Elizabeth: L’ossessione della sua morte


«E secondo te come è morta?»

«Sarà la trecentesima volta che me lo chiedi… Che vuoi che ne sappia io?»

«Prova ad azzardare un’ipotesi, grassoccio…»

Quell’epiteto comunicò a Ozzorn la contrarietà dell’amico, quindi infine cedette al suo volere.

«Secondo me… secondo me… una così l’hanno strozzata perché…»

«Perché?»

«Perché aveva fatto scattare l’invidia di qualcuno… Era tanto bella che…»

«Ah! Complimenti. La motivazione è plausibile. Ma è impossibile che sia andata così…»

«Perché?»

«Non aveva segni sul collo. Almeno mi pare…»

«Sì, mi sembra.»

«Mmm… Mi hai fatto venire un dubbio…»

«No, hai ragione. Non aveva segni sul collo.»

«…Sai che non ne sono più tanto sicuro?»

«Ne sono sicuro io. Io l’ho vista qualche secondo più di te. Tu invece l’hai vista solo di sfuggita. È normale che non ne sei certo.»

E se davvero Elizabeth fosse stata strangolata? Bikal lo avrebbe controllato con dovizia il prima possibile. E se per caso fosse venuto fuori che era stata realmente strozzata… sarebbe stato chiaro che Ozzorn gli nascondeva qualcosa, e Bikal si sarebbe infuriato davvero molto con lui e l’avrebbe costretto a dirgli tutta la verità.

«E tu, Bikal?»

«Cosa?»

«Come credi che sia morta?»

«…Per me? Droga. La vedo così. Non so perché…»

«Non male come idea. La droga è sempre un buon motivo, che va bene per tutti.»

«Forse. Però quelle così belle si fanno sempre, no?»

«Già.»

 

Gomorra nel PD


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La pelle artificiale del basilisco


Ingegneria

Da quando si è deciso di sviluppare le città in interi edifici verticali, è stato dimostrato che gli acquisti di quasi tutti i prodotti sono balzati da un margine che va dal 15% al 70%. E ti pareva che non l’avessero fatto per un fine economico…

Ogni città è composta da uno o più edifici in cui, ogni piano, solitamente, è ampio dieci chilometri quadrati e alto una trentina di metri (ma per quelli più economici si può arrivare anche solo alla metà). Il numero di piani varia da un minimo di cento a un massimo di trecento unità.

Io sto in uno di quelli da trecento. Ma per fortuna abito solo al centocinquantatreesimo piano. E non perché sia un poveraccio, no. Sono solo un uomo molto pratico. Infatti, se si considera che per spostarsi tra ogni piano il traghensore (contrazione di traghetto-ascensore) ci impiega almeno trenta secondi, compreso il tempo per far salire o scendere i passeggeri, se abitassi al trecentesimo piano vorrebbe dire che impiegherei anche due ore e mezza solo per giungere a casa. Mentre così me la cavo con circa settantacinque minuti. Così ogni volta nel traghensore mi metto comodo a sedere, mi leggo il mio libro telematico e rispondo alla posta elettronica. Così ottimizzo il mio tempo sempre più prezioso senza accusare particolari patimenti.

Beh, ormai sul traghensore si fa di tutto. E quando dico di tutto intendo di tutto. D’altronde la gente ci passa così tanto tempo… che alcuni lo usano per lavarsi a secco, e magari poi cambiarsi dì abito per essere già pronti per la prossima uscita.

Naturalmente sul traghensore si mangia, sopratutto cibo precotto ma anche da farsi seduta stante. Anche se non si potrebbe. Una volta ho visto uno che si cuoceva un arrosto in un microonde portatile.

