A lezione di Matematica non ci avevo capito un’acca! Un po’ perché quella tipologia di Matematica somigliava più all’Astrofisica che all’Aritmetica, e mi risultava dunque del tutto indigesta. Un po’ perché la mia pigrizia mentale rifiutava di apprendere dei nuovi concetti con i ritmi che gli altri volevano impormi. Infine c’è da dire che il metodo della professoressa, confessiamocelo, non era certo consono.
Fattostà che, quand’essa annunciò che avrebbe scelto qualcuno per mettere in pratica quella lezione non ancora assimilata, tremai di paura immaginandomi che venissi selezionato. Ma per fortuna invece fu scelto lui.
Era un ragazzetto biondo, basso, piccoletto, con gli occhi azzurri, con un naso un po’ gobbo il quale gli era già valso il soprannome di uomo tacchino da parte di un’altra compagna di classe che non ci metteva molto a emendare le sue sentenze secche.
L’uomo tacchino si recò alla lavagna ostentando fiducia. Raccolse in mano il gesso come fosse un comune sassolino la cui utilità gli fosse integralmente estranea. La professoressa assegnò l’esercizio e lui s’intoppò subito. Allora la sferzante insegnante andò in bestia e, vedendo che nonostante i suoi pungoli l’uomo tacchino non sapeva dove metter le mani, si convinse a mandarlo a posto apostrofandolo come da suo solito come un incapace (quella donna non era affatto beneducata!).
Così l’uomo tacchino, che fino allora si era confuso tra di noi, sembrando esattamente come noi, rivelò al mondo che era un emerito imbecille. Adesso era palese e nessuno lo avrebbe più dimenticato. Ciononostante io non volli cogliere il significato lampante di quella verità e preferii esultare perché secondo me, quel suo fallimento, implicava che la professoressa non fosse stata sufficientemente brava nella spiegazione (e ciò scagionava di rimando pure la mia impreparazione)…
Col tempo conobbi meglio l’uomo tacchino. Scoprii che era politicamente orientato esattamente come me. Questo fu un altro fattore che me lo fece credere molto migliore di quel che non fosse, che mi ritardò la corretta visione di chi fosse realmente il tipo. Ma a ben vedere, oggi posso tranquillamente affermare che personaggi come l’uomo tacchino non ha importanza per quale partito votino e per quali colori tengano, perché saranno sempre quei pusillanimi, ipocriti che rigurgitano la loro merda sulle persone perbene…
L’uomo tacchino era comunque piuttosto simpatico, questo glielo concedo. Difatti, quando si discorreva con lui, era facile che si finisse a fare battute e a motteggiare di un argomento come di un altro. Poi, il fatto che fosse dotato di quella vocettina nasale (la quale sembrava derivata direttamente da un sassofono), lo rendeva ancora più buffo e faceto.
Lo vedevo così l’uomo tacchino: un simpatico incolto che aveva come sua dote principale quella di sparare corbellerie a profusione. Ma in verità, dopo qualche mese, scoprii che almeno su certe questioni non era affatto sprovveduto come sembrava e anzi poteva evidenziarsi come molto pericoloso (ma non per quelli del mio “genere”).
Un giorno una compagna di classe si presentò a scuola stringendo in mano un fazzoletto di carta. Piangeva a dirotto. Quando le chiesi cosa aveva non mi rispose e io non capii il motivo del suo riservo. In breve continuò a piangere quasi ininterrottamente per svariati giorni. Ogni tanto, vedendola con il cuore in pena, non potevo esimermi dall’andare da lei per tentare di farla aprire. Ma lei niente. Non schiodava una parola. Solo verso la fine della sua crisi, quando cominciò a controllare meglio le lacrime, mi elargì una risposta del tipo: «Ti ringrazio del tuo interessamento… Ma è una cosa per la quale non puoi fare niente. Quindi è inutile che mi chiedi se mi puoi aiutare»… Due parole su questa tipa. Anche lei non era una che brillava proprio per acume, come l’uomo tacchino; e anche a lei però piaceva ridere ogni volta che poteva.
