Ninetto e il giuoco del calcio

La scuola di Ninetto poteva contare su un ampio giardino in cui tutti i bambini giocavano all’aperto trascorrendo amabilmente le pause di studio e la ricreazione. Lì, i pargoli si radunavano spontaneamente in squadre e praticavano attività sportiva, in prevalenza il calcio – anzi, “il pallone” – perché a casa ognuno di loro era addestrato da padri beoti a tifare per una squadra e guardare sempre le partite in tv.

Alcuni bambini superpreparati conoscevano a fondo tutte le regole del pallone e per questo potevano fare anche saltuariamente l’arbitro. Così capitava che se si era dispari, piuttosto che fare le squadre squilibrate – in tal caso magari si sarebbero accorpati più bambini bravi in quella con meno elementi, mentre si sarebbero messe le pippe nell’altra squadra più numerosa – talvolta si optasse per il sacrificio di uno di loro, il quale, ergendosi sopra tutti, diventava per l’appunto un arbitro. Eppure, quel ruolo, non era granché ambito e in genere c’erano pochi bambini che lo volevano fare. Per primo perché era molto più bello correre dietro la palla partecipando attivamente alla partita piuttosto che starsela solo a guardare.

Talvolta i bambini arbitri erano anche particolarmente non dotati per lo sport e, a causa della loro incapacità, preferivano togliersi dalla tenzone per non prendersi le severe reprimende di quelli che invece sapevano giocare bene, i quali si sentivano in diritto di criticare tutti coloro che ritenevano loro inferiori.

Capirete, l’arbitro era un ruolo molto particolare, anche perché una volta che uno lo impersonava era soggetto a essere anche odiato quasi in modo istituzionale. Per esempio se un arbitro prendeva decisioni contrarie a una squadra e c’erano dei giocatori che pensavano che fossero sbagliate, questi glielo dicevano in malo modo. E dato che l’intento principe era quello di giocare e divertirsi, sfrenandosi al massimo, l’arbitro, seppure nella realtà avrebbe avuto quel certo potere che stiamo per dire, in quell’ambito ristretto, bambinesco, non poteva neppure ammonire o cacciare via qualcuno, se non per falli gravissimi che però avrebbero dovuto esser giudicati tali anche da tutti gli altri partecipanti alle partite.

Infine poi c’erano quelli che, esattamente come avviene nella realtà adulta, facevano gli arbitri per il potere che questo dava. Infatti poter decidere le sorti di un rigore o d’altro, inebriava già le coscienze di quei bambini che da grandi sarebbero diventati uomini sadici, o comunque sicuri malfattori in un qualche ambito.

Ninetto non avrebbe mai potuto far l’arbitro. Perché non conosceva tutte le regole e ancora non aveva capito bene come funzionava il fuorigioco. O meglio lo aveva quasi capito, sennonché poi gli avevano detto che la regola l’avevano cambiata e dunque lui non era più tanto sicuro di sapere quale fosse quella giusta. Tuttavia conosceva invece la regola dei “portieri volanti”, che voleva dire che un portiere poteva arrivare fin dove voleva con la palla, addirittura partecipare alle azioni offensive e battere le punizioni e segnare di testa, alla bisogna, o tirare da dentro o fuori l’area. Solo molti anni dopo Ninetto avrebbe compreso che in realtà, quella dei portieri volanti, era una mezza balla. Cioè che ogni portiere in una partita regolamentare poteva andare fin dove voleva: non esisteva nessuna regola che lo obbligasse a rimanere incagliato all’interno dell’aria piccola del portiere e nemmeno all’interno dell’aria di rigore.

Ninetto non avrebbe mai fatto l’arbitro, anche perché non avrebbe mai sopportato di sentirsi ringhiar contro i feroci epiteti dei bambini che non sarebbero stati d’accordo con le sue decisioni. Per questo Ninetto, che era molto timido e di indole docile, quando giocava a pallone faceva il difensore.

Ninetto non avrebbe mai fatto neppure il portiere, anche se molti di quelli che non sapevano giocare finivano per essere scarrozzati tra i pali, perché anche in quel caso lì uno si poteva prendere gli improperi degli altri bambini se non parava un tiro che poteva essere considerato “facile”. Per questo Ninetto faceva il difensore e non l’arbitro e non il portiere e non l’attaccante: perché era il ruolo in cui un pavido come lui avrebbe potuto imboscarsi più facilmente senza far arrabbiare nessuno.