In genere, in fondo al traghensore, si appollaiano anche coloro i quali vogliono rimanere in intimità per copulare. A tal proposito posso dire che si sta ampliando sempre più un florido mercato riguardante per l’appunto la prostituzione sui traghensori. L’Autorità ne è già informata, eccome se lo sa. E la sua prossima mossa a breve sarà quella di regolamentare anche questa branca di commercio, permettendo alle prostitute del traghensore di fare il loro lavoro pagando una retta che possano scegliere se sia fissa o variabile, in base alle prestazioni fornite…

Dicevo che i guadagni netti degli esercenti sono cresciuti di parecchi punti percentuali rispetto al passato perché, su molti piani, su quelli più bassi, sono fioriti nugoli di centri commerciali di tutti i tipi e tutti i gusti. La gente pensa: beh, dato che sono di strada, mi conviene passare al cinema, oppure andare a fare compre, oppure recarmi in banca. Ecco perché in questi edifici è come se non si dormisse mai e si può trovare tutto ventiquattr’ore su ventiquattro.

Borelle

Oggi sul traghensore ho visto una faccia conosciuta. Un uomo che forse conoscevo. Dovevo aver studiato all’università con lui. Ma erano passati così tanti anni che il suo muso era cambiato. Mi ero accorto che un tipo con un’espressione assonnata mi adocchiava incuriosito, però la sua faccia era così cambiata che non potevo giurare fosse lui. Per questo mi ero limitato a guardarlo non osando proferirgli parola. Ma poi è stato lui, che mi aveva riconosciuto perché devo essere cambiato molto meno di quanto non sia toccato a lui, che ha attaccato bottone mutando espressione e diventando di colpo di buonumore, quando prima sembrava invece piuttosto accigliato.

Borelle sembra diventato un uomo molto sicuro di sé nonostante la scarsa altezza e quei capelli dritti dietro lo possano far sembrare un tipo dimesso. Ricordo solo adesso che ogni tanto si presentava a lezione con quei ciuffi ribelli che facevano sembrare avesse litigato col cuscino. Eh! Eh! E la cosa buffa era che lui non se ne curava minimamente. Beato lui. Forse perché, non tanto non abbia mai considerato la bellezza o la bella presenza come un valore, quanto invece perché non si è mai ritenuto bello. Beh, bello magari non lo è mai stato però di certo neppure brutto. Anzi, con quei suoi begli occhi grigi poteva dare a bere alle ragazze di aver dentro qualcosa di bello, mentre invece… Boh, non vorrei essere troppo severo con lui, che in fondo non è mai stato un cattivo diavolo, però, col senno di poi, posso dire che Borelle mi abbia deluso. E anche adesso confermo questa mia opinione di lui, per quanto gli sorrida sinceramente e sia realmente felice di averlo rincontrato.

Borelle lavora all’ALceyahJ, una delle più rinomate industrie di risorse del pianeta. Fa l’analista capo. Ciò vuol dire che effettivamente dirige la piramide gerarchica di questa industria nell’edificio; e non è poco, perché anche piccoli distaccamenti peregrini di questa industria fatturano miliardi e la gente farebbe carte false per lavorarci.

Però che strano… Non ricordo sue particolari propensioni per materie scientifiche. Lui era più per le materie umanistiche. Difatti all’università studiavamo insieme solo gli esami in comune tra le nostre facoltà agli antipodi. Si vede che ha avuto il contatto giusto. Però Borelle non c’è dubbio che sia sempre stato un cervellone: di questo lo prendevamo sempre in giro. Dunque può darsi che le sue propensioni umanistiche non escludessero quelle scientifiche. Deve essere senz’altro così perché non si lavora all’ALceyahJ, nella sua posizione, con solo delle raccomandazioni.

Borelle mi offre di seguirlo. Vuol farmi vedere dove lavora. Non accetterei se non fosse nel mio stesso piano. Effettivamente lavora a duecento metri da dove abito io. Gli uffici delle aziende che stanziano in questi piani sono sempre assai spartani, costituiti da pareti inframmezzate da vetri trasparenti, come godessero a far vedere che stanno lavorando e non stanno solo facendo finta. Deve essere anche un modo per farsi pubblicità e fornire un’immagine dinamica di sé.

