Sogno #67: Il confronto finale

Alla fine ci eravamo arrivati dunque, al confronto finale fra me e Azrael. Alla lotta fratricida all’ultimo sangue perché oramai era del tutto impazzito: la congiura l’aveva reso folle di rabbia verso tutti, in particolare verso chi gli era stato vicino…
Così quel giorno era venuto appositamente per me, per ammazzarmi, dato che secondo lui ero responsabile di colpe spropositate nei suoi riguardi… Ma io sapevo che era venuto per quello. D’altronde me l’aspettavo da tempo. Inoltre, appena vidi il suo volto spasmodico e le sue mani battagliere, capii tutto. Così lo aggredii un momento prima che lo facesse lui. Era la mia sola chance. Lui era più forte di me. E la sua pazzia lo rendeva ancora più irrefrenabile.
Lo colpii con una serie di colpi che avrebbero dovuto immediatamente demolirlo. Lo colpii ai testicoli, alle gambe, alla gola. Nei punti sensibili. Anche agli occhi. Ma quella bestia immonda sembrava un attimo battuto, ma l’attimo dopo si rialzava rifacendosi sotto bellicoso. Sembrava che sotto sotto ci godesse a farsi picchiare, sicuro che comunque non sarei mai stato in grado di spezzarlo. Allora infierivo di più. Gli affondavo i pollici negli occhi. Glieli volevo ridurre in pappa incavandoglieli per sempre dentro il cranio. Ma anche quello non serviva e mi rendevo conto che lui non voleva rimanere giù.
Mi serviva qualcosa per fracassargli davvero le ossa. Calci e pugni e mani non bastavano con lui, perché era mosso da forze oscure di spropositata potenza. Allora, mentre si metteva in ginocchio e faceva per rialzarsi per l’ennesima volta, dicevo a mia madre che mi passasse un fottuto martello… Solo spaccandogli la testa e spappolandogli la materia celebrale sotto le mie scarpe sarei stato sicuro di renderlo impotente… Ma mia madre esitava. Le sembrava che poi l’avrei ammazzato sul serio, e ciò le dispiaceva. Non capiva che ormai la lotta imponeva che solo uno di noi si salvasse… Perché Azrael non sarebbe più stato il mio irriducibile compagno nella lotta contro la congiura, perché ormai era del tutto impazzito…

Azr

Inception (film)

Ci sono delle persone che riescono a intrufolarsi nei sogni degli altri. Generalmente usano questa loro capacità per rubare informazioni. Poi però sono coinvolti in qualcosa di ancor più grosso. Dover instillare, a livello inconscio, una certa idea al figlio di un grosso industriale. Decideranno di metter in pratica questa cosa generando un sogno dentro un sogno: ma non solo una volta, due volte!, cioè un sogno dentro un sogno che sta dentro un sogno!
Avessi visto questo film un decennio fa forse lo avrei considerato un capolavoro. Oggi invece mi sembra solo un buon film, con una buona dose di fantascienza. Peccato che alla fine risulti quasi più un film d’azione che di fantascienza.
Di Caprio recita in un ruolo simile a uno già interpretato in precedenza. Anche qui è un uomo tormentato da una storia distruttiva con la moglie, morta in circostanze misteriose, e anche qui si dimostra molto devoto alla famiglia… Vi ricorda qualcosa?

Fare un sogno dentro un sogno… Ma è possibile? Ci ho riflettuto sopra…
Forse mi è successo. Credo possa capitare soprattutto con gli incubi… Cioè a un certo punto ci si rende conto che si sta sognando. Allora ci si sveglia… Solo che quel destarsi in realtà è ancora un sogno!
In questo senso, credo sia possibile fare un sogno dentro un sogno, anche se più che altro, il caso che ho appena esposto, somiglia più a due sogni attaccati… Ben più complicato sarebbe realizzare davvero un sogno dentro un sogno in cui i due sogni sono slegati l’uno dall’altro. Questo forse non è possibile…

