La Sfinge nel suo dedalo

 


«Dove sei?»

«Sono qui». Una voce, la sua voce, proviene da quell’anfratto lontano. È lei. La seguo.

«Qui dove?»

«No, sono qui!», dice con una punta di collera. E la sua voce proviene dalla direzione opposta.

«Non capisco. Dove sei davvero?»

«Lo so che non capisci. Anche io non ti capisco.»

Silenzio. Mi immobilizzo indeciso su dove andare.

«E non so se condurti da me… Perché non vieni?», aggiunge.

«Ma tu vuoi che venga oppure no?»

«Sì, lo voglio. No, non lo voglio. E ora che farai? Ti prego vieni. Oppure ti distruggerò per sempre. O distruggerò me stessa.»

«Sono qui, sono qui per te, Sfinge. Sono qui per liberarti dai tuoi enigmi. Perché ancora diffidi?»

«Perché la Sfinge sempre dubita di tutto. Anche di se stessa. Per questo, adesso che ci penso, non potrà mai accadere che tu possa trovare un modo per raggiungermi. E questo mi dispiace assai. Quanto vorrei che tu svelassi il mio mistero…»

«E io lo svelerò. Ormai sono dentro al tuo ginepraio. Troverò la via per raggiungerti! Fosse l’ultima cosa che faccio!»

«Allora vieni, mio prode cavaliere coraggioso. Sono alla tua destra, in fondo.»

Ma la sua voce proviene ancora dalla parte opposta. E io seguo quella.

«Ma perché allora mi depisti, se davvero vuoi essere trovata?»

«Perché se mi trovassi poi ne morirei. Lo sento. E io non voglio morire. Io sono la Sfinge e se svelerai i miei misteri ne morirò. Ah, ma forse avrebbe un senso morire per te…»

«Tu sei la Sfinge. Ma io sono il cavaliere. E ogni cosa farà il suo corso. Ma non morirà nessuno. Perché io ti libererò dalla tua maledizione e tu tornerai a essere quella donna che un tempo fosti, quando ancora tutto era immacolato e puro.»

«Non credo alle tue lusinghe. Tu vuoi solo giocare con la Sfinge, come tutti. E io ti farò scorrazzare nel mio labirinto fino a quando non ne uscirai pazzo. Perché so essere anche molto vendicativa con chi mi prende in giro. Sarò crudele.»

«Qui tu sei la sola che mente, che parla per indovinelli. E io ti batterò. Perché io voglio conquistare il tuo cuore.»

«Credimi bel cavaliere, credimi ora che non mento, credimi se ti dico che il mio cuore, seppure per un attimo potrai conquistarlo, poi continuerai sempre a riperderlo. Così dovrai riconquistarlo e riconquistarlo all’infinito, perché il cuore della Sfinge è una Sfinge esso stesso, mentre tu sei solo un misero cavaliere che ancora tengo in vita per non tediarmi.»

«Mi sottovaluti, Sfinge. Io ho dalla mia il potere della Fede. E io credo, credo, credo. Credo forte e ti conquisterò. E se il tuo cuore è anch’esso una Sfinge, allora anche nel mio ci sarà un cavaliere capace di domare quel tuo cuore ingannatore e perennemente perplesso.»

«Basta. Non ti voglio ascoltare. Non so chi sei. Non lo saprò mai. Esci dal mio labirinto per cuori funerei. Il tuo cuore potrebbe essere più nero del nero. Te lo ordino.»

«Mi dici che non sai chi sono, ma sai tutto di me. Tutto quello che c’è da sapere. Conosci già la mia anima e il mio cuore. Mentre qui sono io che non so degli abissi di profondità che si estendono nelle lande solitarie del tuo cuore da Sfinge. Dove sei Sfinge? Parlami.»

«Non te lo dirò. Sono alla tua destra.»

Ma la voce proviene da sinistra ed io mi porto lì.

«Giungerò da te. Lo giuro.»

Silenzio. Non parla più. Avrà forse deciso di terminare il suo terribile passatempo? Se non parla non la raggiungerò mai. Mi sarà quasi impossibile perché il suo labirinto è troppo grande e a esplorarlo tutto da capo a fondo non mi basterebbero dieci vite. Così davvero io e la Sfinge non potremo più incontrarci.

«Ti sei arreso mio cavaliere? Sono stata troppo atroce con te, forse. Mi manca il tuo sentimento, anche se forse era solo una menzogna…»

Mi muovo verso la voce.

«Parlami, oh mia Sfinge. Non smettere di parlarmi. Dove sei?»

«Sono qui. Qui, qui. Lontanissimo. Eppure vicinissimo che potresti toccarmi. Avresti paura a toccarmi, oppure avrei più paura io a farmi toccare?»

«Parlami, Sfinge. Parlami…»

E lei parlò e io da ultimo me la trovai innanzi e con la mia spada lucente distrussi l’amuleto che teneva sempre al collo tramite il quale il suo sortilegio perdurava. Così lei fu finalmente libera. Libera di amarmi.

Padre di famiglia

 


Sono un padre di famiglia e ho diritto di esistere!

Certo, sono un mafioso e raccolgo il pizzo dai negozianti del mio quartiere, e delle volte ho bruciato, messo bombe, minacciato, ma sono sempre un padre di famiglia.

