Il mio cagnolino ci lascia dopo averci donato 17 anni di gioia.
La prima immagine che mi viene in mente di lui è mentre, sul divano, gioca avidamente con la pallina.
Pesava appena cinque chili ma si credeva il re incontrastato di tutti gli animali. Per questo una volta si prese un morso da un pastore tedesco che avrebbe potuto ammazzarlo agevolmente qualora davvero lo avesse voluto.
Era un gran testone. Se si metteva in testa una cosa, poteva star lì ore intere a perseguirla.
È stato anche il cane più intelligente che abbia mai incontrato. Conosceva decine di vocaboli tramite i quali riusciva a capire praticamente ogni cosa gli si dicesse. Aveva giusto qualche problemino ad afferrare i termini che esprimevano il tempo. Per esempio parole come “dopo” per lui erano un mistero. Però sapeva che non volevano dire “sì”.
Ancora fino a pochi giorni fa mi interrogavo su come avesse potuto esistere un esserino così piccolo, eppure così in empatia con me, capace di farmi emergere tutto quell’affetto.
Da vecchio era diventato molto diverso dal cane arguto e scattante di una volta. Si affaccendava in pratiche strane che nessuno capiva. Se possibile faceva ancora più tenerezza, perché appariva più indifeso.
Mese: novembre 2018
Due romanzi di Arthur Schnitzler
La signorina Else
L’opera più celebre di questo autore, credo la migliore.
La signorina Else è poco più che un’adolescente. Si trova in vacanza con parenti, immersa in un clima di intrallazzi e falsità. Un giorno riceve un telegramma da parte della madre in cui questa le dice che deve urgentemente chiedere dei soldi a un conoscente anch’esso presente in loco, altrimenti il padre sarà rovinato e finirà in galera.
Lei detesta quel tipo. Tuttavia si convince che deve farlo, non ha scelta. Ma la risposta che riceve dal suo interlocutore la nausea. Per darle quella somma vuole vederla nuda. Angustiata dai sensi di colpa, non sa se accettare. Nel frattempo le arriva un altro telegramma in cui la madre alza la cifra di denaro da chiedere. Else si sente schiacciata da ciò che le accade attorno e comincia a esser meno lucida e fare cose strane…
Beate e suo figlio
La vedova Beate vive nel mito irrealistico di un marito morto prematuramente. È ancora giovane dopotutto. Ha un figlio adolescente che ha messo al centro del proprio mondo, per il quale farebbe qualsiasi cosa pur di vederlo felice.
Durante un’estate di vacanza si rende però conto che qualcosa turba la serenità del suo adorato figliolo. Ha notato che quando dorme si mostra molto più agitato del solito, evidentemente perché c’è qualcosa che lo angustia. Non ci mette molto a individuare il probabile motivo di sconforto nel figlio: il rapporto sempre più stretto a ambiguo che egli sta instaurando con una certa baronessa, una donna spregiudicata che certo non esiterebbe a spezzargli il cuore e sedurlo per utilizzarlo come sollazzo e passatempo sessuale… Da qui succedono una serie di cose che faranno precipitare i fatti…
Mi piacciono molto i temi che questo scrittore tratta. Sviscera accuratamente le ipocrisie della società, le incessanti, celate motivazioni erotiche, le conflittualità della borghesia, fondendo la realtà con il subconscio jung-freudiano, e soprattutto portando alla luce i sensi di colpa intrinsechi di una certa cultura austro-teutonica. Gente più preparata di me avrebbe saputo dirlo meglio, ma penso che il concetto si sia capito.
Cipolline
Miriam era a dieta. Eppure non esisteva un filo di grasso sul suo bel corpicino magro. Nondimeno era convinta di possedere un sedere troppo “spazioso”. Per questo, ossessionata dalla linea, faceva sempre molta attenzione a ciò che ingollava. Era vero che talvolta si lasciasse andare agli eccessi, però questi erano sempre estremamente calibrati.
