Showgirls (film)

Detesto questo film. Quando lo vedo mi arrabbio! Grrr!

Lo trovo infinitamente OSCENO. Ma non certo perché ci sono un mucchio di ragazze che mostrano i seni. Semmai è osceno l’uso che si fa di quella nudità, che non è altro che un bieco mezzo per attrarre lo spettatore, con la scusa della (falsa) denuncia sociale.

Osceno anche che come attrice protagonista si sia scelta una ragazza con un viso che i più riterranno bellissimo (un tipo di bellezza che andava molto negli anni ’80 e ’90). Una ragazza che non si può non notare.

Osceni poi sono i dialoghi. Oscena la storia. Osceni gli atteggiamenti della protagonista. Osceno il finale.

Insomma per me è praticamente un softporno. Usa gli stessi espedienti allusivi di pellicole del genere.

Sul regista, Paul Verhoeven, invece per me è ben più difficile pronunciarmi, dato che ha realizzato anche film come Robocop, Atto di forza, e altri di indubbio valore (che poi è lo stesso pure di Basic Instinct!).

show2

Riesumazioni: Il pericolo

Eppure faccio una vita così tranquilla. Io me la complico apposta. Non mi è mai successo di trovarmi con la macchina in un luogo sperduto, però. C’è un aspetto di me che dovrei approfondire, ora che ci penso: io non ho coscienza del pericolo. Se mi trovo in una situazione pericolosa non la riconosco. Per questo mi imbatto spesso in faccende che non sono alla mia portata. Un proverbio arabo dice:

Prima di entrare pensa a come uscire.

Dovrei ascoltarlo.”

pericolo

Lilli

Avevo decisamente perso il controllo di quella voce che turbinava su me e Pizia. Così ormai tutta la scuola ne discuteva animatamente, in particolare la mia classe e quella di Pizia. Tutti mi prendevano in giro ma allo stesso tempo sbrodolavano consigli di ogni tipo affinché la nostra storia andasse in porto.

Pizia era felice che le facessi la corte morendole dietro, ma allo stesso tempo non le interessavo granché – perché era una ragazza davvero poco seria! Però la intrigava la fama che le avevo regalato, che non avrebbe mai avuto fosse stato un qualsiasi altro studente a farle la corte.

Diciamo che era come se fossimo stati assieme, solo che lei faceva sempre la difficile, quella da conquistare, perennemente arrabbiata con me e mi rendeva la vita molto dura. In pratica non voleva mettersi con me ma allo stesso tempo voleva darmi l’illusione che in fondo lo volesse…

Così si giunse a fine anno, a quel momento fatidico, in cui si sarebbero svolti quei due grandi eventi in contemporanea. Da un lato ci sarebbe stato il ballo della scuola a cui normalmente mi sarei precipitato, perché sarebbero stati il luogo e il tempo ideali per mettermi una volta per tutte con Pizia – o almeno così pensavo. Dall’altro però si concretizzò all’ultimo momento una manifestazione ludica a cui tenevo molto: il torneo retrò di ISS PRO (leggi vecchio gioco del calcio della Playstation) in cui mi sentivo un vero asso e volevo assolutamente vincere.

Infine sembrava che dovessi partecipare al secondo, mentre avrei lasciato perdere il primo. Già avevo incaricato il professore di iscrivermi al torneo, e lui lo aveva fatto. Così mi perdevo nelle fantasie circa quale squadra nazionale avrei dovuto scegliere… Certo, la maggior parte dei partecipanti al torneo avrebbe scelto il Brasile, perché era una della più forti negli undici, ma sopratutto perché aveva il giocatore in assoluto più forte: Ronaldo – “il fenomeno”, quello vero e primo. In seconda istanza però mi ero trovato sempre bene anche con l’Inghilterra (per la quale avevo un debole), che certo era un po’ più legnosa del Brasile però poteva contare su un altro giocatore in attacco molto forte e veloce, anche se non come Ronaldo, e cioè Owen. Ma a dire il vero, la squadra a cui ero legato sentimentalmente di più era l’Argentina, che era proprio una signora squadra!, piena di ottimi giocatori sopratutto in attacco. E poi aveva Ortega, che nella mie mani diventava un dribblomane di prima categoria praticamente immarcabile, incisivo almeno se non più dello stesso Ronaldo…