Sono anche un politico corrotto e delle volte ho imboscato soldi pubblici, ma tanto quelli erano soldi di tutti, quindi di nessuno, quindi rimango un padre di famiglia col suo diritto a esistere.

Certo, picchio mia moglie e stupro mia figlia, da quando ha le sue cose, però rimango pur sempre un padre di famiglia che lo Stato può tutelare. Un padre di famiglia che può risposarsi tutte le volte che vuole e fare tutti i figli che vuole.

Certo, sono evasore fiscale e metto i soldi da parte per godere di una ricca vecchiaia, ma a me lo Stato mi deve assistere perché sono un padre di famiglia.

Oggi ho perso il lavoro e pretendo che lo Stato me ne dia un altro, perché sono un padre di famiglia. Sono stato tassista e sistematicamente rubavo sul compenso gonfiandolo a dismisura; poi sono stato all’Alitalia dove mi appropriavo dei bagagli dei passeggeri; poi sono stato agricoltore sfruttatore di animali trattati come schiavi ai quali davo da mangiare prodotti ricavati dalla loro stessa carne che li facevano diventare pazzi… Però a me lo Stato mi deve tutelare perché sono un padre di famiglia e ho diritto al mio posto al sole.

Faccio il saluto romano e picchio i gay e gli extracomunitari e tutti quelli che mi gira, ma rimango un padre di famiglia e quindi non dovrei proprio andare in galera per queste sciocchezze.

Scrivo commenti fasulli pro-lobby sul web e mi pagano per farlo e non mi sento per niente in colpa perché, essendo un padre di famiglia, posso fottere chiunque a vantaggio della mia famiglia.

Sono un padre di famiglia perché ho ingravidato una donna per potermela scopare ogni volta che volevo e poi ci ho fatto pure dei figli perché comunque non me ne fregava un cazzo. E a me lo Stato mi deve tutelare, perché sono un padre di famiglia.

Sono una merda umana ma sono pur sempre un padre di famiglia.

JLA: L’enigma della bestia

 


Dietro una patina fantasy da Signore degli anelli si nasconde una vecchia cagata di Alan Grant (scrittore che non ha MAI scritto nulla di rilevante nella sua lunga storia fumettistica) la quale si avvale di numerosi contributi pittorici di artisti bravi o bravini in questo genere. Una semplice scusa per rielaborare i personaggi della JLA in chiave per l’appunto fantasy, ma facendolo nella maniera peggiore. Così la storia non ha né capo né coda e spesso è pure così confusa che non si capisce che cazzo stia accadendo. Mi è stato così impossibile procedere nella lettura, che ho preso a guardare solo i disegni! E questo dice tutto!

Esprimo il mio giudizio critico su essa: NON COMPRATELA! FA SCHIFO! Investite i vostri pochi denari in qualcosa che perlomeno li valga.

La fibbia

 


Detestavo quando la fibbia della borsa mi si rovesciava finendo per assottigliarsi, divenendo sia molto antiestetica che scomoda. Allora mi mettevo lì e con santa pazienza la risistemavo, in modo che le cuciture più evidenti risultassero verso l’interno e non il contrario.

Ma poi sempre succedeva che quella fibbia si rivoltava un’altra volta, e io tornavo sempre lì a logorarmi per farla tornare normale.

Un giorno ebbi un’idea. Quando la fibbia si rovesciò, la lasciai in quella maniera, non la toccai, anche se morivo dalla voglia di farlo e provavo un senso di disagio accentuato a sapere che aveva assunto una posizione disordinata.

Non passò molto che, senza che eseguissi alcuna azione, la fibbia tornò a essere come prima, dritta e ordinata, ammodo, come me.

Mi sentii felice e capii che, delle volte, le situazioni si risolvono anche senza il nostro intervento. Si risolvono da sole, perché il caos può anche riordinare casualmente, qualche volta, invece che scombinare. Tutto andrà al suo posto prima o poi.

Italo Svevo: Una vita

 


Angustiante vita d’ufficio, un po’ alla Kafka, di un tipo assai semplice che scrive alla madre pregandolo di riprenderlo con lui in campagna. Verrà stravolto dalla conoscenza di, indovinate un po’!, una donna altera, la figlia del suo principale, la quale all’inizio non lo degnerà di alcuna considerazione, poi invece entrerà in confidenza con lui, pur lasciandolo per lungo tempo sulla corda. Eppure concepirà la balzana idea di scrivere un romanzo assieme a quell’umile impiegato, lei che invece è ricca e borghese…

Finale inevitabile per il povero impiegato? Non proprio. In questo romanzo, che poi fu il primo di Svevo, l’autore si cimenta affrontando le tematiche amorose da tutte le sue angolazioni, comprese quelle scomode, che spesso non si dicono, in cui il sofferente si trasforma sovente nell’oppressore, in cui tutti i personaggi sono costantemente impegnati a escogitare la maniera per fare i loro interessi nel modo migliore possibile… Così la storia ondeggia in varie direzioni ed è impossibile stabilire prima della fine come si concluderà la vicenda…

Non banale, davvero non banale. Complimenti, Svevo. Potevi scrivere un romanzo tradizionale, in cui qualcuno si affligge per amore per via di una persona cattiva, ma no, hai voluto percorrere la via difficile e oltremodo onesta, quella dei personaggi non completamente né buoni né cattivi, quella della verità. E hai finito per scrivere il tuo romanzo meno convenzionale, anche se “La coscienza di Zeno” non si batte, e anche “Senilità” è superiore.

