posto del primo piatto, quando mi voglio in qualche maniera “disintossicare” (non so se davvero le patate lesse abbiano questo potere, comunque io faccio così).

Le patate sono buone però hanno una controindicazione. Forse non tutti sanno che contengono blande quantità di un veleno che curiosamente si accumula molto facilmente nel nostro organismo. Più precisamente, il veleno si annida prevalentemente nei “punti neri” delle patate, avete presente? Per questo motivo le patate non vanno consumate troppo frequentemente. Per questo motivo un tempo i contadini che ne mangiavano troppe… morivano.

RICETTA: lavate bene le patate. Bollitele. Sbucciatole [nota: esistono qualità di patate che vengono consumate con la buccia intera e sono davvero ottime. Però sconsiglio di non effettuare questa operazione di sbucciamento, sia perché così togliamo ogni forma di “cicciamento” (che si verifica nelle patata un po’ vecchiotte), sia sempre per il discorso dei noduli neri, che così li vediamo e togliamo meglio].

Condirle con olio evo e sale, oltre che con piccole quantità di salvia, origano, rosmarino. Infatti saranno proprio queste spezie a infondere alle patate il tipico aroma delle patate al forno, senza tuttavia doversi sorbire il fatto di averle affogate in quantità industriali di olio di frittura.

Da sottolineare che le spezie di cui sopra contribuisco a rimineralizzare l’organismo. Io, per esempio, le uso anche per condire la pizza bianca che faccio a casa.

Però non eccedete con queste erbe sulle patate altrimenti potreste rovinarle, perché ne vanno messe in minima quantità, senza eccedere.

Provate per credere quanto sono buone le patate condite così. E poi ditemi…

😉

Carlo Lucarelli: Il lato sinistro del cuore

Avevo già letto questo libro di racconti alcuni anni fa, da ragazzo. Solo che non me lo ricordavo. Così me lo sono riletto… Ho sprecato del tempo? No, perché comunque le impressioni che ne ho ricavato sono state diverse da quelle che sperimetai anni fa, quando questo libro non mi piacque poi molto, mentre oggi si può dire che mi sia più piaciuto che non.

Ci sono scrittori che non sanno scrivere racconti, e scrittori che sanno fare solo questo essendo incapaci invece di scrivere romanzi. Carlo Lucarelli non è né l’uno né l’altro perché si evince chiaramente che sia un abile narratore a tutto tondo (a breve penso che leggerò qualche suo romanzo per confermarmelo).

Credo che quasi tutti i racconti di questa raccolta siano stati presentati, con poche eccezioni, in ordine cronologico di realizzazione. E, con qualche eccezione, possono essere categorizzati forse in tre sezioni.

Nella prima ci sono i racconti più “normali” in cui Lucarelli dà grande prova di abilità narrativa. È un vulcano di idee: quasi tutte tendenti al poliziesco e agli omicidi, però; con gradevolissime parantesi con picchi di ironia, che uno non si aspetterebbe da Lucarelli che possa essere così sarcastico; invece ciò non dovrebbe stupirci perché le persone molto intelligenti sanno essere, se vogliono, anche molto sarcastiche, potendo.

Poi, ci sono dei racconti un po’ più inconsistenti, effimeri, in cui spesso si arriva alla fine e ci si rende conto: o che un finale vero e proprio non c’è; o che c’è ma che ci (mi) ha deluso. A questo filone appartengono anche racconti molto brevi che sembrano tirati via, che sembra tanto che Lucarelli abbia voluto scrivere in preda a un istinto creativo primigenio avendo compreso di aver avuto una buona idea non volendosela farsela scappare, racconti però che non ha avuto il tempo o la pazienza di realizzare nella giusta maniera (forse perché preso da altre incombenze più importanti e impegnative?).