Nell’ufficio di Borelle ci sono molto donne. Quando fa il suo ingresso sembra impettirsi ancor di più e alzare il tono della voce. Mi presenta sbrigativamente ma si capisce che da questo momento io non sono più importante, divento secondario. Molto più importante sono le gallinelle che ridono rumorosamente alle sua battute che vorrebbero essere tra il colto e il popolaresco. Io le capisco tutte pur non essendo del ramo, ma non credo che queste donne che lo riveriscono come fosse un temuto condottiero le comprendano appieno come me.

Sembra si stia pavoneggiando. Ma è davvero così? Mi sommergono ricordi di festicciole con Borelle e ragazze. Ricordo il suo modo diretto e brutale di fare… Per ballare con una ragazza seduta davanti a lui, lui la prendeva e la tirava su quasi con la forza, e questo divertiva le ragazze, che non chiedesse neppure quasi il premesso come si conveniva. In realtà il suo modo di fare nascondeva dell’insicurezza. Fu proprio a una di quelle feste che Borelle mi svelò la sua filosofia in tal senso. A che serve fare tanti preamboli con una tipa?, tanto se gli stai simpatico te lo fa capire subito… Era questo il suo modo di pensare. Non credo da allora si sia discostato molto da esso. Ciò che mostra adesso sembra la diretta propagazione di come la intendeva allora.

Me ne sto per andare. Non ho motivo di rimanere per assistere all’esercizio di quel fascino di cui il suo pseudo-potere lo pervade. Così gli dico di mostrarmi in pratica cosa fa. E lui si distoglie dalle dame, china la testa sulla scrivania e tira fuori calcoli su calcoli differenziali. Fai tutto il tempo questo?, gli domando. E lui mi dice: no, certo. E mi sciorina altre questioni combinatorie che intuisco essere di una barba mortale. Sai che palle, penso. E finalmente lo saluto senza rimpianti…

Il basilisco femmina

Davanti casa mia scopro che qualche clan mercantile ha improvvisato una specie di briefing. Poco male. Appena mi sarò chiuso dietro la porta a pressione non li udirò neppure qualora decidano di improvvisare un concerto di musica sinfonica. Chiedo loro il permesso di passare. Abito proprio lì, dico loro. E loro mi fanno spazio; ciononostante non intendono spostarsi di una virgola. Mentre cerco il foro giusto della drone-chiave (foro che non trovo mai!), ascolto i loro discorsi frivoli. Sono molto felici. Stanno incensando una loro amica-profeta che sembrano stimare oltremodo. La hanno appena eletta Miss Centocinquantatreesimo Piano. Effettivamente le butto un occhio anche io e la trovo davvero bellissima. Alta, forme giuste, mora, capelli ondulai, un bellissimo sorriso bianco, simmetrica, begli arti, belle mani. È davvero bellissima…

Mentre smanetto con la serratura, finalmente capisco perché quando infilo la chiave-drone sembra girare a vuoto e non avvenga alcun riconoscimento. Ma qui hanno ristrutturato tutto, vero?, chiedo loro addivenendo alla reale consistenza della questione; e loro confermano. Miss Piano in persona (che sembra avere una insolita propensione per me e colgo spesso a osservarmi con curiosità, come se le piacessi) mi informa che è proprio come temevo: la TecnoWallEuropeMasterBug ha appena finito di risistemare tutta la facciata.

Impreco. Che diavolo! Quando fanno questi cambiamenti dovrebbero prima fornire le nuove chiavi a tutti i proprietari! Invece loro non ci pensano mai!… Adesso dovrò passare dal portierato di piano a ritirare la nuova chiave sperando che non ci sia stato qualche quiproquò e non abbiano confuso la mia utenza con quella di un altro…

La star del piano si offre sorprendentemente di accompagnarmi e i suoi seguaci, seppur recalcitranti perché la vorrebbero tutta per loro, debbono a cuore gonfio accettare le sue disposizioni, a cui non possono opporsi, perché per loro lei è come un emissario celeste sulla terra. Io non mi sono mai fatto affascinare da queste fanzine e dalle loro pagliacciate, che col tempo stanno sempre più avvicinandosi a sette pagane più che ad altro, e non capisco perché Miss Piano voglia accompagnarmi. A ogni modo la lascio fare; perché è bella.