Così mi toccava di vederla a pranzo mentre mangiucchiava quelle sue cosette con due calorie e basta, e poi mi arrivava l’eco che era svenuta perché aveva la pressione bassa. Non aveva compreso che tra le due cose ci fosse una correlazione?! Sì, Miriam lo sapeva bene, perché in fondo era molto intelligente – non lo era invece quasi mai quando si trattava d’esser indulgente verso me, e chissà perché doveva sempre fraintendere o malignare un mio atteggiamento che la investisse in maniera diretta o indiretta… – però essa preferiva ignorare l’evidenza. Cioè, pur di non rischiare d’ingrassare neppure d’un milligrammo… era disposta a venir meno, convinta che tanto non sarebbe morta! Insensatezze di una ragazza viziata abituata ad averla sempre vinta! Ah, se avessi conosciuto i suoi genitori gliela avrei cantata bella!
Avevo provato a spaventarla su quell’aspetto. Allora le avevo raccontato di quella donna che, per fare i digiuni, aveva finito per cadere proprio sui binari della metropolitana – che prendeva anche Miriam. Ma lei niente. E anzi, il giorno dopo, per ripicca, aveva proprio digiunato completamente. Che indicibile stronza!
Una volta la vidi che si era portata un’intera bustina di plastica di piccole carote crude già lavate – chissà, doveva aver letto da qualche parte che non facevano ingrassare e se ne potevano dunque mangiare a bizzeffe, e inoltre saziavano assai. Così, quando le veniva voglia di sgranocchiare, se ne pappava una quasi di nascosto anche durante l’orario di lavoro. L’avevo presa un po’ in giro dicendole che ne avrebbe dovute mangiare di carote per crescere un po’ – di testa, intendevo –; il giorno dopo le carote erano sparite, e da allora non gliele vidi più.
Successivamente si fissò con l’insalatina. Delle volte se la portava scondita ma perlomeno aveva il buonsenso di condirla in ufficio. Più spesso invece ne comprava di già condita al supermercato, non rendendosi conto dell’assurdità del gesto che compieva per risparmiarsi il modesto fastidio di lavarsela e portarsela da casa. Per prima cosa, le facevano pagare quelle poche foglie condite come si fosse trattato di un’intera pianta di lattuga. Poi ciò incentivava anche la produzione di rifiuti plastici, perché gliela mettevano proprio in una di quelle superflue scatolette di plastica. Infine comperare qualcosa di già pronto è come fidarsi alla cieca di quello che ci mettono dentro. Cioè, a lei chi glielo diceva che l’insalata era lavata bene e che ci avessero messo un olio perlomeno di discreta qualità ed extravergine – perché l’olio, lo sanno tutti, deve essere extravergine, sennò fa male, oltre a essere troppo grasso –?
Si scottò con questa sua insensatezza una prima volta. Dentro quelle due foglie condite ci trovò un giorno una lumaca ancora viva. Facile intuire che una tipa schizzinosa come lei quasi vomitò per lo schifo. Allora buttò l’intero contenuto della scatoletta di plastica nel cestino – mentre io pensai alla povera lumaca che, fosse toccata in sorte a me, avrei liberato in natura al parchetto sotto l’ufficio. Così Miriam finì per saltare il pasto.
Poi ci fu la volta in cui si accorse che nell’insalata ci avevano messo anche la cipolletta fresca. A Miriam piaceva e la mangiò – anche perché sarebbe stato troppo complicato per lei stare lì a scostarne ogni volta un pezzetto, anche perché andava di fretta e dopo doveva tornare a lavorare alla svelta. Tuttavia dopo si fece venire una della sue paranoie da ragazzina stupidina. E allora, per cancellare il sapore – anzi l’odore – della cipolla dalla sua bocca, non fece che masticare gomme americane profumate una dietro l’altra.
