Il grande attore

L’ho incontrato un pomeriggio mentre ero in giro a passeggiare. Era in macchina, con la sua famiglia ordinaria, lui, il grande attore della tv. Mi chiese un’informazione stradale che non seppi fornirgli. Ma da quel modesto scambio di battute potei arguire tante cose sul suo conto.

Il suo tono era stato molto severo, al limite dell’aggressività. Si vedeva che sotto sotto covava l’esacerbazione, ed era uno che esigeva immediatamente ciò che voleva, non abituato ad accontentarsi.

Forse non voleva darmi il tempo di riconoscerlo e chiedergli un autografo. Forse era in ritardo per quell’irrinunciabile appuntamento. Forse non gli andava di farsi vedere davanti alla famiglia che anche lui, l’eminente attore, doveva inchinarsi a chiedere a uno sconosciuto qualsiasi quell’informazione. Di certo, la figlia piccola, seduta dietro, specchiandosi nei miei occhi, ebbe un moto di allarme. Chissà a quali collerici scenari doveva esser abituata, lei, realmente così dimessa e placida, al contrario del padre-padrone che dissimulava sempre quando era in pubblico.

Quell’attore, sì, quell’attore famoso che quando intervistavano alla televisione appariva sempre incredibilmente pacato e riflessivo… Ma era una recita, la sua. Perché quello non è il suo carattere. Lui dentro è duro, possessivo, bugiardo, vendicativo, e infedele. Perché ci tiene a tenersi stretta la sua piccola, modesta, semplice famigliola borghese. Ma tradisce la moglie con tutte quelle che può: è sessodipendente. E qualche volta si innamora pure (sosterrebbe lui) di quelle che gli fanno svuotare e dolere i testicoli per giorni.

DOT: Il gioco è già finito

Il suo sguardo è distaccato come quando non mi conosceva. Ma non posso dire che sia lo stesso. Perché prima era imperniato più sulla diffidenza. Adesso, invece, sembra che lo guidi una massiccia dose di allerta: come a dire che deve ricordarsi di non darmi troppa corda. Deve esser quello il suo comandamento irrinunciabile e inviolabile quest’oggi. Ma perché, cristosanto?! Non sono mica un farabutto! E non le ho mai fatto nulla di male!
Penso all’ultima volta che ci siamo visti e quale potrebbero essere state le cause che le abbiano scatenato una tale reazione spropositata. Elencarle forse mi aiuterà…
Primo: può essere che, dopo che l’ho invitata a prendere qualcosa, lei abbia avuto la certezza che ci volessi provare, e che quindi, essendo già impegnata, abbia deciso di allontanarmi con vigore da lei? Potrebbe, però mi era sembrata realmente, non dico propensa, ma almeno contenta che io le avessi fatto una tale proposta. Oppure potrebbe anche essere che le abbia dato fastidio la mia faccia quando mi ha comunicato che non aveva tempo: quel giorno avevo pure il mal di stomaco e il thè mi serviva sul serio! Vaglielo a spiegare a una donna che se le fai un’espressione schifata non è perché ti ha detto qualcosa che non gradisci, ma perché le potresti star per vomitare in faccia…
Secondo: prima di andarmene le ho scritto (con una pessima grafia) uno sgangherato “CIAO” su una delle fotocopie sulle quali stava studiando. Che si sia offesa perché mi sono permesso quell’enorme libertà non rispettando la sua proprietà?! Se fosse così sarebbe incredibile! Ma vallo a sapere! Nella mia vita ho incontrato ben due ragazze (con opzione sulla terza) che mi hanno tolto l’accesso alla loro gomma da cancellare perché avevo osato scriverci sopra qualcosa, e non era neppure qualcosa d’offensivo! Ma non capiscono, le ragazze, che se tu scrivi qualcosa per loro vuol dire che le pensi?! Dovrebbero quindi esserne contente! Sempre!
Terzo: per quanto assurdo, potrebbe anche addirittura essere che si sia offesa perché me ne sono andato senza aspettarla! Forse da quello ha tratto che non mi interessi sul serio e dunque è rimasta oltraggiata. Sennonché è lei che prende e se ne va sempre senza dirmi nulla! Lo ha fatto già diverse volte!
Quarto: inoltre ci sono sempre quelle ipotesi che sconfinano nel fantastico e nel paranormale, come che magari le sia sparito uno dei suoi cari fogli e per qualche ragione si sia convinta che glielo abbia sottratto io, ecc… Ma queste supposizioni non le voglio proprio prendere in esame perché… sono infinite e rischierei di diventare pazzo a immaginarmi tutti i modi più disparati in cui le femmine riescono a complicare le proprie vite e sopratutto le nostre, che sono molto più semplici e sensate e che non vorrebbero mai essere ingarbugliate dai loro intrighi da fattucchiere…
Nondimeno c’è anche una quinta ipotesi, che comunque è la più triste, forse la più probabile e anche la più netta. Come mi ero ripromesso, le scorgo le mani alla ricerca di anelli. La sua mano sinistra è completamente glabra e bianca. Per la mano destra ho più difficoltà perché non mi è a favore di visuale, è dalla parte opposta da dove la guardo. Ma poi qualcosa di molto significativo lo scorgo ugualmente. E vedo risaltare un enorme anello, che non è proprio una di quelle fedi normali e senza ornamenti, ma comunque somiglia tanto a un anello importante, perlomeno di fidanzamento. Non può essere semplice paccottiglia, mi affermo mestamente. Per questo sono idiota due volte: sia perché non me n’ero accorto prima (sempre se ce lo aveva, prima), sia perché adesso mi sto mettendo in testa che lo esibisce per la prima volta, perché altrimenti sarebbe stato impossibile non notarglielo. Anche uno come me sa riconoscere un anello di quella portata. Se l’è messo per tenermi lontano. E il discorso è chiuso. Per sempre chiuso.
Addio Hushy, o come cavolo ti chiami. Ti ho rivelato il mio nome, e tu hai fatto altrettanto col tuo, ma in definitiva non è servito a nulla, vero? Allora perché lo abbiamo fatto? Perché creare un legame se già sapevi che sarebbe stato spezzato? Perché mi hai sorriso in quel modo? Perché mi hai fatto innamorare di te? Perché adesso ti sottrai se prima mi volevi? Perché ti è bastato così poco per disconoscermi?
Ma certo, mi dico. Dovevo aspettarmi che una tipa eccezionale come lei, capace di sorridere a quel modo, avesse già qualcuno da amare, qualcuno che si era impegnato a conquistarla chissà da quanto tempo, qualcuno da cui tornare la sera, e magari pure un paio di marmocchi piccoli per annoiarsi un po’ di meno e per avere sempre la giornata impegnata. Hushy deve essere una specie di casalinga che la mattina accompagna i figli al nido e poi si butta in biblioteca poiché vuole prendersi quella laurea che finora ha dovuto accantonare e sacrificare per altre questioni più impellenti…