Ma lo scopro subito perché vuole accompagnarmi. Miss Piano crea un cubo di contenimento con solo me e lei dentro. Così il mondo circostante è lasciato fuori e possiamo parlare in tranquillità. È pratica comune, questa, per non far udire a nessuno le parole che verranno dette; oppure anche per ritagliarsi un momento di intimità, per non farsi vedere dagli altri mentre si dà e conferisce soddisfazione sessuale.

Ho modo di ritenere che abbia impiantato il cubo per entrambi i motivi, anche se ancora non so perché sia interessata così tanto a me. Possibile che una come lei, che può avere uomini di tutti i tipi, si accontenti e vada a cercare proprio un laico come me, uno che potrebbe benissimo rifiutarla, e per più di una ragione, prima cosa perché sono contrario a ogni forma di culto?

Ma mentre lei mi sta per svelare il mistero del suo interesse per me, una dei suoi adepti più fedeli la chiama chiedendole dove si vedranno la prossima volta e quando. Lei allora dirama fuori dal cubo solo il suo bel volto perfetto e le risponde frettolosamente che, come concordato, si vedranno stasera per il grande anniversario del Visna Cattolico, dove lei presenzierà la serata infondendo gioia e soavità in tutti i presenti, come sempre…

Una volta conclusa la frase, Miss Piano ottunde definitivamente il cubo e ciò che è fuori diventa come appannato, come lo vedessi attraverso un vetro affumicato, mentre chi è fuori non può vedere niente di niente di quel che accade dentro. Vede solo una specie di campo di forza di energia ionizzata nera che non può essere facilmente spostato (occorrerebbero meccanismi particolari in dotazione solamente alla Ultra Gendarmeria, al Consolato Buoni Cittadini e ai Servizi di Destrezza Nazionale, oltre che nelle mani della criminalità più deviata e malvagia).

Mi parla con un’altra voce. Ma io conosco questa “nuova” voce!… La nanotecnologia scolora i pixel a cominciare dal suo volto e scopro che lei è Thalita, un mio amore giovanile, uno dei più appassionati invero. Ho acquistato questo pacchetto di Ricostruzione Fisica Totale appena sono diventata milionaria. non mi chiedere perché. i vantaggi sono evidenti. e non mi fare filippiche sul fatto che uno come te non l’avrebbe mai fatto, per favore. se vuoi eiaculare, sono qui apposta…

I pacchetti di Ricostruzione Fisica Totale sono delle tecnologie che attraverso nanomacchine in pratica realizzano una specie di ridefinizione completa delle fattezze di una persona. Quella persona continua ad avere le stesse identiche fattezze, ma ogni altra persona con la quale si interfaccia, sia a livello fisico, che mentale, che energetico, la percepisce però nella sua nuova identità. Dunque, se ciò che sembra viene considerato reale, non ha più importanza ciò che è davvero reale, il quale diventa marginale. È l’evoluzione del concetto di plastica facciale e make-up…

Mi sovviene che avrebbe potuto fare l’amore con me nella sua nuova forma, perché interagire con lei sarebbe stato come essere calato in un mondo a realtà virtuale. Ma ha scelto di mostrarmisi in quella vecchia forma. Come mai? Forse perché intuisce quanto il suo corpo mi piaccia anche nella sua “vecchia” forma?

E sei diventata Miss Piano, eh?, le dico lasciando intendere come ne abbia approfittato subito per acquisire prestigio, quel tipo di prestigio di cui è sempre stata oltremodo ghiotta e avrebbe fatto di tutto per conseguire.