inc

Un p2ista

C’era una volta un p2ista che scalò i vertici del potere a forza di corruzioni, intrallazzi e frodi. La sua strada si intersecò ovviamente anche con quella delle associazioni della criminalità organizzata. E lui, da bravo uomo che sapeva come si stava al mondo, allacciò legami di reciproca convenienza anche con loro. Certo, un giorno, un tale, loro ambasciatore, che lui aveva così paternamente assunto con un ruolo fittizio nella sua villa, gli mise una bomba e gliela fece scoppiare sotto il culo per dargli un certo segnale, ma lui non si offese e la prese con umorismo: pensò che quello era il modo di comunicare del malfattore (che presto tra l’altro sarebbe diventato ergastolano)…
Nulla poteva scalzarlo dal quel suo trono sempre più eminente di potere e difatti lui con gli anni divenne sempre più ricco e rispettato, seppure, a dire il vero, curiosamente, i suoi debiti superassero di gran lunga i suoi guadagni… Ma si sa che queste quisquilie non hanno mai riguardato i grandi imprenditori, ma solo quelli minori!
Però un brutto giorno il nostro eroe comprese che l’aria stava rapidamente cambiando e che per lui le cose si stavano facendo sempre più problematiche. Infatti dei magistrati cattivi avevano arrestato gran parte dei suoi agganci truffaldini, ed era ormai solo questione di tempo prima che come minimo la Guardia di Finanza gli fosse venuta a bussare alla porta (e stavolta non avrebbe potuto corromperla)…
Così decise di prendere una decisione tanto storica quanto impensabile: si diede alla politica, cioè a quella cosa sporchissima di cui non gli sarebbe mai fregato niente di niente se con quell’escamotage non avesse potuto pensare di sfangarla…
E non ci crederete ma… nessuno si accorse che lo faceva solo per non finire in galera e per fini assai personali e utilitaristici. Riuscì a essere addirittura eletto e a divenire il capo del Governo (certo non doveva essere poi un gran paese quello in cui risiedeva, se gli permisero di farlo come niente fosse)…
Così iniziò la sua ennesima vita da saltimbanco. E un giorno si alzava e diceva una cosa. Il giorno dopo diceva il contrario smentendo quello che aveva detto prima…
A un certo punto fu lasciato dalla moglie (per una trascurabile storiellina di corna anche con minorenni), così ebbe le mani più libere (così come il pene) per cominciare a darsi alla prostituzione a più non posso (ma solo come utente finale). E dato che era pure mezzo pedofilo, non disdegnò di giacere con ignare fanciulle indigenti facilmente suggestionabili e molto rispettose del potere o del denaro le quali avrebbero potuto benissimo essere sue figlie (ma lui, non essendo razzista, non le lasciava fuori dalla porta! No, lui, per via di quel grande cuore che si ritrovava, le “aiutava economicamente” permettendo loro di prostituirsi con lui, cosicché avessero potuto aiutare a loro volta le loro poverissime famiglie d’origine, come pure comprarsi i vestiti più alla moda con i quali farsi passare per gente altolocata e snob, loro che erano poco più che mignottelle da stradina di periferia, senza offesa per tale categoria)…
Ma poi cominciò a diventar vecchio: la politica lo annoiava. Inoltre qualcuno si accorse che lui, dopotutto, era solo un grande bluff. Così fu costretto a lasciare.
Da allora le cose cominciarono a peggiorare per lui, sopratutto da un punto di vista sessuale. Difatti le mignotte, non vedendolo più in televisione, lo cominciarono a considerare solo un vecchio porco di scarsa attrattiva, cioè uno che a parte pagarle profumatamente neppure potevano vagheggiare un giorno le avrebbe sistemate come soubrette o colf di lusso.
Così il vecchio corrotto si rese conto che se voleva tornare a esser rispettato dalla sue puttane doveva tornare in politica! E così fu: fece passare ancora una volta che lo faceva per il bene del Paese, non per avere più facilità di farsi le escort, che erano puttane, ma sembrava brutto ai media chiamarle puttane, allora questi signori prezzolati abituati a mangiare in mano ai potenti e a leccar loro il culo tirarono fuori dal cilindro questa bella definizione di escort, che alla gente che non masticava l’inglese sembrava una cosa fica, e pensarono che le escort fossero una specie di accompagnatrici-estetiste-igieniste orali e anali…
Ma gli anni passavano anche per lui, che ormai non ce la faceva più a pompare ettolitri di sperma dal pistolino tutti i santi giorni, nonostante le flebo di vitamine e le supposte di viagra. Così, cominciando davvero a sentirsi sulle spalle i suoi novanta anni suonati, dovette ridurre drasticamente l’attività sessuale.
I capelli non ce li aveva più da tempo. Almeno quelli suoi. Però si era fatto attaccare uno a uno dei capelli artificiali che gli davano un po’ l’effetto Big Jim. Alla sua faccia da vecchio ormai non bastavano più quintali di cerone per sembrare più arzillo. Così dovette darsi alla plastica facciale e al botox. Cercò anche di contattare l’artista che aveva realizzato il naso falso di Michael Jackson ma non ci riuscì.
Infine si mise a dieta, cominciò a fare allenamento fisico quotidiano (portava il cane in giro nel suo ampio giardino). E si sentì presto rifiorito, un po’ come quel personaggio del signore degli anelli, quel re che riprende la spada in mano e ritorna giovane. Uguale.
Certo, ormai faticava a parlare decentemente, ma quello era un tipo di demenza senile su cui non si poteva far molto. Ne parlò con i numerosi medici prezzolati che lo seguivano, che erano i migliori del paese, strappati alla sanità pubblica a forza di mazzette, fritture di pesce e champagne e puttane a volontà anche per loro. Ma essi gli dissero che non avevano ancora inventato l’elisir di eterna giovinezza. Allora al nostro eroe venne un’idea. Stanziò dei fondi (che tanto ce ne aveva a bizzeffe, di neri, da dover ripulire) per creare un grande laboratorio scientifico in cui si sarebbe dovuto lavorare in gran segreto a quel benedetto elisir. Si fece due conti e penso: devo tener duro ancora una decina d’anni; allora tutti i processi a cui sono soggetto cadranno in prescrizione; sarò ancora vivo e decentemente in salute; se gli scienziati riusciranno a scoprire l’elisir di lunga vita, me lo ciuccerò tutto e tornerò a esser lo scopatore mondiale più prestante del globo!
Per la troppa esaltazione, annunciò in mondovisione che avrebbe scoperto la cura per il cancro…

