Viaggio (in pandemia) #1

(PULLMAN)

La valigia per fortuna non è molto pesante. E poi ha le rotelle.

Mi siedo sul marciapiede, al lato della strada. Mentre la mia adorata fidanzata è in piedi vicino la carreggiata per vedere quando passa il pullman. Per fortuna non ci fa attendere troppo.

Saliamo e lo troviamo vuoto. Che delizia! Possiamo sceglierci i posti. Ovviamente optiamo per quelli centrali proprio vicino all’uscita, in modo che quando scenderemo non dovremo fare chissà quali manovre. E poi sono anche un po’ più spaziosi degli altri. Così comincia ufficialmente il nostro lungo viaggio!

Osservo altre persone introdursi sul mezzo. Ogni volta, appena saliti, si guardano intorno per adocchiare i posti liberi; poi scelgono se andare avanti o dietro. Qualcuno è lì lì che quasi si vorrebbe fermare al centro, ma io lo scaccio con lo sguardo. Non voglio nessuno vicino! Primo perché si tratterebbe di assembramento. Secondo perché, per me, viaggiare così sarebbe ancora più problematico. Sto già lottando contro me stesso per non cedere a una patologia che si chiama asma e non voglio altri pensieri.

E sì: la sento premere, per venir fuori, la mia asma. Eseguo allora lunghi respiri. La mascherina l’ho messa sotto il naso, per incamerare più ossigeno. Il fatto è che questo riscaldamento scadente che abbiamo trovato sul pullman sembra fatto apposta per farmi venir l’asma.

Conto i minuti che mi separano dall’arrivo.

Ogni tanto mi volto verso il mio amore, come a chiederle quanto manca, ma non spiccico parola: non voglio angustiarla. Delle volte è lei che mi previene domandandomi come mi trovo. Io le faccio segno che è tutto okay. Se sapesse quanto è facile per me scivolare nell’asma… finirebbe per stare anche lei in apprensione; allora meglio soffrire in silenzio. Dai che ce la faccio, posso farcela…, mi ripeto.

Ma fisso l’orologio del pullman appeso in alto al centro e i minuti non passano mai. Ce la farò a fare questo lungo viaggio senza sentirmi male? Se mi abbandonassi alla paura, direi di no, che sono stato avventato a credere di potercela fare. Tuttavia non la voglio dar vinta al mio fato avverso. D’altronde da quando c’è lei ho fatto cose inimmaginabili fino a poco tempo fa. Ce la farò anche stavolta, penso. La notizia positiva è che la nausea perlomeno non c’è quasi più.

Dopo circa mezz’ora di viaggio il mio amore mi dà la bella notizia: siamo arrivati.

Oh, che bello! Che meraviglia, non me n’ero nemmeno accorto! Adoro queste sorprese del tutto inattese che ti salvano la vita!

Nel frattempo si è fatto buio, un buio già pesto che ci ricorda che Gotham City in fondo sarebbe a un passo da noi.

Scendiamo dal pullman e torno a respirare l’aria. Bene. Perfetto! Mi sembra pure quasi pulita, pensa un po’ te.

Il ribelle (film)

Un giovane molto incazzoso, con una lunga scia di abusi nella propria infanzia, finisce in carcere. È chiaro che con quel carattere che ha si troverà molto male, perché se la prende con tutti, non vuol fare alleanze ed è sempre pronto a menar le mani. Tuttavia si imbatte da un lato nel padre – anche lui ormai carcerato da tempo, che sa come muoversi lì dentro, con il quale però ha sempre avuto un pessimo rapporto – e dall’altro in uno che sta cercando di redimere alcuni degli elementi peggiori…

Normalmente non guardo film come questo, così pieni di violenza, che finiscono per farmi arrabbiare – i quali hanno però il pregio, proprio per questo, di non farmi addormentare la sera. Ma alla fine posso dire di aver assistito a un film molto bello nel suo genere. Un film che mi ha fatto tornare la “speranza” verso questi soggetti così pessimi che, fosse per me, normalmente, butterei direttamente nel cesso del mondo. Questi soggetti che, anche se è difficile, delle volte possono essere redenti.

https://www.raiplay.it/programmi/ilribelle

Personaggi perlopiù insignificanti dell’agenzia Voli di Gabbiano #9

Dopo alcuni mesi in quel deplorevole ambiente, Nemesis si iniziò a stufare di quelle persone che, una dopo l’altra, si erano rivelate tutte troppo differenti da lui. I sentimenti che provava non facevano che ristagnare sempre più. Ciò lo inaridiva.

