Cicale

Di solito la mattina mi sveglio all’alba. Posso così vivere in pieno il momento in cui la notte diventa giorno. È circa a quell’ora che le cicale cominciano a cantare per alcuni minuti, molto intensamente, tutte assieme, per smettere incredibilmente sempre tutte nello stesso momento. Solitamente posso ascoltare anche gli uccelli che cantano, chissà poi come mai, dato che nelle immediate vicinanze non ci sono alberi…

Stamane però è successo qualcosa di piuttosto strano e insolito. Per prima cosa mi sono svegliato un po’ dopo, come avessi dormito più pesantemente. Ma poi, sopratutto, ho udito una sola cicala solitaria cantare. Si sentiva benissimo che fosse sola.

La cicala ha cominciato un po’ titubante. Poi ha smesso abbastanza presto. Poi ha ricominciato, come a non volersi arrendere, come a tentare di richiamare ancora una volta le sue compagne. Tuttavia non ha ricevuto alcuna risposta. Per qualche motivo, da un giorno all’altro, è rimasta sola.

Per quanto riguarda gli uccelli, non ne ho sentito neppure uno cinguettare vicino le mie finestre. Mi chiedo quale sciagura stia arrivando.

cicala

Morgan (film)

Film di fantascienza che deve molto al cospicuo lascito di Asimov (e le sue leggi della robotica), per non parlare di Dick (e il suo test-interrogatorio per far emergere le propensioni di un automa).

Morgan ha l’aspetto di una ragazza. Ma è un’entità vivente nuova, frutto di innesti tecnologici in tessuti organici. Non è umana ma ha un corpo vivente. Un giorno aggredisce una persona che compone il gruppo di scienziati che la stanno sviluppando. Allora viene rinchiusa per evitare che combini altri guai. L’azienda che ne detiene il brevetto manda un ispettore (donna) per stabilire se sia il caso di terminarla, a cui affiancherà anche un professore incaricato di stanare suoi eventuali squilibri emotivi…

La storia non sarebbe male. Però la maniera in cui è girato il film – troppo meccanica e fredda – e come si svolgono le vicende lo depotenziano. Avesse avuto un regista migliore sicuramente se ne sarebbe giovato.

morgan

Fey

«Sai, stanotte ti ho pensata, saponetta.»

«È stato un bel pensiero?», mi dice subito incuriosita.

«Certo, come sempre. Solo bei pensieri con te. <3»

Poi mi passa per la mente quella cosa. Lei capisce. Le si appanna leggermente lo sguardo.

«In ogni caso, sai che ti amo», mi affretto ad aggiungere.

«Sì, sì, questo lo so», dice raccolta.

Così va meglio.

«Sei arrabbiata con me?», dico con sottile ironia, cambiando argomento.

«Per quella cosa? Che ho intuito, ma ancora non compreso?»

«Sì, per quella.»

«No, dai. Non so. O almeno non ancora. Forse dovrei?», chiede.

«Assolutamente no! La devi vedere per quel che è… Un omaggio a te! <3»

Sorride. Che bello vederla sorridere.

«Le parole…», riprendo, «Le parole non devi prenderle alla lettera… Cioè, se ti offendono, se hai l’impressione che quella canzone sporchi il nostro rapporto… È la musica che in questo caso conta di più! Da quando te l’ho dedicata, sai, mi rintrona nella testa! Ed è un’eco bellissima! Questo è rock, bambina! ;-)»

«Ah! Mi piace quella musica! D’accordo, non mi arrabbierò. :-*», dice con la sua voce da ragazza che sta diventando donna, mentre lei donna lo sarebbe già, giovane ma pur sempre donna.

«Senti come sale prima del ritornello? Senti il basso che pompa poi?»

«Certo quelle parole però…», dice maliziosa per prendermi in giro.

«Lascia stare, pensa a quello che provo per te!»

«Lo penso. Mi va bene. Ne sono contenta. :-)»

«E poi quelle parole (audaci)… Potresti prenderle come un complimento, non credi?», oso.