capezzol

Youth (film)

Qualcuno ha criticato questo film di Sorrentino per eccesso di manierismo. Ma io l’ho trovato soave.
Però l’avrei intitolato Old Age – cioè vecchiaia –, più che Giovinezza.
Per apprezzarlo ci si deve lasciar cullare dal suo lento ritmo, proprio della vecchiaia.
E, ovviamente, bisognerebbe vietare che qualcuno ci ficchi dentro della pubblicità perché questa non fa che distruggere completamente ogni poesia.

youth

Rise of the Triad (gioco gratuito)

Ennesimo gioco scaricabile gratuitamente in stile Doom, di circa una ventina di anni fa che, se gradite il genere, vi consiglio.
Stavolta si combatte contro una specie di Triade (mafiosa?!). Difatti i nemici dei primi quadri sono persone più o meno comuni in giacca e cravatta – che quando vi scongiureranno di non ammazzarli non esiteranno però a spararvi addosso se sarete davvero clementi con loro, dunque fateli tutti fuori senza pietà! 3:-)
All’inizio non è che mi intrigasse granché. Okay, la grafica non era male, e anche i nemici mi piacevano. Ma non so, c’era qualcosa che non mi garbava. Forse il fatto che la gente svolazzasse come se piovesse – quando saltava su una pedana rimbalzante. Poi la trovata che ci si poteva trasformare in cane mi sembrava una gran cavolata ed era come se svilisse la “serietà” del gioco…
Insomma sono andato avanti che non ero molto felice delle sensazioni che ricevevo giocandoci. Poi però, cammin facendo, mi sono divertito sempre più. E alla fine posso dire che non è il peggior gioco clone di Doom a cui ho giocato.

I nemici all’inizio sono semplici umani che sparano con le pistole. Poi incontrerete quelli che vi sparano una rete contro – e dovrete aver rimediato un coltello per poter tagliarla. Poi il nemico più temibile sarà quello con una specie di spara-razzi, che per parecchio tempo sarà il nemico più difficile da abbattere. Poi vi imbatterete in dei robot, che sono pure peggio del nemico appena detto. E ci saranno anche dei robot che non possono essere distrutti – almeno io non ci sono riuscito, però, adesso che ci penso, non ho provato a farli fuori con una certa arma speciale, cioè una mazza da baseball incantata super energetica. Poi incontrerete dei frati che vi lanceranno letali palle di energia. Anche se secondo me i nemici più letali di tutti sono i muri semoventi che vi vengono addosso, che possono schiacciarvi in pochi istanti e tanti saluti…

Non ci sono livelli di difficoltà da selezionare all’inizio del gioco. Ce n’è solo uno unico per tutti. Chiaramente, procedendo, le cose diventano più complicate. Alla fine ci sono quattro episodi che si concludono tutti dovendo ammazzare il boss finale, al settimo quadro. Fa eccezione il quarto livello, che si spinge fino al decimo quadro. E tra l’altro gli ultimi tre quadri di questo livello terminano col botto. Vi do qualche consiglio sennò potrete incagliarvici e maledire questo gioco in eterno…
Nel primo di essi, vi troverete di fronte una specie di superfrate demoniaco. Sappiate che non potrete ammazzarlo – almeno nella forma umanoide in cui questi si presenta ora. Sono stato minuti e minuti, nello status GOD, a tentare di sistemarlo per le feste, ma gli ho fatto il solletico. Poi ho visto la soluzione in un video su internet e l’ho mutuata. In questo quadro dovete limitarvi a non farvi ammazzare aspettando che lui se ne vada, aprendovi l’uscita del livello… 😉
Invece nel penultimo quadro vi lancerete all’inseguimento di questo superfrate che ha ormai assunto una forma incorporea. Anche in questo quadro non potete ammazzarlo, quindi pensate sopratutto a guardarvi dagli altri frati e completare il quadro piuttosto che gettarvi al suo folle inseguimento.
Poi c’è l’ultimo quadro, in cui davvero il gioco si diverte a darvi una gran fregatura. Non vi svelo nulla per non rovinarvi la sorpresa, dico solo che probabilmente riuscirete a sconfiggere questo superfrate demoniaco in forma incorporea, però… la sua progenie si spargerà lo stesso sulla terra e quindi voi avrete fallito la vostra missione! Così dovrete riprovare a compiere l’impresa, ma stavolta cercando di scovare e uccidere tutte le larve della creatura mostruosa!