Tutti i bambini più spigliati si mettevano invece lì davanti e, palla al piede, cercavano sempre di segnare i gol. Ninetto, facendo un po’ compagnia al suo portiere, se li guardava ammirandoli pensando nella sua testa: oh come è bravo Paolo, adesso se li smarca tutti e poi segna… Ma poi interveniva Luca e lui pensava: ah, pure Luca però! Che gran giocatore che è! Che tocco di palla eccezionale! Si vede che va alla scuola calcio… Poi subentrava Carlo e lui pensava: e che dire di Carlo! Che coraggio! Che azione incredibile! Sa fare pure le finte, e a dribblare è il più bravo della classe… E quando la sua classe giocava contro un’altra classe e le zolle del campo erano talmente affollate che c’erano due giocatori per ogni metro quadro, Ninetto, a vederli tutti assieme, i componenti indomiti della sua squadra, si riempiva di orgoglio e pensava che loro erano i più bravi. Per lui era un po’ come quando la nazionale giocava e allora si potevano vedere tutti i giocatori migliori unitisi assieme, anche se normalmente nella vita erano nemici, poiché di squadre diverse…

Ninetto era considerato una “pippa”. Per cui, quando si facevano le squadre, era sempre tra gli ultimi a esser scelto, anche se, e questo era motivo di grande orgoglio per lui, non era quasi mai scelto esattamente per ultimo, il che lo avrebbe considerato troppo mortificante. Solo una volta gli accadde di essere scelto per ultimo; fu quando le squadre le fecero due ragazzi a cui lui stava un po’ sulle palle. Allora, per sfotterlo, avevano fatto in maniera di tenerlo appositamente per ultimo, pur sapendo che lui non era il più scarso di tutta la classe, anzi. E per umiliarlo ancor di più, quello che se l’era tenuto aveva tentato di scambiarlo assieme a un’altra pippa della sua squadra con un giocatore della squadra avversaria. Ninetto era stato preso per un braccio come uno schiavo al mercato e sospinto verso il capitano della squadra avversaria; ma poi questi lo aveva offeso ancor di più non accettando lo scambio perché Ninetto, disse, era troppo pippa e averlo tra le sue fila gli avrebbe troppo impippito la squadra.

Tuttavia poi Ninetto gliela aveva fatta pagare cara dimostrandogli non solo che non era una pippa ma che era anche un buon difensore; e c’è n’erano davvero pochi di difensori bravi, anzi c’era solo lui, perché quelli bravi a smarcare non amavano sporcarsi le mani a stare in difesa ed erano anche meno avvezzi a marcare di quanto non lo fossero a smarcare; per cui di fatto si poteva dire che Ninetto era il solo e anche l’unico vero difensore bravo che ci fosse. Difatti Ninetto poteva essere superato in velocità solo da uno molto più veloce di lui, e a quei tempi nessun suo coetaneo era nettamente più veloce di lui; mentre superarlo con un dribbling secco era difficile perché Ninetto ti si metteva alle calcagna e non ti molava più cercando sempre di sporcarti la traiettoria della palla calciandola per metterla fuori.

Proprio in quella partita in cui era stato scelto per ultimo, Ninetto, incitato dal portiere della sua squadra che era un suo caro amico, arrivò anche a calciare direttamente in porta da metà campo (in realtà solo per evitare che qualche attaccante gli soffiasse la palla) e fece quasi gol perché il portiere avversario salvò la rete solo perché all’ultimo allungò un piede respingendola.

Per questo, presto, Ninetto si fece la fama di buon difensore e cominciò a esser considerato meno pippa delle altre pippe, perché sapeva difendere bene, anche se non c’era verso di scrostarlo dalla propria aria di rigore.

Solo in seguito Ninetto, sentendosi più sicuro di sé, si addestrò gradualmente a spostarsi più avanti per cercare di buttarsi nelle azioni che facevano venire i gol. Divenne alla fine un buon laterale (perché attaccante puro sarebbe stato troppo pretenzioso da parte sua e lui conosceva i suoi limiti). E un giorno i suoi amici gli fecero anche i complimenti per gli evidenti progressi che era riuscito a compiere, che non si sarebbero mai aspettati da lui.

