Un mondo migliore

Lunedì: bombe.
Kamir camminava tra le macerie della città-rovina attraversando quei sentieri dove sapeva fosse meno probabile imbattersi in mine antiuomo. Aveva il passo leggero del levriero e l’orgoglio dell’aquila. Immaginava di essere un prode guerriero che doveva compiere una missione e, mentre dal cielo piovevano nuove bombe come se fossero grandine, si trasportava tra i ruderi fingendo che da un momento all’altro terribili bestie feroci avessero potuto sbucare da ogni angolo, da ogni anfratto, da ogni ombra, sbarrandogli il cammino. Ed allora lui avrebbe dovuto essere più veloce di loro e, con mosse imprevedibili e repentine, scattare in un’altra direzione per sottrarsi al loro letale abbraccio…

Martedì: Elly.
Kamir sentiva la furia montare nell’animo della sorella e quindi correva a chiudersi nella stanza, apponendo alla facciata della porta una scopa come insormontabile rinforzo, cosicché dall’esterno non potesse essere aperta. Ed era inutile che la sorella ci battesse sopra, sbraitasse, minacciasse di buttarla giù se lui non avesse fatto quello che lei gli chiedeva: non ci sarebbe stato nulla da fare, e lei avrebbe continuato a lamentarsi fino a stancarsi, fino a quando, il suo, non sarebbe stato un borbottio, mentre Kamir avrebbe preso tra le mani i pupazzi che aveva messo assieme dalle macerie della città-rovina (i quali aveva accessoriato di abiti e armi tali che li rendevano unici, strampalati e maestosi ai suoi occhi) e si sarebbe immaginato castelli, nemici, audaci eroi che si opponevano alle malefatte e terribili avventure rischiose nelle quali alla fine trionfava sempre il Bene.
La sorella, Elly, avrebbe voluto sospingerlo a farsi arruolare nei lavoranti di Bel-Arguth, ma Kamir vi si era sempre opposto, preferendo rimanere nella indigente condizione di miseria nella quale era. Infatti Kamir sapeva come funzionavano le cose da Bel-Arguth, e al contrario di Elly, aveva capito che, per ore e ore di lavoro, lo spietato mercante non gli avrebbe assegnato che lo stretto necessario, e se per caso gli fosse girata male, allora c’era anche il caso che non l’avrebbe pagato. E Kamir non sopportava di essere sfruttato in quella maniera, perché anche il lavoro imponeva una sua dignità. Che poi con quei pochi soldi non avrebbe certo risolto la sua modesta condizione e anzi, col passare del tempo, era quasi sicuro che si sarebbe sempre più avvinto al losco individuo. E Kamir non riteneva giusto di sperperare la propria vita in quella miserabile ed inutile maniera, perché lui non era nato per omaggiare un ladro piuttosto che un altro…

Mercoledì: fame.
Kamir aveva imparato a non mangiare. Come si fa a non mangiare? Basta non pensare al cibo e cercare di muoversi il meno possibile. Oppure immaginarsi che si hanno a disposizione un’infinità di cibi, ma che, per noia e apatia, si preferisca non servirsene, proprio perché se li hanno lì disponibili, belli pronti. Kamir faceva un pasto al giorno, al mattino. E quello gli bastava per chiudersi nel suo mondo impenetrabile fatto di principi e draghi malvagi da sconfiggere.

Giovedì: Muth.
Ogni tanto incontrava il suo amico Muth, che era un bambino come lui, che aveva sempre un bel sorriso sulla faccia, e che si dava molto da fare per sopravvivere. Muth gli offriva sempre cioccolata (ma dove la trovava?), un po’ di banane e carne e pesce. E dopo aver sistemato lo stomaco giocavano assieme con i rispettivi pupazzi acconciati nella maniera bizzarra nella quale loro solevano infagottarli.
Il paladino di Kamir era coraggiosissimo e rispettava sempre l’onore e le regole, quello di Muth invece era molto più furbo, scaltro e preferiva l’agilità e la destrezza alla forza bruta e al dover affrontare le situazioni in modo diretto. E quando erano assieme i due formavano l’accoppiata più impareggiabile che si fosse mai vista e tutti i loro antagonisti tremavano al loro cospetto, perché conoscevano la loro fama e la natura dei loro successi: di quando da soli liberarono il sultano del Niaghaarth dal popolo roditore; di quella volta che uccisero tutti i teschi viventi rispedendoli all’inferno; di quell’altra volta in cui a cavallo di un ippogrifo e di un unicorno divennero campioni del cielo guadagnandosi un posto accanto al Dio Supremo, posto che però preferirono lasciare vagante poiché sentivano che il loro destino fosse ancora tra gli uomini, cosicché potessero donar più giustizia ad un mondo che ne reclamava a profusione.
Muth aveva perso una gamba da poco ma questo non era bastato a mandargli via quel sorriso astuto che sempre lo accompagnava. Si era fornito di una gruccia e qualche volta faceva entrare anche questa nelle storie fantastiche che inventava con Kamir.

Venerdì: Lilith.
Lilith era una bambina che una volta Kamir aveva veduto. Gli era apparsa come una specie di Madonna celeste, in un giorno nel quale stranamente non vi erano state bombe cadute dal cielo (per questo Kamir le aveva attribuito proprietà divine di pacificazione). Lilith lo aveva intravisto da venti metri con i suoi bellissimi occhi nocciola e Kamir li aveva notati, anche se il volto di Lilith era coperto da un velo. Poi l’esile figura di Lilith se ne era andata poiché all’orizzonte, alle spalle di Kamir, aveva veduto delle persone che potevano essere dei soldati cattivi. Così lo aveva lasciato là in contemplazione estatica, immobile, mentre lei, volontariamente, non volle avvertirlo, sperando di avere più chance di sfuggire agli usurpatori.
Ma il destino volle che quel giorno invece Kamir schivasse totalmente i soldati, mentre lei ci finisse proprio in bocca e venisse dunque prima violentata e poi lacerata con un taglio che le sbudellò la pancia per diversi centimetri, facendole cadere a terra le interiora, mentre il bacino le fu denudato per rendere la sua dipartita ancora più oscena all’occhio.
Kamir non seppe mai della brutta morte di Lilith, come pure che lei avesse tentato di venderlo per la propria salvezza. Fattostà che da allora però si invaghì così tanto di quella bambina percepita appena per quei pochi istanti che ogni tanto si credette di rivederla, sempre da lontano, mentre lei gli annunziava eventi fausti. Così Lilith prese ad abitare anche il suo mondo fantastico e divenne la principessa-bambina, l’eroica donzella da sostenere, l’unica donna capace di cambiare il destino di un uomo e renderlo per sempre felice; la panacea, la cornucopia, il vaso di Pandora.