Di trucchi ne ho usati parecchi. In primis la modalità Dio (GOD); ma anche la possibilità di volare è tornata molto utile. Mentre un paio di volte ho dovuto farmi dare tutte le chiavi per andare avanti, perché sennò stavo ancora lì a cercarle… 😉

La cosa divertente di questi giochetti sapete qual è? È che li vidi tutti giocati da un mio amico due decenni fa – io all’epoca mi limitavo a guardare, dato che non ero pratico a manovrare l’eroe né con la tastiera né con il joystick. Sopratutto, la cosa divertente è che a distanza di tanti anni mi ricordi molte scene di questi giochi, a dimostrazione che la nostra memoria non dimentica mai del tutto le cose…

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I tre anelli (favola)

C’era una volta un contadino che aveva tre belle figlie. Una bionda, la maggiore, considerata la più bella delle tre, una mora, la secondogenita, che egli considerava la più arguta e sensibile, e una rossa di capelli, che egli considerava la più combattiva.
Vivevano in un piccolo borgo, dove le opportunità di sposalizio erano assai modeste, mentre il contadino sognava che ognuna delle sue figlie trovasse un ottimo partito da sposare. Così, quando le figlie ebbero tutte l’età giusta per maritarsi, il contadino decise di propiziare la loro causa recandosi alla residenza di una vecchia strega del luogo assai influente, che qualcuno sosteneva un tempo fosse stata una fata, la quale si diceva in giro avesse il gran potere di dominare le vite degli altri apportando ricchezza o altri benefici.
La strega abitava in un castello diroccato, in completa solitudine. Quando la strega avvistò il contadino gli disse:
«Che cosa vuoi da me, contadino? Che cosa vai cercando nel mio castello?»
E il contadino rispose:
«Potente signora, ho sentito dire che lei è in grado di far doni importanti a chi chieda la sua intercessione. Così sono venuto qui umilmente a chiederle di intervenire sul futuro delle mie tre figlie, che sono tutte brave e buone e in età da marito…»
La vecchia strega comprese cosa intendesse. Allora disse:
«È vero. Mio è il potere di far doni agli esseri umani. Ma sta sempre a loro, da ultimo, decidere se accettarli o meno. E non è detto che il mio dono si riveli fonte indiscutibile di felicità. Se ti va bene tutto questo, ti renderò i miei preziosi servigi.»
«Oh, sì! Certo che mi va bene!», disse il contadino felice di non esser stato respinto, il quale era convinto che se il dono della strega fosse stato maligno si sarebbe sempre fatto a tempo a rifiutarlo cortesemente. «Che cosa vuol dunque che faccia per lei, mia signora? Che prezzo vuole che paghi per i suoi rilevanti servigi?», disse lui.
«Sei fortunato. I miei servigi per te sono gratis. Dunque ti dico solo di portarmi domani la tua prima figlia. Io le farò un dono che lei potrà rifiutare. Ma non le offrirò la possibilità di avere un altro dono da me, questo deve esser ben chiaro. Se dunque lei rifiuterà, non otterrà più niente da me», disse la strega un tempo stata fata.
«Va benissimo mia signora!», disse il contadino.
«Bene. Se hai capito, domani portami la tua prima figlia. Il giorno dopo portami la seconda, alla quale verrà proposto anche a lei un dono. Il terzo giorno portami la terza figlia, che riceverà anche lei un dono.»
«E così sia, mia signora clementissima. Domani le porterò la mia prima figlia.»
Così il giorno dopo il contadino giunse al castello con la sua prima figlia, la primogenita bionda, che egli riteneva l’essere più bello della terra e pensava meritasse un fato tanto favorevole quanto opulento.
La strega gli disse di far entrare la figlia da sola nel castello, mentre lui avrebbe atteso qualche minuto fuori.