Nella terza branca poi appare forse un Lucarelli più sofisticato che si cimenta con stili un poco diversi spingendosi su strade non battute in precedenza. Per esempio mi ha molto colpito un cyber-racconto che si capisce che nasce da un’idea geniale, sennonché è un po’ troppo confuso per seguirlo e apprezzarlo nella sua interezza, come meriterebbe.

Tra tutti i racconti due mi hanno colpito di più (ma ne potrei citare molti altri, in fondo). Uno è quello che vede come protagonista un misterioso ragù realizzato solo in eventi eccezionali la cui ricetta rimane un mistero per anni e anni… Un altro è il racconto che guarda caso dà il titolo alla raccolta: Il lato sinistro del cuore. Che è l’intrigante storia di una trans con alle spalle una vita sentimental-sessuale molto intensa che da tempo riceve minacce da parte di qualcuno che giura che prima o poi la ammazzerà. Questa, allora, assolda un investigatore privato il quale scava nel suo passato, tra i suoi amanti d’un tempo, e poi inevitabilmente si innamora anche lui di lei (lui)…

Questo racconto è talmente traboccante d’ispirazione che potrebbe rappresentare benissimo la base per un romanzo, per quanto è fatto bene è pieno di idee e sentimenti e si presenta intrigante. Come fu del resto per Almost Blue. È così evocativo che sarei tentato io di trarne ispirazione per una storia noir-thriller. Solo che finora non mi sono mai cimentato in questo genere.

E non è che non lo saprei fare, solo che troverei troppo noioso dover riempire gli spazi vuoti tra ciò che mi interesserebbe narrare e quel che, seppure dovuto, non mi interesserebbe. Beh, le parti “torbide” secondo me le scriverei meglio di Lucarelli, senza offesa per lui…

😉

PS: La cosa che non mi spiego è perché qualcuno non realizzi delle serie televisive tratte dai numerosi bei racconti di qualche ottimo scrittore (Calvino, Buzzati, lo stesso Lucarelli, ecc.). C’è un mucchio di materiale di qualità, che sarebbe perfetto, che solo chiede di essere portato alla luce…

DOT: La devo conoscere meglio…

Nel week end dovrò trovare il tempo di farmi la barba. Lunedì voglio essere bello e seducente. Perché proverò a conoscerla meglio. Ormai siamo quasi amici! Ah! E per prima cosa dovrò andare a caccia di anelli sulle sue dita: se ci troverò anche un misero anellino, dovrò stare allerta e cercare di capire se questo fottuto ragazzo ce l’ha oppure no. Se è libera, sento che lei potrebbe rappresentare qualcosa di davvero importante per me. Non so perché, me lo sento, me lo sono sentito fin da subito, appena l’ho incontrata: ho capito che lei era diversa, e che era lei quella che avevo sempre atteso, non volendomi accontentare delle altre…

Rifletto sul matrimonio di Fauno: come sarebbe bello andarci in sua compagnia… Le potrei chiedere a tradimento: ti piacciono i matrimoni? Ma se lo facessi, lei allora che cosa penserebbe? Che corro troppo e che già la voglio impalmare?! Mi sa che devo stare attento a non fare una delle mie proverbiali, epocali figure di merda, che in un attimo smantellano per l’eternità tutto quel che di buono una ragazza aveva pensato di me, sempre perché, purtroppo, la razza femminile è molto egocentrica e permalosa.

Comunque mi posso proporre questo obiettivo a lunga scadenza: portarla con me al matrimonio di Fauno. Ho più di un mese per avvicinarla e fare in modo che si fidi abbastanza da non sentirsi fuori posto qualora le dovessi recapitare un invito del genere.