Un giorno Ninetto segnò pure tre gol in una sola partita in cui invero si giocava due contro due, dunque in quei casi tutti si dovevano impegnare a far gol e non ci si poteva nascondere. Quel giorno Ninetto inaugurò una nuova usanza. Prese a segnarsi i gol che faceva sull’ultima pagina del quaderno di matematica. Così ogni tanto, tra una lezione e l’altra, apriva quella pagina inorgogliendosi a constatare che quel tale giorno aveva fatto tot gol, e quell’altro ancora di più, e quell’altro ancora aveva messo il suo record personale.

Ninetto era bravo.

ninetto

The butterfly room – La stanza delle farfalle

Una bambina un po’ trascurata dalla madre conosce un’attempata vicina di casa che sembra averla molto in simpatia. Questa signora non è contenta di come quella madre tratta la piccola, per cui cerca di farla stare il più possibile con lei.

La signora ha un hobby un po’ macabro. Colleziona farfalle, che infilza negli spilli per renderle “immortali”.

Si scoprirà che la signora è molto meno indifesa di quanto sembri e anzi non esiti a usare la violenza quando lo ritiene opportuno. Il suo passato è disseminato di una scia di omicidi…

Film cucito su misura per Barbara Steele, l’indimenticata icona degli horror del passato. Immaginando questo film in bianco e nero, vi renderete conto come in fondo non sia così distante da quei vecchi film del terrore che la vedevano protagonista.

Non malvagio.

https://www.raiplay.it/video/2016/09/The-Butterfly-Room—La-stanza-delle-farfalle-f5706787-0eb2-46a2-a28e-25cf542bd75d.html

La commessa: Come sapesse

[Nota: avevo interrotto questa storia, che si svolge praticamente solo in un supermercato, poiché trovavo stonasse troppo con la realtà odierna. Ora che ci siamo tutti abituati alle novità però può riprendere… ;-)]

Oggi, dopo tanto tempo, ho rivisto la bella commessa bionda.

A dire il vero, sembrava, a giudicare da come tutti mi guardavano, che fossi atteso. Che per tutto quel tempo altro non avessero fatto che sparlare di me, aspettando con trepidazione il mio ritorno. Così mi guardava la responsabile magra e bionda. Mi ha adocchiato il Norcino. E mi ha osservato la gentile nuova panettiera. Per fortuna non c’era la Malfida Mora: oggi non l’avrei proprio sopportata.

Quando mi sono trovato nei pressi dell’uscita ma ancora dovevo finire il giro, la bella bionda cassiera mi ha attraversato la strada. E io ho pensato che lo avesse fatto apposta per farsi notare – anche perché al ritorno quasi mi ha sfiorato il sedere. La mia parte paranoica però ha pensato che fosse andata dalla magra responsabile per dirle qualcosa su di me, cioè contro – magari sospetta possa aver rubato qualcosa?!

Poi mi sono davvero messo in fila per pagare. L’ho vista bene. Era bellissima, come delle volte può render bellissima una donna avere accanto un uomo che la scopi con regolarità.

Quando mi sono trovato incastrato alla cassa, perché c’era molta gente da servire, a un certo punto lei ha mostrato un segno di debolezza: si è messa le mani ai capelli come stesse per scoppiare a piangere per lo stress. Allora, per farla sentire meno accerchiata, mi sono recato più avanti, presso il mio carrello, e lì ho atteso fermo che altri terminassero di mettere la loro roba nelle loro sporte.

Poi uno se n’è andato e lei ha cominciato a passare il codice a barre dei prodotti che avevo preso, ed è stata come sempre rapida ed efficiente. Sembrava molto accorta rispetto quel che avevo comperato, come se da ciò avesse voluto appurare il vero stato della mia vita e con chi vivessi. Deve essersi convinta che ho un bambino, visto la gran quantità di dolciumi che ho preso stavolta – ma io li ho comprati solo per cercare di tirarmi su dopo la delusione con Zora! 😀

A un tratto si è guardata attorno smarrita. Temeva me ne fossi andato. Ma poi mi ha rintracciato, poco davanti lei, con la mia aria confortante in volto, e ha come tirato un sospiro di sollievo.

Infine mi ha comunicato la cifra e io le ho porto una banconota grande chiedendole se voleva gli spicci. Lei ha accettato. Mi sono messo gli spicci in una mano e le ho detto di servirsi, ricordandole pure di prendere quell’euro che le dovevo dalla volta precedente – una cosa di cui non ho parlato. Lei ha preso le monete facendo attenzione a non toccarmi la mano.