All’inizio pensavo che non mi piacesse (detesto la vita aziendale e che se ne parli), ma poi, quando la storia d’amore diventa preponderante, mi è piaciuto molto. Il finale giuro che non l’avevo intuito.

Svevo è un grande. Altro che certe merdine di oggi che vanno in televisione a presentare i loro ridicoli libri…

Io sono della scuola di Svevo.

Proponi un lavoro da servizio sociale a b…

 


il bidello?

No, no, il bidello meglio di no, che con tutte quelle ragazzine poi sarebbe come indurlo (indurirlo) in tentazione…

il pizzettaio?

Beh, sarebbe in grado di fare un complimento (fasullo) diverso a ogni cliente entrasse nel suo esercizio. Però poi come minimo non ti farebbe lo scontrino e ruberebbe sul peso…

il fioraio?

Naaa. Finirebbe per vendere solo cactus…

baby sitter?

Vedi bidello.

la badante?

Ecco un lavoro che farebbe per lui. Aiutare i vecchi, i vecchi come lui. E pulirgli anche il culo, se serve. Potrebbero scambiarsi i favori. Potrebbero anche pulirsi i rispettivi sederi…

No, niente scambio di favori. Sai la merda che ci sarebbe da pulire davvero dal suo culo p2ista se uno si impegnasse a fondo… Per il vecchio di turno sarebbe un interminabile lavoro sfiancante.

Orfeo malato adora Euridice triste e la salva

 


Un’ambulanza è ferma sotto casa mia… Esco.


Sono uno spettro camaleontico e crepuscolare che si confonde con i contorni. Ma quest’oggi la luce che mi pervade è talmente abbagliante che divento manifesto a tutti coloro che normalmente non mi percepiscono (nessuna contraddizione).

Cammino per le strade come un essere superiore. Lo sono. Ancor più in questo periodo. Non ho freddo. Se non si ha freddo in inverno vuol dire: a) che non fa poi tanto freddo; b) l’adrenalina è in circolo e mi comanda; c) sono sotto l’influsso dell’amore.

Cammino per le strade come fossi presenza ultraterrena. La gente mi guarda esterrefatta. Le donne mi amano. Gli uomini mi invidiano. Come quella seduta sul muretto, che guarda proprio me, non mi inganno. Sei sola, piccola? La solitudine è uno dei mali del mondo, ma bisogna imparare ad affrontarla.

Mi guarda attratta, mi consuma con gli occhi. Non riesce a non guardarmi. Me ne sono accorto. Devo andare. Devo andare dal mio amore. La riguardo e lei è ancora lì fissa che sogna di avermi. Allora la lusingo con uno sguardo lungo, che non mi costa nulla. Ho capito, bella. Sì, ti ho capito. E contraccambio il favore. Anche io mi ti farei. Perché sono bendisposto verso il mondo, dato che sono innamorato. Sennò il mio istinto mi spingerebbe a chilometri da te, perché sotto sotto intravedo come non potrebbe mai funzionare, se non ci fossi io a compiere la magia… Ma capisco la tua attrazione per me. Capisco che mi vedi come Gesù sulla terra; ma questo mio stato di grazia è proprio perché c’è un’altra che amo. La saluto mentalmente. Magari quando ripasso da qua sarò single (questa frase non rende bene l’idea che ho in testa e si presterà a malintesi, ma pazienza). Magari in un’altra vita. Ma tu non mi aspetterai, vero? Una carezza, una carezza te la farei… Accontentati della mia predisposizione all’amore universale.

La città mi appartiene. E io cammino elevato mezzo metro da terra. Attraverso persone, vie, muri. Nessuno mi può fermare. Nessuno mi può toccare perché sto andando dal mio amore. E ci andrò facendo pure un bel pezzo di strada a piedi. Pensando per tutto il tempo a lei e solo lei.

Il ponte bianco si erge scultoreo. Così siamo in due oggi a ergerci sugli umani. Metropolitana. Un fottio di gente che si sposta per andare dalla fidanzata, dai parenti, per festeggiare il natale, alla partita, romanisti e laziali. Evasori fiscali che scappano alle Caiman (perché sono come il caimano). Gente mediocre con il bernoccolo della merda. Stupratori di anime quanto di corpi. Magari tra di voi si nasconde chi ha fatto del male al mio candido amore spedendolo all’inferno dei suoi sensi. Potessi saperlo, potessi… Cancri del mondo deambulanti. Vittime-carnefici di sé o di qualcun altro. Come può la vostra vita avere uno scopo?! Voi che neppure sapete cos’è l’amore?

Macché. Neppure mi ci impegno a deriderli o denigrarli. Sono in un altro piano fisico di realtà. Io ho uno scopo. Io esisto. Io mi muovo verso esso. Io vado da lei.