Okay, se ne riparla tra un po’. Ma prima, molto prima, dovrò aprire un dialogo costante e caloroso con lei. Penso dunque a tutte le cose di cui potremmo parlare… Innanzitutto, approfittando delle pause, potrei invitarla a prendere qualcosa al distributore automatico… Sì, già mi immagino la scena… Poi potrei tirarle fuori quella storia che lei ha una faccia conosciuta e le potrei chiedere che scuole ha fatto e, dopo, quello che fa adesso. Me la figuro una specie di studentessa-ricercatrice, lei con il suo quadernetto sul quale appunta le sue cose…

Poi le potrei parlarle di me. E so già che mi scapperà un sorriso quando le spiegherò che faccio lo scrittore ma che ancora non ho un lavoro in questo ramo, che dopo dieci anni di (banale per certi versi, esaltante o deprimente, per altri) vita impiegatizia, sottopagata e con poche soddisfazioni, ho deciso di farla finita di farmi sfruttare come uno schiavo negro e di cercare la mia strada, prendendomi tutto il tempo che valuterò necessario nel perseguimento dei miei intenti. Spero di non impappinarmi quando glielo spiegherò, o di non sembrarle un mezzo scribacchino fallito utopista sbroccato…

Le potrei tirar fuori il mio adorabile cagnolino: potrei farle vedere le foto che tengo nel cellulare. Alle ragazze piacciono un sacco i cuccioli, e so che, qualora dovesse conoscerlo, non potrebbe mai dimenticarlo e vorrebbe sicuramente rivederlo. Sono un po’ bieco a pensare di creare un legame con lei in questo modo? Sì, indubitabilmente lo sono. 😉

 

Un’altra donna

Pur non avendo presente il suo volto, quando la conobbi, la saggiai donna giovane, presumibilmente bellissima, sensuale, agile, indubitabilmente affascinante: che odorava di donna.

Aveva lunghi capelli lisci. Ed era molto depressa, a un passo dall’alienazione. Nondimeno si mostrava forte, resistente, assai combattiva. Come un gatto che si tiene aggrappato a una quercia con le unghie, con sotto dei cani idrofobi sbavanti che avrebbero voluto sbranarlo, non voleva soccombere alla sua infausta affezione…

Puntuale, precisa, perseguiva con metodico rigore il suo strazio, setacciandolo e vivisezionandolo, capovolgendolo come un calzino, nella speranza che un giorno quell’approfondita conoscenza l’avrebbe resa libera da esso. Quel suo dolore che analizzava, sminuzzava, ingoiava e poi rivomitava, infinite volte, fino a renderlo sempre un po’ meno venefico.

Le palesai parole di conforto e lei mi ignorò, come mi aspettavo facesse.

Poi un giorno, incredibilmente, si fece avanti rispondendomi con ragionamenti “strani”, assai meno calibrati e impalpabili e impercettibili di quanto non avessi immaginato fosse nelle sue corde esprimere.

Non era da lei. Non corrispondeva alla donna che mi ero creduto fosse. Da ultimo mi esibì la sua fisionomia di donna stagionata, rococò, corpulenta, con un’espressione assurdamente gaudiosa in volto. In parole povere essa mi offriva ora tutte caratteristiche in totale disaccordo con quella che era stata (ma lo era stata davvero?) prima. E ciò che in seguito enunciò, ancora, non collimava minimamente con le sue estrinsecazioni d’un tempo; sennonché si accordava con la millenaria signora di adesso…

 

Elizabeth: Quel frocetto di Spencer

Bikal si irrigidì. Di nuovo il fato avverso si era rivoltato alla sua disubbidienza: proprio nel momento in cui lui lo stava fottendo. Tuttavia Bikal non si sarebbe arreso. Però non sapeva cosa fare. Se li faceva entrare, sentiva che avrebbero scoperto Elizabeth e gliel’avrebbero portata via.