Sabato: uccelli.
Kamir amava gli uccelli. Conosceva molto bene i gabbiani per via del mare, da lui poco distante. Amava sognare di poter diventare come un uccello, dispiegare le ali e gettarsi in potentissimi vortici d’etere oltremodo affascinanti. E poi andare a picco, dopo una salita interminabile nella quale si era inseguito il sole; oppure cambiare direzione rapidamente da destra a sinistra ed infilarsi negli interstizi più aguzzi e stretti dei monti più alti, quelli dove d’inverno c’era la neve e d’estate risplendeva una marea verde di erba e fogliame.

Domenica: Kamir.
Era solo questione di tempo prima che Kamir morisse colpito da una bomba o per la fame. Ma quella eventualità tuttavia avrebbe anche potuto non avverarsi mai dopotutto. In fondo, fino ad allora, non era mai successa, no?
I soldi dell’eredità sarebbero presto finiti e dopo lui e la sorella non avrebbero più avuto nulla da mangiare, perché la roba al mercato nero era sempre più cara e loro non possedevano niente (e il lavoro di sarta di lei non sarebbe mai bastato per entrambi). Tuttavia lui non avrebbe mai buttato la sua vita nel cesso facendosi depauperare da qualche negriero.
C’erano dei giorni che Kamir non stava in piedi per la fame, ma poi però incontrava il suo amico Muth che lo rifocillava, ed allora proseguivano a giocare e a creare le loro storie fantastiche.
Lilith era sempre la sua visione irrinunciabile e lui sognava di diventare grande, baciarla e fare dei bambini suoi con lei. Poi sapeva che lei avrebbe sviluppato il seno con il quale avrebbe allattato i bambini per farli crescere bene (e forse con quello avrebbe potuto rimpinzare anche lui. Sì, forse da quel momento il nutrimento non sarebbe più stato un problema).
Kamir sbatteva le braccia ed era come se volasse. Si metteva in cima al dirupo, dove le correnti ascensionali battevano forte e minacciavano di tirarlo giù e si immaginava di volare. Forse un giorno avrebbe trovato il coraggio di buttarsi da lì per vedere se poteva volare davvero. Anzi, il coraggio già ce lo aveva: in verità era lui che rimandava la questione, poiché riteneva che il giorno che davvero avrebbe imparato a volare se ne sarebbe andato lontano e non sarebbe più tornato, lasciandosi dietro anche, purtroppo, il suo amico Muth e la bella e incommensurabile Lilith.
Elly non capiva che non sarebbero mai state le persone come lei a cambiare il mondo in meglio: solo quelli come Kamir avrebbero potuto.

Domani smetto

Domani smetto. Che mi sono rotto il cazzo di dire sempre le stesse cose, che è colpa loro e che non è vero che la colpa non è di nessuno. Che tutto ciò che uno non ha, non ce l’ha perché se lo sono fregato loro…
Domani smetto. E allora la finirò di rigurgitare sul mio blog tutte queste incontrovertibili verità ripetute più volte (ma evidentemente mai abbastanza, perché passano gli anni e c’è sempre bisogno di dirle, perché esiste ancora gente ignorante che non le sa), verità che mi scaturiscono dalla rabbia nei riguardi dei prepotenti che vorrebbero perdurare all’infinito a spacciare menzogne e a succhiare alle persone i loro risparmi, come pure qualsiasi forma di dignità.
Ma loro continuano a propugnare le loro malefatte e neppure si pentono, o chiedono scusa o accampano motivazioni plausibili… No! Loro negano, confondono, la buttano in caciara, falsificano la storia, cambiano il senso delle parole, sconfessano la logica (!), e, arrogantemente, vorrebbero schiacciarci.
E dunque davvero si riduce tutto a noi contro loro, perché loro non ci permetterebbero mai di vivere tranquilli nel nostro angolino, perché il loro Potere implica la nostra sopraffazione, si basa sulla prevaricazione, altrimenti loro non sarebbero loro e sarebbero noi; ma ciò sarebbe impossibile che si attui, anche nelle loro strampalate parafrasi declamatorie…
Ogni giorno apro il giornale e mi ribolle il sangue, perché ogni giorno scopro che ne hanno fatto o dette delle altre. Poi accendo la televisione, cerco di evitare i telegiornali, ma spesso li sfioro ugualmente, e allora ho nuovi motivi per indignarmi e per ribellarmi…
Così, davvero non posso esimermi di dissentire con loro. No, non posso, non posso dargliela vinta. E ancora devo oppormi, devo divergere, devo riaffermare la verità e sbattergliela in faccia promettendogli che un giorno le pagheranno tutte le loro malefatte rivoltanti eticamente inaccettabili.
E allora vengo qui e scrivo tutto (in realtà molto lo lascio andare, perché sarebbe impossibile stare appresso alla loro scia di merda e rintuzzargliela completamente, poiché è troppo immensa ed io non posso dedicare a loro tutta la mia esistenza, che sarebbe una bestemmia vivere solamente per oppormi a loro, seppure sarei un paladino dell’Ordine e dell’Onestà).
Per questo mi dico sempre che domani smetterò. Smetterò di scrivere sul mio blog di politica e potere. Ma poi non ci riesco mai. E sempre ci sarò a dire che non è vero e che un giorno andranno in galera, o verranno linciati nelle strade da cittadini esasperati dalla loro faccie da cazzo.