«Umm, ci devo pensare», fa la furbetta possibilista.

«Ti racconto una storia…»

«Sì! Dai!», si esalta.

«Tanto tempo fa… Conobbi una bella bambina…», comincio.

«È autobiografica? Non sono io sotto forma di metafora, quella bambina?», chiede.

«No, non sei tu stavolta. E si tratta di una bambina vera. È una storia vera… Questa bambina era molto sensibile. Aveva avuto un’infanzia non bella. Senza il padre. E, peggio ancora, la madre l’aveva come ripudiata.»

«Perché l’aveva ripudiata, poverina?», è subito dalla sua parte.

«Penso a causa del padre. Lo odiava talmente tanto che, considerando la figlia una diretta propagazione di esso, ricusava pure lei.»

«Che ingiustizia…», si intristisce immedesimandosi col dolore della bambina.

«Però questa ragazzina era davvero speciale. Per certi versi sembrava più grande. Con lei si poteva parlare in tranquillità, quasi di tutto. E lei voleva parlare con gli adulti, oltre che con i ragazzini della sua età. E c’era moltissima empatia tra noi…»

«Quanti anni aveva?»

«All’incirca dodici. Compì gli anni proprio nel periodo che la frequentavo.»

«E le facesti qualche regalo?»

«A dire il vero no. Non ci pensai proprio. Forse perché lei me lo disse con noncuranza che era il suo compleanno, quel giorno. A ripensarci avrei potuto inventarmi qualcosa, uno come me… Comunque era una bambina davvero speciale. Le volevo molto bene… Un giorno però dovetti smettere di vederla.»

«Per quale motivo?»

«Diciamo questioni di lavoro. E il mio rammarico fu che non potei dirle addio come si deve. Avrei potuto farle una chiamata. Ma per pudore non lo feci.»

«Lo rimpiansi in seguito?»

«Moltissimo. E quando provai a contattarla non ci riuscii. Aveva cambiato numero!»

«Ohh. Che disdetta. Delle volte non siamo preparati ad affrontare alcune cose e allora non facciamo niente, e poi la paghiamo. Pensi che lo avesse fatto per colpa tua, di cambiare numero?»

«Può anche essere. Oddio spero proprio di no. Se fosse così vorrebbe dire che rimase enormemente delusa da me… Insomma, io negli anni ho continuato a cercarla, con sempre maggiore ostinazione. Alcune volte sono anche stato fortemente tentato di recarmi nuovamente nella zona dove abitava a farmi un giro, o addirittura chiedere in giro. Ma non sono mai arrivato a tanto. Poi un giorno… un giorno – è incredibile – mi rendo conto che una certa ragazza che compare spesso in tv… potrebbe essere lei! E non me n’ero mai accorto!»

«Come?! Non te n’eri mai accorto?»

«Il nome è lo stesso. L’età che deve avere adesso pure. Il giorno del compleanno cadeva nello stesso periodo di questa ragazza della tv. E anche il cognome, che non ricordavo con nitidezza, potrebbe essere quello, me ne sono convinto!»

«Quindi pensi di averla ritrovata… Ma sei sicuro che sia lei?»

«No. Però in alcuni momenti ne sono quasi certo, al novanta per cento.»

«E negli altri?»

«Negli altri casi al cinquanta per cento, se devo vedere la faccenda in maniera oggettiva non drogandola dalle mie speranze…»

«E come mai prima non l’avevi riconosciuta, sempre se è lei?»

«Perché è molto cambiata! La voce proprio è diversa. Figurati, prima aveva una vocetta tenue tenue… Adesso la sua voce è un po’ nasale… Era una bambina piatta; adesso è una ragazza con le curve, con un trucco molto pronunciato sul viso. Però mi sembra che quegli occhi scuri siano proprio i suoi… Questo mi fa ben sperare…»

«E adesso che farai? La contatterai?»

«Le ho scritto. 🙂 Potere dei social!, che oggi permettono di fare cose un tempo impensabili.»