Tra le righe

Lui quel giorno aveva evacuato con gran soddisfazione. Era contento perché era due giorni che non andava al gabinetto e cominciava ad avvertire una pesantezza che gli rovinava l’umore. Per questo, era contento. Per questo, quando la incontrò, si sentì di farle quel sorriso così generoso. E lei pensò: a questo qui gli piaccio! Allora, visto che voleva farsi rimorchiare, contraccambiò il sorriso: fece del suo meglio per comunicargli che era disponibile e che anche a lei lui piaceva. Lui vide quel sorriso e pensò: vuoi vedere che questa ci sta? ohibò, è il caso che non me la lasci scappare…
Allora la volta dopo si presentò con un mazzo di fiori. Ma lei ne rimase turbata perché pensò: oddio, ma che si è messo in testa questo?! non voglio mica mettermi con lui! Allora fu più fredda. Lui notò la circostanza ma non ne capì il motivo. Quel giorno doveva avere l’alito cattivo, pensò infine; è per questo che non mi vuole. Allora la volta ancora dopo si presentò con l’alito ben profumato da una mentina. E ci tenne a farselo annusare, l’alito. Ma lei pensò: che schifo! ha l’alito che sa di menta, e io odio questo effluvio! Così, in preda alla nausea, si sforzò di sorridergli più gentilmente possibile per toglierselo di torno al più presto. E lui pensò: gli piaccio proprio; guarda come è imbarazzata quando mi incontra! devo proprio approfittarne sul serio prima o poi. Mentre lei invece pensava: devo fare in modo di non incontrarlo più questo qui, sennò non me lo levo più di torno!…
Se non si parla chiaro, si è destinati dapprima a fraintendersi e poi a disdegnarsi. È sempre così.