Palombella

Era una ragazza bassa e cicciottella. Mi metteva allegria poiché veniva continuamente ripresa dall’insegnante perché parlava con i vicini e non sapeva trattenere la chiacchiera (ma lei mi giurò che delle volte le accadde di essere accusata ingiustamente). Era soggetta a risa inconsulte, che la prendevano come fossero attacchi isterici… Presto però capii che non era per nulla felice e, anzi, che tra le sue risate inconsulte si nascondessero amarissime lacrime che sarebbero spuntate dal suo viso se solo per un attimo avesse lasciato intravedere la sua faccia più reale.
Vestiva spesso con una giacchetta consunta che avrebbe dovuto regalarle un tono di professionalità, ma che invece non aggiungeva nulla al suo aspetto irrimediabilmente dimesso e poco attraente. La cosa che forse la caratterizzava di più erano i suoi capelli, ricci, lasciati crescere senza un taglio ben definito, in maniera che anche quello la facesse apparire trasandata, trascurata e poco seducente…
Con lei mi fermai appena in tempo per non risultarle “troppo” simpatico; infatti, quando capii la sua natura di donna bestiale, soggetta a passioni intrattenibili, che anela un amore assoluto, oltre che un maschio che sia tutto il centro della sua vita, me ne tirai fuori e cercai di squagliarmela prima che fosse troppo tardi (ma non giudicatemi male, non era il mio tipo).
Così accadde (imprevedibilmente) che lei si innamorò alla follia del mio amico, il quale, al contrario di me, poveraccio, non sapeva trattenere la sua innata dose di simpatia… E dunque fu lui che divenne quel centro di gravità permanente che lei chiedeva che il cielo le mandasse.
Seppi che lo corteggiava come lei usava fare, cioè spietatamente, assestandogli dei pizzicotti che nella sua testa avrebbero dovuto farla risultare piacente e disponibile, ma che invece, dal punto di vista del mio amico, erano come una specie di chiodi che lei gli conficcava nelle costole, i quali gli lasciavano grossi lividi violacei.
Un giorno chiesi al mio amico se era contento di avere una donna così scodinzolante che gli sbavasse dietro e lui mi disse che non lo era affatto. Mi spiegò che, certo, se la sarebbe fatta (poiché la fica è sempre la fica, ed inoltre lui sosteneva una sua teoria che all’epoca non capivo, ma che oggi ho appreso meglio, e cioè che si sarebbe fatto almeno il 95% delle donne), ma che, in tal caso, sarebbe stata una cosa solo di sesso, perché anche lui aveva capito l’incommensurabile grado di depressione di quella femmina così al limite della disperazione e della follia, e non aveva alcuna voglia di impantanarsi in una tipa a tal punto asfissiante che, in una maniera o nell’altra, era indubbio avrebbe finito per rovinargli la vita con il suo amore assoluto.

Politici, mafia, P2 e altra merda


La classe politica italiana, invece di confessare all’opinione pubblica non solo i nomi dei responsabili materiali ma sopratutto i motivi che indussero le istituzioni dello Stato e i nostri servizi segreti ad allearsi con certa feccia (mafia, fascisti, P2, oscure organizzazioni atlantiste e servizi stranieri, in specie la CIA) ha fatto di tutto per assuefarci alla parola «stragi»”.

Dagli atti della Commissione Parlamentare Stragi risulta che i massacri subiti dagli italiani furono una miscela esplosiva, diciamo così, di servizi segreti nostrani, faccendieri, apparati delle forze armate, CIA e altra brutta gente. Esattamente come in Cile. Anche da noi, infatti, ci fu qualcuno che volle impedire che certe forze politiche arrivassero al governo. Con la pretesa di impedire ad altri, in nome dei propri interessi, il libero esercizio della sovranità popolare”.

Tratto da “L’oca al passo” di Antonio Tabucchi.

Torna Cuzzo!



Confesso di essere andato in fissa per l’algida bellezza della giornalista di “Repubblica Radio TV” Annalisa Cuzzocrea…

È da un po’ che ho scoperto che gli occhi verdi sono i più belli ed evocativi di tutti, e lei ne ha un paio davvero stupendi, rilevantissimi, capaci di oscurare qualsiasi altra cosa osi confrontarsi con loro.

Ed infatti più di una volta, vedendola in tv, ho avuto modo di constare quanto la sua immagine potesse essere per me distensiva, cosicché da irrorarmi di energie benefiche, capaci pure di far dissolvere brutte arrabbiature alle quali ero in quel momento soggiacente.

Mi basta la sua vista per farmi cominciare a sorridere come un beato idiota… E tutto il resto non ha più senso, ed io mi sento felice di essere vivo perché posso ammirare la sua bellezza inconsueta ma turbante, straripantemente incommensurabile…

Annalisa, torna da me! Torna in tv! Che queste poche foto che ho rimediato in rete non ti rendono per niente onore!

 

Io lo conoscevo Nemesis


Nemesis era ormai irreperibile. Nessuno sapeva dove fosse o che fine avesse fatto. Aveva tagliato i ponti e li aveva recisi di netto, dopo la sua ultima seduta dalla psicologa.

Così nessuno sapeva se fosse ancora vivo, impazzito, rinchiuso in qualche manicomio sotto sedativi, coartato a seguire una cura farmacologica che gli avrebbe impedito di fare del male a sé e agli altri… Nessuno sapeva niente.