Aria. Aria fresca sulla faccia. Colori. Predomina il grigio. Sole. Oggi c’è un bel sole che racconta le sue bugie che va tutto bene. Ma per me è così. Per me è vero. Dunque a me non mente, il fottuto sole. Non gli permetto di mentirmi.

Un’ambulanza ferma anche qui in attesa di qualcuno che non verrà. Oggi nessuno.

Entro nella casa come avessi divelto la porta. Calore. Gente su gente, come maiali. Patatine fritte, noccioline, drink, odore di limoncello (ci scommetto). Ciao, ciao, sì, sì anche io qui, sì, sì, non sono morto, sì, sì, fanculo tua sorella puttana (che ancora conserva il sapore del mio @a$$o sulla sua lingua), sì, sì, che bello rivederti, come stai bene! Lo so, sto bene. E come sta lei? Lei chi?… Mi allontano indifferente sorridendo. Lei, quella lei non c’è più da tanto tempo. Perché ancora me ne chiedono conto? Avrà la sua vita da meretrice da qualche parte. E io ho la mia da beato altrove. Altrove.


Stringo mani, faccio sorrisi, tolgo cappotto (perché sovrariscaldano sempre gli ambienti ‘sti stronzi? D’inverno si usa la magliettina di lana per non aver freddo, idioti! E invece no!, loro si mettono quei piumini caldissimi realizzati in quel modo disumano e quando stanno al chiuso pretendono che ci siano almeno ventidue gradi! Sennò dicono che hanno freddo, gli stronzi. Che pena. Non sanno neppure come vestirsi. D’altronde in questa società guasta in cui per far finta di vivere si deve consumare…).

Introietto umani come fossero acque e io Mosè. Dividetevi al mio passaggio, fatemi passare, fatemi andare da lei. A questo punto diverrei nervoso se non la potessi vedere. Sono qui apposta per te, amore. Vedi cosa si fa per amore? Si attraversa l’inferno.

L’hai vista?, chiedo a F. Ma chi? Lei? Non so neppure se c’è…, mi fa strippare. Lo mando a cagare. Certo che c’è. Deve essere qui da qualche parte altrimenti vorrebbe dire che ha scelto di tradirmi alla fine, che non mi contemplerà più nella sua vita, che non mi crede più. Questo è un giorno perfetto e non andrà storto. È impossibile, decreto.

Riccardo è davvero mio amico invece. Lei? Sì, l’ho vista. Era lì in fondo, tutta triste. Adesso so perché, eh?, mi strizza l’occhio. Sì, è lei quella nuova. Grazie amico mio, vorrei parlare con te per ore e ore e dirti che mi dispiace per quella cosa disgraziata che ti è successa, ma ora devo andare da lei e tu capirai, perché sei una bellissima persona, e tra amici, si sa, non si ha bisogno di dircelo. Così saremo sempre tali, amici, anche se non ci vedremo più, addio amico mio che mi hai preceduto sempre in tutto. Un giorno avremo tutto il tempo per parlare.

Più giù, più scuro, più isolato, meno baccano, meno caldo, meno aria viziata. Eccola. Come è bella… Una canzone mi si spara nel cervello.


Seduta nell’ultima sedia possibile, alla soglia della stanza, vicino al balcone, anche se non fuori. Non ci si è messa sennò non l’avrei vista. E lei si voleva far trovare…

(adesso scusami, amore, devo andare a mangiare, ma continuerò questa storia dopo, nel pomeriggio, dopo la passeggiata nel parco illuminato dal sole, adesso torno amore, aspettami… e anche il romanzo attenderà)

(niente passeggiata. Il cielo s’è coperto e poi ha anche piovigginato, pensa. Così sono tornato più presto a te)

«Sei la persona più triste della festa», esordisco.

«L’ho fatto per te. Altrimenti come avresti fatto a riconoscermi?» (citazione?).

Subito le sue braccia al collo. Poi stringe forte. Le sono mancato. Ma anche lei mi mancava come l’aria pulita.

«Ti avrei trovato per via della tua anima nera. Nera per il troppo dolore.»

«Ma io so dipingerla di tanti colori, la mia anima…», mischia le carte come fa sempre.

«Lo so. Ma io so vedere i veri colori delle anime, anche della tua. Con me non hai speranze di apparire diversa… Mi sei mancata. Te lo dico perché so che ci tieni. Ed è pure vero.»

«Anche tu…» (bacio).

«Una volta ho detto una frase molto bella a una ragazza che mi piaceva» (lei si ingelosisce subito) «Le ho detto: dove sei stata per tutto questo tempo? Lasciando intendere che era tutta la vita che la cercavo…»

«Bellissima. Avrei voluto l’avessi detta a me.»

«Ma lei è niente ora. Mentre tu sei tutto.»

Sorride onorata. Mi ama. E il mio amore la confonde.


«E lei come reagì?» (pensa ancora a quella gattamorta).

«Lei sul momento rimase molto colpita ma capì che l’amavo…»

«E poi?»

«Mi ha fatto passare il natale più bello della mia vita. Bello perché ero convinto di aver trovato l’anima gemella… Ma poi, pochi giorni dopo, ha scordato tutto. Ha ritrattato. Non mi credeva più.»

«Che idiota. E povero te. Immagino il tuo tormento…»

«Non parliamo di lei. La senti questa canzone?» (un lento in sottofondo).