Tuttavia un po’ di allegria contribuirono a dargliela dei nuovi arrivi. In particolare l’insensata demenza dello Zoppo Tartagliante più volte increspò le sue labbra di umorismo.

Lo Zoppo Tartagliante era un personaggio assai bizzarro. Nemesis capì subito quanto fosse strambo, anche se non poté percepirne in pieno l’intrinseca vena di follia poiché questi dapprincipio fu capace di celargliela. Già il fatto che fosse stato selezionato uno come lo Zoppo Tartagliante che, accusando dei problemi di deambulazione, non era ovviamente abile a quel mestiere, costituiva un appetitoso antipasto dell’assurdità che lo Zoppo Tartagliante si portava appresso…

Una sera Matilda si alterò con quelli del suo gruppetto di influenza alludendo che qualcuno avesse rubato delle attrezzature appartenenti alla ditta: si trattava di guanti da lavoro e qualche tuta, tutta roba di poco valore. Tra coloro che catechizzò c’erano anche Nemesis e lo Zoppo Tartagliante. Matilda sembrava esser sicura che il colpevole si nascondesse nel raggio ristretto di quella ventina di persone. Allora Nemesis squadrò uno a uno i suoi colleghi fino a persuadersi che, se il convincimento di Faccia di Pesce era attendibile, allora doveva esser stato sicuramente uno dei nuovi a insozzarsi di una tal colpa, anche perché prima della loro comparsa queste cose non erano mai accadute. Dunque Nemesis cercando di leggere nelle facce dei novizi chi tra di loro potesse esser stato, finì per convincersi che si doveva trattare indubbiamente dello Zoppo Tartagliante il quale era l’unico che sembrava turbato dal discorso di Matilda ciononostante le opponeva una fiera e silente resistenza, che non sarebbe dovuta sussistere se lui non fosse stato il colpevole. Nemesis si sentì anche di suggerire a Faccia di Pesce, con la quale all’epoca andava ancora d’accordo, la soluzione del caso.

«Se è vero, come dici, che tali furti non si sono mai verificati in precedenza, allora deve essere successo qualcosa di nuovo per generarli, no?», le disse un pomeriggio.

Matilda lo guardò con la sua classica espressione da pesce lesso, ma badò bene dal chiedergli di essere più chiaro. Nemesis pensò sul momento che temesse le sue considerazioni rivelatorie. Ma non era esattamente così, e in seguito capì che a lei non interessava tanto acciuffare il responsabile, come lui erroneamente aveva creduto, bensì semplicemente avvertirlo di smetterla.

Settimane dopo non si parlava più di sottrazioni illecite ma neppure nulla era stato restituito. A ogni modo lo Zoppo Tartagliante, un po’ come Nemesis, si ritrovò emarginato. Tutti gli amici con i quali era entrato a far parte dell’azienda si erano disimpegnati. Chi perché aveva rinunciato all’impiego; chi perché troppo preso dalla propria attività; chi perché non gli voleva più parlare ritenendolo antipatico. Così lo Zoppo Tartagliante si era fatto sempre più cupo. Nemesis intravide in esso un riflesso distorto di sé. E il concepire quel raffronto lo aiutò a non debordare anche lui fuori dai binari della sensatezza.

Nemesis poté assistere ai monologhi deliranti che lo Zoppo Tartagliante eiaculava mentre cercava di convincere al telefono i clienti nell’acquisto di prodotti pulenti. La cosa divertente era che si impuntava con coloro che non volevano accettare la sua offerta permanendo ore e ore al ricevitore con loro, spesso non riuscendo ovviamente a ricavarne nulla. Ma ancora più ricreativo era assistere a come ormai egli parlasse in una lingua disarticolata e incongrua tutta sua, e soprattutto come, contrariamente a quanto Nemesis si potesse aspettare, essi lo capissero benissimo e gli rispondessero pure argomentando le proprie motivazioni…

Lo Zoppo Tartagliante diede assiomatici segnali di squilibrio allorché iniziò a insidiare la collega che gli sedeva accanto intenta nel suo medesimo lavoro. La tipa, una di cui Nemesis aveva già appurato le indubbie doti di correttezza e bravura, strabuzzò gli occhi quando lo Zoppo Tartagliante le sputò in faccia una serie di parolacce accompagnandole a delle critiche insensate. Così toccò a Nemesis effettuare un’azione da pacere tranquillizzando la tizia, dicendole che lo Zoppo Tartagliante era un soggetto un po’ bizzoso; mentre a lui fece notare che era stato immotivatamente ingiusto e sgarbato con la sua incolpevole collaboratrice.