Sogno #74: Il ritorno della ragazza dal sorriso immacolato

Un giorno, imprevedibilmente, Tereza dal sorriso immacolato tornava da me. E lo faceva di sua spontanea iniziativa senza che l’avessi cercata. E io, anche se mi ero giurato che qualora fosse tornata l’avrei ricusata così come lei aveva fatto con me molteplici volte in precedenza, io non la scacciavo, e seppure di malanimo le permettevo di ronzarmi attorno. E ben presto diventavamo amanti come non eravamo mai stati. Però il nostro non era, e non sarebbe mai potuto essere, un amore puro e gioioso, e rimanemmo incastrati in un rapporto d’amore-odio. Così io stesso mi sorpresi a picchiarla una notte, esattamente come lei si sorprese a vedermi che la picchiavo: io, Nemesis, che non avevo mai alzato mano su donna alcuna in vita mia.

La picchiavo così forte e senza pietà che il mio era come un invito ad andarsene. Era come se le dicessi: vedi?, se rimani, questo è quello che ti aspetta, cagna!, perché è quello che ti meriti; ti darò finalmente quel che ti sei guadagnata sul campo, cagna!; ma io non sarò capace a mandarti via.

Così credevo che se ne sarebbe andata sul serio e che magari mi avrebbe anche denunciato alle autorità recitando la parte dell’innocentina. Già me la vedevo mettersi negli abiti della povera vittima sacrificale, sfortunata e turlupinata, della donna che aveva avuto come unica colpa quella di fidarsi di un manigoldo che aveva sempre finto di essere un gentile non violento, mentre invece era solo un lupo travestito da agnellino. E allora io sarei finito in carcere, sì, ci sarei finito per una donna infima e falsa come lei e mi sarei maledetto per il resto della mia grama vita per essermi fatto giocare così clamorosamente per un’ultima grande volta da lei.

Quello davvero avrebbe potuto essere il mio destino, ma non andava così. Perché, fin da quella prima volta che la battei, Tereza a un certo punto cominciò a piangere e mi intenerì talmente tanto che me la dovetti stringere tra le braccia come una bambina preziosissima e casta. E lei notò il mio cambiamento e osservò che piangevo anche io (ma non per quello che le avevo fatto bensì per quello che mi suscitava). Così facevamo l’amore nella maniera più totalizzante che esistesse e infine lei si chiedeva se da ultimo non avesse trovato il grande amore della sua vita. Sennonché non passava poi molto che lei mi rimostrava la sua vera faccia di donna ipocrita, menzognera e traditrice, in maniera che ancora mi venisse voglia di picchiarla a sangue e non esitassi per nulla a seguire questa mia immonda brama.

L’avrei sempre picchiata. Mi resi conto col tempo che inconsciamente la picchiavo per punirla di tutte le malefatte che aveva compiuto nella sua vita e che sempre avrebbe reiterato, perché era nella sua stolta natura essere la donna malvagia che era.

Però rimaneva il fatto oggettivo che mi attraeva. Sì, mi attraeva, anche se lei era tanto cattiva quanto io mi sentivo buono anche se la bastonavo. Credo che, il mio, poteva essere, attraverso tutte quelle botte, anche un estremo tentativo di mondarla; oppure era il contrario: ero io che dovevo depravarmi altrimenti la nostra unione empia non avrebbe potuto permanere, essendo troppo sbilanciata per la nostra totale incompatibilità.

In realtà non avrei mai potuto davvero tenermela vicino, perché era impossibile cambiare la natura di quella donna manipolatrice. Ero dunque io che mi avvicinavo a lei, non volendolo, diventando ogni giorno più cattivo, ma solo per quel che concerneva lei.

La umiliavo in tutte la maniere, la mettevo al guinzaglio, la torturavo, la facevo giacere con altri uomini sconosciuti e poi le gettavo in faccia il denaro che le avevo fatto guadagnare dicendole che era una puttana bravissima, che in quello era la numero uno: prostituirsi era l’unica cosa che sapeva fare.

E lei piangeva, ma sapeva che, tanto più lo avrebbe fatto in maniera sincera (sì, perché c’erano delle volte che fingeva, e allora io mi arrabbiavo con lei e la battevo ancora più forte), tanto più poi mi sarei commosso amandola sinceramente, quasi pentendomi, rivelandole che tra noi due chi perdeva di più ero io. Perché mentre lei al massimo poteva perder coscienza se la battevo troppo forte avendo in eredità fiotti di sangue e qualche livido violaceo che le sarebbe stazionato sul corpo o sul viso per qualche giorno, io perdevo, giorno per giorno, pezzo per pezzo, una parte della mia anima pura che non sarebbe mai più tornata, che in realtà era come se lei fagocitasse filtrandola attraverso sé, rendendola sempre più nera, come la sua.