La ritrasformazione continua a spandersi e il sortilegio digitale ottenebrante si liquefà lasciandomi esaminare il suo corpo ignudo. Non è più bianca come il latte la sua pelle. No, adesso è olivastra come quella di una zingara. Non è più liscia al tatto la sua pelle, tanto da sembrare un velluto morbidissimo; sulle sue spalle avverto delle piccole crosticine… Non sono più perfettamente modellate le sue ampie gambe, e ora le vedo leggermente corte e arcuate, e osservo il suo difetto alle ginocchia. Non ha più piedi soavi, e ora l’alluce è ricurvo verso l’interno, più del dovuto. Non profuma più di oli ricercati la sua persona, e ora riannuso quel suo sudore acidulo di cui invero andavo pazzo perché lo trovavo molto eccitante. Non sono più piacevolmente rubiconde e carnose le sue labbra, e ora si son fatte sottili e meno vive, quasi livide. Il suo naso corto ha ora una gobba al centro. I suoi capelli hanno perso l’ondulazione ramata e sono diventati come fuliggine sporca. I suoi occhi hanno un leggero strabismo che invero ho sempre trovato le infondesse un’aurea estatica e leggermente sognante.

Adesso è nuda di fronte a me nella sua vera forma. Ci accoppiamo appassionatamente nel cubo sospeso senza più dirci una parola. Non è necessario. Poi tra alcuni minuti lei tornerà nel mondo conosciuto, solare e gioviale come le impone la sua nuova etichetta. E si allontanerà sui tacchi camminando rumorosamente. Mentre io me ne andrò in direzione opposta, a casa mia. E sarò il solo che sa che si è scopato la vera identità di Miss Centocinquantatreesimo Piano, che altro non è che una mia vecchia amante con cui le cose non andarono poi molto bene, all’epoca, che oggi mi ha riconosciuto la mia giusta importanza nella sua vita.

 

Riscoprendo Mietta


In questi giorni mi sono casualmente imbattuto in un vecchio album di Mietta, che poi fu il primo che fece, se non erro, Canzoni (quello con Vattene amore), un album che non ascoltavo da tempo al quale non avevo mai dato troppa rilevanza…

Invece, riascoltandolo oggi, lo trovo molto interessante, con notevoli punte qualitative.

I pezzi che mi piacciono di più sono:

  • Piccolissimi segreti

  • L’immenso

  • Canzoni

I testi mi hanno particolarmente colpito. Ma non so se e quanto eventualmente siano autobiografici. Se così fosse, Mietta dovrebbe aver vissuto una vita più drammatica di quanto non abbia mai pensato… Ma sicuramente sono io che ho la tendenza a scovare sempre il torbido e il dolore esasperato nelle cose e a drammatizzarle a fini artistici…

Mi sono reso conto che era da un po’ che non sentivo parlare di Mietta. Allora mi sono andato a cercare qualche informazione online e mi sono accorto che lei non ha praticamente mai smesso di cantare (anche se ultimamente si è accostata molto al jazz) o fare altro.

Recentemente ha partecipato a una di quelle trasmissioni televisive che ho la repulsa anche solo a sbirciare, figuriamoci a nominare. E non è stata, quella, l’unica performance catodica in cui si è protratta. Infatti ha anche recitato in una serie de La Piovra

Oggi Mietta ha un figlio e sembra felice. Mi fa molto piacere…

Adesso che ci penso, ho sempre trovato Mietta diversa dalla massa dei cantanti che vendevano semplicemente le loro canzoni. Mi sembrava più sveglia, più genuina e più sensibile… Forse la sua immagine molto forte, con quei tratti decisi da donna mora del sud, quasi sarda (anche se lei è della Puglia), hanno sempre influenzato troppo ciò che uno poteva pensare di lei, distorcendo almeno in parte la sua vera interiorità ed essenza… Chissà se Mietta nasconde nel suo passato qualche piccolissimo segretuccio…

Ci sono cose che non sai

Che non vorrei sapessi mai

Che sto evitando e forse anche tu

Tu che ingegnosamente fai

Di tutto per non dire mai

Quello che sai mi può far male

Come non far bene televisione


Ospiti… Pensateci, non è difficile… Qualora doveste invitare degli ospiti per la vostra trasmissione, che tipo di ospiti invitereste?