La mia mano aperta risulta sempre molto bella quando la si osserva. Lo avrà pensato anche lei?

Poi mi ha dato il resto interamente in banconote.

Ho messo la roba nel carrello. Quando si è trattato di salutarla, come tante volte, stavolta non l’ho fatto. Ma stranamente, se l’udito non mi ha ingannato, deve averlo fatto lei. Perché mentre me ne andavo ho sentito un ciao, che solo da lei poteva provenire.

Vedi come va? Quando non sei gentile, sono loro a esserlo. Quando lo sei tu, loro non ti cagano. Mi chiedo: ma che cosa vuole da me, se ha già il suo amore?!

blonde

Sotto pressione

Dovete sapere che a un certo punto sia Bowie che i Queen manifestarono interesse a lavorare assieme. I Queen diventavano ogni giorno più popolari, anche a livello globale, mentre Bowie era già Bowie. Ora, non ricordo esattamente la vicenda come andò (ne parla in un documentario andato in onda su Rai5 uno degli stessi componenti dei Queen) ma mi sembra che si incontrarono in uno studio di registrazione. Però, dato che sia Bowie che Freddy volevano fare le prime donne e si sentivano troppo in competizione tra loro rimanendo guardinghi e freddi, alla fine si decise di fare quella canzone assieme, sì, ma senza che Bowie e i Queen si incontrassero mai fisicamente. Ovvero Bowie registrò le sue tracce e i Queen le loro. Tra l’altro, sempre se non ricordo male, il contributo di Bowie fu fondamentale per rendere il pezzo così come è adesso. I Queen lo trovarono migliorato dal suo intervento e decisero di lasciarlo così.

Curiosità: all’inizio detestavo questo pezzo ritenendolo troppo commerciale e orecchiabile, così l’avevo cancellato dall’antologia digitale di Bowie in mio possesso. Quando però l’ho ritrovato nei dischi dei Queen, sono stato felice di riaccoglierlo. E oggi mi piace molto. 🙂

Fragilità

il cuore.

a tratti

Questi giorni

Vorrei porgergli la mia mano.

Vorrei salvarlo.

Graffia sulla pelle l’aratro.

provo momenti di profondo

se accadono nel nostro inconscio.

sarebbe troppo per chiunque

da qualche parte

eppur vere

Vorrei dirgli di chiamarmi.

sta morendo d’amore.

Fermati prima che sia troppo tardi.

Non lasciare che il suo solco

È al limite.

Vediamo cose insondabili

Siamo così fragili.

dispiacere.

Perché quel dolore che prova

il tessuto

Ci strugge il silenzio.

Qualcuno

da viver da solo.

Perché non parla?

Delle volte il silenzio assorda.

Non abbandonarsi alle malelingue.

Dubbi atroci.

È successo qualcosa?

Fermalo.

vada troppo a fondo

dove c’è il sangue

eye

Vecchi album di fotografie lasciati ingiallire (Parte II)

Poi ci sono le foto della comunione. All’epoca mi sembravano rilevanti, per questo volli mettercele. Ricordo quei giorni frenetici che precedettero la celebrazione. Probabilmente fu quello il primo vero periodo stressante che vissi. Tutti mi dicevano che sarebbe stato un giorno importante. Poi c’era anche il “ritiro” da dover fare, una specie di full immersion di Sacra Novella, con ore e ore passate all’oratorio e nella chiesa. Ci facevano pure dei quiz sulla storia narrata dalla Bibbia e i Vangeli. Io mi resi conto che… non sapevo un’acca. La tal cosa mi atterrì terrorizzandomi. Fu la prima volta in vita mia che ebbi la sensazione come di vivere un incubo da cui non potessi scappare. Chissà perché non sapevo rispondere a quasi nessuna domanda. Ma per fortuna le interrogazioni erano casuali e io la sfangai sempre. Delle volte venivano interrogati i miei vicini, ma io mai. A ognuno di noi era stato assegnato un numero, e il mio numero non uscì mai. Mentre ci furono degli sfortunati che vennero beccati due o tre volte. Per chi rispondeva bene c’era come premio una caramella. Ma c’era un ragazzino paffutello, che in seguito avrei rincontrato alle scuole medie, che era un gran dritto e, senza dare nell’occhio, si appropriava di quelle piccole leccornie rubandole lì davanti a tutti. Facendo lo gnorri, dopo il furto con destrezza, se le pappava subito per cancellare le prove. Sua sorella, che era divenuta mia amica, mi rivelò il fattaccio e allora restavamo a guardarlo entrambe sorridendo. Quando il ragazzino si accorse di essere osservato perché avevamo scoperto la sua marachella, ci guardò male, come a dirci: che volete? Non sto facendo niente! Non mi guardate sennò mi fate scoprire, e se succederà poi saranno botte. Ne sarebbe stato capace. Il furfantello era un attaccabrighe.