«E lei? Ti ha risposto?»

«No. Lei neppure ha letto il messaggio, purtroppo. 😦 Potrebbe anche non leggerlo mai, perché quel profilo non lo aggiorna da un anno…»

«Capito. Finita la storia?»

«Sì. Finita. Ti è piaciuta? Ti ha regalato delle suggestioni?»

«Sì. Entrambe le cose. :-)»

«Adesso ti racconto subito un’altra storia. È la tua storia, la vuoi sentire?»

«Solo se è bella, e togli le parti brutte.»

«Le tolgo il più possibile, te lo prometto. C’era una volta una bellissima ragazza…»

«Non esagerare…», si schernisce.

«Per me sei bellissima, dentro e fuori.»

«Ma se…»

«Zitta. La storia è mia e qui comando io. Fatti una storia tua, se vuoi, ma qui la storia la decido io!», faccio il finto prepotente.

«Okay. Allora sono bellissima… :-)))», si gasa.

«Questa bellissima ragazza era molto intelligente…»

«Eh-eh! Intelligente, sono… Molto!», sghignazza.

«…Aveva un’intelligenza vispa. Con lei era uno scambio continuo…»

«Perché era intelligente o perché era in sintonia con te?»

«Entrambe le cose.»

«Come la bambina che conoscesti…»

«Proprio. Dunque era bellissima, molto sveglia, e anche molto sensibile, forse la più sensibile di tutte.»

Rimane in silenzio come pietrificata. Cerca di bloccare le emozioni, quel profluvio di emozioni che scaturirebbero se lei non vi ponesse un freno.

«Così sensibile che io… che io avevo paura a toccarla. Avevo paura che stringendola forte avrei potuto farle del male, a lei che era così sensibile. Così non potevo stringerla a me quanto invece avrei voluto. Ma solo per evitare di farle del male… Lei era una ragazza farfalla. Era leggerissima, minutissima, delicatissima, e con due grandi ali variopinte. Bellissime, con le quali poteva volarsene dove voleva…»

«Ma solo quando il vento non era troppo forte…», puntualizza lei, «Avrebbe potuto volare ovunque, ma non ci riusciva… Aveva paura di imbattersi nel vento cattivo che le voleva far del male…»

«Sì, solo quando il vento cattivo non era troppo forte, volava… Per questo la ragazza farfalla non andava troppo fuori. Perché, se fosse uscita quando il vento era troppo forte, sarebbe stata persa.»

Mi contempla con attenzione, come rapita. Proseguo.

«Allora se ne volava bassa, rasoterra. Insomma teneva un profilo basso. E io la volevo baciare, ma non potevo, perché lei era troppo delicata. Allora ho pensato che io non potevo baciarla però lei poteva. Quando io le porgevo il dito, lei infatti vi si posava subito e poi me lo baciava come fossi stato un fiore con del polline buonissimo da mangiare. E mentre mi baciava, muoveva le ali in quel modo particolare, che si vedeva che si era chinata e mi stava baciando. Fine.»

«Mi è piaciuta la tua favola. Sì, sono io quella farfalla! Adesso ti racconto io una storia… C’era una volta uno stregone, uno che faceva magie…»

«Stregone?»

«Sì, però non era un vecchio decrepito. Era giovane. E pure bello. Diciamo che era un mago, che è meglio, così va bene?»

«Così va bene. Ma meglio adulto. I giovani sono così poco saggi…»

«Adulto, certo, mica giovane di vent’anni. Sui quaranta.»

«Sui quaranta… Perfetto.»

«…E questo stregone-mago faceva delle magie. E anche a me ne faceva alcune, per rendermi più felice. E ci riusciva…»

Quella canzone mi suona ancora nella testa. È una canzone di gioia.

fey

Le profezie di Cassandra

Bambini urlanti al parco. La madre poco più là, incollata al telefono, quasi li ignora, come fosse normale.

