Alla sera entrammo in quella enorme camerata tutti incredibilmente con la stessa fisima. Il mio ghigno mi tagliava la testa a metà per quanto era evidente.
E dire che ero sempre uno dei più calmi! Beh, se anche io ero ridotto così, talmente invasato da non vedere l’ora di perdere ogni freno inibitorio, voleva dire che quella smania era come una malattia contagiosa alla quale era impossibile opporsi.
E gli adulti sembrava che avessero capito tutto. Forse avevano udito i nostri discorsi di nascosto (discorsi che tutti facevano contemporaneamente non sapendo che nel medesimo momento anche gli altri ne parlavano eccitati!), o forse semplicemente avevano molta esperienza di faccende simili, fattostà che, da bravi e assennati educatori, decisero che, visto che nonostante tutta l’autorità che avevano non avrebbero mai potuto opporsi a quel nostro desiderio, avrebbero potuto però almeno tentare di arginarlo e regolamentarlo. Così addirittura furono essi stessi che, annusando l’aria che si respirava la prima sera, quando era ora di andare a dormire, ci dissero che potevamo fare a cuscinate. Ma solo per un minuto: sessanta secondi di sfreno totale! Al termine dei quali, quando si sarebbe udito il suono del fischietto, le ostilità sarebbero dovute terminare immediatamente senza se e senza ma, pena il depennamento completo di eventi similari; e poi, si sarebbero spente le luci e saremmo dovuti andare tutti a letto, senza fiatare! E noi, senza pensarci su due volte, accettammo, già inebriati del prossimo sfogo a cui anelavamo smodatamente.
In realtà, fossi stato nei grandi, avrei aggiunto un’ulteriore altra postilla: e cioè quella di non accanirsi contro chi si trovasse particolarmente in difficoltà; o anche quella di non attaccare contemporaneamente una persona che già stava fronteggiando un combattimento. Comunque loro non ritennero che fosse necessario, forse perché pensavano che in un minuto non sarebbe stato ammazzato nessuno…
In pigiama, ci alzammo in piedi ognuno accanto al proprio letto, ognuno con il suo cuscino stretto a mo di arma d’offesa ma anche di sacrale egida difensiva. La maestra si mise il fischietto in bocca mentre l’intera camerata la guardava con gli occhi di fuori. E il fischiò di partenza fu emesso…
La camerata divenne una bolgia. Mi ritrovai subito nel centro di una baruffa. Mentre attaccavo quello che avevo davanti, mi giunse vigliaccamente una cuscinata alle spalle che mi fece vacillare. In breve mi trovai subito a fronteggiare un duplice attacco… Quello che avevo davanti si difendeva come un ossesso: sembrava non avesse fatto altro in vita sua che fare a cuscinate. Sarebbe stato un avversario ostico anche affrontandolo nell’uno contro uno… I suoi occhi erano accesi di furore e mi dicevano: non mi avrai, bastardo! sono più forte di te! ti demolirò! Tuttavia ero molto agile e schivavo sovente i suoi potenti colpi e, dopo che si era sbilanciato, lo colpivo punendolo per la sua arroganza. Insomma, normalmente avrei vinto io, non c’erano dubbi. Però c’era quello stronzo che mi martellava da dietro… Teoricamente sarebbe dovuto essere uno dei miei migliori amici e invece era uno dei peggiori vigliacchi traditori che avessi (e avrei) conosciuto in vita mia. Mi assestava dei colpi che mandavano a scatafascio le mie sofisticate tecniche di fioretto.