Nelle foto della comunione compare anche il mio migliore amico, con il quale eravamo inseparabili. All’epoca lui sentiva di avere una grande stima di se stesso, ed effettivamente nelle foto questo fatto emerge stentoreo. Sembra un Apollo, incredibilmente bello, con quegli occhi tra il verde e il grigio. Oggi il mio amico è molto più dimesso e non si sente più la persona più importante e felice del mondo. Ha dovuto abbassare le penne per via delle numerose scoppole prese dalla vita. Delle volte penso di avergli attaccato molta della mia insicurezza. Nelle foto compare anche un altro nostro compagno di scuola. Era un tipo molto violento che quando aggrediva qualcuno mi dava sempre la tremarella, mi paralizzava assistere alle sue crisi di brutalità. Oggi ho scoperto che è morto. L’ho letto sul giornale. Lo hanno ammazzato accoltellandolo. Da allora qualcosa dentro me non trova pace. Perché sapevo che sarebbe andata così e non ho mai fatto niente per cambiare le cose. Ricordo che una volta, quando facevamo le Elementari, stavamo parlando di cosa avremmo fatto da grandi. Tutti favoleggiavamo e ci facevamo fantasie su noi stessi e gli altri bambini. Ma quando dovetti pensare a lui, fu come se delle scure nubi si addensassero sul suo destino. Non percepivo il suo futuro, o perlomeno non vedevo un futuro normale. Ero certa che sarebbe finito in galera, o ammazzato, perché era un tipo che non si sottraeva mai alla lotta. Non l’avevo mai visto arretrare una volta in vita sua. Comunque avevo ragione in entrambi i casi: è stato in galera e poi lo hanno pure accoppato. Ho provato a scrivere qualcosa su di lui, la sua storia, anche per riabilitarlo. Ma non ci sono riuscita perché nella sua vicenda c’è solo violenza. E non sono capace di scrivere una storia così cupa senza rischiare una depressione incipiente.

Poi ci sono le foto di carnevale. Da piccola mi vestivo sempre o da strega oppure, quando divenni più grande, da principessa. Ricordo l’orgoglio del vestito da principessa, ricordo come mi sentissi bella e femminile. Invece quel ragazzo che oggi è morto ricordo che fu l’unico, l’ultimo anno delle Elementari, ad avere il coraggio a vestirsi da donna. Nessuno lo avrebbe fatto, per non essere scambiato per un invertito o lesbica. Lui invece, che avrebbe spezzato le ossa a tutti coloro avessero insinuato qualcosa in merito, poteva permetterselo. E ricordo che nessuno osò fargli una battuta del genere. Neppure uno. Un giorno capitai con lui in bagno. Mi fece vedere il suo cazzino. Lui già si faceva le pippine, al contrario di me che non mi ero mai minimamente sfiorata. Penso che gli piacessi. E avrebbe pure potuto farmisi se in qualche maniera non avesse nutrito una qualche forma di rispetto per me.

Altre foto… Le foto del mare, di quando andammo nel sud del paese. Ricordo bene quel viaggio che si rivelò per me molto amaro. C’era anche quella volta mia cugina, che flirtava con me… Ma poi una notte vennero dei tipi nuovi. Da allora mia cugina tenne un atteggiamento di odio sconfinato verso me. Chissà perché regalò ai nuovi venuti tutte le sue migliori blandizie, mentre a me cominciò ad odiarmi a più non posso. Quella fu la prima volta in cui mi resi conto chi fosse in realtà mia cugina e di cosa fosse capace. Fino allora non avevo mai patito un tal odio sconfinato e insensato di cui non avevo avuto nessuna colpa. Vedo quelle foto e ricordo l’angoscia di quei giorni in cui non sapevo dove andarmi a nascondere. Vedo il volto di mia cugina sorridere vigliaccamente all’obiettivo della Signora, vedo il suo sorriso falso mentre sta odiando sua cugina, cioè me… Che brutto periodo fu quello, e come sanno esser cattive le bambine….