«Carina.»

«Balliamo.»

Così balliamo, anche se nella realtà non lo farei mai.

«È bellissimo essere innamorati a natale, non trovi amore?», dico.

Le passa nello sguardo il ricordo di un maggio di fuoco, ma mi vuol dare ragione.

«Sì, seppure maggio non è che sia tanto male…»

«Sì, però maggio è primavera. È tutto diverso, ci sono gli ormoni che frullano impazziti…»

«Frullano?! Eh! Eh!»

«Frullano e drogano le nostre reali percezioni. Invece d’inverno, amare è molto più romantico, e malinconico. E intimista. E soffuso. È un fuoco che arde incessante nella neve.»

«Mi hai convinto, amore», e mi bacia, «Sono stata così afflitta senza di te. Temevo che non saresti venuto. Sarei impazzita.»

«Perché voi donne, come dico sempre, siete delle senza-dio. Non sapete credere fino in fondo nelle persone.»

«È che abbiamo paura di perdere tutto. Se una donna punta tutto sul cavallo sbagliato, non le rimana nulla, neppure l’anima…»

«Neppure quell’anima che tu non avresti più, eh? No, finché esisterai avrai sempre un’anima bellissima in grado di far innamorare qualcuno di te… Piuttosto mi preoccupa il tuo sconfinato dolore…»

«E tu? Tu non provi uno sconfinato dolore? Non siamo uguali in questo? Se non ci fossi, non saprei cosa fare…»

«Scema. Io ci sono sempre. È questo che non vuoi capire. Sia quando sono presente fisicamente, che quando non ci sono. Quando lo capirai sarai meno schiava del dolore. Il dolore, è di questo che ti volevo parlare, amore. E ormai questo argomento è divenuto irrinunciabile…»

«Non voglio parlare del dolore… il dolore no… non me lo ricordare… Amami e basta. Fammi scordare di tutto…»

«Il dolore è nemico di tutti gli esseri umani.»

«Questo lo so.»

«Va combattuto.»

«Ci provo. Ma come? Solo stordendomi lo posso annebbiare…»

«No, non serve a molto stordirsi con dosi da cavallo di adrenalina, o qualcosa che ti faccia battere forte il cuore. È un fuoco fatuo.»

«C’è chi si ubriaca, chi si droga, chi si cerca disperatamente un amore…»


«Lo so. Tu vorresti un amore annebbiante quanto accecante, che cancelli il dolore, almeno per un po’. O meglio tu vorresti le sensazioni assolute dell’innamoramento, quella febbre che brucia e divora l’anima, quello struggersi nel piacere d’amare e d’essere amata, vero?»

«Sì…», confessa sincera.

«Ma non è quella la soluzione. Io invece vorrei darti l’amore, l’amore come sicurezza, come ulteriore ragione di vita, l’amore come verità, l’amore che dà certezza e infonde coraggio e forza. Non la febbre bruciante dell’ubriaco, del tossico che consuma la sua candela più in fretta, non le bugie della vanità… Il dolore, il dolore è il vero nemico e va combattuto, affrontato, non eluso. Devi pensare al dolore come a qualcosa di solido. Un uomo armato che vorrebbe farti fuori. E allora che fai? Lo fuggi e basta, quando sai che tornerà sempre a farsi sotto? No, lo devi contrastare, giorno per giorno, per tutto il tempo che ci vorrà. Implacabilmente. E vedrai che piano piano otterrai delle piccole vittorie. E piano piano queste vittorie diverranno più nette. E un giorno saranno piene. E allora ti diverranno sempre più facili, sempre di più. E poi un giorno, senza accorgertene, avrai trionfato, seppure la battaglia sarà stata così dura che quando ti guarderai indietro ti chiederai: come mai avrò fatto a venirne fuori? Eppure lo avrai fatto, amore mio…»

La stringo cullandomela dolcemente come una bimba carissima.

«Amore…», le sussurro pianissimo nell’orecchio, «Non l’ho mai detto a nessuno, ma la mia più grande sconfitta, la mia più grande caduta, avvenne il giorno in cui il dolore conseguì la sua più grande vittoria su di me… Così, mi ritrovai completamente solo, e non ebbi la forza di reagire. E la Nera Signora quasi arrivò a sfiorarmi…»

Piange, l’ho fatta piangere.

«Chi era lei? Chi era quella che ti spezzò il cuore?»

«Non era una brutta persona. Anzi, era bellissima. Per questo non potevo accettare il suo silenzio. E sarei pure morto per lei. Ma lei, questo non lo avrebbe mai saputo. Così la mia dipartita sarebbe stata del tutto inutile. Del tutto inutile a tutti…»

Smettiamo di sussurrare. Cambio tono e torno al discorso principale.

«Il dolore è il contraltare della gioia. Il dolore e la gioia… Solo chi conosce davvero l’uno può aver sperimentato a fondo anche l’altra. Sono sensazioni, emozioni sorelle. Il dolore e la gioia albergano vicinissime l’una all’altra. Per questo si può piangere di gioia come di dolore, come tu adesso piangi… Non piangere di dolore. Piangi di gioia, amore, come piango io pensando che ti ho conosciuta.»