Io la vedevo che masticava, masticava come una capra ruminante e non si fermava mai, andando avanti per ore: masticava ostinatamente cercando di arrivare a ogni piccolo interstizio tra un dente e l’altro. Ciò mi fece riflettere per la milionesima volta circa quanto potesse essere ottusa e superficiale la mia Miriam.
Allora le dissi, per rincuorarla e farla smettere: non ho mai sentito provenire alcun cattivo odore da te – a parte quando fumi, s’intende –; inoltre sono sicuro che quel po’ di cipolla che hai mangiato, a quest’ora, sarà stata del tutto cancellata da tutte quelle gomme che hai ciancicato per tutto questo tempo: dunque smettila, Miriam!
Ma lei continuò indefessa a ciancicare picchiando duro sui molari, come non mi avesse sentito. E io mi chiesi ancora una volta come era stato possibile che mi fossi innamorato di una simile stronzetta cretina come lei…
Monster (film)
Una prostituta un po’ stagionata, ormai talmente disillusa dalla vita e dagli uomini da decidere di uccidersi, entra in un bar per bersi gli ultimi cinque dollari che possiede; dopo, ha già deciso che la farà finita una volta per tutte. Però non sa che quello è un locale gay. Lì conosce una ragazza più giovane di lei che le mostra dell’interesse. All’inizio la respinge con fermezza. Ma poi, conquistata dalla sua purezza d’animo, le dà spago. Si ubriacano. Passano la notte assieme. Si danno appuntamento per il giorno dopo. La donna si aggrappa a quella giovane lesbica per continuare a vivere.
Torna a battere per lei. Ma una notte un suo cliente quasi l’ammazza. Scampa per miracolo, e lo uccide. Da quel momento prende in considerazione l’idea di uccidere gli uomini stronzi e rubargli i soldi, con i quali immagina di vivere un futuro felice con la sua giovane fiamma.
Rimane uno dei film più intensi che abbia mai visto.
Non si può che tifare per quella povera donna, resa “mostro” dalla società. Che non ha mai davvero potuto scegliere.
Mi sorprende sia ricordato così poco.
Passato sul 55.
Delirius Dementhia: Lavare i piatti
Per anni si è beata di saper fare solo lei i lavori di casa. Me lo ha fatto così pesare che, prima ancora di raggiungere una giusta coscienza sociale, presto ho deciso di affiancarla in tali faccende, per farla tacere. Così ho cominciato a rassettare, pulire, cucinare e tutto il resto.
Ma c’era una cosa che a sua detta proprio non mi veniva bene: lavare le stoviglie unte d’olio. Effettivamente quando le lavavo non venivano pulite come le sue. Non capivo dove sbagliavo.
Presi a lasciare le padelle unte con dentro l’acqua o direttamente il liquido per lavare. E inverò ottenni delle volte anche un sensibile miglioramento. Però c’erano altre volte in cui la padella era così unta, oppure non c’era tempo per farla rimanere ammollo il necessario, che il mio escamotage non funzionava. Mentre lei non aveva mai questo problema, e continuava a vantarsi che sapesse lavare le padelle mentre io no – il suo gusto supremo era proprio riprendermi ogni volta che trovava una padella unta dopo che l’avevo lavata io.
Le dissi di dirmi come faceva. Ma non mi rivelò nulla che non avessi già saputo.
A questo punto compresi che esisteva un segreto che non mi voleva dire.
Così un giorno mi appostai lì in cucina mentre lavava una padella unta. Non aveva applicato alcun particolare metodo di lavaggio, né aceto, né sgrassatore o qualche altro marchingegno diabolico dei suoi…
Proprio alla fine, prese la padella, dopo averla lavata nello stesso identico modo in cui avrei fatto io e… l’asciugò con nonchalance con uno strofinaccio.
E grazie al cazzo che così l’unto veniva tolto! Lo asciugava via!
Così svelai un altro dei suoi bassi trucchi da baro. Un trucco che non mi aveva mai voluto rilevare…
W “La tv delle ragazze”!