La grande sera dei due eventi incrociati mi ritrovai all’ingresso di scuola, dove si sarebbero tenuti entrambi. Fuori c’erano un sacco di automobili coi fari accesi che fendevano il buio, tanto che quasi non si riusciva a passare. C’era un gran caos, e molto rumore. A ogni modo riuscii a introdurmi nel gremitissimo corridoio d’ingresso. A questo punto mi stavo per recare dalla parte dove si sarebbe tenuto il torneo di calcio… quando mi ritrovai però risucchiato a parlare della mia storia-non storia con Pizia con i tipi un po’ esagitati della classe di Pizia. In particolare c’era quel certo Marco che mi diceva con veemenza “tu devi fare questo, tu devi fare quest’altro!”, mentre in realtà dai suoi occhi sprizzava un odio viscerale per me di cui non mi capacitavo. Non capivo perché se la prendesse tanto a cuore. Dietro a lui compariva anche l’inseparabile Antonio, suo amico per la pelle, che tutti conoscevano perché era un mezzo delinquente che più volte era rimasto implicato in risse anche molto brutte con gente finita all’ospedale per davvero. Anche lui mi guardava molto male perorando allo sfinimento le teorie di Marco, quasi minacciandomi con la sua presenza fisica.

Sentivo che rischiavo le botte. Per questo volli cercare di conciliare il più possibile con Marco (che era il capo dei due, quindi sarebbe bastato convincere lui per evitare che Antonio mi pestasse). Allora, sfoderando la mia migliore amabilità empatica, cercai di manifestarmi realmente disposto a capire le loro rimostranze circa i miei presunti comportamenti sbagliati, per migliorare e riuscire a portare finalmente a compimento questa sofferta storia alla quale loro curiosamente si erano così appassionati, per motivi che non riuscivo ad afferrare.

Quindi pregavo Marco di dirmi dove sbagliavo e cosa dovevo fare. Ma lui, infastiditosi, a un certo punto faceva il ritroso: sembrava quasi avesse compreso che tanto non sarei stato mai all’altezza di riportarmi sulla “giusta via”. Ma io insistevo, insistevo, insistevo, perché sapevo che se lo lasciavo andare via infuriato Antonio era probabile che poi me le avrebbe suonate. Così infine gli scroccavo un mezzo consiglio a labbra semichiuse a fessura, in cui Marco mi diceva che dovevo essere più “deciso”, che dovevo dimostrare a tutti che davvero l’amavo, Pizia, se tenevo a conquistare quella ragazza.

Lo salutai ringraziandolo molto per il suo “preziosissimo” consiglio. In realtà non mi aveva detto assolutamente un cazzo ma volli manifestarmi appecorato per lasciargli intendere che avrei fatto come desiderava, così si sarebbe calmato un po’. Ci lasciammo con una mezza promessa da parte sua che in seguito avrebbe potuto darmi altri consigli più ficcanti.

Fui molto sollevato che le nostre strade si divisero. Purtroppo però non me la sentivo più di andare a giocare al torneo di calcio virtuale a cui ero destinato; eppure quanto mi sarebbe piaciuto. Immaginavo le luci accese – non come dove stavo, in cui le luci erano soffuse, con un’atmosfera da discoteca perenne – a cui rinunciavo. Immaginai che avrei potuto scegliere la strategia di prendere sempre la stessa squadra dell’avversario che mi affrontava – difatti era consentita quell’opzione, cioè se ad esempio uno mi sfidava con l’Italia, anche io avrei potuto prenderla –, così da dimostrare a tutti che ero il più forte e mi sapevo adattare a ogni situazione… Immaginai le vittorie che avrei potuto conseguire e le esultanze che avrei fatto dopo ogni gol. Immaginai il nome della mia squadra che avanzava sempre più nel tabellone durante il torneo arrivando alla finale vincendola. Immaginai gli onori di aver conseguito quel titolo, dopo centinaia di ore spese a giocare a quel gioco a casa mia, in solitaria o con gli amici…

Ma niente. Ormai non potevo più dedicarmi a quel che era divenuto la mia reale inclinazione e dovetti rassegnarmi a rimanere nella parte buia del palazzo dove si sarebbero tenuti i festeggiamenti di fine anno e alla fine il ballo.

Cominciai a spizzicare svogliatamente stuzzichini qui e là parlando sempre del medesimo argomento con tutti, cioè della mia storia difettosa con Pizia. Finché un paio d’ore dopo mi ritrovai con una bevanda dolciastra in mano ad assistere a una scena curiosa: Marco che parlava con Lilli, facendo molto l’amicone. Adesso non aveva più quell’atteggiamento da mezzo gangster adottato con me, segno che ci teneva proprio a risultare quel bravo ragazzo che non era, che poteva però esser creduto, ma solo da chi non lo conosceva abbastanza; e Lilli evidentemente non lo conosceva ancora.