Di lì a poco quel che dapprima pareva indicibile venne bellamente scoperto, e anche i professori furono informati del segreto motivo per il quale la mia compagna aveva pianto tutte quelle lacrime: c’era lo zampino del vile uomo tacchino! Lui, senza che nessuno se ne fosse accorto, l’aveva sedotta (chissà da quanto andava avanti quella loro storia condotta nell’ombra!) per poi lasciarla subitamente perché, così parve, lei non possedeva la giusta commistione tra bellezza e personalità che lui ricercava in una donna, ovvero non se la sentiva di impegnarsi con lei in una seria storia di fidanzamento.
Eppure lei era oggettivamente meglio di lui! Anche se solo un’ingenua come lei avrebbe potuto farsi trattare a quel modo dall’uomo tacchino; solo lei avrebbe potuto accordargli così tanto credito fino a innamorarsene; solo lei avrebbe potuto vedere in quel mezzo omuncolo un piacente adone-apollo, perfetto vessillo di virilità sulla terra!
Quando parlavamo di voti e delle nostre speranze di promozione, l’uomo tacchino ci diceva che in realtà a lui quella scuola non interessava granché perché sperava di entrare un giorno nelle forze armate dove, diceva, c’era un suo influente parente che avrebbe potuto “dargli una mano”. E sembrava che fino ad allora però quel parente ancora non fosse intervenuto, o gli avesse dato l’esatta sicurezza che un dì lo avrebbe accluso con lui…
Come detto, l’uomo tacchino non andava molto bene a scuola e fu inevitabile che venne bocciato col botto, cioè non ebbe mai una sola chance di passare profittevolmente l’anno. Non ci capiva nulla in Matematica ma neppure nelle altre materie più consuete, come Italiano e Storia. Era carente in tutto e ancor oggi non mi spiego come avesse potuto giungere là dove lo conobbi…
Allorché l’uomo tacchino venne bocciato cambiò scuola. Io invece venni promosso e non lo vidi più…
Passarono forse due o tre anni. Era un giorno caldo e io tornavo a casa dall’università dopo una giornata come tante. Lo vidi a un tratto nei pressi delle scale mobili. Sì, era proprio lui: l’uomo tacchino. Ma c’era un particolare che risaltava subito all’occhio e che non potei non notare: era in divisa da carabiniere! Eravamo a pochi metri, seppure c’era molta gente tra di noi. Lo avevo riconosciuto e anche lui mi riconobbe nonostante avessi cominciato a portare i capelli molto lunghi.
La cosa che mi colpì maggiormente fu il suo sguardo orgoglioso. Sapeva che lo fissavo stupito e ne gioiva: il suo sogno di avere il posto fisso, essere rispettato (o meglio temuto), con la possibilità di dover rispondere solo ai suoi superiori… si era avverato.
L’uomo tacchino si portò una mano alla fondina nel cinturone. Quella pistola, visto il corpicino esile che si ritrovava, sembrava enorme. Così mi rammentai di quella volta che ci aveva detto quella sua fantasia erotica, di minacciare una donna con la pistola, per farsi fare un lavoretto orale… Ne sarebbe stato realmente capace? Chissà… Adesso, avendone avuto davvero l’intenzione, avrebbe potuto farlo sul serio…
Quella divisa dei carabinieri (su di lui) rinverdiva in un sol colpo le numerose barzellette che giravano su tale corpo. Solo i carabinieri avrebbero potuto prendere un tipo come lui, pensai. In seguito avrei conosciuto qualche carabiniere molto bravo e preparato che mi avrebbe infranto quel luogo comune. Ma allora per me c’era solo il riscontro dell’uomo tacchino…
Quando la scala mobile ci portò su, feci in modo di non superarlo. Non volevo che incrociandolo si vantasse con me per aver ottenuto quel posto sicuramente immeritato, o che mi facesse una scenata con la pistola. Già me lo vedevo, quell’idiota, che si sfilava il cannone dalla fondina e mi intimava, procurando imbarazzo e apprensione tra tutti gli altri passanti: «Documenti, capellone!».