Ahh, finalmente una boccata d’ossigeno! Ci voleva proprio!
L’oliata banda Dandini torna in una delle sue numerose incarnazioni con una trasmissione di alta qualità. Soprattutto se raffrontata alla cacca cosmica attualmente vigente sulle reti italiane.
Questo tipo di tv è come la Sinistra. Ci si sono messi d’impegno per distruggerla. Fino a quando ce l’hanno praticamente fatta.
Come è possibile che RAI1 faccia tutte trasmissioni di merda dalla mattina alla notte (come “Stasera tutto è possibile”)? Una volta il lunedì potevi vedere il film in prima serata. Oggi neppure questo!
RAI2 idem. Ci guardo solo i film coi supereroi. Merda anch’essa.
Solo RAI3 si salva, al solito, anche se nel tempo è stata di molto depauperata, colonizzata anch’essa da trasmissioni nazional-popolari come le nauseanti finte lezioni che personaggi famosi si sono guadagnati (?!) il diritto di portare a bambini comparse con genitori che smaniano per vederli in tv. Vaffanculooooo!
Rifatevi gli occhi, il cervello, la testa e il cuore. E protestate, cazzo! Non state sempre zitti! Quando infine vorrete parlare, un giorno, sarà ormai troppo tardi!
https://www.raiplay.it/programmi/latvdelleragazze-glistatigenerali/
La giornalaia
Mi fermai a cercare qualche giornaletto. Già altre volte avevo notato come quell’edicola fosse provvista di fumetti che da altre parti sembrava neppure esistessero. Così mi soffermai a scrutare per bene tra gli scaffali. Infine la mia pazienza fu ricompensata. Trovai un volume di grande formato di quella serie mensile che ormai da quel dì aveva chiuso i battenti.
In copertina capeggiava la bella ragazza mora che ne era la protagonista, mentre sul retro stanziava l’ingrandimento di una vignetta interna nella quale la stessa ragazza, pressoché nuda, si faceva un viaggetto nell’etere – in realtà, quella, era solo la rappresentazione spirituale della sua aurea.
Soddisfatto, presi anche il giornale e, dopo aver pagato, collocai il fumetto nella comoda piega del quotidiano. Stavo per andarmene… quando vidi lo sguardo disgustato che la pingue edicolante mi fece: come mi biasimasse per qualcosa, come fossi stato un essere sporco e spregevole… Non mi ci volle molto per capire che la stolta donna avesse immaginato avessi preso un fumetto porno. Così mi fece vergognare…
Successivamente riflettei un po’ su quella faccenda e pensai… Ma se pure quello fosse stato sul serio un fumetto porno… come poteva, lei, giudicarmi malamente, dato che era lei stessa a vendermelo?! Cioè, io sarei stato uno sporco manico sessuale pervertito inverecondo da spazzare subito via da questo mondo, mentre lei, che me lo vendeva, invece rimaneva tanto pura da potersi permettere il lusso di spregiarmi?! Mi sembrò una grossa contraddizione. Era come affermare che uno poteva vendere qualsiasi cosa, poiché doveva lucrarci sopra, mentre un altro era immorale che potesse acquistare della merce “sporca” che pure gli fosse stata legalmente smerciata!
Questa è la tipica doppia morale della nostra società altamente ipocrita.
Comunque non andai più in quell’edicola.
Etera
Al capolinea salii sul mezzo pubblico. Mi sedetti in fondo. Quasi subito adocchiai una bellissima ragazza assai florida, scura di pelle, con due seni grossi in bella mostra. Nonostante la sua formosità, era ancora una ragazzina. Aveva forse sedici anni.
Indossavo occhiali scuri. Pensai dunque che non le avrei dato alcun fastidio se avessi continuato a divorarla con gli occhi guardando nella sua direzione. Ciononostante dopo anche lei prese a fissarmi. E, poco prima che il bus si avviasse, fece ancora peggio, cioè qualcosa che non mi sarei mai aspettato: si alzò da dove era seduta – era quasi prossima all’autista –, quindi attraversò tutto il mezzo in lunghezza e si andò a sedere impunemente proprio nel posto libero accanto a me.