«Vogliamo solo fare due chiacchiere. Poi potrai tornare a quello che stai facendo. E noi appianeremo le cose domani a lavoro…»

Bikal voleva credere alle parole di Ozzorn (che non gli aveva mai mentito, no? O forse lo aveva fatto tante di quelle volte ma lui non se n’era mai accorto?! Per un attimo gli sembrò che i due avvenimenti potessero essere equiprobabili); gli stava per aprire la porta e porgergli le scuse del caso. Avrebbe detto che non ne sapeva niente e quelli lo avrebbero lasciato stare. Certo. Sarebbe andato tutto liscio… Ma poi si ricordò che erano venuti direttamente a casa sua! Avevano osato importunarlo nel suo impero sacro e inviolabile! E non potevano esser venuti solo per scambiare un paio di domandine. No! Avrebbero perquisito la casa. E lui non avrebbe mai potuto nascondere Elizabeth così bene da non fargliela trovare. E sarebbe stata la fine…

Ma forse stava precipitando troppo le cose. Perché non potevano avere un mandato. E senza un mandato lui non avrebbe permesso loro di girare a zonzo per la sua proprietà. Col cazzo!

Un mandato era difficile che venisse accordato in appena un giorno. Solo per dei gravi motivi poteva essere rilasciato in così poco tempo. Bikal sorrise. Se avessero voluto controllare la casa, lui non glielo avrebbe permesso.

«Ci apra. Le vogliamo solo fare una domanda o due, signor Bikal. Inoltre, se continua così, la avverto che potrà incorrere in dei reati federali, per aver intralciato l’azione di un agente nel pieno svolgimento della sua missione…»

Bikal udì la voce del sergente Spencer. Sembrava proprio quella del frocetto che si era immaginato fin dal principio. Bikal lo fantasticava come un tipo palestrato, di media altezza, con i capelli biondi, corti e a spazzola, magari col gel… Si rivolse a Elizabeth.

«Che dici, Elizabeth? Li facciamo entrare?»

La sua era una domanda retorica. Aveva il sorriso disturbato di colui che è in cima a un palazzo e si sta per buttare giù, ma non ha paura. Elizabeth gli rispose, anche se sapeva già cosa il suo amore avrebbe fatto.

«Falli entrare. Se sono arrivati fin qua solo per parlarti, non te li leverai più di torno. E respingendoli potresti peggiorare anche le cose, amore.»

«Lo pensavo pure io.»

Bikal urlò che stava arrivando e che non c’era bisogno che gli buttassero giù la porta, e loro lo intesero, perché smisero di bussare e suonare contemporaneamente.

 

Il fioraio esaurito

Era da un po’ che lo avevo adocchiato; mentre, per una volta, credo che lui non avesse notato me, dato che, essendo troppo sprofondato nel suo mondo estremamente puerile ed egocentrico, non mi aveva assegnato alcuna prominenza, visto che io non gliene avevo dato occasione.

La statura di quel fioraio ambulante era tanto ridotta quanto invece era esteso il suo stupido e insignificante ego. Aveva un modo di fare assai litigioso. Si vedeva che cercava rogna. Prendeva di petto i passanti cercando di convincerli ad acquistare i suoi fiori appassiti. E se gli sfilava per caso davanti una ragazza avvenente, poteva essere oltremodo scostumato se essa si trovava non accompagnata.

Eppure il fioraio, per qualche strana congiuntura del caso, nonostante fosse povero in bolletta, fuori di testa e davvero un pessimo partito sotto tutti i punti di vista con nulla di buono da offrire al mondo, in qualche modo aveva accalappiato una ragazza ben più bella e migliore di lui, una ragazza che al suo confronto appariva l’emblema della serenità e della serietà. Una ragazza che doveva essere rimasta avvinghiata nelle sue spire quando lui ancora poteva far finta di non esser un fuori di testa. Una ragazza che ora non poteva più lasciarlo, perché lui non glielo permetteva.

Frequenti erano le occasioni in cui il fioraio esaurito si gettava in delle urla inconsulte che richiamavano l’attenzione di tutti. Talvolta non ce l’aveva proprio con nessuno, se non con la sfortuna che, a suo dire, si era accanita contro lui. Altre volte ce l’aveva con qualche avventore che forse l’aveva guardato storto o aveva osato replicare a uno dei suoi spropositi. Ma altre volte il bersaglio delle sue strali era fuor di dubbio quella ragazza che così caritatevolmente gli rimaneva accanto nonostante i suoi vili eccessi.