Una volta che fu dentro, la ragazza si trovò di fronte la strega la quale aveva le fattezze di una comune vecchia. I suoi tratti somatici non erano però così percepibili, forse per via dell’ampio abito provvisto di cappuccio che ella indossava, che glieli mascheravano con le sue stoffe pesanti e le sue ombre. Dunque la giovane non poté vedere chiaramente negli occhi della strega neppure quando questa le parlò dicendole «Se vuoi, ti offro di poter scegliere tra questi tre anelli», dischiudendo una mano rachitica e ossuta nella quale rispendevano degli splendidi anelli, ed erano uno d’oro, uno d’argento e uno di ferro. «Puoi anche rifiutarli e tornartene a casa da tuo padre. In tal caso il tuo destino prestabilito non cambierà. Se invece accetterai uno di questi anelli, il tuo destino cambierà e non lo potrai più mutare. Dunque pensa bene alla tua scelta…», le disse la strega ammonendola.
Ma la ragazza, appena vide l’anello d’oro, se ne innamorò subito. Conosceva il suo valore ed era certa che l’avrebbe condotta a un futuro prospero, probabilmente di ricchezza sfacciata, se non di altro.
Allora prese quello e non volle rivedere la sua decisione neppure quando la strega, per l’ultima volta, le chiese se voleva ripensarci. Così la strega le disse di andare e che non si sarebbero più viste.
Una volta fuori dal castello la ragazza mise al corrente il genitore di quello che era avvenuto e della sua scelta. E il contadino le disse che era stata brava e aveva fatto bene a scegliere l’anello d’oro, che sarebbe stato sicura fonte di agiatezza e benessere.
Il giorno dopo il contadino portò al castello della strega la sua seconda figlia, quella mora. Essa entrò e fu sola con la strega, la quale aprì la sua mano ossuta nella quale risplendevano due anelli, uno d’argento e uno di ferro, e le disse di scegliere tra questi.
La ragazza adorava l’argento e non esitò a scegliere l’anello d’argento. La strega le chiese se era sicura. La ragazza confermò. Così la strega la licenziò dicendole di tornare dal padre e che non si sarebbero più viste.
Il padre si complimentò con la figlia mora per aver fatto quella scelta. Certo, sperava che nella proposta avesse potuto esser contemplato ancora una volta l’anello d’oro, ma visto che non c’era stato, l’anello d’argento era stato senz’altro la scelta ottimale. Così, immaginava che avrebbe portato alla figlia una ricchezza magari più mitigata di quella della figlia bionda, ma comunque una buona ricchezza.
Il terzo giorno il contadino accompagnò dalla strega l’ultima sua figlia, quella rossa, presentendo che avrebbe avuto da scegliere solo se accettare o meno l’anello di ferro, non essendone pienamente contento. E la figlia entrò sola nel castello della strega e questa aprì la sua mano nodosa e le disse che le poteva donare quell’anello di ferro, se essa voleva. Sennò non aveva niente altro da offrirle. E la ragazza accettò perché sapeva che il padre così voleva per lei, e poi a lei quell’anello di ferro non dispiaceva affatto, anzi le piaceva molto.
Nel giro di sei mesi le tre ragazze trovarono tre mariti che le sposarono e se le portarono via. La prima fu la ragazza bionda. Un giorno un ricco re, di un regno confinante, in passaggio per quei declivi, la vide al fiume mentre ella si immergeva nuda per le abluzioni. Rimase letteralmente folgorato dalla sua bellezza. La volle subito per sé prima che qualcuno avesse potuto rubargliela. Così, informatosi presso la giovane stessa se fosse già sposata o meno e avendo incamerato che fosse ancora libera, si fece condurre immediatamente dal padre, a cui disse che l’avrebbe resa regina del suo regno e lei sarebbe diventata la donna più ricca del continente. Il padre ne fu lietissimo e gliela concesse subito. Così la prima figlia, quella bionda e bellissima, fu la prima a sposarsi lietamente con un ricco re.
Qualche tempo dopo si svolse in paese l’ennesima edizione di una tradizionale competizione in versi in cui si affrontavano i migliori cantori venuti appositamente da tutta la regione. Il più famoso dei partecipanti era un grande artista e bardo conosciuto ovunque. Egli era il favorito della tenzone. Ciononostante, quando venne letta la poesia di un tal sconosciuto, questa fu acclamata da tutti come la poesia migliore mai scritta, e anche il grande artista lo ammise. Vinse un tal che si faceva chiamare Anello d’argento. Quando si trattò di svelare l’identità di questo anonimo compositore, si fece avanti tra il pubblico la ragazza mora con l’anello d’argento. Il grande artista tessé le sue notevolissime lodi, se ne innamorò all’istante e le chiese se voleva sposarlo. Lei disse sì. Il padre ne fu contento. Così quella fu la seconda figlia del contadino che si sposò.
