Esistono molte versioni della favola di Orfeo ed Euridice.
Non tutte sono piacevoli.
Per esempio c’è n’è una che si può dire “nera”.
Perché non è che finisca poi tanto bene…
E fa suppergiù così…
Un giorno Orfeo Malato decise di intraprendere un viaggio all’inferno, sì, un viaggio all’inferno per salvare la sua Triste Euridice (non ha importanza stabilire come i due si erano conosciuti).
Orfeo Malato fece un lungo viaggio di un anno per recarsi da lei.
Ma l’inferno era un posto inconsulto, dove le comuni leggi della Fisica non valevano.
Per questo, durante il viaggio, prima di giungere da lei, delle volte sembrava essere già arrivato, a un sol passo da lei; mentre altre volte magari lei era più lontana, anche se lui per tutto quel tempo aveva continuato a camminare…
A un certo punto però, il nostro eroe ce la fece.
La raggiunse e vide che lei era bellissima, proprio come si era immaginato.
Nonostante tutto, nonostante le fiamme dell’inferno che la rodevano da anni, da sempre, fin da piccina, nonostante tutto, lei aveva il volto di un angelo.
Orfeo malato le disse:
«Triste Euridice, sei davvero incantevole. Lo sapevo che in fondo dovevi essere un angelo, doveva esserci qualcosa di angelico in te…»
Tuttavia lei non era d’accordo.
«Ti inganni, Orfeo Malato. Quella che vedi è solo una maschera. La maschera della mia persona. Dietro il mio bel faccino, io, dentro, ho un’anima nera, più nera del nero. E non posso essere redenta…», gli rispose aspramente lei lasciandolo di sasso.
Così Orfeo Malato dovette attardarsi incessantemente trenta giorni e trenta notti a parlarle per convincerla che lei poteva e doveva salvarsi.
Lui l’avrebbe condotta fuori quell’inferno.
Sotto la sua guida, lei ce l’avrebbe fatta, si sarebbe redenta.
La Triste Euridice in merito era però molto scettica e titubante.
D’indole, non credeva alle sue parole.
Tuttavia lui sembrava così convinto di sé, e lei aveva così voglia di trovare un barlume di speranza in lui, che decise di provare a credergli.
Tentò di fare quel che lui diceva.
Delle volte la fedeltà nelle sue parole era commuovente, per quanto lei gli ubbidisse a bacchetta, e Orfeo Malato non sapeva quanto tale fedeltà fosse smisurata.
Tuttavia, il dover credere nella propria liberazione, per lei, era oltremodo spossante e travagliato.
Doveva ogni volta mettersi in gioco e ricominciare tutto da capo, come nascesse nuovamente.
E ogni nascita è solitamente traumatica, come una morte.
Lei doveva rinascere dalle sue ceneri come un’araba fenice…
Tante volte lei diffidò di lui e delle sue parole che pure sembravano così buone, come anche diffidò delle sue motivazioni…
Delle volte pensò che lui altro non fosse che un altro demone che volesse approfittarsi di lei; solo un demone di una tipologia che fino allora ancora non aveva conosciuto, più complessa e mistificatoria (dunque forse la peggiore di tutte)…
Più volte lei dubitò.
Ma ogni volta lui fu bravo a riprenderla per i capelli e a ricondurla sulla retta via…
Un giorno, neppure se ne accorsero ma stavano portandosi ormai vicinissimi all’uscita.
Eppure delle volte a lei sembrava che non ci fossero progressi e allora si abbatteva dicendo a Orfeo Malato:
«Non ce la farò mai! Non sto facendo alcun progresso!»
Ma Orfeo Malato cercava di sostenerla.
«Perché dici che non sei progredita? Non vedi tutta la strada che abbiamo fatto sinora assieme, amore?»
Non potevano voltarsi indietro perché voltarsi avrebbe significato perder tutto per sempre perché quella era la Legge dell’inferno.
Tuttavia, ravvisando la sabbia sui loro piedi, lei vide che la strada compiuta era stata notevole.
Però la strada che ancora mancava sembrava alla Triste Euridice talmente tanta ch’ella pensava che non vi fossero stati progressi significativi…
Andarono avanti per giorni.
Lui davanti, lei che lo seguiva diligentemente.
Poi un giorno fu lei stessa ancor prima di lui a scorgere inaspettatamente la luce…
«Vedo l’uscita, Orfeo Malato! Vedo la luce del paradiso! Adesso manca pochissimo! Adesso la vedo! Oh, come è bello! Allora era vero quello che mi dicevi! Di fuori voglio farmi crescere delle belle ali bianche bianche con le quali volare in cielo! Voglio diventare quell’angelo che tu hai sempre creduto che potessi essere, amore mio!»
Lo stesso Orfeo Malato rimase stupito che fossero infine giunti, dopo tanti patimenti e tribolazioni, alle soglie dell’inferno laddove si entrava e si usciva.
«Vedi? Era proprio come ti dicevo! Un bel giorno ti saresti accorta che stavi bene e che tutto era passato…»
Malgrado ciò, Orfeo Malato non ebbe neppure il tempo di gioirne che già altre nubi si addensarono sul loro infausto cammino.
Mancava davvero poco all’uscita, quando a un tratto lei cominciò a manifestarsi agitata.
Accampava scuse.
Si faceva problemi che non esistevano.
La sua paranoia era senza guinzaglio.
Orfeo Malato cercò di rincuorarla.
Però dopo la Triste Euridice tornava sempre a dubitare che sarebbero riusciti a uscirne.
Quel giorno si erano un po’ divisi.