Anche del fratello di Nemesis, Azrael, non si sapeva nulla, e anzi egli aveva percorso quel cammino di offuscamento ben prima di Nemesis; era stato lui l’antesignano e forse ispiratore di ciò che era accaduto a Nemesis: perché, in ultima istanza, il destino dei due fratelli, si era rivelato essere angosciosamente simile. E poche persone erano al corrente di quel fatto…

I genitori di Nemesis e Azrael erano morti entrambi (forse di crepacuore); così nessuno avrebbe potuto interrogarli per chieder loro che fine avessero fatto i due fratelli. Ma poi, chi mai avrebbe potuto essere interessato alla loro sorte? Sia Nemesis che Azrael avevano fatto terra bruciata attorno a loro e dunque nessuno sarebbe venuto a reclamarli… Vi era forse qualcuno che ancora si ricordava di loro (e meno che mai delle loro paranoiche vicissitudini)? Nessuno. Nessuno c’era. O almeno questo sembrava…

Un giorno un uomo, che dimorava in una frazione di un dimesso paesino del nord Europa, vide un palloncino rosso (al quale era stato attaccato un pezzo di carta a quadretti) che balzellava in terra. Era evidente che in precedenza avesse avuto molta energia che gli avesse permesso di resistere alla forza di gravità e di vagare incontrastato per chissà quanto tempo e per quali vie. Comunque adesso quella forza non ce l’aveva più e, un po’ come la rapida esistenza di una farfalla, si stava spegnendo e perdeva sempre più vigore, e presto si sarebbe del tutto esaurito e allora si sarebbe appallottolato, giungendo alle stesse dimensioni di un profilattico usato…

L’uomo decise di cedere alla propria curiosità (anche se era consapevole che sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto) e di raccogliere il palloncino con il messaggio che portava. Tolto lo spago che lo ancorava alla plastica, liberò il foglietto accartocciato e lo stirò nelle mani. Ci trovò una storia che era stata vergata a mano e che cominciava dicendo…

Io l’ho conosciuto Nemesis. Ed ora mi chiedo che fine abbia mai fatto, se sia felice, oppure se si sia ammazzato gettandosi al fiume, come in molti dicono…

L’uomo parve colto da una qualche forma di afflizione. Emise un respiro che era lo sfiato di tensioni materializzatesi a bruciapelo. Dunque dovette decidere se gettarlo via, infischiandosene, oppure leggerlo tutto. E dopo un attimo di esitazione protese per la seconda eventualità. Lo avrebbe letto tutto, anche se era solo uno scherzo, anche se probabilmente quella lettura gli avrebbe procurato fastidio e avrebbe potuto attanagliargli l’anima per qualche periodo…

Io l’ho conosciuto Nemesis. Ed ora mi chiedo che fine abbia mai fatto, se sia in qualche modo felice, oppure se si sia ammazzato gettandosi al fiume, come in molti dicono… O anche se sia impazzito e giaccia nei recessi di un desolato ospedale psichiatrico di provincia, laddove nessuno lo reclamerà e potrà mai sapere chi è stato lui e che storia dolorosa ha vissuto, come pure che io, lo confesso, io l’ho amato.

Non posso dire dove lo conobbi, né in quale occasione, altrimenti si potrebbe capire la mia vera identità e tale confessione verrebbe quindi ad avere tutta una funzione che non le compete, mentre il mio è solo un misero sfogo affinché si sappia – o almeno faccia finta di dirlo a qualcuno – chi in realtà era Nemesis prima della sua crisi e come finì in mezzo a quei pasticci di cui, comprensibilmente, non fu capace di trarsi in impaccio.

Nemesis era un ragazzo, un giovane uomo, stupendo. Era sincero come un angelo, poiché egli era puro. Era gentile come la galanteria fatta persona, perché egli sapeva individuare repentinamente ogni forma di bellezza nelle persone, anche in quelle che la celavano al loro interno, nelle quali non è facile scorgerla. Lui lo sapeva. Non so come ma ci arrivava prima di tutti gli altri (ammesso che un giorno essi ne sarebbero stati capaci). E concedeva la sua fiducia, e accordava le sue belle maniere, anche a coloro sui quali normalmente non si sarebbe scommesso un centesimo bucato… Perché Nemesis era buono! Il più buono di tutti e possedeva l’animo più sensibile che mai abbia incontrato e che mai potrò incontrare in futuro… Perché già so che non mi sarà possibile rintracciare le doti che ravvidi in lui in un altro uomo, maschio o femmina che sia…

Tuttavia anche io, come tanti, non potevo credere che lui fosse davvero così eccelso come sembrava, e per due ragioni distinte ed altrettanto pregnanti: la prima era che, in tal caso, sarebbe stato troppo bello e la vita non mi aveva mai riservato gioie come quelle, gratuite ed improvvise, che immaginavo non potessero esistere sul serio dato che il mio cuore si era indurito e seccato per le troppe delusioni e nondimeno per la mia meschina essenza di donna incapace di credere ai miracoli e alla beatitudine; la seconda motivazione era che era statisticamente impossibile che potesse esistere uno come lui (ah! Ma come mi sbagliavo! Avrei potuto saperlo allora! Avrei voluto saperlo subito! Così forse avrei potuto accordargli quello che si meritava e insieme avremmo forse potuto scappare lontano dal mondo cattivo che di lì a poco lo avrebbe mortalmente oppresso… Ma io non potevo sapere… Come potevo sapere? Inoltre la mia natura, se devo essere davvero sincera, non avrebbe potuto mai essere alla sua inarrivabile altezza, poiché era troppo vigliacca, volgare, falsa, traditrice per lui; così penso che, se anche in una qualche maniera avessimo potuto unirci, non ci sarebbe stato dubbio che la nostra storia avrebbe finito per naufragare… Magari lui mi avrebbe cacciato via una volta appreso che ero una persona gretta, avida e gelosa; oppure il povero Nemesis non sarebbe mai riuscito a sfuggire al gioco al quale lo avrei incatenato e, prima o poi, non avrebbe quindi potuto che morirne, perché un angelo che viene legato con corde demoniache soffre tutte le pene dell’inferno ma infine muore; o in alternativa una notte mi sarei introdotta in casa sua abusivamente e allora lo avrei assassinato ficcandogli un coltello nella schiena, anzi assestandogli così tante coltellate nel petto che, quando lo avrebbero ritrovato i soccorritori, avrebbero pensato, come in Assassinio sull’Orient Express, che un manipolo di persone lo odiasse così tanto e giustamente che lui si era meritato ogni singola stilettata di quel riottoso odio che lo aveva trafitto… Così, il povero Nemesis non sarebbe mai stato felice e, ucciso, o pazzo, o sofferente, forse il suo destino era alfine assai mesto, e non era modificabile…