Il buonsenso vorrebbe che si tratti di persone perlomeno eticamente pulite, possibilmente che sappiano parlare l’italiano discretamente bene, o che abbiano un importante messaggio da comunicare al mondo…

Quindi, qualora foste voi a decidere chi ospitare in un programma, di certo non invitereste mai gente di dubbia moralità, gente invischiata con il malaffare (se non convertiti rei confessi), piduisti, pruripregiudicati per gravi reati, superevasori fiscali conclamati, o gente notoriamente famosa per la loro violenza fisica o verbale che sappia esprimere o la marea di insulti che riesce a sputare in pochi secondi; gente palesemente in malafede che diffonde concetti inclini al razzismo, all’esasperazione dei conflitti sociali (e per motivi inconsistenti o truffaldini); gente che è stata beccata con un curriculum falso o con le mani nella marmellata…

In una parola, se decideste voi (che siete delle brave persone), sono certo che non invitereste mai gente deprecabile, vero?

Ecco, allora perché chi invece decide chi invitare non si attiene a questo elementare codice morale (che tra l’altro dovrebbe ovviamente essere esteso a tutti coloro che fanno televisione, dagli autori ai registi, ai conduttori)? Ve lo siete mai chiesto?

Risposta. Perché anche loro fanno parte di quello stesso sistema deprecabile.

Investimenti sbagliati


Quando seppe che non possedevo nessuna automobile tutta mia, Diva mi disse sdegnata che dovevo comprarmela. Il senso era che non sarebbe stato bene che non avessi potuto scarrozzarla a ogni ora a seconda di come le serviva. E io già mi immaginavo di cominciare ad affiancare allo studio un duro lavoro part-time che mi avrebbe sdrumato, e poi andare in banca a chiedere un mutuo per poter pagare le rate di quella benedetta auto che lei voleva che acquistassi… E se lei un giorno mi avesse chiesto la prova d’amore, di trasferirmi in un’altra città per lei, io avrei abbandonato tutto e l’avrei fatto! Per lei!

Pochi giorni dopo quella uscita, Diva non nutriva più alcun interesse nei miei confronti. Dunque, qualora avessi fatto davvero quel che voleva, a quest’ora avrei aggiunto al danno la beffa. E io mi sbellico sempre quando ci penso…

😀

 

Poetica e simbolismo di Cremonini: Padremadre


Cesare Cremoni è un cantante pop, nel senso che scrive canzoni con musiche e testi che cercano di piacere a più persone possibili. Tuttavia, anche se solitamente questa caratteristica la giudicherei un difetto, nel suo caso non ritengo si possa dire infici il suo lavoro.

I motivi sono presto detti. Per primo gli si può attribuire un suo stile personale che lo rende peculiare. Poi, gli si può riconoscere una certa onestà intellettuale e coerenza. Inoltre, i suoi testi, in cui si sforza di essere sincero, li trovo molto interessanti da un punto di vista figurativo…

Una sua canzone che possiamo prendere a emblema della sua poetica è, secondo me, Padremadre in cui Cesare Cremonini ci dà la prova del suo modo di comporre e scrivere, delle metafore che usa per rendere un’idea e creare emozioni. Vediamo degli esempi partendo da alcuni stralci di questa canzone…

*

Padre, occhi gialli e stanchi,
nelle sopracciglia il suo dolore da raccontarmi…

Degli occhi gialli e stanchi e delle sopracciglia presumibilmente cispose sono assurte a simbolo di vecchiezza e stanchezza…

*

Madre, gonna lunga ai fianchi,
nelle sue guance gli anni e i pranzi coi parenti…

Qui per creare l’effige di una figura materna ricorre alla gonna lunga e a guance (piene) che vengono associate ai pranzi coi parenti…

*

Non mi senti? O non mi ascolti,
mentre piango ad occhi chiusi sotto al letto.