Così alla fine, era lei che vinceva, che mi avrebbe sconfitto. Perché era riuscita a pervertire il cuore gentile di un uomo che un tempo l’aveva amata di un amore altissimo, incontaminato e sincero. Mentre oggi quell’amore commisto con l’odio si era talmente guastato che puzzava di marcio ed era imputridito. Sapeva di morte.

 

Mark Haddon: Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte

Avevo sentito dire che questo libro era “bellissimo”.
L’ho letto e l’ho trovato “carino”.
È la storia di Christopher, un ragazzino con la sindrome di Asperger la quale lo costringe a comportarsi in maniera molto diversa da un comune ragazzino. Christopher non ride mai, non guarda le persone in volto e ha difficoltà a interpretare lo stato d’animo degli altri basandosi sulle loro espressioni. Per questo Christopher può sembrare ai più un po’ stupido. Ma la verità è che non è affatto stupido. Solo, la sua intelligenza funziona in maniera differente. E per esempio lo fa eccellere in Matematica…
Una notte Christopher trova il cane di una vicina ucciso. Così si mette in testa di scoprire chi lo ha ammazzato, anche perché il suo idolo è Sherlock Holmes…
Il principale pregio di questo libro è far comprendere che se uno agisce in una maniera fuori dal normale, non è detto che questi si stia comportando in un modo oggettivamente sbagliato.
Mi ha anche portato a riflettere circa un atteggiamento del mio cane. Prima dei pasti, può cadere in una sorta di “stato gemente” che mi dà molto fastidio. E ho sempre bollato la sua condotta semplicemente come “molto capricciosa”, punto e basta. Ma forse non stanno proprio così le cose. E si potrebbe affermare che, non dico che abbia una sorta di mini sindrome di Asperger, però chissà…