Eppure quanto mi struggo ancora a pensare a lui, ai suoi soffici capelli neri che sapevano sempre di un buon profumo di shampoo, ai suoi occhi misteriosi ed empatici, alle sue mani agili e affusolate, come quelle di un pianista, alla maniera nella quale stava al mondo, si muoveva in esso, affrontava i problemi e li risolveva tutti quanti, perché Nemesis era un nemico giurato di ogni forma di problema, vessazione, ingiustizia, malversazione, peccato, e non dominio assoluto dell’Ordine sul Disordine. Nemesis era il demiurgo di quella rara razza di uomini oppositori del Caos che dedicano tutte le loro energie nella loro missione-guerra per l’abbattimento delle forze oscure del male…

Ah!, ma lui non sapeva cosa gli stava succedendo e cosa sarebbe accaduto da li a poco (ma d’altronde chi poteva saperlo? Non io di certo)… Ricordo il suo sguardo attonito, quando cominciarono a circolare le prime voci su di lui e la sua presunta omosessualità, come se ciò avesse potuto esser vero… Oddio, a ben pensarci, effettivamente c’era qualcosa in lui che richiamasse qualche concetto sodomitico, come quella sua igiene estrema e quella sua gentilezza di fondo che sempre elargiva a tutti (a meno che non avesse solidi motivi per fare altrimenti); però non posso credere che a lui davvero piacesse il cazzo, prenderlo nel culo o (non ci voglio neppure pensare) metterselo in bocca e succhiarlo con passione (anche se una tal immagine confesso che mi faccia tremare dal profondo e che mi ecciti oltremodo, rendendomi ugualmente tutta bagnata, perché lo amo così tanto che forse lo accetterei anche da effeminato, e se fossi riuscita ad unirmi con lui certo non esiterei ad indossare una di quelle cinghie per donne con annessi peni fittizi in gomma dura, se lui me lo chiedesse, in modo che anche io lo possa penetrare proprio come farei se fossi un uomo dotato di un pene funzionante e sublimemente erettibile…).

Comunque, no, non credo che lui fosse una checca. Sarebbe stato uno tale spreco… E pensare che però anche io contribuii a far circolare quella voce su di lui… Si, proprio io mi macchiai di questa colpa infame e forse diedi inizio alla sua caduta. Ricordo di quella volta che ero molto scontenta che lui non mi avesse degnato di una sola occhiata. In più ero furiosa che si stesse intrattenendo con quella troia che sapevo che se lo volesse portare a letto, perché quella puttana faceva così con tutti quelli che le sembravano un buon partito; inoltre in quel periodo la classe cristallina di Nemesis non si poteva più celare: egli era in ascesa ed era ormai evidente agli occhi di tutti come lui fosse diventato l’uomo migliore e più affascinante del pianeta, quell’uomo di cui ogni donna si sarebbe intrigata masturbandosi nel chiuso delle sue mure domestiche (laddove nessuno l’avrebbe vista, ovviamente); quell’uomo capace di far ingelosire tutti gli altri uomini, anche Casanova o Rodolfo Valentino, cioè i più grandi seduttori che la storia abbia conosciuto; quell’uomo altresì capace di sommuovere anelate passioni inespresse in maschi che ancora non abbiano appreso della propria inclinazione alla sodomia, o altresì che potrebbero ingarbugliarsi il cervello qualora abbiano la possibilità un giorno di vederlo semisvestito, ravvisandoselo come quel perfetto efebo che egli realizzava (poiché lui era l’eterno e sospeso incrocio, assai intrigante, tra uomo fatto e perenne ragazzo, per sempre giovane, con quel suo fascino latente capace di far infervorare sia i pedofili – che in lui avrebbero intravisto tratti indubbiamente bambineschi – , come pure quei finocchi di cui già troppo si è detto, perché anche loro lo avrebbero scambiato per uno di loro e avrebbero ordunque desiderato di accoppiarsi lascivamente con lui perlomeno fino a quando il mistero della sua sessualità non fosse stato una volta per tutte derivato…).

Ma basta parlare del potere che egli avesse su quegli altri, di cui non mi interessa nulla… Sempre cari mi saranno i ricordi di come lui attraversò la mia vita di donnetta mediocre e puerile, rigida ma fragilissima, ardente e frigida… Non scorderò mai quel giorno in cui ero così arrabbiata che maledivo me stessa e tutto il mondo, avevo un diavolo per capello e quando quel gatto zoppo mi aveva attraversato la strada avevo avuto l’insano desiderio di inseguirlo (la povera bestiola non avrebbe potuto sottrarsi per molto alla mia caccia, visto il suo handicap) e di prenderlo a calci, per prorompere su di lui tutta la mia rabbia… E poi non so, forse da lì avrei cominciato a fare la serial killer di cani e gatti, forse avrei cominciato per gioco a confezionare polpette avvelenate, forse mi sarei appostata la notte in luoghi bui e avrei rigato auto parcheggiate in doppia fila, o forato gomme, o staccato specchietti retrovisori, o incendiato autoveicoli… Non lo so! In quel periodo sentivo di essere posseduta da una forza ribelle che mi spingeva non solo a pensare sempre male di ogni persona, ma anche a immaginare di continuo dei metodi per uccider tutti senza farmi beccare… Ma questa è tutta un’altra storia, la storia di come sarei potuta diventare un giorno se Nemesis non mi avesse toccato con la sua luce divina e guarente, facendomi riassaporare le incommensurabili gioie dell’amore (a tutti i livelli)…