Fu lo Zoppo Tartagliante che venne ripreso da Faccia di Pesce quando essa fece girare quella circolare con le parti sbagliate alla quale si è già accennato in precedenza. E fu Nemesis in quell’occasione a difenderlo a spada tratta…

Tempo dopo, allorché si stava sempre più approssimando la fine del rapporto di collaborazione tra Nemesis e l’azienda, Nemesis scoprì che ormai anche lo Zoppo Tartagliante era in rotta di collisione con la stessa; pure lui reclamava dei crediti che non gli erano mai stati erogati ed era intenzionato a ottenerli da Faccia di Pesce, con le buone o le cattive. A immaginarsi la scena in cui lo Zoppo Tartagliante si avventava al sottile collo di Matilda per stringerglielo, Nemesis si saturò di divertimento: era certo che egli avrebbe dato molta briga alla menzognera donna…

Arthur Machen: I tre impostori

Serie di racconti che hanno per protagonisti stessi tipi – Machen utilizzava spesso gli stessi personaggi per portare avanti le sue trame – raggruppati in tre macrostorie, tra cui: La piramide lucente (di cui ho già parlato col nome di La piramide di fuoco) e La mano rossa.

Non sempre le vittime innocenti, in questi racconti, sono davvero tali. Talvolta possono rivelarsi… il braccio destro del Male.

La sua impostazione massonica viene sempre più a galla – ne sapeva più di qualcosa, il furbone…

3:-)

La zia [racconto di fantasia]

Mi chiamo Guglielmo. Ho otto anni. Sto andando in macchina a una specie di gita con qualche parente. Siamo tre macchine sull’autostrada. La mia è la seconda e con me ci sono mamma, papà e mio fratello. La prima è la macchina della zia F., con anche zio H. e i loro figli, che poi sarebbero i miei cuginetti (con i quali però non vado molto d’accordo e infatti non parlo quasi mai). La terza è la macchina dell’altra zia, di quella zia che non ricordo, che è venuta con il fidanzato di questo periodo. Non so neppure come si chiama; così la chiamerò solo zia. Stiamo andando al loro paese d’origine, dove mio padre, assieme alle sue sorelle, crebbero.

Non so perché a un certo punto è saltata fuori questa “nuova” zia. Mia madre non è contenta, l’ho capito, ma non so perché. Non so perché ora mi dicono che questa zia l’avevo già vista quando ero piccolo. Io non me la ricordo. Non so perché non fanno altro che chiedermi se me la ricordo. Se dico che non me la ricordo, non me la ricordo. Avevo quattro anni, no?, quando la frequentavo. Allora è comprensibile che non me la ricordi. Cioè di lei, quando l’ho vista brevemente in macchina, ricordavo solo che era effettivamente alta (per i miei standard), e aveva dei lunghi capelli neri, lisci. Solo quello mi sono ricordato di lei quando per un attimo la sua auto quasi stava per superarci, ma poi è tornata dietro, dopo averci salutato con la mano, in particolare me, che stavo dietro.