Rimasi allibito. Che diavolo voleva dire? Che cosa voleva da me? Come poteva esser così sfacciata? In realtà sapevo bene cosa voleva, solo che non mi capacitavo che le cose avessero potuto svolgersi in una maniera talmente evidente.
Valutai tutti i pro e i contro della situazione. Lei, seppur assolutamente matura fisicamente, era e sarebbe rimasta una bambina rispetto a me, perché io ero ancora un ragazzo giovane, ma mi assestavo intorno i trenta. Tuttavia mentirei se affermassi che fu quello che mi fece desistere dal conoscerla. No, fu un altro motivo. Capii quanto fosse incompatibile e dissimile da me, tanto da non potermi permettere neppure di farci qualche bella fantasia sopra. Quella ragazzina era così spregiudicata e impudica che non le avrei mai permesso di avvicinarmisi. Era una piccola etera. Anzi, non avevo dubbi che lo fosse stata già a tutti gli effetti nonostante la giovane età.
Così non potei fare altro che rimanere in silenzio accanto a lei, e da quel momento non la guardai più, per non invogliarla.
Anche lei rimase in silenzio, ma qualche volta mi cercò con gli occhi, come a dirmi “Non ti interesso più, stronzo?! Sono venuta fin qui per te! Mi sono messa in gioco!” Fortunatamente il suo codice etico le imponeva, nonostante fosse stata lei a dimostrarmi che ci sarebbe stata, che doveva essere il maschio a fare il “primo passo”.
Pochi minuti dopo, quando l’autobus era partito già da tempo, qualcuno la cercò al telefono. Allora lei rispose con tono scocciato. Era il suo fidanzato che le chiedeva dove si trovava. Lo ammansì dicendogli che era quasi arrivata. Infatti scese alla fermata subito dopo.
Mi chiesi cosa mai avesse potuto esserci nell’insulsa testa di quella giovane ragazzina già destinata ad essere quel che era o che sarebbe stata… Con quale coraggio aveva cercato di farsi rimorchiare da me subito prima di recarsi dal fidanzato?!
Codice fiscale
Un ragazzetto mi ferma per strada.
«Che c’hai er codice fiscale?»
Dapprima mi sembra di non aver capito.
«Il mio?!», chiedo incredulo.
«Sì!», asserisce convinto.
«Ma vaffanculo!», gli dico e me ne vado senza guardarmi indietro.
Poi ripenso al fatto. Era fermo davanti un distributore di sigarette. E se non erro, adesso, per utilizzarlo, ci vuole il codice fiscale, per dimostrare che sei maggiorenne.
Vabbè, era un fumatore. Nessun senso di colpa allora.
B-)
3<–
Il bambino
Donna coraggiosa contro la violenza di un bambino diventato ormai uomo…
Tu che urli non mi fai paura; colgo l’essenziale da tutto quell’urgano di energia e parole.
Ti senti solo, incompreso, vittima. Vuoi vincere, vuoi sempre vincere, come vincevi da bambino tra le braccia di tua madre.
Ancora che ti alzi e aumenti il tono della voce. Ancora che mi riempi di improperi, di parole pesanti come mattoni lanciati in faccia, di nomi che non mi si addicono. Forse era così che venivi trattato, forse era così che ti sentivi: intendo, colpito da tanti mattoni in piena faccia e sommerso da parole che non ti si addicevano.
Lo vedo che mi vuoi ancora qui. Lo vedo che se te ne vai, vuoi che ti venga a prendere. Lo sento che vai a rintanarti su un trono, ormai malamente illuminato dai riflettori. Non sei più sulle gambe di tua nonna che ti cullava, non c’è più tuo padre che, dopo averti sgridato…
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