Insomma ero lì che bruciavo di odio puro e quel giorno lui mi passò davanti. Io stavo fumando la mia sigarettina di nascosto, avendo dichiarato a tutti i miei conoscenti che avessi smesso (incassando così tanti complimenti per averlo fatto che da allora proseguo imperterrita a fumare, ma clandestinamente, e mai più mi farò vedere dagli altri con una bionda in mano…); ad un tratto, dal promontorio della strada, sbucò Nemesis. Non fece in tempo a vedermi con la siga in bocca ed io mi affrettai a spegnerla immediatamente col tacco della scarpa, cosicché posso affermare con certezza che lui non pensò nulla di male di me… Nemesis camminava placido, con quella sua aria beata da persona che non ha alcun problema col mondo, che mi comunicava sempre una seccante sensazione di serenità estrema, poiché lui rappresentava ciò che io agognavo ma al quale non potevo arrivare. Si manifestò stupito di vedermi in quel luogo (che era molto lontano da dove solitamente ci incontravamo). Mi chiese cosa ci facessi lì (e non per farsi i fatti miei, come avrebbero fatto sicuramente gli altri, ma quanto invece perché si vedeva che era davvero interessato a me e a cosa mi avesse portato da quelle parti). Io mentii: gli dissi che ero venuta ad assistere alla messa in una chiesa lì vicino, poiché ero amica di gente della zona, e lui ci credette (la mia bugia fu incredibilmente pronta ed inscopribile. Infatti mi rammentai che Nemesis era un fervente anticlericale, seppur rispettasse tutti i credenti, e che dunque non avrebbe mai avuto gli strumenti per approfondire la mia scusa fittizia chiedendomi notizie che avrebbero potuto mettermi in confusione).

In realtà ero là per tutt’altro. Ero venuta a trovare il mio amante: dovevamo scopare da lui per una mezz’ora prima che tornasse la moglie dalla spesa. In quel periodo lui ancora non si era lasciato e anche io avevo mio marito sempre con il fiato sul collo, per cui dovevamo arrangiarci come potevamo se davvero volevamo farci una sacrosanta scopata come cristo comandava, ogni tanto, per sfogare la libido repressa di tutta una settimana stressante trascorsa tra un lavoro inutile, le incazzature con la gente, le evasioni fiscali, i parenti inopportuni e le violenze domestiche…

Nemesis (che gran ingenuo che era!) mi regalò una delle sue espressioni di grande compassione, poiché lui, pur disprezzando le chiese, era sempre colpito da chi manifestasse un genuino sentimento di credenza (come il mio non era affatto, ma lui non lo sapeva). Quando gli chiesi cosa ci faceva invece lui là, mi rispose che era venuto a visitare una mostra d’arte gratuita nella quale un pittore suo amico aveva una sala tutta per sé.

Poi successe una cosa strana: una folata di vento mi soffiò alle spalle, verso il suo volto, e allora la sua faccia cambiò ed io vidi che lui si dispiacesse di qualcosa… E mi immaginai che fosse una specie di medium e che in quel mentre fosse riuscito a percepire il tormento della mia anima corrosa dall’odio ed ad un passo dalla malvagità più diabolica. Vidi una sorta di pietà affiorare dai suoi occhi! Sì, Nemesis mi diede la sua comprensione e fu come se mi sussurrasse nell’orecchio con la sua voce tenue: “Io ti amo. Io so che puoi cambiare. L’ho visto con la mia altra vista… Per questo io confido in te. Confido che ti redimerai e che mi amerai, poiché io sono Cristo rincarnato sulla terra ed io porterò la pace a tutti quelli che mi ameranno!”. Così la mia fu quasi una visione mistica (della quale non mi sarei mai creduta capace).

Nemesis se ne andò pochi secondo dopo, non dicendomi granché, ma a me rimase dentro la sua luce e quando mi vidi con il mio amante ci detti dentro molto più del solito poiché mentre glielo leccavo pensavo a lui, a Nemesis, al mio ragazzo perfetto da amare, al mio figlio ed al mio amore, tanto che alla fine anche il mio amante mi fece i complimenti per la mia scostumatezza ed invero la nostra crisi (che pure si sarebbe manifestata) fu rimandata, proprio per quel motivo, di oltre sei mesi, perché lui pensò che una donna come me, che faceva l’amore con quel trasporto, non poteva che amarlo davvero e quindi non se la dovesse far scappare facilmente, poiché rara (ah! Ma quanto mi sarebbe piaciuto che fosse stato Nemesis a pensare quelle boiate su di me! A me non interessava nulla invece del mio amante dell’epoca, che forse utilizzavo solo per mere questioni di sesso, per far ingelosire ogni tanto mio marito, e per potermi guardare allo specchio e dirmi: sì, anche io ho un cazzo granitico che mi scopa, dunque esisto e devo essere felice (anche se la felicità proprio non mi sfiorava in quel periodo)…

Fattostà che Nemesis da allora fu con me assai freddo ed io mi interrogai a lungo circa la plausibile motivazione che avesse portato a questa tragedia (subentrata proprio quando la sua approvazione mi divenne indispensabile!), senza tuttavia trovarne una giustificazione accettabile (poiché lui non poteva sapere che non mettevo piede in una chiesa da quando mi sposai e che da allora ero divenuta una bestemmiatrice incallita, seppur solo nel silenzio della mia mente, perché non volevo che gli altri sapessero che sacramentassi, e pure molto spesso, e pure per delle sciocchezze e per il gusto di farlo. Ero una mezza satanista).

Così, la mia prima reazione alla sua indifferenza fu un’ondata di rabbia incommensurabile che gli riversai addosso in ogni modo che potei e, dato che da allora ebbi modo di incontrarlo a quattr’occhi poco sovente, dovetti rivomitargliela di sghembo, riferendo ad altri delle cose di lui che affermavo di sapere ma che, dicevo, non si dovessero assolutamente divulgare (ottenendo di fatto l’effetto esattamente contrario, come del resto mi aspettavo).

Così agli occhi di tutti Nemesis divenne un fannullone, uno che andava a mignotte, che dissipava tutti i suoi guadagni nel gioco d’azzardo, che si ubriacava il sabato cosicché il lunedì sarebbe tornato sufficientemente in forma affinché non si notasse, che praticasse sesso estremo (di quello più indicibile), che non disdegnasse di mangiarsi le caccole, che pisciasse nei giardini pubblici in presenza di bambini piccoli (e che ciò lo facesse godere), che si pippasse le peggiori droghe sul mercato e che per questo una bella fetta del suo cervello fosse andata definitivamente fottuta; che la sua posizione preferita fosse quella del sessantanove (e per dimostrare questa panzana dovetti inventarmi una storia così pittoresca che ancora oggi mi faccio i complimenti per la mia audace fantasia e per la faccia tosta con la quale ebbi il coraggio di affermarla durante uno di quei pranzi nei quali si sparla sempre degli assenti o di coloro che non godono di protezione da parte di alcuno…); infine affermai che nella sua famiglia doveva esserci qualcosa di profondamente perverso e che non era chiaro se lui fosse innamorato della madre, o viceversa, o fossero presenti altre tipologie incestuose tra uno o più membri del suo clan.