Kutza

La chiamavano tutti Kutza nel quartiere. Che era una specie di diminutivo del suo nome originale, ben più lungo e complicato da pronunciare. Kutza era una ragazzotta abbastanza bassa (anche se meno di quanto sembrasse perché era anche abbastanza tozza e robusta, io dicevo sempre tracagnotta) e non la sopportavo. Non sopportavo nulla di lei. Non sopportavo per cominciare la sua faccia da uomo. Era quella la cosa che colpiva più di tutte dal principio perché non la si poteva non notare. E allora la si guardava, la si guadava, la si poteva guardare per ore. Delle volte mi ci incantavo, quasi chiedendomi come potesse essere così brutta e maschile. Ma questi due aggettivi non rendono bene l’idea e c’era anche dell’altro nel suo volto, dell’altro che mi sfuggiva e non saprei dire cosa. So solo che appariva pacchiana la maniera in cui si era tinta i capelli di biondo. La prendevo sempre in giro per quello, le dicevo: scema!, ma che fai, ti tingi? come se così potessi diventare bella! tu che che sei brutta fin da quando eri piccola, non sei mai stata neppure passabile!, le dicevo con disprezzo. E lei un po’ ci rimaneva male però col tempo prese l’abitudine a non cambiare più espressione facendomelo vedere. E non so dire se davvero non la ferissi più o fosse solo una tecnica la sua: so solo che sembrò non turbarsi più troppo, a meno che non ci fossero anche altre persone presenti, perché comprensibilmente un insulto davanti agli altri fa sempre più male.
Dunque aveva quei capelli lisci tinti di biondo che si vedeva che erano molto innaturali, anche perché le sopracciglia erano invece di un colore marrone scuro. Quindi si capiva subito che era tinta… Che poi, quelle sopracciglia, assumevano sempre un’espressione austera e severa, tanto che sembrava un ufficiale dell’esercito costantemente allerta che non si rilassava mai. Solo quando sorrideva un poco le si curvavano e le si addolcivano i tratti del viso, altrimenti faceva davvero spavento, Kutza.
Aveva poi degli zigomi molto forti e sporgenti e una fronte ampia (ma adesso che ci penso non troppo). Fattostà che a me pareva proprio un uomo. Glielo dicevo sempre a Hugo che mi accompagnava nelle passeggiate nei vicoli del quartiere. E anche lui era d’accordo, anche se quando glielo ripetevo mi sembrava che me lo confermasse più per farmi un favore piuttosto che lo pensasse davvero. Quando la incontravo le potevo gridar dietro: Kutza, ma tu hai un cazzo enorme lì sotto, vero? Comunque su una cosa non c’era dubbio che eravamo d’accordo, così come pure tutti i ragazzi del quartiere: Kutza era davvero bruttissima e senz’altro la più brutta di tutto il paese.
Anche se poi un giorno mi sorprese assai un commento di Hugo, che disse, quel giorno in cui Kutza si era vestita più leggera e chinandosi per raccogliere la palla durante un allenamento aveva messo in evidenza il suo abbondante seno il quale per un attimo le si era convogliato tutto nel vestito gonfiandoglielo, quella volta Hugo disse che una bottarella gliel’avrebbe pur data, anche se si trattata di Kutza: anzi disse che una “bella bottarella” gliela avrebbe data. Il che era molto grave perché implicava un reale coinvolgimento libidico e mi stupì molto. E quando, sentendomi invero un poco tradito da quell’affermazione, glielo feci notare chiedendogli spiegazioni in merito, Hugo fece retromarcia dicendomi che era stato solo un modo di dire e non dovevo essere sempre così fiscale. Intanto però lui si era immaginato di metterglielo dentro a Kutza, e aveva fatto venire in mente anche a me quell’immagine così ripugnante, che cazzo!
Kutza la vedevamo tutte le mattine che accompagnava i fratellini a scuola, entrambi con un volto molto più normale del suo, oppure più spesso il pomeriggio che si allenava con le compagne di pallavolo. Perché Kutza faceva parte di una squadra che a dire il vero era anche tra le più forti in assoluto della regione, sopratutto perché tra le sue fila aveva gente del suo calibro. Non mi costa fatica ammettere che Kutza fosse brava a quel gioco. Era molto esplosiva, non si stancava mai e nonostante l’altezza era molto meglio della media delle giocatrici che partecipavano al torneo perché saltava molto in alto. Per questo Kutza in quell’ambito era molto popolare. Lì veniva applaudita e si faceva il tifo per lei. Lì quelle sue gambe storte e tozze che però erano capaci di lanciarla per aria per una misura spropositata o che le permettevano di gettarsi disperatamente su una palla lateralmente riuscendo a tenerla viva, lì quelle sue gambe grassocce con il piede sinistro antiesteticamente storto verso l’interno non la facevano sfigurare. Ma anche se gli altri in quegli ambiti la esaltavano, io dentro di me pensavo sempre con disprezzo: sì, vabbè, sai giocare bene a pallavolo, te lo concedo, ma rimani sempre la ragazza più brutta che io avvia mai visto sulla faccia della terra!, fai schifo Kutza!
