Cose belle dal mondo


È vero. Solitamente i racconti che scrivo (a parte quelli umoristici) sono piuttosto tristi.

Così oggi, per rimediare almeno in parte a quella mia azione deprimente che con costanza compio ormai da anni, ho deciso di cambiare registro.

Potrei parlarvi dei veleni e dei rumori che mi giungono dalla finestra, della gente che si dà il cambio affinché ci sia sempre qualcuno che litighi, di quei suoni che sembra che stiano scannando qualcuno… Invece non lo farò. E vi dirò che, tra tante brutture, c’è una cosa che mi riempie di gioia. E cioè ascoltare delle volte la voce di una bambina piccola che sta imparando a parlare proprio in questo periodo, la quale alcune volte si intrattiene da sola cantandosi delle canzoncine che inventa al momento, che non hanno alcun senso ma sono davvero bellissime. Fa: lalalallalallalalallala-lalallallalallalalla…

Auguri, bella bambina ancora incorrotta.

🙂

C’era una volta


C’era Una Volta… C’era Una Volta… C’era Una Volta… Tanto Tempo Fa… C’era Un Tempo Di Tanto Tempo Fa… C’era Una Volta… Tanto, Tanto Tempo Fa… C’era Una Volta… Un Bambino… Tanto, Tanto Tempo Fa… C’era Una Volta… Un Regno… Tanto Tanto Tempo Fa… In Un Tempo Lontano… C’era Una Volta… Una Regina… Tanto Tempo Fa… C’era Una Volta… Tanto, Tanto Tempo Fa… C’era Una Volta… Un Tempo… C’era Una Volta… Poi Un Giorno… Non Ci Fu Più… Tanto, Tanto Tempo Fa…

 

Sogno #71b: Il clan malvagio


Sbuco in una specie di corriera affollata. Nonostante la calca, sono costretto a rimanere lì, poiché è quello il modo più veloce per andarmene. Mi siedo trafelato, sbuffando, mentre la corriera, in attesa di partire, continua a riempirsi di gente. Ma poi vedo che sale anche una ragazza piuttosto attraente con tra le dita una carta che sta facendo bruciare. Osservo nitidamente che non la spegne neppure dopo che è salita. Così, alla prima occasione che ho, dato che ho un diavolo per capello, sbotto alla maniera volgare di un popolano medio saturo d’odio e faccio notare a tutti che c’è gente che non rispetta le regole e si permette di salire sulla corriera mentre sta bruciando qualcosa. La addito pubblicamente ponendo l’accento sul pericolo che fa percorrere a tutti.

Il fatto strano è che ancora non ho percepito nell’aria quell’odioso effluvio di fumo, cioè me ne sono lamentato a prescindere poiché avevo voglia di far eruttare la mia rabbia. Lei, da seduta, mi nasconde il piccolo falò. Non so dunque se l’ha spento o meno…

In un attimo divampa la protesta negli altri passeggeri. Evidentemente, anche loro, molto stressati, non aspettavano altro per coalizzarsi contro qualcuno da aborrire. Vorrebbero quasi lapidare la ragazza. E la ragazza adesso si scusa a più non posso. In effetti scopro che, la stronza, la carta non l’aveva ancora spenta, pertanto la mia rimostranza è stata assolutamente impeccabile, come sempre! Prodigandosi in salamelecchi, riesce a fatica a calmare la moltitudine imbestialita. Sarebbe bastato un altro poco e l’avrebbero scannata…

Più tardi viene da me bisbigliando e capisco che vuole questionare. Mi guarda con occhi cattivi. Mi chiede di seguirla nell’altra carrozza. E io, stupido, ancora in preda all’ira, ci casco e la seguo già pronto a rimbrottarla con acredine, non immaginando l’imboscata nella quale mi attira. Devo ammettere che le vado dietro per via della sua avvenenza, dei suoi occhi neri ricolmi di laidi piaceri, dei suoi capelli sottili come fili tessuti da fumi neri, dei suoi seni grossi che non aspettano altro che di essere abbrancati. Dei suoi fianchi ai quali appendersi fino al deliquio…

Non sarebbe male appianare le nostre divergenze inconciliabili con puro e semplice sesso. Quale maniera migliore? E ciò sarebbe appagante sia per me che per lei… Ma una volta giunti nell’altra carrozza, non mi farò più alcuna sconcia fantasia su di essa. Scopro infatti che tutte le persone lì dentro sono, per un verso o per l’altro, suoi conoscenti o parenti. E lì lei è una specie di principessa viziata che può chiedere alla gente più prominente, cioè a suo padre, che è una specie di padrino mafioso, e al suo fidanzato, di adoperarsi per tagliare la testa di chicchessia a suo dire si sia reso colpevole di averle arrecato una grave onta…