Cercai istintivamente quel brutto ceffo di Antonio nei paraggi ma non lo vidi. Eppure era stranissimo, perché quei due non si dividevano mai. Allora lo cercai visivamente a maggior raggio, finché non lo scovai a circa venti metri da lì, in un angoletto nascosto, con gli occhi fissi su Lilli e Marco. La cosa mi sembrò molto insolita, ma ancora non capivo cosa stesse succedendo.

Mi soffermai poi su Lilli, che era la mia ex. Ci eravamo lasciati all’inizio dell’anno. In principio era stata dura. Poi avevo incontrato Pizia che mi aveva perlomeno alleggerito l’amarezza per aver perso Lilli, con la quale in definitiva era finita perché… Non sapevo bene perché era finita. La tensione tra di noi a un certo punto era salita così tanto che ci eravamo lasciati la prima volta che avevamo litigato per davvero. Da allora non ci eravamo più rimessi assieme, convinti entrambi che sarebbe stato l’altro a dover compiere il passo decisivo di perdono e riavvicinamento. Solo che, dato che eravamo entrambi alle prime esperienze, fummo incapaci di reagire. E infine accettammo la fine della nostra storia con apparente discernimento, seppur anche lei avevo scoperto per un periodo ci era rimasta molto male. Ma oggi sembrava essersi buttata completamente alle spalle quei dolori, e i rapporti che intratteneva con me erano buoni, cordiali, da vecchi amici, anche se cercavamo di non passare troppo tempo assieme e sopratutto da soli, per non essere in imbarazzo…

A un certo punto fui abbastanza vicino per sentire cosa si dicessero. Eh, sì, Marco ci stava proprio provando. Sfoderava quei suoi sorrisi falsi che non sopportavo, e lei, Lilli, si beveva tutto. Non lo conosceva affatto, la poverina. Non sapeva riconoscere l’impostura in quegli sguardi. Marco aveva i capelli lunghi come me, era di bell’aspetto, ma era il mio opposto, perché io ero buono mentre lui cattivo, molto cattivo.

Cominciai a intuire come stessero le cose anche se dovette accadere dell’altro per farmi arrivare all’illuminazione. Ascoltai Marco che le diceva: allora ce la prendiamo questa cioccolata di sotto, così parliamo di quella cosa? E lei che gli rispondeva, inavvedutamente tranquilla: okay, lo vuoi prendere adesso? per me va bene. Dunque si diressero verso la scalinata che portava ai sotterranei, perché lì si trovava la macchinetta per il caffè, oltre che i bagni. Marco allora guardò fugacemente verso Antonio, facendogli un cenno quasi impercettibile, al quale Antonio rispose lesto facendo sì con la testa, per poi subito cominciare a spostasi anche lui verso altre scale che però anch’esse conducevano ai sotterranei.

Finalmente compresi cosa cazzo stava accadendo… Una cosa molto brutta! Antonio e Marco si erano messi d’accordo per tendere una trappola a Lilli. La volevano attirare in quel luogo isolato, di sotto, per poi fare il loro porco comodo. Ma certo: per questo Antonio s’era tenuto distante; perché loro sapevano che Lilli conosceva la fama di Antonio – chi non la conosceva a scuola? – e se l’avesse visto con Marco allora la trappola non sarebbe mai potuto scattare… Ed era per questo che Marco e Antonio volevano spingermi verso Pizia: per non avermi più tra i piedi!, perché sapevano che comunque tra me e Lilli qualcosa di molto solido era rimasto, e forse temevano che nella festa il nostro sentimento sarebbe potuto risaltar fuori se non avessi avuto la testa impigliata in Pizia…

Presi la decisione più importante della mia vita. Non mi importava delle conseguenze, cioè se mi sarei fatto due nemici pericolosissimi. Sapevo solo che dovevo salvare Lilli dalle grinfie di quei due lestofanti. Allora urlai, nel baccano generale, mentre Lilli e Marco si stavano dirigendo presso le scale. Gridai: Lilli!

Si fece come un attimo di silenzio assoluto tutto intorno: sembrò come se tutto il mondo fosse in attesa delle importantissime parole che avrei detto a lei. Lilli sentì la mia voce, mi riconobbe. Le passò come un brivido per la schiena, mentre gli occhi di Marco divennero di fuoco…

Le dissi sorridendo: posso venire anche io a prendere una cioccolata con voi?

Lei ci pensò su un attimo, stupita che fossi al corrente di quell’appuntamento. Poi disse: certo, andiamo.