«Credo che sia gioia, una gioia affogata nel dolore…», mi dice bagnandomi il petto volendo forzare la verità.

«Sia la gioia che il dolore sono sensazioni molto soggettive, solo in parte sarebbero oggettive. Ciò vuol dire che derivano dal nostro egocentrismo. Dunque possiamo in larga parte scegliere se essere felici o meno. E questa è una notizia molto buona. D’altronde la gioia è il non dolore. Un giorno capirai che se non avrai un gran dolore da piangere allora potrai essere felice… Il mondo è meraviglioso, amore. Non bisogna vedere tutto nero…»


Adesso che ci sono, può spostarsi sul balcone a respirare l’aria pungente della notte blu.

«Mi ami?», si volta e mi guarda dopo esser rimasta in silenzio ad osservare il panorama.

Annuisco.

«Anche se non conosci tutto di me? Come puoi amarmi?»

«Conosco la tua anima nera. E chi ti dice che non conosca davvero la tua anima solo perché in parte me l’hai occultata? Dal particolare si desume il complessivo.»

D’un tratto non sopporta più l’idea che esistano gli altri e diventa insofferente. Vuole andare in un mondo dove esistiamo solo io e lei. Basta con l’inferno.

«Portami fuori da qui… Liberami dal dolore…»


Decido che debba sorgere il sole per render il mio amore meno triste. Così dispongo e ci ritroviamo alle dieci di una bella mattina soleggiata, in un grande parco.

«Che bello. Non siamo mai stati assieme in un parco», nota lei.

«Passeggiamo. Qui potremo passeggiare all’infinito.»

Piange, assimilando il significato recondito delle mie parole. Piange perché sa.

«Non piangere, amore. Come te lo devo far capire che il nostro amore è vero e che non ti lascerà mai sola?»

Non riesce a parlare e io non riesco a trovare parole adatte a descrivere i suoi sentimenti femminili.

«Hai il mio amore. Che cosa potresti volere di più? Certo io una famiglia non te la posso dare. Non posso. Non potrei. Mi dispiace. Questo no. A nessuno. Ma hai il mio amore. Che è tutto quello che vale e tutto quello che posso darti.»

Camminiamo per minuti, lentamente. Intorno a noi la natura incontrastata.

«E poi io sono un immortale, amore. E il mio amore vale tantissimo. È più prezioso di quello di altri.»

«Immortale?», si incuriosisce.

«Certo. Immortale non è colui che vive in eterno (che poi sarebbe pure impossibile, perché anche gli universi muoiono). Immortale non è neppure chi vive fino a novanta anni. A meno che ciò che ha fatto gli sopravviverà e verrà sempre ricordato, come Mandela (che comunque era bello longevo di suo visto pure che è stato più di vent’anni in carcere)…»

«Chi è immortale allora?»

«Immortale è colui che… che scampa ripetutamente alla morte attraversando il suo inferno. Io sono immortale.»

Piange nuovamente. È inconsolabile.

«Mi dispiace», le dico, «Non era un racconto di questo tipo che volevo scrivere. Se tu sapessi amore… Stamattina avevo tutto chiaro nella testa e volevo scrivere un bel racconto d’amore in cui avrei detto tutte le cose importanti da sapere e tenere sempre a mente sull’amore. Solo alcune sono riuscito a dirle. Ma poi, dopo la pausa…»

«L’ispirazione si è modificata. E ne è venuta fuori questa babele…»

«Esattamente! Eppure oggi sono stato molto bravo, sai amore. Sono molto fiero di me. Ho fatto qualcosa che non riuscivo a fare da molto.»

«Che cosa hai fatto?»

«Per iniziare ho fatto la spesa…»

«La spesa?», spernacchia un sorriso.

«Sì, la spesa. Ti fa ridere, eh?»

«Ma… che c’è di tanto eccezionale?»

«Niente. Ma di solito faccio solo una cosa alla volta, io…»

«E poi è domenica…»

«Sì, ma mezza giornata sono aperti. Non è meraviglioso? Così se uno vuole fare una festicciola… Tra l’altro ho comprato tutte cose sfiziosette, da festicciola. Gelato, snack, acqua minerale naturale…»

«Acqua?»

«Sì! Ne ho trovata una che va bene per me! Non è meraviglioso? Una che non ti spacca niente, ma ha i minerali giusti. E nemmeno ti infiacchisce come le oligominerali (nessuno dice mai questa cosa e mi fanno molto incazzare! Plin plin un cazzo!).»

«Insomma hai fatto la spesa. Ma che bravo!»

«…Che poi la cassiera mi guarda sempre incazzata in casi come questi…»

«Perché ti guarda incazzata?»

«Perché c’è stato un tempo che credeva che si potesse concludere qualcosa con me… Io che ci penso così tante volte sopra… che poi mi lasciano tutte furiose… e odiandomi assai!»

«Che stupida. Come me.»

«Per te è diverso, lo sai. Comunque, crede sempre che mi sia messo con un’altra e che l’abbia rifiutata. Quindi mi odia! Tanto per cambiare! Perché a me le donne che ce le ho fatte credere (in realtà io non ho mai imbrogliato nessuno in vita mia) mi odiano tutte, capito amore?! Divertente, no?»