Arrivati al paese scendiamo dalle automobili. Siamo in una piazzetta. Sono tutti felici. Tutti felici di rivedersi dopo un bel po’. Se non ho capito male comunque è solo la zia che tutti non vedevano da un po’, mentre gli altri si frequentano abbastanza. Tutti sorridono, parlano di cose da grandi, di aria di montagna, di baite, di alcolici, di dove andare a mangiare, di panorama, eccetera. Mio fratello, al solito, vuole le attenzioni di tutti. Così se ne esce con i suoi numeri da parata. Parla sempre coi grandi come se lo fosse anche lui, grande. Vuole che gli si dica che è vivace sennò non è contento. Mio fratello va meglio di me a scuola, che mi distraggo sempre. Mio fratello viene considerato più bello di me, ma secondo me non è vero e io sono meglio. Mio fratello è più intelligente di me, questo glielo concedo, ma tanto l’intelligenza non è la cosa più importante, c’è anche altro, come la simpatia, in cui non per vantarmi ma io eccello – o forse si dice “eccedo”? Comunque ogni volta che stiamo con qualcuno lui vuole sempre mettersi al centro dell’attenzione: vuole rubarmi le attenzioni e anche gli amici. E così sta facendo adesso con la zia. Sembra che lui davvero non l’abbia mai vista – non come me che l’ho vista ma non me la ricordo perché ero troppo piccolo. Allora mio fratello fa la ruota come fosse il pavone. Si piazza davanti a lei e cerca di farsi dire quanto è bello, o intelligente, o spigliato, insomma cerca di attirare la sua attenzione. Ma la zia quasi non lo guarda, e questo mi fa molto piacere. La zia a dire il vero guarda solo me. Infatti ha già detto quanto sono cresciuto e anche lei mi ha chiesto se mi ricordo di lei, ma io ho dovuto fare di no con la testa. Così mio fratello infine abbandona il campo frustrato. Stavolta il suo fascino da bellimbusto non ha funzionato. Sono molto contento che la zia preferisca di gran lunga me a lui. Adesso mi ha messo anche una mano sulla spalla. E a me sembra di ricordare che quello era un gesto per noi consueto, quando ero piccolo.

Comincio a ricordare qualcosa… Da piccolo, quando non andavo a scuola, anzi, pure prima, dovevo ancora cominciare l’asilo… venivo portato a casa della nonna, dove dormiva ancora la zia. Sarebbe stata la nonna poi ad accudirmi durante il giorno mentre poi la zia sarebbe andata al lavoro. Però la mattina, prima che la zia se ne andasse, venivo sempre parcheggiato in camera con lei e potevo vedere quando si svegliava…

Camminiamo per i vicoli del paese. Ci sono un sacco di salite ripide. Io e la zia siamo per mano. Sono contento. Perché la zia mi fa sentire speciale…

La zia dormiva mezza nuda, cioè con solo le mutandine. Me ne potevo accorgere quando scoperchiava le coperte festante vedendomi. Allora si accorgeva che la guardavo e una volta mi chiese se avevo mai visto una donna nuda. Io dissi di no. Quella volta mi chiese se non avessi visto neppure la mamma nuda. E io le confermai di no. Allora, quella volta, si tolse anche le mutandine e mi fece vedere come era fatta “per davvero una donna”. Era stranissima ma anche bellissima. Ero molto attratto da lei, anche se non sapevo come mai…

Senza accorgercene ci ritroviamo a essere gli ultimi della fila. La zia a un certo punto mi fa l’occhiolino; mi sussurra di venire con lei. Ti fidi di me vero Guglielmo?, mi dice. Io le dico di sì, perché sento che è molto buona e mi vuole tanto bene…

Quella volta avvicinò molto il suo bacino al mio viso – in quel momento ero seduto – e mi disse di annusare. Io annusai. Fui molto sorpreso di sentire un odore che non avevo mai sentito. Sembrava come sudore, ma era diverso. Era forte. La zia mi chiese se lo sentivo. Le dissi di sì. Mi chiese se mi piaceva. Ci riflettei a lungo, poi decisi che, dato che non mi faceva schifo, mi piaceva. La zia, a quella notizia, fu molto contenta. Ma poi venne la nonna e la zia andò in bagno a farsi la doccia, per vestirsi e poi uscire. Ma la nostra “lezione” proseguì durante le altre volte che fui lasciato solo con lei…

Gli altri li abbiamo seminati. La zia mi porta davanti la serranda abbassata di un locale. Lei ha le chiavi per aprire e lo fa. Dentro scopro che è un bar. Allora mi ricordo che era proprio lì che la vedevo quando papà e mamma mi portavano da lei durante il giorno. Adesso me la rivedo dietro il bancone, sorridente, ogni volta che le facevamo visita… La zia mi dice se mi ricordo di essere già stato lì e io le dico che mi sembra di sì. La zia è felice. Mi dice che lavorava lì prima, ma oggi il bar è chiuso perché hanno fallito. Però ci sono ancora un sacco di merendine e altro da mangiare e bere…

