{Questo racconto di Nemesis è parzialmente ispirato all’omonima canzone di Morgan, che amo molto.}
1. Però
Nemesis si svegliò. Non aveva dormito bene. Ancora assonnato, guardò l’orologio. La solita ora. Allora perché si sentiva così stanco? Ebbe la netta sensazione di aver sognato qualcosa di molto probante: tanto importante quanto spossante. Qualcosa di fondamentale che sarebbe stato meglio ricordare. Che era un vero peccato non ricordasse.
Nemesis si interrogò sull’improrogabilità del suo stupido lavoro. Perché doveva recarvisi se non lo desiderava? Perché doveva opprimersi tutte quelle ore, versare il suo miglior sangue quasi ogni giorno, solo per rimanere in vita? Quella era la sua tangente per la sopravvivenza. D’altronde così lo avrebbero lasciato stare. E lui sarebbe stato libero di essere sé stesso, quando non lavorava – se non era troppo svuotato per esserlo. Però, anche messa così, la storia non lo convinceva. Lo stavano fregando, giorno dopo giorno un poco di più: la sua giovinezza gli sfioriva accanto alla stessa maniera in cui i capelli di un uomo cadono poiché diviene calvo.
2. Cosa vuol dire…?
A lavoro Nemesis ricevette un’email segnalata come URGENTE. Era molto confusa e proveniva dal capo dei capi, Mister Pera. Ciò era molto insolito. Molto insolito che quel precisone cacacazzi di Mister Pera gli avesse spedito quell’obbrobrio illeggibile. Ma la cosa davvero brutta era che non si capiva minimamente a cosa si riferisse. Mister Pera, che, prima di partire per la vacanza gli aveva evidentemente spedito quell’email all’ultimo momento, accennava a una certa questione alla quale si riferiva solamente con un enigmatico “VEDI SOPRA”. Solo che sopra (e anche sotto!) non c’era nulla. Niente di niente. Non comparivano allegati, risposte, inoltri di sorta.
Vaffanculo, pensò Nemesis.
Nemesis non sapeva come fare per risolvere quella pratica davvero impellente. Sembrava non ci fosse modo di venirne a capo. Provò anche a chiedere alle poche persone – Occhi di Serpente, la Nana Timida, l’Uomo Nero, ecc – che avrebbero potuto saperne qualcosa, ma nessuno poté fornirgli un indizio che lo instradasse verso la soluzione del quesito. E Nemesis pensò: però che cavolo!, poteva perdercelo un po’ più di tempo questo stronzo! E io adesso come faccio?!
3. Mi sveglio
Nemesis si svegliò nel suo letto alla solita ora. Era tutto come sempre, ma sentiva di provare come un senso di inquietudine. Però non era proprio un’inquietudine, perché il suo respiro era calmo e lui aveva riposato pacatamente quella notte. Era qualcosa di più strano. Come un prurito, nella mente o nell’anima. Nella mente o nell’anima.
Nemesis andò in bagno. Fece i suoi bisogni corporali. Si lavò. Si profumò. Si guardò allo specchio. Fu allora che il senso di inquietudine-non inquietudine gli tornò. E allora pensò che quella cosa, qualunque cosa fosse, gli nasceva dal profondo degli occhi. Dai suoi propri occhi scuri…
4. Col piede sinistro
Nemesis si svegliò. Era ancora un po’ assonnato. Uscì dal letto poggiando a terra prima il piede sinistro. Che era quello giusto. Perché dall’altro lato del letto c’era il muro. Delle volte gli accadeva di tentare di scendere dal letto dall’altra parte, e dunque di scontrarsi con la dura parete, che trovava immutabilmente lì. C’era stato un tempo, da ragazzino, in cui lui aveva dormito per l’appunto in un letto da cui si scendeva dal lato opposto.
Nemesis, ancora intorpidito, si diresse in bagno grattandosi il sedere. Nel cesso, defecò, eiaculò, orinò, tossicchiò ed espettorò. E quando si ritrovò davanti lo specchio a guardarsi la faccia pensò: però… che faccia imperscrutabile che ho… Non si capisce se sono felice o infelice, soddisfatto o insoddisfatto, depresso o acceso… Non si capisce se sono la persona più calma del mondo o il pazzo più scatenato che mai abbia calcato la sua terra.
5. Quello giusto
Dalla località di vacanza in cui si trovava, Mister Pera gli aveva spedito una nuova email; però curiosamente aveva ignorato quella di Nemesis in cui questi gli chiedeva spiegazioni circa quel lavoro indilazionabile di cui gli era stato solo accennato in precedenza. Nella nuova email Mister Pera era molto sbrigativo: dichiarava che là era una pacchia, prendeva sempre il sole, beveva drink sulla spiaggia e in giro c’era un mucchio di bella gente di prima qualità. Poi sul finale gli rammentava quel compito che gli aveva assegnato, e allora lo responsabilizzava assai dicendogli:
So che sei quello giusto per risolvere questa faccenda così delicata, Nemesis. Non fare che mi deludi. Ma tanto so che non lo farai.
Nondimeno Nemesis non aveva la minima idea di cosa dovesse risolvergli!, per cui non aveva nemmeno iniziato a metter mano a quella questione.