All’inizio mi opposi con rabbia sia all’uno che all’altro, ma presto dovetti cedere perché le cuscinate che incassavo erano troppe rispetto a quelle che davo. Mi ritrovai presto come un pugile suonato al tappeto, steso su un letto che neppure era mio, e quelli ancora lì a coalizzarsi per accopparmi… Ma per fortuna a un certo punto quello con gli occhi di brace, forse avendo pena di me, andò contro il mio finto amico e allora potei tornare a respirare e, un po’ rintronato, mi alzai nuovamente in piedi. Ero ancora vivo…
Ma non ebbi neppure un attimo di respiro perché mi fu subito innanzi un altro guascone. Il peperino aveva il letto decine di metri dopo il mio ma si stava facendo tutta la camerata al galoppo per gareggiare con più gente possibile. Non aveva affatto paura. No, lui voleva battezzare tutti… Anche lui aveva occhi di fuoco, ma oltre a un buon fisico e la potenza delle cuscinate sferrate, era molto più sveglio degli altri e si districava bene come me con le schivate e le finte. Ecco, lui era più forte di me, più bravo, me ne accorsi subito, purtroppo. Con lui ce le prendevo, non c’era nulla da fare perché era più potente, più agile e più furbo.
Mi ritrovai in difficoltà a dovermi solo difendere con un grandissimo fiatone che non mi permetteva di recuperare energie. Per sfuggirgli, mi mossi anche io, in avanti, per sorpassarlo. Lui un po’ mi inseguì all’indietro ma poi decise di continuare nel suo tour della cuscinata, lasciandomi alle spalle.
A pochi metri davanti il mio letto mi si dischiuse un nuovo mondo. Per un attimo ebbi il quadro d’assieme della camerata ormai in rivolta… C’era un altro mio amico che menava come un fabbro tutti quelli che passavano di lì. Me ne diede un paio anche a me prima che lo superassi. C’erano due, tre ragazzini che stavano dandosi battaglia come fossero Capitan Uncino e Peter Pan. Saltavano, urlavano, si inveivano contro. Era bello osservali superarsi di continuo. A un certo punto, uno dei tre scivolò a terra e un altro gli fu sopra spietatamente. Gli assestò tante di quelle cuscinate che, ci fossi stato io al suo posto, avrei perso i sensi, e, fossero stati su di un ring, l’arbitro avrebbe sospeso l’incontro per K.O. Tecnico. Poi intervenne un terzo ragazzino che rovesciò le sorti del match…
Più avanti mi imbattei in una “femmina”. Infatti c’erano delle femmine che non avendo trovato posto nella camerata femminile erano state imprudentemente aggregate in quella maschile (e per fortuna che non sarebbe accaduto nulla). Già, anche loro partecipavano alla tenzone come tutti i maschietti. D’altronde a quell’età non c’erano molte differenze sia di forza che di velocità tra di noi. Non resistetti all’idea di darle una bottarella: ma quella aveva la faccia arrabbiata di chi se n’era visti passare già molti altri con lo stesso intento. E si difendeva come se l’avessi voluta violentare. Mi scacciò come fossi stato un cane rognoso che tentava di rubare un boccone alla tavola dei padroni. La lasciai stare pensando per l’appunto alla grande quantità di maschietti che avevano e avrebbero provato a darle fastidio…
In breve mi accorsi che, se dove dormivo io avevo ingaggiato battaglie accanite ma pur sempre con qualche notevole possibilità di sfangarla, altrove sembrava imperare la dura legge della giungla più feroce. Gli altri sembravano bestie, babbuini sul piede di guerra, piuttosto che ragazzini normali come me.
Così, dato che quel che trovavo andando avanti mi faceva paura perché sembrava proprio un girone infernale, decisi di tornare indietro. Facendo il percorso al contrario affrontai altra gente mai vista, che incrociai solo in quell’occasione e non avrei mai più incrociato per tutto il resto del soggiorno.
Tornato al mio letto, mi accorsi che la battaglia infuriava ancora indomita come non mi fossi mai allontanato. Mi ritrovai ancora in un “due contro uno” in cui ero l’uno, con i polmoni che mi dicevano che non ce la facevano più e che mi dovevo fermare… Stavo quasi per crollare quando… arrivò infine il salvifico fischio della maestra, che sembrava avesse fischiato appositamente per trarre in salvo me, mentre invece alla grassona non importava niente della mia sorte poiché pensava che in una maniera o nell’altra me la sarei cavata, come tutti.