Qualche tempo dopo, un giorno, si recò al mercato la terza figlia del contadino, quella rossa, a fare la spesa. A un tratto un prode guerriero che passava di lì casualmente la vide e le disse che lei era la donna più bella che avesse mai visto, in particolare lo colpirono i suoi capelli rossi, che egli non aveva mai veduto in vita sua, provenendo da un paese del sud in cui tutti avevo gli occhi scuri, i capelli neri e la carnagione scura anch’essa.
La ragazza acconsentì a farsi prima corteggiare e poi impalmare, e il padre pure non si oppose.
Passarono gli anni e il contadino ormai era un anziano signore, ancora ben in salute ma piuttosto solitario. Così un giorno si sentì di intraprendere un lungo viaggio per andare in visita alle sue belle figlie maritate per vedere come se la passavano.
Per primo si recò dalla figlia bionda e bellissima che aveva sposato quel re ricchissimo. Ma quello che scoprì non gli piacque per niente. La ragazza si era fatta donna, sì, era diventata forse ancora più bella, o forse si dovrebbe dire che era la donna più bella che fosse mai esistita. Anche la sua ricchezza era incommensurabile e in costante ascesa. Tuttavia essa era sostanzialmente infelice. Difatti si era inacidita come un frutto un tempo squisito ormai diventato marcio. La donna bionda era sempre arrabbiata o preoccupata per i suoi denari. Litigava col marito per essi. A sua detta la sua ricchezza era costantemente minacciata da altri che gliela volevano sottrarre. E in parte quello era vero. Infatti, tra lei e il marito, avevano subìto svariati attentati e avvelenamenti per farli perire, cosicché la loro ricchezza, una volta morti, sarebbe andata al popolo. Difatti i due non riuscivano ad avere figli. Per questo ne avevano anche adottati alcuni. Ma questi poverini erano tutti stati ammazzati avvelenati, proprio per i motivi sopra detti.
Così la salute della bellissima donna bionda stava peggiorando sotto il peso costante di quelle preoccupazioni alle quali era sempre sottoposta.
Il contadino si maledì per averla mandata, anni addietro, dalla strega a scegliere quell’anello d’oro che l’aveva portata senza dubbio a quel destino infausto. Le disse allora che avrebbe dovuto liberarsi di tutta la sua ricchezza, solo così sarebbe tornata a esser felice. Ma lei, di fronte a questa proposta, reagì con sdegno. Mai e poi mai avrebbe rinunciato a quello che le spettava. Avrebbe preferito morire piuttosto che rinunciarvi. Detto questo lo scacciò in malo modo bandendolo per sempre dal suo regno accusandolo per di più di esser stato incaricato da qualche nemico di metterle quella malsana pulce nell’orecchio.
Così il vecchio si recò mestamente dalla sua seconda figlia, quella mora, che aveva sposato un artista. Solo casualmente la trovò alla loro abitazione, dato che lei e il consorte, visto la vita d’artisti che conducevano, erano abituati a spostarsi spesso in tutti i luoghi ove la terra ferma non soggiaceva al mare.
Il contadino la trovò molto cambiata. Aveva ora occhi scuri cerchiati da passioni che la consumavano la sua figlia mora che un tempo aveva accettato l’anello d’argento. Ella gli raccontò del caos che era diventata la sua vita, una vita fatta di eccessi, ardenti passioni anche fedifraghe per altri artisti o uomini impulsivi. L’altezza della sua arte l’aveva messa in contatto con la voce degli angeli, disse, ma quella voce era stata per lei insostenibile, poiché nessun essere umano era in grado di sopportarla. Così, essa disse, la sua arte l’aveva fatta bruciare di passioni indicibili e tormentose che non le davano tregua, e quelle passioni la stavano sempre più inesorabilmente consumando.