Un giorno poi la zia mi disse che quella cosa che aveva in mezzo alle gambe, tutta pelosa, che mi aveva fatto annusare quella volta, si chiamava “patata”, o patatina se era piccola (per esempio le bambine avevano la patatina, però loro non ce l’avevano pelosa perché doveva ancora crescere, mi disse). Una volta mi chiese se volevo vederla dentro. Io non mi aspettavo che si potesse fare. Le dissi di sì. Così me l’aprì tutta davanti e io vidi che era davvero sorprendente, come un fiore. Era tutta rossa rossa che quasi sembrava insanguinata. Era anche bagnata come di rugiada. La zia mi disse di avvicinarmi per vederla meglio. Poi si dette una smucinatina con la mano, come le prudesse. Sembrò venirgli un po’ di affanno. Quando smise, mi disse se volevo sentire di che sapore sapeva. Io non ci trovai niente di male e le dissi di sì. Allora mi disse di leccargliela, che la patata veniva sempre leccata, anche se io ancora non lo sapevo. Così gliela leccai finché me lo disse lei. Mentre lo facevo sentivo come una grande eccitazione montarmi dentro, e il pistolino mi divenne molto duro, che quasi mi faceva male. Allora cominciai a intuire che quello era l’amore che facevano gli adulti, o perlomeno ci andava vicino.

Ho fame. La zia mi dà una merendina alla fragola e dice che mi prepara un tè deteinato. Io dico che va bene…

La volta ancora dopo la zia mi disse che effettivamente noi due ci amavamo e io ero diventato il suo fidanzato segreto – segreto perché i grandi amori come il nostro dovevano rimanere tali, sennò sarebbe venuto qualcuno a rovinarci i piani e ci avrebbero diviso…

La zia mi guarda fissa sorridendo. Mi fa emozionare. Divento rosso. È così concentrata tutta su di me. È la sola persona al mondo che si interessa così tanto di me. Sei cresciuto, mi fa. Mi spiace che non ci abbiano fatto vedere ultimamente, dice: te l’avevo detto che non dovevi dire niente, sennò ci avrebbero ostacolato. Avrebbero ostacolato il nostro amore… Io però non mi ricordo di quando avrei detto questa cosa che dice lei. Allora mi sento in difficoltà. Lei se ne accorge. Non ti preoccupare, non fa niente; non è stata colpa tua; di questo ne sono certa, puoi star tranquillo; beh, forse è meglio che sei cresciuto un po’; scommetto che ora potremo divertirci ancora meglio, dice.

Mi comincio a sentire accaldato. Queste parole, il modo in cui mi guarda, fanno quasi tremare. Non so perché mi sento così. Adesso ricordo che la zia mi faceva questo effetto ogni volta che pensavo a lei. Ricordo che a un certo punto avevo sempre la febbre. Allora la mamma fece venire a casa il dottore che mi visitò e mi trovò strano. Poi chiese a mamma di parlarle da solo, così io non seppi mai quel che le disse.

Poi ci fu quel giorno che stavano tutti in salotto, papà, mamma, il dottore e una signora con una cartellina in mano e la penna. Mi guardavano tutti. Io volevo scappare ma poi rimasi solo con la signora con la penna, nella mia stanza. La quale era gentilissima e calmissima, così non ebbi più paura di lei. Mi fece parlare molto, tanto che a un certo punto mi chiesi che voleva e perché non se ne andasse. Lei però mi aveva fatto capire che dovevo per forza parlare con lei. Mi fece fare anche dei disegni, e volle che le mostrassi quelli che avevo fatto ultimamente, quelli che mamma chiamava “orrendi” e che papà si era accigliato quando li aveva visti e mi aveva chiesto dove avessi visto quelle cose. E io gli avevo risposto che avevo disegnato solo i giochi che facevo con la zia…

La zia comincia ad accarezzarmi la testa. Oddio, che sensazione forte che provo, ho tanta angoscia, anche se la zia mi ama, lo so, mi ama più di ogni altro essere umano sulla faccia della terra, anche più della mamma. Vorrei sottrarmi a quelle carezze sempre più insistenti che mi fa la zia mentre si apre la camicetta… ma non posso, non ci riesco, non sono in grado. Che poi io amo la zia però… Però… Mi verrebbe lo stesso di correre via, perché per me è troppo, troppo forte quello che la zia mi fa provare. La mia mente rischia di esplodere in mille pezzi se non la smette… rischia…