Poi ci fu quel giorno d’estate in cui la incontrai al mercato. Io ero andato a comperare la frutta per papà. Lei era venuta per salutare un po’ di gente dopo che aveva vinto la coppa con la squadra di pallavolo. La coppa l’avevano data a lei da tenere perché, oltre a essere il capitano della squadra, non vi era dubbio che quel risultato era stato raggiunto sopratutto per merito suo. Quel giorno si era vestita bene e si era pure truccata (ma io pensavo che tanto rimaneva bruttissima lo stesso!). Indossava un completino chiaro. Con sopra una camicetta nella quale le sue bombe rischiavano di scoppiare per quanto erano compresse (ma che ci volete fare, Kutza aveva delle tette molto grosse, anche se a me avevano sempre fatto inderogabilmente orrore!), e sotto una gonnellina , anzi una minigonna bianca, tutta svolazzante che quando c’erano delle forti folate di vento le lasciava vedere le mutandine, nonostante Kutza si sbattesse al massimo delle sue possibilità per non farlo accadere. E a me quelle mutandone bianche della nonna che tenevano il suo grosso sederone fasciato non facevano alcun effetto, tanto che quando gliele vidi pensai ancora una volta che non mi sorprendeva che fossero di quel modello, molto larghe, perché su Kutza quelle con i pizzi e i merletti avrebbero sicuramente sfigurato… Quando il vento le tirava su la gonna, lei aveva pure la faccia tosta di arrossire sorridendo, che scema! Beh, si fosse trattato di un’altra ragazza, avrei sicuramente pensato che ben le stava se il vento le lasciava vedere le mutandine, e che sicuramente aveva messo la minigonna sapendo perfettamente a cosa sarebbe andata incontro. Sennonché su Kutza non avevo alcun dubbio che non ci fosse stata alcuna malizia nel suo atteggiamento goffo perché lei non era mai stata maliziosa in vita sua, inoltre sapeva perfettamente di essere brutta e non si sarebbe mai sognata di reclamare le attenzioni degli uomini, almeno per quel che concerneva certe questioni sessuali e simili.
Kutza si prese gli ennesimi complimenti, quel giorno tutti glieli facevano. Fu il turno del macellaio, che era un suo mezzo zio, che lei ringraziò cortesemente innalzando ancora una volta il trofeo con orgoglio con quelle sue ridicole braccette corte e tozze con le mani piccole. In quel momento mi si ruppe una busta con la frutta dentro (sicuramente fu anche un po’ colpa di Kutza, che mi portò sfortuna) e tutta la frutta mi cadde in strada, e le arance cominciarono a rotolare dato che c’era una leggera pendenza nel terreno. Allora Kutza, che aveva gli occhi su di me in quel momento, guarda caso, fu lesta a prestarmi soccorso. E quando si chinò sulle ginocchia il seno le si gonfiò ancora come quella volta che lo avevo già visto accadere, e per la prima volta in vita mia, a vedermelo così vicino, provai una strana attrazione per le sue bocce e pensai che forse quelle, e solo quelle, potevano essere belle da quell’angolazione e solamente, eccezionalmente, per quei pochi istanti in cui la guardavo io.
In due riuscimmo ad arrestare la corsa di tutta la frutta sferica che altrimenti sarebbe giunta a valle fin nella piazza. Quando ci rialzammo in piedi confesso che ero mio malgrado in erezione, anche se non capivo come fosse possibile. Ma poi avemmo il problema di dove mettere la frutta. Le dissi di attendere, che sarei andato a rimediare altre buste in qualche altro negozio, ma lei mi disse che la frutta me l’avrebbe portata a casa dentro la sua coppa, e difatti lì aveva radunato quella che era passata dalle sue parti, proprio lì. Dunque mi invitò a mettere anche quella che avevo preso io lì.
Il minimo che potessi fare sarebbe stato di portare la coppa io, ma lei non voleva. Allora finì che la portammo entrambi. Mi fece un effetto strano camminare con lei per il paese facendo quella cosa assieme, con lei che sembrava non serbarmi alcun rancore per tutte le volte che le avevo detto che era la ragazza più brutta dell’universo. Lungo la strada incontrammo anche Hugo da lontano il quale avrebbe forse potuto darci una mano anche lui, anche se in tre la coppa non avremmo potuto portarla agevolmente, però lui si limitò ad adocchiarci, sorriderci con fare complice facendomi l’occhietto, e io non capii il suo gesto e cosa avesse voluto sottintendere. Comunque Hugo fece in maniera di sparire ancor prima che gli dessi una voce chiedendogli di avvicinarsi.
Una volta giunti a casa mia e depositata la frutta sul tavolo della cucina, lei mi aiutò anche a collocarla nella fruttiera. Al che mi dissi che la dovevo ringraziare sul serio, per la prima volta in vita mia: era stata troppo gentile con me dandosi da fare così tanto per tutto quel tempo, deviando anche dal suo giro trionfale con la coppa per farsi celebrare da tutti.
Lei era lì ferma, in piedi, davanti a me che mi fissava sorridendomi con la sua faccia da uomo russo. Lei era calmissima e sembrava si aspettasse una mossa da parte mia. Ciò mi fece leggermente innervosire. A ogni modo era il momento di ringraziarla, non mi potevo sottrarre. Allora mi avvicinai, mi arcuai leggermente su di lei e le diedi un bacetto sulla guancia. Lei mi assecondò. Sembrava non avesse aspettato altro. E una volta che fui a tiro mi mise le sue tarchiate braccia al collo e stringendomi mi fece sentire il suo enorme seno morbidissimo eppure sodo che mi si spingeva sul petto. Quell’abbraccio durò diversi secondi durante i quali la mia erezione, che non ero riuscito a mitigare durante tutto quel tempo, mi portò ad avere un’eiaculazione nelle mutande, anche perché con una gamba Kutza mi strusciò per l’appunto sul membro. Kutza rimase ferma fin quando l’espulsione di tutto lo sperma non avvenne. Solo allora si staccò da me sorridendomi con quella sua faccia da uomo e dicendomi quelle parole che non avrei mai dimenticato: da oggi non mi prenderai mai più in giro, vero? E io, oltremodo imbarazzato per tutto quello che era successo, arrossito in volto e diventato molto impacciato, non potei che assentire col capo.
Fu quello il giorno in cui incredibilmente mi innamorai di Kutza diventando il suo schiavo sessuale. Da quel giorno feci tutto quello che mi ordinava di fare e non potei mai più sottrarmi al suo giogo. Da quel giorno lei mi soddisfò come niente altro al mondo, ma solo una volta ogni tanto, facendomi sospirare molto tra un appagamento e l’altro.