Il padre, afflitto da quello che non avrebbe mai immaginato essere il destino della sua figlia mora, si maledì per averla portata quel giorno dalla strega del castello. Le disse che però lei, se non voleva morire, poteva sempre cambiare: poteva smettere d’esser un’artista così profonda. Poteva tornare con lui e assisterlo serenamente durante gli ultimi giorni della sua vecchiaia.
Ma lei gli rispose dicendogli che non avrebbe potuto mai farlo, infatti… come si può chiedere a un uccello di non volare più, o a una sorgente di non scorrere, o a un fuoco di non bruciare? Nessuno poteva negare la propria natura una volta scoperta, così lei non lo avrebbe fatto.
Il contadino se ne andò tristissimo a trovare la sua terza figlia, quella rossa. Sperava che almeno lei fosse felice. Ma anche per lei il suo desiderio non fu esaudito. La ragazza aveva cicatrici su tutto il corpo e anche una in viso che in parte glielo deturpava. Ella gli raccontò che, per non stare troppo lontana dal marito che amava tanto, impegnato sempre nelle sue assurde guerre, aveva scelto di seguirlo sui campi di battaglia, anche se lui glielo aveva fortemente sconsigliato. Poi un giorno il marito era stato decapitato da un’orda di guerrieri più barbarici di altri. Quello l’aveva fatta impazzire d’ira. Così, giurando vendetta, aveva per la prima volta impugnato una spada, ed essa stessa, come successo esattamente per il marito defunto, era stata risucchiata in quella guerra di cui nemmeno conosceva ormai le origini. Il contadino la trovò invasata di furia, e comprese che non c’era posto nel suo cuore per altro che per quello: guerra e morte, sangue, e null’altro.
Il contadino si maledì per aver portato anche lei quel giorno di tanti anni fa da quella strega che le aveva per sempre cambiato il destino. Le propose di cambiar vita seguendolo, tornando al suo paese d’origine che non era mai stato scalfito nemmeno dall’ombra di un conflitto, ma sapeva già che lei non avrebbe accettato. Difatti lei gli rispose che avrebbe combattuto quella guerra infinita finché non l’avessero ammazzata. Solo quella sarebbe stata la sorte ferale che avrebbe accettato.
Così al contadino non rimase che tornarsene al suo paese cercando di pensare il meno possibile alle sue care figliole infelici, ognuna con un’infelicità diversa.
Poi un giorno gli giunsero tre infauste notizie. La sua primogenita, la figlia bionda e ricca, era morta. Non era stata ammazzata da nessuno. Era stato il suo stesso corpo che alla fine aveva ceduto, sotto il peso di tutti quei pensieri neri a cui lei lo sottoponeva sempre.
La seconda notizia lo informò che si era consumata anche la fiamma della sua figlia mora, l’artista. Il suo cuore aveva ceduto il giorno in cui, dopo tanto patire, era riuscita a congiungersi con l’ultimo amore estremo che aveva avuto nella vita, il più grande di tutti.
Infine gli giunse anche la notizia che la sua figlia rossa era caduta sul campo di guerra in una battaglia che sarebbe per sempre rimasta nella storia. Fu anche sepolta con la sua spada insanguinata in mano, dopo aver fatto cadere centinaia di nemici.
Così al contadino, ormai vecchio, amareggiato, e solo al mondo, non restò che morire anche lui.
E l’ultimo giorno della sua vita la strega, che era ancora in vita anche se più vecchia e rattrappita e imbruttita della prima e unica volta che si erano incontrati, lo andò a visitare al suo capezzale. E gli disse:
«Vedi, io ti avevo avvertito, a te e alle tue figlie, che, accettando i miei doni, non era detto che sareste stati più felici. Ma voi, avidi di ricchezze e successi, li avete tutti accolti a braccia aperte. A ogni modo, vecchio contadino che oggi morrai, non ti struggere, dato che non vi è modo di sapere se sareste stati tutti più felici a invecchiare senza un palpito nel cuore in un paesino dimenticato da Dio come questo, oppure se, accelerando il vostro destino gettandovi nelle sue spire, quel vivere più intenso non abbia impresso un maggior significato a quelle vostre vite altrimenti insulse.»
Il contadino non comprese a pieno il significato di quelle parole. Si sentiva solo molto stanco. Così adagiò la testa al lato del guanciale su cui poggiava, la lasciò andare, e chiuse gli occhi per sempre.