Poi… come un senso di vuoto. Galleggio in aria. Osservo la zia che continua a spogliarsi portandomi la testa ai seni. Io sono come immobilizzato di sotto. Cioè riesco a guardarmi mentre sto sotto con la zia. Cioè, è difficile da dire ma io in realtà è come se fossi sopra che fluttuo, non tra le braccia amorevoli della zia…

Sento un gran rumore. La saracinesca che la zia aveva richiuso dopo che eravamo entrati nel bar si apre tutto all’improvviso. Entrano papà e mamma, e anche l’altra zia e lo zio. Mio fratello invece non c’è. Sono sicuro che sta dalla nonna. Si scagliano tutti verso me e la zia.

La mamma è quella che urla di più. Mi strappa con violenza dalle braccia della zia, che è mezza nuda. Mio padre allontana la mamma dalla zia, sennò potrebbe anche aggredirla. Poi però è lui che la prende per i capelli e comincia a picchiarla.

Non voglio che le faccia del male! Perché la zia è la persona al mondo che mi ama di più! Non le fate niente! Anche se mi stava facendo male con tutto quell’amore, io so che sotto sotto mi ama, non come voi! Lasciatela stare!, vorrei urlare, ma sono sempre come imbambolato. La mamma mi porta via, fuori. Il papà e gli altri portano la zia lontano, lungo la strada.

Lei, che ha sempre i capelli stretti nella mano del babbo, mi guarda per un’ultima volta. Sta piangendo. Mi guarda ed è come se mi dicesse di aspettarla, che prima o poi tornerà da me ancora una volta, e forse allora fuggiremo via lontano da tutti così ci potremo finalmente amare e lei mi potrà preparare tutti i giorni la merenda.

Sì, io amo la zia. È la persona al mondo che mi vuole più bene. Ed è anche bellissima. La zia mi fa esplodere dentro e fuori. Però immaginare che prima o poi la rivedrò mi procura lo stesso un’emozione insostenibile capace di farmi tremare il cuore. Ecco che svengo…

Paul Auster: Trilogia di New York – 1. Città di vetro

Un uomo che di mestiere fa lo scrittore di romanzi polizieschi, molto metodico, ormai vedovo, che vive praticamente solo di riflesso nelle blande pagine delle trame che imbastisce, riceve una notte una telefonata inquietante in cui cercano una persona che non è lui. Così per altre due notti. La terza decide di dire che è lui quella persona. Al che lo ingaggiano come investigatore privato, proprio come una parte di lui aveva sempre sognato.

Si reca a casa del suo cliente. Gli apre la porta una donna che da subito trova smisuratamente attraente. È la consorte della persona che l’ha ingaggiato. Di li a poco conosce il marito. Si tratta di un giovane che da infante ha subito pesanti violenze sia fisiche che psicologiche le quali lo hanno reso una specie di burattino fragilissimo, sia nel fisico che nella psiche, qualcosa che si fatica a considerare completamente umano. Il compito del novello investigatore sarà quello di impedire che l’artefice delle violenze sul giovane, cioè il padre, che sta per uscire di prigione, torni a fargli del male…

Una storia spiazzante con molteplici spunti di riflessione. Che avrebbe potuto spingersi in varie direzioni.

Sembra quasi un esercizio di stile, per dimostrare il duttile eclettismo dell’autore.

Personalmente avrei preferito un altro finale, ma anche così è un ottimo libro.

Immagine tratta dall’omonimo fumetto

Viaggio (in pandemia) #0

(NAUSEA)

Ormai lo so, ci sono abituato. Ogni volta che devo affrontare un viaggio, di riffa o di raffa, so che dovrò lottare con una nausea più o meno incipiente. Stavolta fin dalla mattina la sento strisciare dentro. A colazione sono pieno di saliva. Così applico la tecnica, l’unica che nel corso della vita mi abbia dato soddisfazioni: mi blocco. Cerco il più possibile di congelare ogni movimento, ogni emozione, che se scateno quello che ho dentro finirò per vomitare, questo è certo.