A quel punto l’espressione di Marco sprigionò odio puro. Digrignò i denti. Sarebbe voluto venire da me a prendermi a pugni mentre io lo guardavo ora con un’aria di aperta sfida. No, non mi faceva più paura, e non avrei permesso che violentasse Lilli, che certo mi aveva fatto soffrire come un cane alcuni mesi prima ma non si meritava quello che lui e il suo compare avevano in serbo per lei quella sera, solo perché il suo bel faccino carino aveva attirato le loro sudice voglie. Inoltre mi accorsi in quel momento che io l’amavo ancora, Lilli!

Marco la prese per mano inducendola quasi a correre verso i sotterranei. Le disse qualcosa del tipo: non ti preoccupare di lui, ci raggiungerà di sotto, andiamo di fretta che devo farti vedere una cosa… E lei, seppure meravigliata da quell’atteggiamento, non riuscì ad opporsi.

Proprio in quel mentre una fiumana viva di persone si stava spostando non so bene per cosa, forse perché si era sparsa la voce che qualcuno aveva messo degli alcolici nelle bevande. Allora mi trovai addosso una muraglia umana che mi impedì di correre appresso a Lilli e Marco. Tuttavia ero intenzionato a far saltare quel suo fosco piano di usarle violenza e non mi sarei fermato per nulla al mondo.

Così, un po’ attardato, giunsi comunque al secondo livello di scale il quale si biforcava in due. Ma se avessi preso la prima rampa non avrei mai potuto giunger per tempo e Marco e Antonio se la sarebbero potuta agilmente portare in qualche stanza diroccata… Allora dovevo prendere la seconda rampa, che era una specie di scorciatoia, ma questa era molto più stretta, sconnessa e pericolosa. Guardai in basso ed ebbi una vertigine, non potevo calarmi di lì perché era rotta, senza corrimano: se fossi inciampato, mi sarei fatto un volo di forse venti metri.

In quel momento venne un mio amico, che anche lui voleva servirsi di quella scala per andare in bagno – ringraziai Dio che lo avesse fatto incontinente! Gli dissi che quella scala mi dava le vertigini e non potevo scenderla. Lui mi disse che il segreto era rimanere incollato alla parete. Ma per me rimaneva comunque impraticabile. Lui, che pure era un fifone, mi disse che, per via delle sue frequenti crisi di minzione, si era abituato a farla in velocità senza rompersi l’osso del collo, e lo avrebbe fatto anche stavolta. Mi invitò dunque a seguirlo e fare quello che faceva lui, ma io gli dissi che non ce la potevo fare in quel momento, perché ero troppo agitato. Lo incaricai dunque di un importante compito. Gli dissi: senti, quando sei giù al distributore, dopo esser andato in bagno – l’azione gli avrebbe portato via pochissimi secondi, già lo sapevo – incollati a Lilli e digli di non muoversi da lì per nessun motivo al mondo, in attesa che veniamo anche io e tutta la classe dalle altre scale, anche se Marco e Antonio dovessero spingerla a spostarsi da lì. Lui non capì le mie strane parole ma mi giurò che avrebbe rispettato le consegne.

Così, quando giunsi sotto anche io, trovai il mio amico e Lilli. Marco e Antonio se l’erano svignata, dopo che il mio amico era spuntato all’improvviso da un corridoio promulgando in pompa magna quell’annuncio. Ed erano sembrati entrambi molto incazzati dell’intromissione del mio amico, tanto che se ne erano andati bestemmiando e senza dir nulla a Lilli circa il perché lo facessero. Questo aveva scioccato Lilli, in particolare per il rapido cambiamento di atteggiamento avvenuto in Marco. Io invece ero raggiante di aver sventato i loro piani e di aver salvato quella ragazza che ora coglievo in tutta la sua purezza. A cui lanciavo occhiate estatiche.

Risalimmo rapidamente. Da quel momento in poi Lilli rimase con me per tutto il resto del tempo. Si interrogò parecchio su quel che era successo, di cui non le volevo fornire ulteriori spiegazioni, come pure si interrogò circa le espressioni amorevoli che le avevo lanciato in quelle ore. Finché, una volta che ci ritrovammo a fine festa, in metropolitana, da soli, finalmente comprese senza aiuto cosa aveva schivato per un pelo. Perché lei era molto intelligente…

Allora mi fece uno di quei suoi grandi sguardi di riconoscenza che avevo quasi dimenticato e mi disse, mentre si stava già commuovendo: tu… stasera mi hai salvata, non è vero? Quei due volevano farmi del male! Per questo se ne sono andati così… Oh, mio Dio, che ingenua sono stata… Mi hai salvato… Mi hai salvato…

Le sue ultime frasi si persero in un sussurro. E ora avevo i suoi grandi occhi riconoscenti fissi su di me che mi guardavano, guardavano me e solo me, non vedevano altro. Capivo che mi amava. Sì, Lilli mi amava adesso. Le nebbie sul nostro rapporto erano ormai del tutto diradate, non esistevano più. Mi chiesi come avessero potuto mai essersi addensate. Lilli mi amava come mi aveva sempre amato.