Insomma, tentai di demolire l’immagine che tutti avevano di Nemesis e credo che in parte ci riuscii. Ma non saprei se fu grazie a me se poi vennero fuori anche tutte quelle altre voci ben peggiori che gli resero impossibile l’esistenza, non saprei proprio. So solo che da un certo punto in poi, ogni volta che lo incrociavo da lontano (purtroppo non potei più ascoltare il divino suono della sua voce angelica) cominciai a guardarlo con occhio diverso. E fu allora che mi innamorai di lui e compresi la sua vera natura di uomo dei sogni di qualsiasi donna… E allora mi pentii amaramente delle mie azioni e stetti male per lui, piangendo ogni sera davanti alla televisione spenta (che usai un po’ come una specie di altare sconsacrato per pregare per il suo ineluttabile fato ormai segnato), perché nessuno, neppure lui, avrebbe mai potuto uscire da quelle spirali che gli si erano avvolte attorno. E quando vennero fuori i pettegolezzi della sua morte e della sua pazzia, io li avallai in egual misura, e quando c’era il sole a splendere nel cielo pensai che fosse certo che lui fosse infine impazzito e chiuso da qualche parte; mentre quando pioveva allora mi immaginai che si fosse affogato nel fiume e che un giorno quelle acque inclementi e putride avrebbero rigurgitato fuori il suo povero corpo ormai marcito, nel quale i topi avrebbero instaurato il loro covo, rosicchiandolo forse dall’interno in modo da mangiargli tutte le interiora, e facendo del suo involucro la loro empia tana marcescente…

E oggi non mi rimane che il rimpianto di ciò che fu, di ciò di troppo rapido che fu, di ciò che avrebbe potuto essere (ma solo per poco, perché, come detto, Nemesis mi era troppo superiore e la nostra unione sarebbe stata inattuabile almeno quanto quella tra un sasso inanimato e lo Spirito Santo). Così non mi resta che leggere questo libro che ho appena comperato, “Cento modi per essere felice sbattendosene degli altri”, sperando che mi riservi qualche lieta sorpresa e che riesca a farmi dimenticare i languori del breve passato trascorso a pochi metri da lui, quando ancora non sapevo che mi sarei innamorata e avrei perso la testa per lui… Per Nemesis, il mio più grande ed inespresso amore!

Addio Nemesis! Ovunque tu sia ti auguro di aver avuto una fine veloce ed indolore e di essere già sottoterra col corpo ed in paradiso con l’anima, perché uno come te all’inferno non ci potrebbe mai andare, neppure se ammazzasse la propria madre con una mazza da baseball e solo perché lei non gli vuole dare il telecomando della tv…

G

L’uomo rimase molto scosso. Si dava il caso infatti che fosse ineluttabilmente lui quel certo Nemesis di cui si parlava…

Gli nacque l’impellenza di apprendere chi potesse essere quella donna. Gli episodi che lei aveva accennato gli erano però del tutto estranei, come se avessero riguardato un’altra persona; ma non poteva che essere lui quel Nemesis, poiché non potevano esistere omologhi che infine fossero andati incontro a quel destino estremamente caratteristico, seppur ella l’avesse descritto solo vagamente.

Quella iniziale, la “G”, non gli diffondeva nulla e anzi, doveva essere certo una lettera alfabetica fittizia per camuffarsi, non sotto un nome di battesimo, ma semmai sotto un aggettivo, un nome comune, un vezzeggiativo secondo il quale la donna si dissimulava. Nemesis ne pensò dunque molti di aggettivi e sostantivi: gabbata, galantea, galeotta, galletta, galoche, galoppata, gambona, galvanata, gamella, gamete, gamopetala, ganascia, ganglio, ganza, garbatella, gargarozza, gargotta, garittata, garrula, garzolina, gattina, gattamorta, gaudente, gavazzata, geisha, gembonda, gemmea, geleologa, generativa, genitale, genuflessa, georgica, geremiade, germana, gerontologa, gesuita, gherminella, ghetto, ghibellina, ghigna, ghiottona, ghirba, ghirlanda, ghira, giacobina, giaculatoria, giamburrasca, giannizzera, giarrettiera, gibbosa, gigantessa (ma non corrispondeva alla descrizione di colei che lui stesso aveva soprannominato la Gigantessa per via della sua alta statura…), ginepraia, giovenca, giravolta, girigogola, girl-friend, girovaga, gitana, gitante, giuda, giuggiola, giulebbata, giuliva, giumenta, giunonica, giustapposta, glabra, globe-trotter, gluteo, gnomica, gnosticista, goduria, goldone, golpista, gonfaloniere, gonnella, gonza, gotica, gradassa, gramaglie, grama, grandguignol, grassume, graticola, grattachecca, graveolente, gravina, gretola, grifagna, griffe, grigioverde, grinza, groggy, gruccia, gualdrappa, guelfa, guerriera, guitta… Ma nessuna di quelle parole gli rinfrescò il ricordo di una donna che calzasse a pennello con ciò che aveva appurato dal foglietto.

Inoltre non gli interessava per nulla rintracciarla, dato che doveva invero trattarsi di una donnetta di poco conto, adusa all’odio e alla meschinità (come lei stessa ammetteva francamente) ed incapace di amare sul serio (nonostante lei affermasse il contrario).

Tuttavia Nemesis non comprendeva come quel pezzo di carta con quella confessione (che doveva essere stata vergata solo allo scopo di dissipare le tensioni emotive provocate dalla storia stessa, per poi essere distrutta) fosse potuto finire appeso ad un palloncino che aveva finito per accostarsi alla sua abitazione isolata… L’accaduto era avvenuto volontariamente, oppure era frutto dell’incomprensibile agire del fato, che delle volte si diverte ad intrecciare i suoi fili per riannodare delle vicende che altrimenti rimarrebbero sospese ed insabbiate?