anellodoro

Sogno #51: L’ermetica

In un paesetto di montagna, a metà mattinata. In un rifugio, assai modesto, quasi deserto. Con l’arredo spoglio e anche un po’ logoro. Come i vestiti della donna alla cassa che mi trovai davanti allorché si trattò di pagare la mia esigua consumazione.
L’unico altro cliente, davanti a me, si era velocemente volatilizzato. Nel locale rimanemmo esclusivamente io e la donna.
Solo quando mi pose gli occhi addosso sembrò accorgersi davvero di me, come del resto fu per me nei suoi riguardi. Fino a un istante prima avevo considerato quella dimessa donna facente pienamente parte dello spento contesto. Sennonché, da vicino, notai che, nonostante gli abiti sciatti, le scarpe antiche e polverose, l’atmosfera vetusta che la permeava da capo a piedi, il suo viso semplice, senza ombra di belletto, i capelli lisci, neri, così corti che erano stati adunati con un semplice elastico e non facevano quasi capire che ci fossero… essa era in qualche misura bella, e ancor di più attraente.
Come fulminato da quella evidenza, la fissai più a lungo del dovuto mentre lei pronunciò con la sua bella e strana voce la prima di una serie di frasi che man mano avrebbero assunto sfumature sempre più intriganti per me, seppure si rivelaron tutte inflessibilmente grottesche.
Fu proprio quello il fulcro intorno al quale ruotò la nostra intera conversazione a spirale, senza sbocco. Quella prima frase fu così insolita e insensata che mi manifestai apertamente perplesso. Le dissi che non avevo compreso quel che mi aveva detto. Lei allora provò a dirmene un’altra, di frase, ma anche questa, pur essendo totalmente diversa dalla precedente, aveva in sé i semi agri dell’insensatezza, se non ancora della follia. Così dovetti ammetterle costernato che, ancora, non capivo assolutamente di cosa stesse parlando.
E lei la prese male. La sua faccia si adombrò. Ma stavolta intuii blandamente il senso delle sue recriminazioni, o almeno di ciò mi volli convincere. Esprimeva lo stato d’animo che, noi forestieri, che venivamo dalla grande città, ci credevamo sempre superiori a loro, semplici paesani, che magari passavano tutta la vita nello stesso posto a fare le stesse cose e questo gli bastava.
Manifestò dunque un’ulteriore accezione di malanimo aumentando le contumelie verso me. Adesso diceva probabilmente che noi stranieri ci prendevamo sempre gioco in particolare delle povere donne locali, abusando della loro ingenua e innata bontà di cuore. Ma qui ci tenni a specificarle obiettando con vigore che non era affatto così. Le dissi che aveva frainteso completamente il senso del mio discorso.
Mi affannai a cercare di spiegarle che era come stessimo parlando due lingue diverse, nonostante ci servissimo dei medesimi termini: le nostre lingue, pur affondando in substrati comuni, attribuivano a essi un significato diametralmente antitetico e ascoso. Forse l’una poteva essere considerata l’antesignana dell’altra.
La mia osservazione ebbe il potere almeno di calmarla facendole intendere che non ce l’avessi per nulla con lei né avessi intenzione di prenderla per il naso. Poi, dato che avevo catturato la sua attenzione e che ora lei sembrava disposta a prendere in considerazione l’ipotesi che fossi un uomo di animo buono e null’affatto carogna, mi spinsi oltre e le ammisi che, per quanto riguardava il discorso delle donne del suo paese, al contrario di quanto lei immaginava, la trovavo affascinante, per una qualche ragione pure a me completamente sconosciuta.
Ma essa qui riprese la strada del fraintendimento a oltranza: sembrò ora nuovamente propensa a rioffendersi. Dovetti allora riacciuffare per i capelli la nostra conversazione dicendole più volte, nel modo più chiaro possibile, che lei mi piaceva, mi piaceva proprio come donna!, le dettagliai più volte. Finché sul volto le si assestò un’aria stupita più clemente. Ma dai suoi occhi vacui intuii che, eppure, non avesse afferrato in pieno il succo semplicissimo del mio discorso.
Difatti la frase con cui riattaccò dopo fu qualcosa di assolutamente astruso e inconcepibile, che dal mio punto di vista non aveva né capo né coda. A ogni modo si poteva affermare che io ero nettamente più bravo di lei a comprendere quel che diceva rispetto all’opposto.
Avrei potuto chiedermi se quella donna che avevo incontrato di cui mi ero invaghito non fosse completamente pazza, invece mi venne da pensare che con le donne non ci si intende mai. Per quanto ci si sforzi di avere un dialogo costante e franco, sarà sempre che, pur parlando la medesima lingua, si attribuiranno significati diversi ai medesimi vocaboli. Così si avrà solo l’illusione di comprendersi; mentre in realtà non si avrà alcuna concreta possibilità di farlo.
Compresi dunque che, qualora avessi avallato l’amore di quella donna, sarei stato per tutta la vita a cercare invano di spiegarmi, e lei lo stesso con me. E il nostro amore, seppur grande, sarebbe inesorabilmente scivolato nel malanimo del rincrescimento dei litigi che ne sarebbero susseguiti.
Dunque lo abiurai rinunciandovi per sempre.

ermetica

Fallaci: Lettera a un bambino mai nato

Ho deciso di leggere questo libro dopo che una mia amica me lo ha consigliato.
È la storia di una non certo convenzionale donna-forte molto attaccata al lavoro e alla carriera, che un giorno rimane incinta. Questo evento stravolge la sua vita costringendola a mutare le sue abitudini. All’inizio neppure vorrebbe tenere il bambino. Presto, tra dubbi e ripensamenti, in una serie di stati d’animo contraddittori che si susseguono incessantemente, decide però di farlo. Ma ogni volta è come se tutto venisse di nuovo messo in discussione perché entra in rotta di collisione con il suo modo di vivere e sopratutto quelle libertà a cui lei non vuol proprio rinunciare.
In questo libro troviamo molteplici interrogazioni sulla gravidanza e la nascita di un figlio.
Nonostante pensassi che l’argomento non mi avrebbe riservato sorprese, ho dovuto ricredermi, perché il romanzo mi ha emozionato in più d’un punto. Ho anche appreso nozioni che non sapevo.

Non è troppo lungo. E seppur potrebbe esser letto in una sola giornata, consiglio vivamente una lettura diluita, per fare in modo di assaporare al meglio ogni singolo paragrafo, che talvolta può esprimere uno stato d’animo completamente in antitesi col paragrafo precedente.

Io e la Fallaci siamo senza ombra di dubbio molto diversi. Nonostante ciò posso affermare che, inaspettatamente, in lei ho trovato diversi punti di contatto, sopratutto per quanto riguarda la percezione della realtà.