«Molto. E poi che cosa hai fatto?»

«Poi, tornato a casa, mi son detto: quasi quasi vado pure al parco. Ma sì! Facciamo questa follia! Di solito non faccio mai troppe cose una dopo l’altra. Ma stavolta sentivo che si poteva fare.»

«Che si poteva fare…», si commuove.

«Sì. Poi sono tornato a casa a scrivere questo racconto, come sai.»

«Come so… Senti, a proposito: si potrebbe fare qualcosa per il mio personaggio? Non fa che lacrimare, cazzo…» (lo dice piangendo) «E a me non piace per niente piangere… No, no… Vorrei che spiccasse maggiormente la mia personalità. Quella personalità stupenda da femmina adulta e consapevole, e intrigantissima e intelligentissima, che tu sai bene…»

«Ma certo, ce lo so» (nota: volevo scrivere “che lo so” ma era talmente divertente che l’ho lasciato così!) «Tuttavia, in questo racconto dovrai accontentarti di quello che ho fatto. D’altronde ti garantisco che tutti i maschi che leggeranno la storia si innamoreranno alla follia di te! Garantito!»

«Se è garantito, allora…»

«E le donne si identificheranno. Che è sempre meglio averle amiche che nemiche le donne, sei d’accordo?»

«D’accordissima.»

«Dove ero rimasto?»

«La spesa, il parco, il racconto…»

«Sì, pensa. Oggi ho fatto tutte queste cose e poi, non contento di tutto ciò…»

«Sei venuto da me…»

«Ho attraversato la città. Ho preso pure l’odiata metropolitana (nella realtà non la prendo quasi più ormai), ho camminato delle ore e sono giunto da te, amore.»

«Sono emozionata… Tutto questo per me…»

«Sai, una volta ho dedicato a una ragazza una canzone, ma non feci in tempo a dirle di quale si trattasse perché i nostri rapporti si interruppero molto bruscamente. E oggi penso che quella ragazza non si meritasse quella bellissima canzone. Te la meriti tu, amore. E io te la dono…»


«È bellissima. Ti amo.»

«Anche io. D’altronde sarebbe grave se non potessi averti neppure nei miei racconti…», ammicco.

«E chi mai sarebbe in grado di impedirtelo! I tuoi racconti, i tuoi sogni… Sono importanti per te.»

«Sono fondamentali. Sono tutto quello che sono adesso. La gente non capisce.»

«Ma…», esita e quasi si pente di averlo detto.

«So cosa vuoi dire. Su, dillo.»

Glielo faccio dire.

«Ma i sogni non sono la realtà…»

«E per questo dovrebbero essere meno importanti? Ascolta, quando sogni, tu pensi che siano reali, no?»

«Indubbiamente.»

«Quindi provi emozioni, ami, odi, hai paura, sei felice, ti senti libera, frustrata, proprio come nella realtà. Vivi. È vita quella! E potresti pure morire.»

«Sì.»

«Dunque, se è proprio come nelle realtà, quella realtà onirica può assurgere al ruolo di realtà almeno quanto quello della realtà vera, scusa il bisticcio ma tanto hai capito (che sei intelligentissima).»

«Mi hai convinta. E tu quindi chi sei?», chiede come mi avesse posto una questione tanto primaria che enigmatica.

«Io sono Adrian. Io sono Nemesis. Io sono Ariel. E sono pure Belosh, Bikal. Kamaia e ancora Adrian (è un nome che all’inizio ho usato per più personaggi). Io sono tutti. Io trascendo, trasecolo, sublimo, travalico. Io sono. Gli altri non lo so. E tu sei il mio amore. Credici, amore. Credimi sempre, altrimenti verrà il giorno in cui non mi farai più esserci. E sarà un giorno molto, molto triste. Inutilmente triste. Tutto questo per dirti che l’unica cosa che voglio da te è che tu non dubiti mai del mio amore. Solo questo ti chiedo.»

Sembra poco ma sarebbe tantissimo. Il massimo che le posso chiedere.

«Va bene, lo farò», dice coinvolta.

Tuoni e fulmini e fiamme e tenebre squarciate da raggi di sole.

Sorride. Il mio amore sorride. Ho fatto sorridere il mio amore. Che bel sorriso che ha…

Così, questo racconto, non è più quella cosa stupenda che doveva essere all’inizio. Però penso che il risultato non sia malaccio, in definitiva.

Credici. Credi nel tuo amore, amore. Credi in me. Credi in te. E non dipendere da me. Io ti sono accanto, ci sarò sempre. Ma se non imparerai che ci sono anche quando fisicamente non ci sto, ne soffrirai. Non devi dipendente da nessuno. Nessuno. Niente. Nessuno. Neppure da me. E non devi permettere a chi ti ha mandata all’inferno di riverberarsi all’infinito nella tua vita come se dovesse esserci sempre, perché non è così. Perché lui è il passato che non tornerà e un giorno morirà e verrà cancellato e sarà come non fosse mai esistito. Anche la violenza muore. Adesso tu puoi volare con le tue ali. E comunque io sarò sempre con te. Sarà un bellissimo natale.