In tali occasioni, poteva accadere che il fioraio matto continuasse a martellarla con frasi inviperite del tipo: «…Perché tu non mi fregherai, vero Miranda?!? Tu non lo faresti mai, vero Miranda?!? Tu non sei una zoccola come le altre, vero Miranda?!?», dando così pubblico scandalo, mentre alla dimessa ragazza non rimaneva che starsene accucciata in un angolo dell’esercizio mobile, seduta, silente e assorta a fumare, sperando che quelle invettive sarebbero terminate da lì a breve se non vi avesse replicato; ma quello poteva andare avanti anche per delle ore, qualora non avesse avuto qualcosa o qualcuno a distoglierlo…

Quel dì il fioraio esaurito era nel mezzo di una delle sue crisi. Non c’era la ragazza con lui, così sembrava si fosse adirato contro un fantomatico tipo il quale doveva avergli fatto un torto; un tipo che apostrofò più volte come “figlio di puttana”. Un tipo di cui però ora non c’era traccia nei paraggi.

La sua idrofobia si era portata a livelli inenarrabili e sentivo che da un momento all’altro sarebbe sbottata in una modalità violenta. Si vedeva da come sbavava rigurgitando maledizioni e vilipendi, anche ai passanti che avvistava a decine di metri di distanza i quali, ben perspicaci circa la sua demenza, invero gli transitavano al largo circumnavigandolo come se in mare aperto si fossero imbattuti in una nave di pirati o appestati.

Il problema però era che anche io avrei dovuto percorrere quella via. Ma ahimè non potevo, perché sapevo che stavolta non sarei riuscito a mimetizzarmi nell’ambiente circostante come avveniva le altre volte che lo incrociavo. Stavolta il fioraio matto attendeva una preda sulla quale gettarsi, per sbranarla. E se davvero fossi passato per di là, era indubbio che si sarebbe giunti a un qualche tipo di scontro fisico feroce. Eppure dovevo andare per forza per quella via e rischiavo anche di arrivare in ritardo a un appuntamento qualora avessi indugiato troppo…

Decisi di attendere che le sue ire cadessero su qualche altro sventurato. Accodandomi a questi, con un po’ di fortuna, in pochi secondi mi sarei ritrovato oltre la possibile rissa ben prima che essa avesse potuto porsi in essere.

A un tratto quel che attendevo si manifestò. Difatti per quel sentiero proibito si avviò uno spensierato anziano signore il quale conoscevo di vista e aveva fama di uomo assai equilibrato e pacato. Forse egli avrebbe rappresentato il perfetto antidoto di contrappunto per l’acredine incancrenitasi del fioraio matto, sperai.

Ma forse mi sbagliavo perché, quando il fiorista lo puntò come un toro, fui certo che l’anziano fosse spacciato essendo destinato a sicura morte cruenta. Tuttavia non avevo fatto i conti con la psicologia umana, che delle volte sa essere davvero contorta. Infatti, quando il fioraio fu quasi prossimo a investirlo materialmente, mentre il tono dei suoi insulti era salito al massimo grado a cui sapeva portarlo, il signore di una certa età fece un gesto imprevisto che disarmò completamente la rabbia repressa del potenziale assalitore. Gli fece un sorriso, che certo voleva essere solo di non belligeranza. Ma ciò bastò ad ammansire le collere sbrigliate del fioraio matto, il quale si ritrovò a sorridere anche lui come un beota, e dunque se ne tornò indietro del tutto sfogato e calmato. Come non fosse mai accaduto nulla. In un lampo, tutte le sue recriminazioni furono dimenticate, cancellate.

Approfittai del momento per passare difilato anche io. Nei dintorni sembrava essere scoppiato un sussiegoso silenzio. E tornai ad ascoltare il cinguettio degli uccelli.