Queste frasi stanno a comunicare l’insicurezza e la difficoltà dell’adolescenza…

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Padre, e se mi manchi
è perché ho dato più importanza ai miei lamenti…

…Un altro piccolo capolavoro di sintesi! Gli manca il padre… Ma perché gli manca? Perché, essendosi concentrato sulla propria interiorità e avendo intrapreso la carriera da cantante, se n’è andato in giro per il mondo, lontano dalla casa paterna…

*

Ma se, una canzone che stia al posto mio non c’è,
eccola qua: è come se, foste con me!

Prosegue a esporre il concetto precedente aggiungendo che nessuna canzone potrà mai sostituire quella mancanza nei loro cuori, però, con questa canzone, è come se i suoi genitori in qualche modo fossero con lui…

*

Madre, tra i gioielli,
sono ancora il più prezioso tra i diamanti?

Qui sembra chiedere alla madre se ancora gli vuole bene come quando era bambino…

*

Ma non mi ascolti, non mi senti,
mentre parto sulla nave dei potenti!

Altra bella metafora… La nave dei potenti. Essendo diventato un cantante famoso, è come se avesse preso quella nave…

*

…E se son stato così lontano è stato solo per salvarmi!

…Come a dire che un ragazzo, se vuole davvero esser uomo, deve inseguire la sua strada, a costo di allontanarsi dagli affetti più cari…

*

Segue il testo integrale e il video.

😉

*

Padre, occhi gialli e stanchi,
nelle sopracciglia il suo dolore da raccontarmi…
Madre, gonna lunga ai fianchi,
nelle sue guance gli anni e i pranzi coi parenti…
Non mi senti? O non mi ascolti,
mentre piango ad occhi chiusi sotto al letto.
*
Padre, e se mi manchi
è perché ho dato più importanza ai miei lamenti…
Madre, perché piangi?
ma non mi hai detto tu, che una lacrima è un segreto?
Ed io ci credo, ma non ti vedo
mentre grido e canto le mie prime note!
*
Ma se, una canzone che stia al posto mio non c’è,
eccola qua: è come se, foste con me!
*
Padre, mille anni,
e quante bombe sono esplose nei tuoi ricordi!
Madre, tra i gioielli,
sono ancora il più prezioso tra i diamanti?
Ma non mi ascolti, non mi senti,
mentre parto sulla nave dei potenti!
*
Ma se, una canzone che stia al posto mio non c’è,
eccola qua: è come se, foste con me!
Ma se, una canzone che stia al posto mio non c’è,
eccola qua: è come se, foste con me!
*
Padre, occhi gialli e stanchi,
cerca ancora coi tuoi proverbi a illuminarmi…
Madre, butta i panni,
e prova ancora, se ne hai voglia a coccolarmi,
perché mi manchi,
e se son stato così lontano è stato solo per salvarmi!
Così lontano è stato solo per salvarmi!
Così lontano è stato solo per salvarmi!
*
Ma se, una canzone che stia al posto mio non c’è,
eccola qua: è come se, foste con me!
E’ come se, foste con me!!
E’ come se, foste con me!!

*


Vuoi venire a casa mia?


E sì, avevo il vizietto di invitarle subito a casa… Ma fatemi spiegare, fatemi! Non è come sembra… Adesso vi racconto…

Dunque partiamo da quando ero piccolo. Quando ero piccolo… ricordate quando eravate piccoli voi? Sì? Ve lo chiedo perché so che converrete con me che fosse molto naturale invitare i nostri amichetti a casa, ricordate? A me succedeva spesso… Vieni da me, che facciamo merenda. Vieni da me a studiare. Vieni da me a giocare. Che problema c’era? Nessuno. Era normalissimo come bere un bicchier d’acqua. E infatti anche gli altri amichetti mi invitavano a casa loro. Ma ci si vedeva sopratutto con quelli che ti abitavano più vicino, alla fine, perché a quell’età, anche solo valicare il semaforo della grande strada a più corsie, poteva essere equiparato all’attraversamento del Mediterraneo a nuoto, cioè un viaggio spropositatamente lungo e irto di pericoli…

Ma sto divagando… Torniamo a noi. Dunque alle scuole elementari e medie era normale invitare gli amichetti a casa, vero? Fin qui tutti d’accordo.