Anche il diffidente e chiuso Signore un giorno scoprii che guardava quelle foto con nostalgia. Dunque anche lui aveva un cuore, dopotutto. Ben sepolto negli escrementi, ma ce l’aveva.

laila

Avengers: Age of Ultron

Adoro Joss Whedon. È solo merito suo se un gruppo di supereroi improbabili come i Vendicatori/Avengers – basti dire che nelle loro fila c’è Hulk, cioè un bruto ingestibile per chiunque! –, che nei fumetti hanno avuto più momenti di bassa qualità che di alta, possano essere considerati oggi un fenomeno supereroistico tra i migliori in circolazione. È bello andare a vedere un film che sai abbia scritto e diretto JW perché puoi star sicuro che perlomeno non ti annoierai, che ti piacerà e che sarà di buona qualità. Anche se – pensavo malignamente –, probabilmente, difficilmente JW potrà mai un giorno concepire un capolavoro perché lì non può arrivarci. E sapete perché? Perché lui controlla alla perfezione la trama ma è come se non si affezionasse davvero ai suoi personaggi; è come se li muovesse come un burattinaio e basta – ovviamente questa è una mia personalissima opinione non suffragata da nessuna prova certa… Ma fa niente, in fondo non ci si aspetta questo dai supereroi, no?

Mi piacerebbe tanto vederlo all’opera al cinema con gli X-Men, che tra l’altro lui conosce benissimo perché ha scritto per anni delle saghe che i fan ancora ricordano con affetto e nostalgia… Mi piacerebbe che li rilanci, dopo che sono stati all’altezza della loro fama solo, secondo me, nei loro primi due film.

La storia? Un giorno ciccia fuori un progetto super segreto dell’Hydra (una cellula nazista nel mondo Marvel) di un’intelligenza artificiale; da cui ciccia fuori questo super robot: Ultron (che in parte si modella sui pensieri di Tony Stark, Iron Man, che certo non ha una visione totalmente ottimistica del mondo). Solo che questo robot super evoluto ha concepito che l’essere umano sia il male del mondo, e vada per cui estinto – oddio, chi potrebbe dargli torto, così su due piedi?, non certo io! ;-D – per cui si scatena questa lotta tra lui e i Vendicatori. Solo che Ultron può replicarsi quasi all’infinito, anche servendosi di internet. Inoltre il suddetto ha in mente di potenziarsi un pochino nel corpo utilizzando il materiale “più duro al mondo” – e il vecchio Logan/Wolvie saprebbe bene quale sia perché ce lo ha impiantato nelle ossa! –, in maniera da diventare quasi indistruttibile!

JW si mostra abile a gestire oltre che l’azione principale, in cui prevalgano i temi supereroistici, anche i singoli personaggi e le interazioni tra loro, con le sottotrame che arricchiscono la storia a più riprese.

Alcune scene rimangono nella memoria: come quando alla fine Hulk, che si trova su un aereo invisibile, si sta dirigendo da qualche parte nel mondo; allora la Vedova Nera, che invece è sull’astronave dello Shield, gli dice di togliere il dispositivo di mascheramento così che lei lo possa vedere per riportarlo da lei. Ma Hulk-Banner, che non vuole più vederla perché sente di essere inadatto ad avere una relazione sentimentale con lei, chiude la comunicazione senza compiere l’azione che lei gli ha chiesto, e lei ci rimane di merda e capisce che forse non lo vedrà più…

Ormai i rimandi ad avvenimenti passati si fanno numerosi, e solo chi non si è perso neppure un capitolo della sega… pardon saga… e li conosce nel dettaglio capisce le citazioni o i discorsi che si rifanno a quegli episodi precedenti; però la storia è godibile anche se ogni tanto si perde qua o là il significato di qualche battuta, potenza di JW.

Gli usuali film d’azione mi avevano stancato da tempo. Ben vengano quindi i film dei supereroi, che considero una loro mutazione, migliorata. 🙂

PS: a dire il vero devo ancora vedere i due capitoli successivi della loro epopea cinematografica, ma me li aspetto buoni.

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