Lilli, se continui a guardarmi così mi metterai in forte imbarazzo, mi farai pensare cose strane…, le dissi.

Lei sapeva cosa intendevo, ma non per questo smise di guardarmi a quel modo. Allora gettai la maschera e anche io le rivelai che l’avevo sempre amata, anche nel periodo in cui mi ero fatto confondere la testa da quella stronza di Pizia. Così lei mi avvolse le braccia al collo e mi baciò sulle labbra.

E io pensai che le favole qualche volta si avveravano, e delle volte per davvero il principe azzurro salva la sua amata principessa dalle spire del periglioso drago malvagio.

lilli

Codice genesi (film)

In un futuro apocalittico – non troppo lontano da quello di Mad Max, per capirci –, un uomo sta intraprendendo un lungo viaggio verso ovest per portare in un certo luogo un oggetto capace di “salvare” il mondo. Tuttavia molta violenza incontrerà sul suo cammino, oltre all’uomo malvagio che più di tutti conosce il potere di quell’oggetto e lo vuole per sé.

Qualche laico potrebbe storcere il naso guardando questo film. Tuttavia, dato che si tratta di un film di genere “fantastico”, personalmente non mi ha infastidito.

Non aggiungo altro per non rovinare la sorpresa di scoprire la natura di quell’oggetto, come pure non accennerò alle sorprese finali.

Non male. Poteva esser fatto un po’ meglio. In fondo gran parte del film descrive la lotta per sopravvivere del buono contro i cattivi e poco altro. Storie come questa sono meglio sotto forma di libro che di film.

Andrea De Carlo: Cuore primitivo

Il primo dei dieci libri che mi sono ripromesso di leggere questa estate è questo. E, in realtà, è il solo, al contrario degli altri nove, sul quale potevo avere un pregiudizio (positivo), dato che conosco bene l’autore avendo letto molti dei suoi romanzi…

Andrea De Carlo per me è ormai come un vecchio amico. Riconosco il suo stile. So cosa aspettarmi da lui, pur sapendo che sarà in grado di stupirmi con le sue storie non sempre lineari, capaci, come in questo caso, di mescolare con bravura elementi comici – quanto mi hanno ricordato, le diverse prese di posizione da parte del maschio e della femmina di turno, così agli antipodi, i miei raccontini di Delirius Dementhia! – con elementi drammatici, in cui ci si gioca la vita…

Immagino Andrea De Carlo come un uomo per metà molto fisico e pratico e per metà studioso, curioso, esperto della psicologia umana sulla quale si fa continue domande (di cui il libro infatti è pieno zeppo).

Per “cuore primitivo”, si intende la parte dell’essere umano irrazionale, ancestrale, che fa scegliere non in base alla logica, ma all’istinto, inteso nel senso più animalesco del termine. E questa è proprio una storia in cui si scontrano più volte la razionalità e gli istinti, i quali da fuori potrebbero sembrare meri capricci che non porteranno a niente di buono. Ma è davvero così?

decarlo

(Contraffatta) Indolenza Vs Ipocrisia 0-3

Quel giorno Nemesis non si sentiva granché bene. Aveva scoperto uno dei numerosi intrallazzi con i quali Occhi di Serpente riusciva a tenere un duplice Registro dei Conti. Ciò gli aveva dato la nausea, gli aveva fatto scoppiare un fastidiosissimo mal di testa, oltre che procurargli un malessere fisico generalizzato che stava rapidamente peggiorando. Così, quando uscì dall’ufficio, quella sera, già sapeva che l’Underground si sarebbe trasformata in un calvario per lui, perché non si sentiva per nulla in grado di viaggiare pigiato, con l’aria che gli sarebbe mancata, mentre la temperatura corporea saliva e lui cominciava a sudare, con il rischio che, se si fossero verificate tutte quelle circostanze, avrebbe potuto bellamente svenire.