I bambini non sono capaci a giocare in silenzio. Il loro passatempo è violento, irato. Mettono in scena quel che vedono e conoscono delle sciagurate famiglie d’appartenenza. Perché solo quello conoscono. E i bambini sono spugne. Assorbono ciò che hanno attorno. Se hanno la merda, assorbono la merda e rischiano fortemente di diventare merda anch’essi. Se hanno il bene, assorbono il bene e l’amore e da grandi saranno con tutta probabilità persone almeno equilibrate.

Ecco, se adesso io andassi da quella madre sciagurata e le facessi questo discorso, le dicessi che quei bambini urlano troppo per non rivelarsi tipi violenti e inadeguati da grandi, che sicuramente è colpa dell’atmosfera tesa che respirano in famiglia se sono così, che si deve intervenire urgentemente per cambiare le cose, adesso che si è ancora in tempo, sennò dopo sarà troppo tardi, se le dicessi tutto questo, lei si arrabbierebbe molto, forse mi prenderebbe per matto, in ogni caso penserebbe che non ho alcun diritto di intromettermi e dirle quelle cose, e sopratutto negherebbe con ostinazione, affermando che i suoi bambini non hanno nulla di sbagliato e semmai sono io che devo avere qualcosa di sbagliato.

Così, io so già come andranno le cose, lo so con un pauroso anticipo di decenni. Ma non posso far nulla per cambiarle perché non sarei mai creduto. Perché il mio tentativo di cambiare le cose risulterebbe troppo anomalo per quegli stolti esseri umani, la cui inciviltà conosco come le mie tasche. Loro sono ignoranti, non vedono e non vogliono vedere.

Così i bambini continuano a urlare disturbando il vicinato. E se qualcuno si infastidisce di questo, lo fa solo per il rumore e non per lo scempio che si sta perpetrando senza che nessuno faccia niente e senza che nessuno a parte me ne sia consapevole.

Io che so già tutto. Condannato a esser come Cassandra, non creduto.

bamb

Michela Murgia: L’incontro

Terzo romanzo che leggo di questa autrice e terzo libro diametralmente diverso dai precedenti che ho letto.

Se “Il mondo deve sapere” è una graffiante opera prima nata dal successo di raccontini scritti in un blog, e se “Chirù” rappresenta invece un’opera matura – sinora nettamente la proposta più interessante che ho trovato di questa autrice – sia per forma che per sostanza che aspirazioni, in “L’incontro” ci troviamo di fronte a una storiografia paesana, in cui al centro c’è sopratutto l’infanzia di tre bambini discoli. Che mi permetto di criticare dicendo che pur essendo scritta bene e non avendo nulla di sbagliato, di storie come queste, narrate in questo modo, con questi temi, ne esistono a bizzeffe. Dunque perché scrivere un libro del genere, se esistono già un’infinità di storie simili?

Certo, la Murgia dà grande prova di versatilità, però mi piacerebbe che scrivesse libri di qualità maggiore, che se uno legge capisca subito che sono scritti da lei, come non è in questo caso.

Per fare un esempio stupido: io ho realizzato da tempo la bozza di una storia con quattro bambini come protagonisti – che prima o poi pubblicherò –, ma l’ho fatto a modo mio, e dentro ci sono i miei temi, trattati alla mia maniera…

Insomma, sapendola capace di storie molto più stimolanti, non è questo che cerco da lei.

PS: e poi ammetto che mi son perso il perché di quel titolo… Boh.

incontro

Lo Stato #6

Vivere in uno Stato vuol dire che se hai una piccola azienda e contrai un modesto debito – e magari sei pure insolvente perché è lo stesso Stato che non ti paga quel che ti dovrebbe vogliono il tuo culo e ti fanno fallire.

Invece se sei un partito politico e rubi 49 milioni nessuno finisce in galera. Ti srotolano il tappeto rosso e ti offrono la possibilità di rifondere il sottratto in pratiche rate di 1 un euro, per i prossimi tot anni (fate voi il conto), magari senza interessi.