Lui era più avanti.
Lei lo seguiva dietro.
Lui non sapeva che lei si stava allontanando perché lei, per compensare la maggior distanza tra loro, urlava.
Così lui non si accorgeva di niente, non si accorgeva che se la stava lasciando dietro.
Orfeo le disse quelle ultime parole di conforto e lei sembrò essersi finalmente pacificata.
«Va tutto bene, va tutto bene. Non drammatizzare, amore. Perché cerchi sempre un motivo per stare male? Adesso sei forte. Non hai bisogno di ricadere sempre nei tuoi soliti timori ed errori…»
E lei lo ringraziò: era stata una sciocca a lasciarsi abbattere dallo sconforto e dalla paura di non farcela, gli disse.
Orfeo Malato si spinse ancora più vicino all’uscita.
Ogni tanto le parlava.
Però lei cominciò a non rispondergli più.
Orfeo Malato doveva procedere, perché anche per lui non era salutare permanere all’inferno per tutto quel tempo.
Se presto non se ne fosse andato, ne sarebbe rimasto corrotto.
Lui le parlava ma lei non gli rispondeva.
A un certo punto Orfeo Malato accusò una terribile indecisione…
La sua Triste Euridice non era più con lui?
Non c’era più che lo seguiva?
Le chiese insistentemente di rispondergli.
«Perché non mi parli, amore mio? Perché non vuoi confermarmi che sei sempre qui con me che mi segui verso l’uscita? Siamo così vicini adesso… Dove diavolo sei?! Perché non mi parli?!»
Ma la bella voce della Triste Euridice non si sentiva, seppure ogni tanto Orfeo Malato coglieva strani suoni provenire dalle sue spalle, suoni che però non capiva cosa comportassero.
Orfeo era ormai a un passo dall’uscita, a un sol passo.
Alla fine era arrivato.
Allungando un piede ne sarebbe uscito.
Però era convinto di non avere più con sé la sua amata Euridice Triste.
Doveva essere accaduto qualcosa di molto brutto alla sua Triste Euridice se lei non gli rispondeva più.
E se quello era vero, a lui non interessava più niente di niente: del viaggio, della salvezza sua e di Euridice Triste.
Non gli interessava più niente di niente.
Sentendosi perso, fece allora l’errore di voltarsi.
La vide.
Euridice Triste era lontana ma ancora visibile.
Aveva risposto al richiamo di alcuni demoni che le avevano promesso ebbrezze tanto estreme quanto fatue, ebbrezze per continuare a dannarle l’anima per sempre, in modo da ricontaminargliela come prima, rendendogliela ancora una volta nera come il nero.
«Ti sei voltato, Orfeo Malato. Così mi hai tradito. Sei tu che non ci hai creduto. Le tue parole erano quindi tutte menzogne, solo menzogne…», disse lei gelidamente.
«Ma tu non mi rispondevi! Che cosa dovevo fare?! Dovevo sapere che cosa ti era successo!», rispose lui addolorato perché ormai tutto era perso.
Non era chiaro se lei avesse incontrato i demoni che l’avevano fatta deviare dal percorso giusto decidendo allora di non seguirlo più, oppure se, una volta incontrati essi, avesse deciso di aspettare fino all’ultimo per vedere se Orfeo Malato sarebbe stato capace di salvarla per un’ultima volta, la volta più importante di tutte.
A ogni modo lui non era stato capace di farlo.
«Triste Euridice!», le protendeva la mano supplice sperando vanamente di trarla ancora a lui.
«Va tutto bene, Orfeo Malato. È la mia natura, questa», disse lei mentre i demoni l’abbrancavano sprofondandola negli inferi e le loro sozze mani le lasciavano solo un occhio scoperto dal quale lo guardava calma ma perversa.
«Non è vero che è la tua natura! Tu non sei nata all’inferno! Non appartieni a questo posto! Ti hanno rapita e portata qui!», si ribellava lui.
«Comunque sono stata sempre qui. Sono cresciuta qui. E solo questo posto conosco. Quindi gli appartengo. Sono un abitante dell’inferno, anche io, proprio come i suoi demoni. Ed è giusto che stia qui.»
«Triste Euridice… Triste Euridice!», la implorò di non lasciarlo.
Ma lei prese a non rispondergli più, come lui fosse un moscerino, come non le fosse mai importato niente di lui.
Intervenne l’Angelo Custode di Orfeo Malato il quale lo condusse infine fuori dall’inferno.
Un altro istante e anche Orfeo Malato vi sarebbe rimasto intrappolato per sempre come il suo dolce amore addolorato, Triste Euridice.
«Non è colpa tua. Hai fatto tutto quello che potevi…», lo consolò l’angelo.
«Però lei contava su di me per salvarsi! E io non sono stato all’altezza… Ho fallito!», disse Orfeo Malato cominciando a piangere.
«Sì, ma è lei che ha scelto. Che non ti ha creduto. Non si può salvare chi non vuol essere salvato, Orfeo Malato», lo consolò vanamente l’angelo.
«Lo so. Alla fine la scelta è personale. Ma questo non può alleviarmi. Non può…», disse da ultimo Orfeo Malato col cuore spezzato.
L’Angelo Custode e Orfeo Malato si voltarono a osservare le fiamme dell’inferno: da quel punto potevano farlo senza alcuna controindicazione.
E videro una fiammata più alta delle altre che si spingeva fino al cielo.
E in quella fiammata comparve l’immagine della Triste Euridice trafitta dai forconi dei diavoli.
Piangeva afflitta ma nondimeno rimaneva estasiava del male che le veniva impartito.