Salvo. E senza fiato. La gioia era stata tanta, ma anche il timore di non farcela, di crollare: una sensazione che non avevo mai sperimentato prima. Quella gioa fu resa un po’ più amara da quella constatazione: non tutti tenevano un’etica da gentiluomini nell’infuriare della lotta. Anzi, la maggior parte degli altri ragazzini erano delle iene assetate di sangue che non vedevano l’ora di darti una botta così forte da mandarti all’altro mondo (e in tal caso nessuno avrebbe potuto incolparli di nulla).
Quando venne dunque la seconda serata, ero un po’ meno euforico e molto più prudente. La maestra aveva nuovamente il fischietto in bocca ma prima ci disse che Malcom, che aveva un’aria abbattuta e stava al suo fianco, disarmato, senza cuscino, non avrebbe partecipato alla tenzone per via di un imprecisato mal di testa. Lo guardai con compassione. Dunque qualche vittima della prima tornata c’era stata. Malcom doveva averne prese così tante da sconsigliargli di tornare nell’arena. Mi dispiacque per lui ma pensai anche che io non ero un poveraccio come lui e che potevo ancora combattere: io ero forte, lui era debole.
Quella seconda sera andò in maniera molto diversa della prima, come pure di tutte le altre che seguirono. Stavolta fui molto, molto più accorto e non mi feci mai sorprendere alle spalle dai vigliacchi a cui piaceva attaccare in quella maniera. In pratica badai per prima cosa alla difesa, prima ancora che darle. Talvolta mi palesai così passivo che la gente preferì andarsi a scaricare altrove, dato che non mi prendeva e rischiava pure d’esser castigata appena il loro colpo fosse andato a vuoto. Così praticamente mi capitò delle volte di dover difendere con notevole facilità il mio territorio dai pochi che vi si avventuravano e poter osservare quasi in disparte le baraonde che avvenivano altrove, dove la gente continuava a darsele di santa ragione…
Nessuno mi toccò più. Non lo permisi. E l’appuntamento con le cuscinate alla sera, prima di andare a dormire, non mi fece più tanta paura. Sapevo che uno come me era perfettamente in grado di non farsi spaccare le ossa dagli altri. Solo qualora mi avessero voluto fare la festa avrebbero potuto farmi secco. Ma io non stavo antipatico a nessuno quindi non c’era motivo che mi facessero uno sgarbo del genere.
Dopo le cuscinate, gli insegnanti se ne andavano nelle loro stanze e a noi ragazzi ci lasciavano da soli. Allora cominciava tutta un’altra storia. La gente per la maggior parte si metteva sotto le coperte e cominciava a parlare con i vicini. Si tiravano fuori le torce e si proiettavano i fasci luminosi sul soffitto giocando a rincorrersi. Quelle torce che poi non utilizzammo mai in quella gita, neppure quando andammo alle grotte, se non per l’appunto in quel modo.
Io avevo con me dei preziosi biscotti farciti che mi ero portato come scorta (dei biscotti la cui marca ancora oggi esiste ed è molto apprezzata). Dato che da bambino ero un po’ schizzinoso e ai pasti mangiavo pochino, un po’ come pure gli altri miei coetanei, mi tenevo quei buonissimi biscotti come rifornimento d’emergenza. Così stabilimmo di mangiarne al più uno o due per notte, io e quel mio falso amico che era stato il primo ad attaccarmi alle spalle, sennò non avremmo avuto più niente da mangiare per i giorni successivi. In realtà poi ci dimenticammo di avere quella golosa provvigione di cibo e finii per tornare indietro con metà pacchetto intonso.
Di quella gita ricordo che una volta tornato non rammentavo quasi nulla dei posti visitati. Ero stato troppo occupato a vivere quell’esperienza intensamente, come poteva fare un bambino che non aveva mai viaggiato…