Ogni Stato ha un dna fascista, per definizione. Perché è prepotente con i deboli e zerbino coi potenti. Che per l’appunto vuol dire essere fascisti (di merda).

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Lei c’era #1

Creo storie, amo muovermi nelle pieghe della mia anima. Anche quelle che potrebbero essere maggiormente probanti, o spinose. Specialmente quelle. Specialmente dove c’è da scavare. Scoprire. portare alla luce. Far sgorgare. Spurgare.

Così, ogni donna alla quale ho voluto bene, da sempre, posso dire di averla posseduta completamente laddove il mio regno è più forte: cioè nella fantasia e nei sogni. E proprio i sogni sono spesso la prima e più rilevante fonte di ispirazione per quelle storie che mi devo sbrigare a imprimere sulla carta (diciamo pure nella memoria del portatile) prima che scompaiano o vengano coperte dalla nebbia della coscienza…

Ma c’è una donna, una singola donna, la quale ho molta difficoltà a sognare. E ci sto male perché, proprio lei in special modo, sarebbe forse fra tutte la più bella donna che ho incontrato… Qualche volta sono riuscito a sognarla e allora ne sono stato davvero felice e ho fatto una grande festa, ho brindato alla sua candida bellezza e ho rinnovato il calice della vita…

Ma oggi mi è sempre più difficile farlo e rinverdire quelle belle sensazioni di gioia che lei mi aveva alcune volte procurato. Sarà che mi è lontana, sarà per quello. Ma non credo che sia proprio per quello… Quando, nel reame onirico, tento di approcciarla, è come se si ritrovasse chiusa a doppia mandata, di fronte a me. È schermata, barricata in una fortezza inespugnabile, perfettamente preservata a tutto ciò che non vuole lasciare entrare. E lei non lascia passare praticamente nulla. È una donna che con abnegante disciplina si è sempre applicata a risultare fredda e impermeabile ai dolori della vita. Però invero delle volte ho assistito a momenti nei quali aveva perduto questo suo potere, e allora mi è apparsa pazza, al limite di un delirio rabbioso… Sarà per questo che non vuole mai lasciarsi andare – e infatti anche io gliel’ho detto che, anche se si crede molto fredda, deve essere in realtà, dentro, molto calda, bollente, di quelle che fondono tutto e per prime loro stesse, se si lasciano andare sul serio.

Dunque è per questo che si trattiene: perché ha paura delle sue sconfinate emozioni, quelle emozioni che la porterebbero ad abbracciare tutte quelle cose che la renderebbero schiava delle passioni. E lei schiava non vuole essere, neppure delle passioni della vita…

 

lei

L’amore rubato (film)

È la storia di varie donne comuni che si trovano a scontrarsi con le violenze degli uomini.

Ispirato a una storia di Dacia Maraini, purtroppo è uno di quei film di cui c’è assolutamente bisogno. Perché parla della reale condizione della donna in Italia – e altrove è anche peggio.

Facciamo finta di non sapere, di non vedere. Ficchiamo la “polvere” sotto il tappeto. Ma la nostra è e rimane una società fortemente patriarcale e maschilista.

Con Stefania Rocca.

L’amore rubato

amo

Lo Stato #5

Se licenziano un’insegnate solo perché ha gridato a dei poliziotti… allora che devono fare a quel poliziotto che ha detto “zingaro di merda” all’allenatore del Bologna calcio? E a quello che ha scagliato una donna a terra solo perché gli chiedeva spiegazioni? …Li devono impiccare?!

Magari. Solo che loro non faranno niente. Perché loro sono lo Stato, e gli altri solo comuni cittadini.

TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI. I MAIALI SONO PIÙ UGUALI DEGLI ALTRI ANIMALI”

(è una citazione tratta da “La fattoria degli animali”, che è un romanzo di Orwell. Lo specifico perché i fascisti sono molto ignoranti e sicuramente non lo conoscono, loro che non hanno letto un libro in vita loro, loro che ottengono i posti di lavoro solo con gli intrallazzi e le raccomandazioni, fascisti di merda).

buconero