Quando Ariel e Miriam si persero

 

Non ne potevo più di esser trattato a quella maniera, come non esistessi, da lei che in precedenza mi eri stata così vicina, complice. Quindi quel giorno sbottai e comunicai a Belosh tutto il mio malcontento per quella situazione di cui sapevo di non aver avuto nessuna colpa. Belosh, come fosse un fratello, mi propose una possibile interpretazione dei fatti (ed era invero assai plausibile), ma io non potevo contentarmi di quella semplice verità, non potevo accettare ch’essa potesse avere delle ripercussioni così pesanti su di me, io che avrei dovuto esserne avulso (perché i sentimenti tra due persone non dovrebbero mai essere influenzati dai sentimenti che intercorrono con altre persone)…

Il giorno appresso Belosh venne da me, mi disse che aveva parlato con Miriam, la persona che mi faceva soffrire, e lei aveva decisamente negato tutto. Ovvio: non poteva ammetterlo, tanto più di fronte a Belosh, lei che era la regina dell’Ipocrisia.

Ne rimasi deluso, ma non feci altro che sommare altra delusione a quella già provata in precedenza. Belosh mi suggerì di parlarne direttamente a lei.

Il giorno dopo mi recai a lavoro molto prima del previsto. Avevo un diavolo per capello non avendo abbracciato alcuna pace nel sonno. Insolitamente, trovai anche lei, Miriam. La sua presenza, a quell’ora anticipata, era una condizione che non si verificava da mesi, quando mi era ancora amica, nel periodo in cui probabilmente essa, tale circostanza, la faceva accadere appositamente, per ritagliarsi uno spazio da condividere solo con me. Notai subito la strana casualità. Mi misi al mio posto cercando di badare ai fatti miei.

Eravamo soli. Esplorai la sua faccia. Dolente, come non mi si mostrava da mesi. E stavolta non mi celava nulla. Le chiesi se avesse qualche grattacapo (intendendo di lavoro) ma lei disse che era tutto okay. Bene, allora perché sembrava così afflitta?

Pensai fosse venuta prima di proposito, per chiarire. Aveva un senso. E fui a un passo dal dirle qualcosa del tipo:

Senti, ti volevo parlare, se hai un attimo

Lei avrebbe detto che ce l’aveva…

È da un po’ che ho acclarato una cosa che certo non mi fa felice, e te ne vorrei chiedere il motivo

Qui forse mi sarei bloccato e sarebbero iniziate a sgorgare le prime lacrime, così da rivelarle, a lei come a me stesso che non me lo volevo ammettere, quanto fosse diventata importante per me, spropositatamente importante. Così, forse, non sarei stato in grado di procedere. Ma qualora ce l’avessi fatta, allora le avrei detto ancora…

Comprensibilmente, non posso pretendere di piacere a tutti. Però proprio non capisco perché prima ti comportavi con me come fossi davvero mia amica, e difatti ti sentivo molto vicina, mentre adesso, adesso… sei così lontana. Mi eviti, non mi parli. Sembra ti sia diventato, progressivamente, sempre più odioso…

Ero lì lì dal farle questo discorso quando mi resi conto che… No, non potevo. Per primo perché ne sarei stato troppo coinvolto e avrei fatto la figura di chi non sa accettare la fine di un amore (di qualunque tipo sia). Per secondo perché… che cosa avrebbe mai potuto rispondermi lei? Non esisteva un motivo giusto per comportarsi in quel modo, per trattarmi così disumanamente. Dunque lei non avrebbe potuto che affermarmi una serie di scuse una dietro l’altra…

Sai, il lavoro mi stressa… Sai, sono in una fase della mia vita in cui sono prossima a compiere mutamenti molto importanti…

Sì, ma allora perché questo atteggiamento lo tieni esclusivamente con me mentre con gli altri ti comporti esattamente come prima?! Questa domanda (alla quale non sarei comunque mai giunto poiché mi sarei fermato prima per via della commozione) l’avrebbe inchiodata. E allora, non potendomi ammettere la verità, che dato che la sua situazione sentimentale era cambiata con l’altro allora ciò si ripercuoteva pure su di me (il che, tra l’altro, avrebbe avvalorato l’implicita ammissione della mia importanza per lei, dato che dunque potevo essere equiparato al livello dell’altro), non potendo far altrimenti, Miriam mi avrebbe sormontato con una sequela di bugie, su bugie, su bugie. Bugie che non sarei mai stato in grado di sopportare perché avrebbero umiliato troppo l’autenticità del sentimento nutrito per lei…

Così, quel giorno, la ebbi così prossima mentre eravamo da soli, con lei tutta costernata che era venuta appositamente prima per favorire il nostro chiarimento… ma non feci nulla per porlo in essere, quel chiarimento. Perché non potevo farlo.

Ariel è pazzo di me, ma io sono già impegnata…

avrebbe pensato lei da ultimo, inorgogliendosene, qualora avessi tentato di affrontare l’argomento.

Quel giorno cominciai a trattarla come mi trattava lei: con studiata disaffezione. Questo l’avrebbe fatta infuriare. E da allora, se possibile, le cose tra di noi andarono anche peggio.


Questo racconto può essere inteso come una specie di antefatto circa il libro che uscirà tra non molto, “La sottile fascinazione degli opposti”.