Appena sceso nei vicoli dell’Underground assistette immediatamente al passaggio di un treno, troppo ricolmo di gente affinché gli venisse l’idea anche solo di accostarvisi. Cominciò a camminare lungo la banchina, fino a quando si ritrovò all’ultima panchetta libera disponibile, che ovviamente era sgombra, perché tutte le persone precedentemente in attesa si erano appena introdotte nel treno transitato. Vi si sedette.

Quasi subito però notò qualcosa di molto anomalo dall’altra parte delle rotaie. Leggermente spostato alla sua sinistra, sulla banchina del senso opposto, c’era un uomo sdraiato a terra che giaceva immobile sulla schiena. Aveva la classica posa arresa che poteva avere un uomo il quale, fulminato da un malore ferale, si fosse abbandonato con le braccia scomposte, le gambe divaricate e le piante dei piedi rivolte verso l’esterno. Dalla sua postazione Nemesis poteva osservare le suole consunte delle scarpe dell’uomo.

Un telo di plastica trasparente rivestiva l’uomo prevalentemente nella parte superiore del corpo – evidentemente per coprirne il volto –, lasciandone parzialmente scoperchiate le gambe. Dunque non vi era alcun dubbio: quell’uomo era morto. Un accidente lo aveva colto alla sprovvista in quella stazione di interscambio, o forse su di un treno di passaggio dal quale era stato poi scaricato come un pacco maleodorante. A ogni modo, il fatto che fosse coperto da quel telo, oltre che pure transennato da alcuni pilori della polizia che impedivano di avvicinarvisi, voleva chiaramente dire che il poveretto fosse perito, e che probabilmente si era in attesa di un’autoambulanza che potesse trasportarlo in qualche ospedale limitrofo.

L’assistere a quella scena non piacque per nulla a Nemesis, che già di suo non si sentiva benissimo. Così quel rinvenimento gli accelerò ulteriormente il già sovreccitato e asfittico battito cardiaco. Nemesis si percepì sul punto di collassare anche lui, ed ebbe il sinistro – e leggermente ipocondriaco – presentimento che lo stesso destino che aveva accolto quella salma dall’altro lato dei binari potesse giungere anche per lui. Già si vedeva il titolo sul giornale: “Duplice tragedia alla metropolitana: vede un passeggero deceduto e per l’emozione muore anche lui”. E allora Nemesis sarebbe anche spirato con l’infamia di essere un pavido, uno troppo emotivo, che si atterriva per un niente, e nessuno avrebbe mai saputo che normalmente una cosa del genere non gli sarebbe mai potuta accadere: ma non perché fosse immune al dolore altrui e alle tragedie umane, bensì perché un tale casuale accadimento di morte improvvisa non avrebbe mai potuto coglierlo in fallo, a meno che non fosse già stato fortemente segnato nell’animo da quello che sempre più stava rinvenendo di marcio a lavoro…

Nemesis immaginò il seguito della sua morte, dove i suoi colleghi di lavoro sarebbero stati pure intervistati da un’equipe locale di giornalisti, facendosi belli davanti alle telecamere, istrionandosi a fornire di lui versioni improbabili ed improponibili, di circostanza, tali che neppure i suoi genitori l’avrebbero più riconosciuto, descritto a quel modo. E la Nana Timida avrebbe detto che Nemesis era in fondo un bravo ragazzo, un po’ taciturno, ma buon lavoratore; il Ciambellano Ermafrodita lo avrebbe confermato, e forse avrebbe aggiunto qualche allusione alla sua ambigua vita sessuale; l’Elfa Kitty avrebbe detto che le dispiaceva ma se ne sarebbe fatta una ragione, poiché la vita deve sempre andare avanti; la Corva Corvina avrebbe ammesso che lei Nemesis non lo conosceva bene, che di lui sapeva solo alcune succulente storielle che circolavano – Nemesis sperava che almeno non avesse avuto la faccia tosta di rivelare al mondo quelle empie menzogne –; la Gigantessa si sarebbe costernata, avrebbe versato qualche lacrima offrendosi di organizzare subito un bel funerale – ma dopo le esequie lo avrebbe cancellato dalla memoria come egli non fosse mai esistito; l’Uomo Nero avrebbe affermato che con la scomparsa di Nemesis perdeva un grandissimo amico, lui!, e una grande persona l’azienda per la quale entrambi lavoravano; l’Untuosa Intellighenzia avrebbe istituito una giornata di memoria in suo onore e ne avrebbe approfittato per farsi pubblicità ed ampliare così la sua visibilità anche in ambienti funerari-ecumenici, dove solitamente non aveva mai potuto attecchire; la Donna Cannone avrebbe detto che era assai dispiaciuta – poiché aveva sempre trovato Nemesis molto valente e sexy – e ne avrebbe approfittato per far sgorgare una delle sue insulse risate intrattenibili e convulse… e addio Nemesis! Mentre Occhi di Serpente si sarebbe astenuta da ogni commento, per non veicolare alcuna attenzione su di sé e sui suoi sporchi affari…