Bene. Il fatto è che poi, crescendo, per me, fu normale continuare su quella via. Per cui, anche quando cominciai a uscire con qualche ragazzina, mi venne spontaneo compiere il medesimo invito senza pormi alcuna questione su come esse avrebbero potuto prenderla. Mi piaceva stare con lei, come in passato mi era piaciuto stare con i miei amici; quindi… perché non invitarla da me?

Ma la risposta che ricevetti la prima volta che ventilai questa occorrenza mi lasciò perplesso. E quella ragazzina mi disse che non sarebbe mai venuta a casa mia!, manco morta e per nessun motivo al mondo (eppure uscivamo insieme!). Quando ciò mi fu detto, mi chiesi ingenuamente il motivo di tanto astio e sfiducia nei miei confronti… Col senno di poi, e alla luce di nozioni apprese oggi, posso dire che in ogni caso quella ragazzina aveva un tantinello esagerato, anche se la sua diffidenza derivava sicuramente dall’ammonimento materno di non entrare mai da sola in casa di gente che pure si conosceva benissimo (se quelle persone erano di sesso maschile).

Lì avrei dovuto comprendere che fosse meglio non invitare le ragazze a casa, almeno finché non si fossero accumulate con esse talmente tante esperienze da far risultare la cosa automatica… Ma ero così ingenuo, e così testone, che perseverai stupidamente nel mio errore anche in seguito.

Così, anni dopo, a una che invero mi stava facendo perdere completamente la testa, per desiderio di comunanza estremo, chiesi un giorno all’improvviso per telefono se voleva venire a mangiare qualcosa da me. E lei rifiutò garbatamente, si spaventò assai e per un po’ mi valutò con molta cautela. Per la cronaca, mesi dopo fu lei a chiedermi di vederci e non si fece più alcun problema a passare qualche ora a casa mia. E di questo vado comunque fiero, anche se rimane il fatto che dovettero passare lunghi mesi di dubbi ed esami accurati prima che si fidasse a tal punto…

Qualche tempo dopo, ripetei ancora, come niente fosse, il mio errore marchiano con un’altra. Vuoi venire da me a vedere questa videocassetta?, le dissi. E la risposta che ottenni fu la solita, e anche peggio. Perché per un mese quella ragazza ci rimase così male che si convinse che dovessi essere uno che se la voleva solo scopare. Così, quando mi incontrava, non solo cercava di evitarmi e di non parlarmi, ma si metteva proprio a correre. La circostanza era così stramba e fuori misura che non riuscii ad arrabbiarmi con lei se non era riuscita a fidarsi di me. Anche lei, mesi dopo, alla fine si fidò di me, anche se non venne mai a casa mia da sola…

Comunque il punto era proprio quello. Quello di fidarsi, perché una cosa che le ragazze proprio non capivano era che se le invitavo da me era perché io mi fidavo di loro. E io non mi fidavo del primo venuto! Per niente! Quindi, se vogliamo vedere le cosa dal mio punto di vista, io mi fidavo di loro tanto da farle entrare a casa mia; mentre loro non si fidavano allo stesso modo, tanto da accettare il mio invito. E poi, in tutti quei casi, io non volevo provarci, non so se si è capito: meglio dirlo chiaro e tondo.

Certo, ci sono dei casi in cui uno può invitare qualcuno a casa per quel motivo, però in tal caso da me non avrete alcuna ambiguità. Saprete prima che vorrei che andasse in quel certo modo, non dovrete chiedervi se lo farò oppure no. Ne sarete certe.

Dunque, adesso chi vuole venire a casa mia?

😉