Il problema di Monty Hall

Ho trovato questo problema matematico nel libro LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE.
Un tale partecipa a un quiz televisivo. Ha davanti sé tre porte e lui deve sceglierne una. Vincerà quello che ci troverà dietro. Dietro due porte c’è una capra. Nell’ultima c’è un automobile.
Il tizio effettua la sua scelta. Ora, il presentatore, che conosce cosa si nasconde dietro ogni porta, scopre, tra le due non scelte, una porta con la capra e gli propone di scambiare la porta che ha scelto con quella ancora rimasta.
Al tizio conviene cambiar porta oppure deve tenersi la sua?
Ora, la maggior parte della gente, compreso me, risponderebbe che giunti a quel punto ha il 50% di possibilità di aver scelto la porta con l’auto. Dunque sarebbe indifferente cambiare porta o meno… E questo è invero inoppugnabile!
Ma c’è un però. Un grosso però. Se si tiene invece conto dell’albero completo con tutte le possibilità, si evince che cambiando si hanno il doppio delle possibilità di vincere l’auto rispetto che non cambiando!
Se si cambia, si hanno il doppio delle possibilità di vincere l’automobile rispetto a se non lo si facesse sostanzialmente perché le capre sono due!
In fondo è un po’ come con i numeri del lotto. Se un numero è ritardatario, cioè non esce da diverse settimane, avrebbe maggiori di uscire rispetto a numeri usciti magari l’ultima volta. Eppure ogni volta che si fa un’estrazione, ogni numero ha sempre l’identica probabilità di uscire…
Altro esempio: la roulette. Magari sono tre volte che è uscito il rosso. Secondo la Statistica, è più probabile adesso che esca il nero. Eppure se chiedete un’opinione a degli esperti giocatori d’azzardo, vi diranno sicuramente che a loro è successo di veder uscire diverse volte il rosso o il nero chissà quante volte consecutive…
Soddisfatti della spiegazione appena avuta?
Io no. Ho ancora delle cose da dire in merito…
Possiamo affermare, tornando alla prima questione, che cambiando si abbiano più probabilità di vincere la macchina perché, dietro ogni questione Statistica c’è sempre l’ingombrante Legge dei Grandi Numeri, la quale sostiene (ed è universalmente riconosciuta come veritiera) che alla lunga, tutti gli eventi casuali si compensano, cioè si dispongono con la stessa frequenza, cioè, per esempio, nel lotto, alla fine tutti i numeri saranno usciti grossomodo lo stesso numero di volte.
Ah!
Capite dove sta l’inghippo?
L’inghippo sta nel capire dove sia questo limite che farà in maniera di appianare tutte le distribuzioni. Il fatto è che è un limite fittizio. Nessuno può dire concretamente dove sia o quando verrà raggiunto. O forse dovremmo dire che dipende molto dal concetto di piccolo e grande o di vicinanza che vorremmo applicarvi. Cioè, mettiamo che facciamo 1000 estrazioni col lotto dopo le quali viene fuori che la massima differenza fra le frequenze dei numeri estratti sia al più di cinque unità. Allora potremmo decidere di affermare che la forbice delle differenze è accettabile…
Insomma, in realtà, molte dei concetti essenziali della Statistica di questo frangente si basano su un margine di tollerabilità, o anche sul nostro punto di vista, e non sarebbero così oggettive come si vorrebbe far credere.
Dunque, tornando a bomba, è vero che effettuando lo scambio nel problema di Monty Hall si hanno più probabilità di vincere, ma è anche stramaledettamente vero che non disponiamo di uno storico su eventi similari tale che ci faccia dire che sia sensibilmente migliore fare la scelta di cambiare porta…
Capito?