Con quella tetra visione negli occhi, Nemesis era a un passo dal mancare. E allora sarebbero stati due gli uomini sdraiati a terra nella medesima posa, e la gente, osservando entrambi, si sarebbe chiesta se quella, in fondo, non fosse stata null’altro che una futuristica finzione teatrale per porre l’accento su qualcosa che pure non poteva esser poi così lampante ad una prima occhiata; o forse si sarebbe domandata se non fosse una stramba forma di protesta verso il Governo, che stava ammazzando la Cultura…

Nemesis percepì la vista offuscarglisi mentre il cuore ormai pompava senza indugi ed aveva oltremodo accelerato i suoi battiti, che ormai erano così veloci e sciolti che non riuscivano a pompare il necessario apporto di sangue – e già la testa gli girava ed era ad un passo dal rovinare. Allora Nemesis avrebbe tanto voluto avere la possibilità di sdraiarsi, ma evidentemente non vi era alcun giaciglio disponibile lì intorno.

Con gli ultimi barlumi di raziocinio che lo stavano abbandonando, Nemesis comprese che la sua unica possibilità era quella di tenere la mente occupata cercando di non pensare al defunto a pochi metri da lui, solo così infatti avrebbe avuto qualche speranza di congelare il suo male in uno stato che non si sarebbe rivelato troppo accasciante e pericoloso.

Ordunque ebbe la bella idea di cominciare a leggere quel libro che aveva sempre disponibile nella borsa, che teneva con lui per noiosi eventi di attese extra e non preventivate. Nemesis cominciò a leggere le prime righe e la sua mossa si rivelò oltremodo azzeccata: non pensò più alla salma – e che lui avrebbe potuto fare la medesima fine, se si fosse abbandonato a quei funesti pensieri – e regredì invero allo stato di salute dimesso e traballante, ancora non grave, con il quale aveva esordito allorché aveva messo piede nei bui condotti dell’underground. Certo, quel libro e il concentrarsi su altro non potevano far miracoli guarendolo da tutti i mali che lo affliggevano, però potevano perlomeno essere un buon sostegno, almeno fino a quando non si sarebbe rifocillato e riposato rifugiandosi nelle amiche pareti domestiche.

Nel frattempo però quella sera il servizio della metropolitana, chissà, forse proprio per via dell’imprevisto del defunto, era molto più lento del solito; dunque tutti i pochi treni che passarono erano così farciti di persone che Nemesis non osò neppure alzare la testa dal suo libro schermante per tentare di prenderne uno.

Con il passare del tempo due donne lo raggiunsero sulla panchina nella quale sedeva. Nemesis, in momenti delicati come quelli, avrebbe pagato pur di rimanere da solo, ma dovette farsi un po’ da parte per favorire l’inserimento e una maggiore comodità dei loro larghi sederi femminili.

Le donne non ci misero molto a notare il cadavere quasi di fronte a loro, ed essendo donne – e della peggiore delle specie –, iniziarono subito a commentare la dipartita del tizio, non imponendo alcun freno inibitorio alla loro lingua.

«Che tragedia la vita, eh?! Uno prende la metropolitana per tornare a casa, dopo una dura giornata di lavoro, e poi ci rimane secco e muore… Così, senza un preavviso, dall’oggi al domani… E lascia tutti quelli che lo hanno conosciuto ed amato…», esordì una.

«Già. La vita è così breve. E uno dovrebbe godersela finché può! A che serve sbattersi tanto se poi un giorno uno deve morire così, senza neppure essere arrivato alla pensione?», disse l’altra.

«Sì, però il brutto è che uno non lo sa mai quando morirà!»

«Ma infatti dico io…»

«Altrimenti, sarebbe troppo bello da sapere…»

«Infatti…»

«La vita è così, purtroppo. Oggi ci siamo, domani chissà…»

Inutile dire che tali discorsi lottavano contro il disperato tentativo che Nemesis stava facendo per conservarsi scientemente estraneo alla vicenda e lo risprofondavano immediatamente in luoghi perigliosi della mente dove lui non avrebbe proprio voluto recarsi quella sera. Allora Nemesis non poté far altro che cercare di far valere ancora di più il misero antidoto che fino ad allora si era trovato, e aveva abbastanza funzionato, almeno prima della venuta delle due donne pettegole e chiacchierone.