Giunto all’ora della partenza ho bevuto solo mezzo bicchiere d’acqua nel corso delle ultime quattro ore, il che è positivo sia per la nausea ma anche perché conto di non dover mai esser costretto ad andare in bagno durante il lungo viaggio che mi aspetta – che chissà cosa potrei trovare nei cessi.

Quando arriva il momento di partire facciamo i primi passi fuori casa. Sento che la nausea è imbrigliata.

Bisogna ammettere che la presenza della mia ragazza al mio fianco mi tranquillizza parecchio.

GIANGIOFF: Il futuro nei denti

Fumetto gratis (nella versione pdf), disegnato malino, di cui non ho ben capito il titolo. In parte autobiografico, forse, non so fino a che punto. Non pienamente riuscito.

Non so dire se un giorno questo autore riuscirà a esprimersi meglio ma per ora gli dico di continuare, se sente di avere delle storie da narrare, e magari cambiare un po’ tipologia di argomenti, non mettere solo le cose che più o meno gli succedono, che se fa una vita di m. piena di gente avvinazzata anche il fumetto sarà di m. e avvinazzato. Insomma gli dico quello che vorrei qualcuno mi avesse detto quando ho cominciato a scribacchiare io – e invero qualcuno me lo disse –: c’è del potenziale.

È la storia di un ragazzo che lascia l’università per il suo sogno: suonare in un gruppo. A dire il vero stava quasi per mollare quando gli offrono di partecipare a una serata musicale. Nello stesso periodo conosce anche una ragazza nuova che fin da subito gli piace parecchio. Tuttavia è costretto ad andare dalla psicologa poiché strano, e perché i suoi genitori si sono lasciati da poco…

Convivenza #3

Accendere forno e fornelli in una maniera tutta diversa da come sapevi fare tu.

Scoprire l’estrema praticità di un fornelletto elettrico.

Far scorrere vagonate di acqua fredda in attesa di quella calda.

*

Scoprire alcune porte in pendenza che si chiudono da sole – che fanno molto spavento! Sembra che la casa voglia isolarti al buio in una stanza!

Una notte poi inciampi e quasi divelti una cornice a cui lei è molto legata.

L’hai scampata per un soffio.

I Guardiani della galassia Vol 2

Non ho mai letto i fumetti dei Guardiani della galassia, però, certo, li conoscevo e ne avevo sentito parlare. Per cui non vi so dire se questo fatto della musica fosse centrale anche nei fumetti – ma non credo. Fattostà che gli autori hanno compiuto una (facile) genialata facendo sì che per l’appunto la musica recitasse un ruolo da leone quanto la storia, perché tutti conoscono l’enorme potere evocativo delle note giuste al momento giusto. Così non mi resta che appurare come questo film di supereroi, per chi ama il genere, non deluda affatto.

La trama in due parole è la seguente: il tizio capo dei Guardiani scopre chi sia il suo vero padre, nientepopodimeno che un Celestiale – ovvero un essere antichissimo, (quasi) immortale, che esiste dalla creazione del cosmo! –, Ego, il pianeta vivente, che nel film appare però quasi sempre in vestigia umanoidi, per meglio interfacciarsi col figlio semiumano. Ego lo cercava da parecchio, il suo pargoletto. Il motivo non era propriamente l’affetto paterno bensì il desiderio di mettere assieme tutto il loro potere per riplasmare l’universo a loro piacere (o qualcosa del genere). Quando il figlio scopre che il padre ha ucciso volontariamente la madre perché sennò ci si stava affezionando troppo, si incacchia un attimino e son botte da orbi, con superpoteri, chiaramente.

Il film è godibile anche se compaiono molti personaggi che non sapevo chi fossero ed evidentemente erano presenti nella prima puntata – che non ho mai visto per meri motivi di sonnolenze moleste serali, solo per quello, non per altro.

L’unico difetto che gli affibbio è quello di non aver reso Ego, questo pianeta vivente, per come lo conoscevo io, cioè si sono discostati troppo dal fumetto. Ego è come un pianeta autocosciente, una grande testa tonda fluttuante nello spazio dotata di bocca, e infatti è pure piuttosto logorroico. Chiedete ai Fantastici Quattro se non ci credete.

😉