La ragazza si dirige spedita dal genitore riferendogli la storia che io avrei tentato di aizzarle contro una folla inferocita. Il suo genitore mi viene sotto stringendomi un braccio, lasciandomi intendere che potrebbe benissimo torcermelo qualora decidesse di farlo, e senza consegnarmi spiegazioni in merito. Si percepisce che si trattiene a stento e che è assai tentato di accopparmi seduta stante celebrando appena un processo sommario. Provo vanamente a difendermi a parole mentre tutta quella gente inveisce con esagitazione e mi sovrasta verbalmente. Sto sperimentando lo stesso destino toccato alla ragazza pochi minuti prima, con la sola differenza che io ho ragione mentre lei aveva torto marcio…

Il padre non capisce le mie parole, ma sembra che non gliene importi un fico secco dopotutto, perché non vede l’ora di mettermi le mani addosso. Si fa avanti anche il fidanzato della ragazza il quale in qualche modo somiglia al padre. Anch’esso non è troppo alto e tende al grassoccio, è indubbiamente rissoso, sbraita in un linguaggio elementare (ma efficace) e non afferra le premesse. In compenso mi dice chiaramente quello che mi farebbe qualora il capo clan decidesse che me lo può fare…

Tento di farli ragionare. Riesco a prospettare fatti ineluttabili senza l’accertamento dei quali sarebbe impossibile sancire una mia condanna definitiva. La ragazza dal suo pulpito nega tutto: continua a farsi passare come quella che ha subito un abuso da parte mia. E adesso aggiunge delle bugie così inverosimili che capisco che nel suo stesso genitore ingenerano dei dubbi notevoli.

Il padre riprende in mano le redini del mio linciaggio e accetta di lasciarmi parlare per un tempo limitato. Ha annusato puzza di bruciato nelle ciarle della figlia. Non è più convinto al cento per cento della mia colpevolezza (ma non vuole dimostrarlo palesemente).

Ecco, è il mio momento: la mia sola occasione di salvarmi! Gli urlo che gli basterebbe andare nell’altra carrozza e chiedere come sono andate realmente le cose a uno qualunque dei passeggeri per appurare la verità, cioè se ho ragione io o se ha ragione la sua menzognera figliola (“menzognera” lo tengo per me).

E quella si rivela esser una strategia vincente, perché il fallace padre comincia a sbaciucchiarsi la figlia dicendole che non permetterà mai che nessuno le faccia del male, e lei lo asseconda recitando la parte della povera bambina bisognosa di affetto che non si sa difendere per via della sua innata ingenuità di fondo.

Capisco che il padre, per non smentire sua figlia, non accetterà mai di andare di là per acclarare la verità. E dunque, fingendo semplicemente di avermi intimorito a sufficienza, dà da bere agli altri di essere molto magnanimo poiché mi lascia libero di allontanarmi con le mie gambe senza fracassarmi tutte le ossa. Che grand’uomo che è! Come no!

Me ne vado alla chetichella mentre penso che sono quelle le donne che io chiamo sgualdrine. Donne miserevoli che non valgono nulla. Donne che dicono il falso. Donne che vogliono avere sempre ragione e che rivoltano sempre le frittate come conviene loro. Donne che ti manderebbero al patibolo o ti farebbero ammazzare pur di non far scoprire a tutti i loro altarini o un loro errore evidente… Le loro deprecabili anime corrotte…

 

Sogno #71a: Il santone


Un vecchio amico d’infanzia propone a me e ad Azrael di recarci con lui a una specie di convegno. Questo tipo è uno che ha sempre scopiazzato quello che fa il fratello, e anche questa volta ci dichiara con un sorriso largo come una casa che è tramite il suo consanguineo se è venuto a conoscenza di tale evento. È talmente positivo circa questo happening che non possiamo che seguirlo.

Ci inoltriamo per grigie vie al centro della città. Lo seguiamo come cani. A un certo punto imbocca delle scalette e ci introduce in un edificio che ricorda molto una caserma. Ma più ci addentriamo e più quella costruzione appare l’interno di una chiesa. Ci portiamo poi verso il basso e infine sbuchiamo in quello che sembrerebbe proprio il seminterrato di una chiesa. È molto spoglio e dimesso. Ci sono solo delle panche disposte a terrazza, come fosse uno stadio, nelle quali una decina di persone al massimo è già seduta e ascolta in silenzio le parole del convegnista.

Per qualche motivo mi aspettavo qualcosa di molto più altisonante, invece adesso mi accorgo che questa adunanza può essere paragonata a una seduta di catechismo.

Quando entriamo, ovviamente tutti ci notano. Il convegnista ci invita a prender posto anche noi e ci scusa benevolmente per il ritardo, facendocelo però notare e dunque in qualche maniera riprendendoci.

Mentre mi siedo noto che effettivamente anche il fratello del mio amico è seduto silenziosamente in prima fila. Quando gli passiamo accanto, lui quasi non ci nota, come fosse ipnotizzato dalla lezione del santone.

Appena accomodatomi, il santone convoglia mio malgrado l’attenzione su di me. Mi chiama per nome e accenna a una vecchia storia di quando ero bambino in cui non fui all’altezza delle aspettative (sia mie che di altri). Una storia che, anche se obliata, in questo momento riaffiora immutata con il suo carico di vergogna e mortificazione.