Ma una delle due donne, quella che in realtà gli sedeva più vicino, osservando come Nemesis, a differenza loro, non tenesse lo sguardo fisso sui piedi dell’uomo riverso a terra, come sdegnata, gli lanciò un’occhiata che non prometteva nulla di buono. Nemesis non la appurò, poiché cercava di estraniarsi con tutto se stesso dal mondo esteriore; inoltre in quel mentre aveva il timore che, incrociando lo sguardo di una qualsiasi persona, essa avrebbe compreso lo stato di estrema prostrazione nel quale lui era, e ciò gli avrebbe arrecato molta vergogna.

Poco dopo la donna debuttò riferendosi indubitabilmente a lui e di fatto pungolandolo duramente.

«Certo che l’indifferenza degli uomini di fronte al trapasso è davvero riprovevole…», disse alla sua compagna, la quale la comprese al volo, cioè capì che essa si rivolgeva a Nemesis, e proseguì sulla stessa direttiva.

«L’indifferenza della gente è la cosa più schifosa del mondo. È l’indifferenza il vero male del mondo, non credi? Se tutte le persone fossero un poco più sensibili, il mondo non sarebbe ridotto così male e tutti saremmo più felici.»

«Già. Anche io la penso come te…», disse l’altra.

E Nemesis capì che le due presuntuose megere – che gli ricordavano, per quella caratteristica di credersi sempre migliore degli altri, la Gigantessa – insinuavano qualcosa che lo vedeva come protagonista e lo stessero severamente giudicando senza alcuna pietà. Quindi si sentì vittima innocente dell’ennesima congiura ordita ai suoi danni, e allora avrebbe tanto voluto buttare via quel libro dietro il quale si nascondeva e rivelare loro quale fosse la verità: che il suo non era certo un peccato di insensibilità, e che se davvero lui peccava di qualcosa era esattamente il contrario, cioè di eccessiva impressionabilità, ed era per via della sua spiccata gentilezza se lui non era in grado di pensare di poter osservare quell’uomo, come invece facevano quelle donne che si credevano così caritatevoli e di buon cuore ma indugiavano biecamente in quella vista cercando di ricavarne dei brividi laidi di piacere inverecondo.

Nemesis avrebbe voluto divulgare alle insulse donne tali argomentazioni, così (forse) le avrebbe fatte vergognare della loro meschina, sommaria, assurda percezione del mondo, ed esse avrebbero infine taciuto, magari non per sempre – perché gente di quella risma non è capace di imparare dai propri errori e perdura tutta la vita nella propria ottusa capziosità fuori luogo –, ma per qualche minuto sì! Ma Nemesis, solo ad immaginarsi di pronunciare quelle parole ardenti, era abbrancato da un sommovimento che gli abbassava la pressione ulteriormente e gli provocava la nausea: cioè, il ribellarsi a quelle bugie, avrebbe ottenuto di dargli la botta di grazia per far definitivamente detonare il suo malessere, il quale, bene o male, fino ad allora aveva tenuto sotto controllo; l’opporsi a quelle arpie lo avrebbe sciolto senza freni e presumibilmente, lui, subito dopo lo sfogo con esse, sarebbe svenuto e, chissà, forse morto.

Così a Nemesis non restò che vestirsi dei panni del miserabile che gli avevano cucito addosso e con quel libro si fece ancora più scudo, e se lo tirò su come esso fosse una coperta che occultandolo avesse avuto il potere per l’appunto di farlo stare meglio, al calduccio, meno intimorito.

Trascorsero ancora lunghi minuti interminabili nei quali Nemesis pregò che passasse presto un altro treno che si portasse via le due donne boriose. Le sue preghiere furono esaudite poco dopo quando, un convoglio rigurgitante di persone che quasi scoppiavano dai finestrini, transitò e si portò via le sue indesiderate vicine.

Nemesis ringraziò Dio e, mentre sacramentò, cominciò a passeggiare sulla banchina deserta. Non ce la faceva più a stare seduto e pensava che, nonostante la sua pressione sanguigna ballerina, un po’ di moto non gli avrebbe fatto male.

Quella sera Nemesis dovette attendere un’altra ora abbondante prima di poter salire su un vagone della metropolitana sufficientemente vuoto cosicché da poterci trovare posto seduto. E quando infine giunse a casa propria era davvero esausto. Fece un pasto iperproteico ma frugale e andò subito a dormire.

Il giorno dopo Nemesis era ancora vivo, ma l’ipocrisia nel mondo lo era ancora di più.

_donna1

_donna2