Nemesis si mosse fisicamente nella direzione nella quale aveva rinvenuto il palloncino e, proseguendo su quel sentiero, si inerpicò per strade che lo portarono a superare colline, vallate, piste sterrate ed intricate di vegetazione inselvatichita dalle quali da ultimo sbucò su di un’ampia radura; lì trovò un altro palloncino (dello stesso modello dell’altro) con avvolto un altro pezzo di carta. Ma fin da subito gli fu palese che dovesse trattarsi di un rinvenimento molto difforme dal precedente (almeno circa il fatto che lo riguardasse). Infatti stavolta il pezzo di carta accartocciato era la pagina tre di un noto quotidiano nazionale, con la data di dieci giorni prima. Nemesis dispiegò quell’involucro di carta e cercò di capire che notizia portasse, ma non ne ricavò molto. Infatti su di una facciata del foglio vi era la pubblicità stantia di un’automobile cromata, mentre sul lato opposto si rintracciava lo stralcio di un articolo di cronaca circa un incidente automobilistico, su di un’autostrada, che non aveva però prodotto nemmeno un morto: ed i due fatti non avevano nulla a che reclamare circa l’accorpamento con il suo destino. Dunque quale era il nesso tra i due palloncini (poiché era fuor di dubbio che fossero correlati, poiché i palloncini apparivano identici ed in più erano accompagnati dallo stesso spago che li aveva chiusi avvolgendo con loro un pezzo di carta)?…

Nemesis chiuse gli occhi e cercò di immaginarsi il luogo dal quale potevano provenire i palloncini; allora seguì a ritroso le correnti d’aria e valicò monti, rii, paeselli, superstrade… Fino a giungere in un dimesso quartiere di periferia della città dalla quale proveniva (infatti il vento spirava senza dubbio da quella direttiva). E dunque vide una donna di nessuna importanza recarsi a buttare dell’immondizia presso alcuni cassonetti… La donna era assai di fretta, e quando alcuni degli imballi destinati al riciclaggio del cartone e della carta le caddero in strada, non se ne accorse o non volle accorgersene… Poi passarono di lì dei bambini con dei palloncini… Avevano anche dello spago con loro. Qualcuno di essi aveva ideato un gioco… Volevano attaccare qualcosa ai palloncini per recapitarli via, lontano. Così avevano provato con cose di una certa consistenza ma avevano dovuto subito arrendersi all’evidenza che i palloncini potessero portare solo cose leggerissime. E, vedendo quegli avanzi di carte abbandonate davanti ai secchioni dell’immondizia, non ci avevano messo molto a cogliere il primo foglietto dal terreno e a legarlo al palloncino, per vederlo immediatamente schizzare via altissimo e veloce, spinto dal vento. Successivamente dovevano aver ripetuto quel gioco anche con altri palloncini, finché non li avevano esauriti tutti…

Nemesis riaprì gli occhi: ecco come dovevano essere andate le cose. Così, per quanto incredibile, quella era l’unica spiegazione che riuscì a rinvenire per dare un senso a quei fatti inquietanti che altrimenti sarebbero rimasti senza alcuna definizione. Tuttavia, non comprese mai chi fosse quella donna (ma di lei non gli importava nulla).

Il club di Jane Austen (film)

Bel film, garbato, leggero, che parla di libri (che bello leggere i libri! Mi fa piacere che lo sostengano sempre più spesso anche al cinema!).
È la storia di cinque donne, ognuna con una vita sentimentale piuttosto incasinata, ognuna per una ragione diversa, alle quali si aggregherà anche un uomo, ed insieme, tutti, si riuniranno una volta al mese per discutere di sei romanzi della suddetta Jane Austen (cioè l’autrice di “Ragione e sentimento” per intenderci)…
Questo film mi è piaciuto molto. E considerato che non ho mai letto nulla dell’autrice intorno alla quale gira tutta la storia, credo che ciò voglia dire che è fatto davvero molto bene.

Tabucchi: La testa perduta di Damasceno Monteiro

Beh, finalmente ho trovato un buon romanzo organico di Tabucchi (ma trovo che alcune sue raccolte di racconti siano ancora nettamente migliori, sia da un punto di vista tecnico che tematico)!
Nel libro si narra di un’inchiesta giornalista che vorrebbe smascherare un truce abuso di potere da parte di qualche mela marcia della polizia portoghese.
La storia è inventata ma si ispira a fatti tristemente reali (e per nulla unici nella loro scelleratezza). E non ne è la prima volta che incrocio argomenti simili nella letteratura di Tabucchi, a testimonianza che debba sentire molto la questione…
Di Tabucchi leggerò tutto quello che troverò…

Road to Guantanamo (film)

Questo film è davvero pessimo, diseducativo. Ma non per quello che racconta e che cercherebbe (falsamente) di documentare. Ma perché è talmente censurato rispetto alla realtà da presentarsi come una specie di favoletta!, come se il suo vero scopo fosse quello di lasciar intendere: beh, sì, in quel posto c’era un po’ di tortura e un modo bizzarro di tenere i prigionieri incappucciati (non si sa bene per quale motivo), ma in fondo tutto ciò era solo frutto di eccentricità e non di altro, eh! Gli USA sono buoni!
E invece no! Perché noi sappiamo che in quel luogo si usavano tecniche naziste di coercizione, e anzi direi che i nazisti non si sono mai spinti così in profondità verso la nefandezza più sfrenata…
Per questo il film è inaccettabile e confonde più che chiarire…
Puah!

Quando un dittatore muore…

images
Quando un dittatore viene lapidato io sono felice, perché i dittatori si meritano di morire così.
Quando un dittatore muore penso subito ai suoi compagni di merende, cioè a tutti coloro che in vita lo avevano affiancato, avvalorato, gli erano stati amici (di interessi), e auspico che presto anche loro abbiano quello che si meritano…
index