Tuttavia mantengo la calma. Ormai sono un adulto, penso tra me e me. E quel tipo non riuscirà a farmi sentire in difficoltà per cose ormai vecchissime e prescritte. Però è molto poco elegante da parte sua trattarmi a questo modo così scortese e maleducato.

Il tipo parla piano e con voce profonda. In apparenza sembrerebbe una specie di vecchio saggio superiore alla media delle persone; sennonché il contenuto delle sue parole tradisce la sua vera essenza di meschinità. Lo disprezzo. Nel frattempo finisco per essere il solo tema della sua lezione-parabola.

È così fastidioso che si riferisca a me per nome mentre io neppure so chi è lui! Eppure lo devo aver incontrato, altrimenti non sarebbe in grado di citare quegli episodi della mia vita che in pochi conoscono… Lo fisso negli occhi fino a quando il suo volto mi rivela qualcosa. Affiora un ricordo. Sì, un tempo vidi un tipo che gli somigliava. Ma era meno grasso, con più capelli e non aveva quella stopposa barba brizzolata…

Adesso ricordo… Era il supplente dell’insegnante di Religione! Ecco perché è in grado di citare quell’episodio: perché lui c’era. Però, allora, avevo finito subito per diventare il suo cocco, lo ricordo bene. Il fatto che ora mi vomiti addosso tutte quelle critiche vuol dire che avrebbe voluto ottenere da me qualcosa che non gli diedi. Qualcosa di sporco che non gli avrei mai dato anche ammesso che mi fossi reso conto che lo pretendeva.

Lui capisce che so, che rammento. I miei occhi, non solo perdono l’aria stranita di prima, ma si fanno anche sprezzanti. Perché, se lui sa chi sono io e qual è il mio passato, in cui comunque fui sempre un bravo bambino, alla stessa stregua io so chi è ed era lui, e ho appena appreso quanto lui non sia certo quello stinco di santo che vorrebbe far passare a questi idioti sbrodolanti!

Così è come se lo avvisassi: guarda che se vai avanti poi parlerò anche io su di te, e poi vediamo come te la caverai ad apparire ancora un santo quando al massimo sei solo il più miserabile dei diavoletti caduti casualmente su questa palla di fango…

Ora ha paura, l’imbelle. Mi teme. Non sopporta più il mio sguardo. Quindi lo distoglie. Sancisce una pausa di dieci minuti per fare colazione, come fossimo ancora a scuola. Da qualche parte si ode anche suonare una campanella.

Sarei intenzionato ad andarmene. D’altronde che rimango a fare in questo posto popolato da deficienti superstiziosi e omuncoli che si vantano di meriti che non hanno? Ma, nella confusione, ci alziamo tutti quanti in piedi e perdo contatto con il mio amico e Azrael.

Mi ritrovo circondato da gente che mi dà sonore pacche sulle spalle rinvangando il passato. Mi accorgo solo in quel mentre che ho intorno un nugolo di ex compagni di scuola, ora cresciuti, con tutti una caratterista in comune: erano (e sono tutt’oggi) persone manesche, o insignificanti, o deprecabili, o ignoranti, dunque persone con le quali non posso aver alcun diletto a parlare. E più passa il tempo e più questi tipi si fanno audaci e mi mettono le mani addosso: per scherzare, dicono loro. Presto mi trovo avvinghiato con tre paia di braccia e c’è chi mi tira per il collo, chi per un braccio e chi tenta di farsi largo tra le mie cosce.

Devo liberarmi prima che sia mortalmente intrappolato, come fossi tra le spire di un boa. Comincio a menare sganascioni e cazzotti diretti senza pudore, tanto loro fanno quasi altrettanto. E nessuno mi può dire che sia troppo esagitato nella maniera nella quale ho scelto di divincolarmi. In particolare, a quello che mi dà più rogne, riservo una scarica di pugni nei testicoli. Solo grazie a quello stratagemma esacerbato riesco a liberami di lui e poi di tutti gli altri in sequenza, altrimenti sarei ancora in mano loro e chissà che fine mi avrebbero assegnato. A ogni modo, il tipo si prende i pugni quasi con sportività: capendo che ho solo reagito alle sue avance, non protesta affatto.

Esco assai stizzito da quella sala ricolma di zotici, deciso a tornamene al più presto a casa. Per quanto riguarda il mio amico e Azrael, sono certo che loro non subiranno la mia stessa sorte e potranno rimanere in tranquillità fintanto che vorranno…

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Anarcolessia: Il sacrificio dei paladini


Adesso che il più era fatto, adesso che l’ardita meta era a un sol passo, Therese non si capacitava di come, quella felicità totale che ormai era dietro l’angolo (cioè un mondo giusto e il poterlo dividere con Adrian), non potesse lecitamente materializzarsi. Pareva che ci fosse un qualche zampino di ritorsione fascista in grado di rompere, in ultima istanza, le loro uova nel paniere; una specie di colpo di coda del Regime, il quale avrebbe investito i prodi paladini che pure lo avrebbero rovesciato. Pareva che tutto, nel mondo, tramasse affinché si esigesse un prezzo salatissimo che impedisse agli uomini di essere davvero felici per quanto essi potevano.