Dopo aver letto quella missiva, Nemesis deglutì. Subito dopo diede le sue dimissioni irrevocabili dal lavoro. A ogni modo, dato che quello era un periodo particolarmente vacanziero in ufficio, quelle dimissioni sarebbero state note solo la prossima settimana, cioè nessuno si sarebbe fattivamente accorto che Nemesis non c’era più. Questo in realtà lasciava aperto uno spiraglio circa la sua decisione: teoricamente avrebbe fatto a tempo a tornare a lavoro e ritirarle come non le avesse mai date.
6. Oggi
Nemesis si svegliò alla solita ora. Un senso di angoscia profonda lo colse. Devo andare a lavoro!, si disse. Ma poi ragionò… No, non ci doveva più andare: perché aveva dato le dimissioni. Niente più impasse per quella vita lavorativa. Non devo più averne, si ripeté per imparare la nuova lezione.
Aveva tutto il tempo di fare quel che voleva. E non era per nulla intenzionato a tornare indietro o a trovarsi un altro lavoro simile. Non aveva alcun rimpianto circa il suo gesto. Anche se poi Nemesis quella decisione l’aveva presa piuttosto semplicemente, senza pensare alle conseguenze. Lo aveva fatto pensando che fosse l’unica cosa giusta da fare per… forse per stare bene. Per tornare a stare bene. Ma questo lui ancora non lo sapeva. Non sapeva cosa stava facendo. E non sapeva cosa avrebbe fatto da lì in poi, senza più quel lavoro opprimente e inutile a cui dedicarsi assiduamente. Come avrebbe impiegato tutte le sue giornate?
Aveva delle cose da scrivere nel suo diario…
7. Ho messo la giacca
Nemesis aprì l’armadio delle giacche. Voleva sceglierne una che manifestasse il suo cambiamento. In quel mentre ricevette una telefona. Una strana voce di donna cercava qualcuno che non era lui. Lui aveva risposto con voce gentile e serena, e quella gli aveva chiesto se c’era un certo Nessim. Solo che la voce della donna era più “caricata” del dovuto – avrebbe pensato in seguito Nemesis quando ci avrebbe rimuginato su a mente fredda. Dunque la donna, una volta saputo che non ci fosse nessuno che corrispondesse a quel nome – chissà perché Nemesis glielo aveva comunicato con voce abbattuta e balbettante, come gli fosse dispiaciuto che non avesse chiamato per lui –, aveva velocemente messo giù. Così Nemesis poté tornare nei pressi dell’armadio e scegliersi la giacca nera, che era sempre stata la sua preferita, che era da un po’ che non indossava più.
8. Dell’anno scorso
Adesso Nemesis era tutto bello e lavato. Indossava la sua giacca nera. La sua preferita. Quella giacca che era da circa un anno che non indossava più. Nemesis se ne chiese il motivo. Perché non indossavo più questa giacca se mi piaceva tanto, se mi è sempre piaciuta tanto? Il suo cervello rispose alla sua interpellanza andandogli ad aprire quel cassettino della memoria con la risposta giusta. Era per via di una ragazza, la ragazza… la ragazza del… la ragazza dal b… la ragazza dal be… la ragazza dal bel… la ragazza dal bel s… la ragazza dal bel sorriso. Ci era arrivato. Ma quel ricordo gli era come giunto sotto forma di flash ripetuti, progressivamente più intensi, ognuno con il suo contenuto informativo maggiorato rispetto al precedente. Ognuno che gettava una luce più forte del precedente. Quel suo ricordo sembrava in parte rovinato, come una vecchia videocassetta con il nastro che si stava smagnetizzando. Dunque, se lui davvero voleva andare a fondo a quella vicenda, doveva farlo subito, prima che quel ricordo svanisse, facendosi sempre più flebile e irriconoscibile. Per sempre confuso. Nemesis decise di rimettere quel ricordo esattamente dove lo aveva trovato.
9. Che così
Ora Nemesis non sapeva che fare. Non sapeva dove andare. Non sapeva chi vedere. Non sapeva se voleva vedere qualcuno. Si affacciò alla finestra. Che faccio adesso?, pensò: guardo di sotto o mi ci butto? Nessuna delle due.
Tornò dentro. Solo per decidere che non doveva però rimanere in casa. Prenderò un po’ d’aria!, pensò Nemesis; l’aria mi farà bene, mi schiarirà la testa circa quello che voglio fare. Seppur, il suo, non era tanto un “voglio fare”, ma un “devo fare”. Era guidato da un’impellenza naturale, più che dalla propria volontà.
10. Mi riconosco
Per la strada Nemesis incrociava gente perlopiù presa dalle loro sciocche faccende. Chi andava a lavorare, chi a fare la spesa, chi si spostava per un viaggio. Sembravano tutti così indaffarati dalle loro cose che quasi non lo vedevano. Tanto che lui stesso si chiese se non fosse diventato invisibile. Ma certamente non era così. E Nemesis se ne accorgeva quando qualcuno talvolta alzava lo sguardo dai propri piedi e quasi si scontrava di malavoglia nei suoi occhi, i quali, quel giorno, invece guardavano e cercavano sempre gli occhi della gente apertamente, molto più di come faceva di solito, molto più sfacciatamente forse di come si soleva fare.
La reazione della gente allora, di fronte a quel contatto visivo, considerato da tutti troppo impegnativo, era sempre la stessa: abbassavano lo sguardo impegnandosi a non rialzarlo, ancora meglio di prima.