Quel postribolante mercimonio del giornalismo #1

Lui è molto felice quando deve andare in trasferta nell’altra redazione, ben più sbarazzina della sua. Dove può sperare di esercitare lo charme donatogli dalle esperienze accumulate in tutta una vita. In particolare sulla Ragazzina Dissoluta, che gli fa venire il sangue alle testa (almeno quanto gli affluisce ai testicoli). La quale si vede che è tanto incerta, si vede che avrebbe tanta voglia di fare, si vede che ricerca tante sicurezze – e lui gliele darà ogni volta che potrà. Si vede dalla sua faccia dissoluta coperta da quintali di fondotinta in cui emergono comunque sempre quelle grosse borse sotto gli occhi. Si vede dalla sua faccia che… deve essere una ninfomane compulsiva! Quello lui lo percepisce perfettamente, e se ne bea, e ci fa sopra le sue sordide fantasie circa il giorno in cui lei finalmente cederà alle sue lusinghe e potrà metterci le zampe, pardon… mani sopra, alla Ragazzina Dissoluta.

Che poi neppure sarebbe tutta questa bellezza, tutt’altro. Però è pur sempre carne fresca (e per lui, mezza mummia, sarebbe una benedizione). Quei capelli neri ispidi come gambi di carciofo non gli fanno senso. Non ha troppo seno, è vero. Ma in ogni caso sempre meglio della sorca ammuffita di sua moglie.

Così il Conte dei Poveri, ormai mezzo pelato e imbiancato, con i capelli lunghi davanti coi ciuffi selvaggi che gli fanno da riporto, sfoggia il suo sorriso più da latin-lover, si sistema la giacchetta nelle piccole, risibili spalline (nel senso di piccole spalle) e la anela, fissandola con concupiscenza negli occhi.

E lei, che certo non può essere sprovveduta fino a quel punto e non può non aver capito, lei che si vocifera che ci stia con tutti, sopratutto con i colleghi più vecchi poiché desiderosa di apprendere subito bene il mestiere – vuol bruciare le tappe, la bimba?! Ma dove vuol arrivare? Perché tutta questa fretta? E poi non lo sa qual è il triste destino che con tutta probabilità già l’attende? Ma chi vuol diventare, Oriana Fallaci? –, lei non abbassa affatto lo sguardo, non si mostra in imbarazzo – almeno con lui, ma con altri sì, ma questo lo vedremo nelle prossime puntatine – e gli fa capire che ci sta.

Contedeipoveriragazzinadissoluta

Curzio Malaparte: La pelle

Romanzo che parla degli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale a Napoli, ferocemente criticato per eccessiva finzione, cinismo, voglia di stupire e sconvolgere a tutti i costi, confondendo fatti reali e inventanti talmente bene da instillare subdolamente il dubbio che possa esser tutto vero… Invece a me è piaciuto. ;-P Fosse stato un comune libro sulla guerra (argomento che cerco di evitare poiché non mi piace affatto) d’altronde non lo avrei letto.

Malaparte – che tra parentesi è un nome d’arte, e mi chiedo se sia stato scelto in qualche modo in antitesi a Bonaparte, Napoleone – ci narra di vicende allucinate. Della vendita di persone per le strade. Uomini morti o vivi. Soldati americani bianchi o neri. Bambini, maschi e femmine. Ovviamente donne. Ci parla del flagello della peste come male assoluto, ben peggiore della guerra, perché la guerra mortifica i corpi e la fame degli uomini, mentre la peste arriva a intaccare e umiliare persino l’anima. Ci parla di Napoli talvolta come la città più unica del mondo, altre di come invece essa possa incarnare lo spirito dell’intera Europa. Ci parla di Napoli come snodo principale in cui tutti gli invertiti del mondo si sono dati appuntamento. Ci parla di comunisti diventati invertiti quasi per il pervicace perseguimento delle loro idee, o per estremo sfregio. Ci parla di donne che in un attimo cambiano umore, e poi scopriamo che erano uomini vestiti da donna. Ci parla dei nobili e del loro mondo a parte e di come essi vissero comunque una guerra diversa da tutti gli altri. Ci parla di quella volta che una bambina morta fu servita cotta a un tavolo di alleati spacciandola per vera “sirena di mare”. Ci parla dei continui, paradossali dibattiti con gli americani, che non capivano gli italiani, i quali americani invece erano intesi perfettamente da Malaparte nella loro semplice stolidità. Ci parla dell’eruzione del Vesuvio come di uno spettacolo meta-umano che lascia esterrefatti. Ci parla di quando gli rapiscono il cane e lo ritrova poco prima di morire, vilmente usato come cavia da laboratorio. Ci parla di quella volta che vide un uomo schiacciato sotto un carro armato, diventato ormai come fosse fatto di carta…

Ci parla di tante cose, sempre con le sue descrizioni enfatiche, caricate e talvolta retoriche e ridondanti. Forse usa troppe parole. Perché, fosse stato un libro di poco più di duecento pagine, invece che del doppio, secondo me avrebbe potuto esser un capolavoro vero. Invece mi ha dato l’impressione che, almeno in lunghezza, sì, Malaparte abbia un poco esagerato, nel tentativo di realizzare un’opera trionfalmente decadente destinata per sempre a rimanere.

In ogni caso, un romanzo caustico con meno ipocrisia di tanti altri sulla guerra.

Cosa rimane infine agli umani quando gli si porta via tutto, perfino la dignità? Rimane la pelle, sì, e la voglia di salvarsela, nonostante tutto, secondo Malaparte.

Malaparte

La commessa: Oggi particolarmente gentile

Era da molto che non andavo al supermercato perché ultimamente non sono solo a casa.

Quest’oggi la cassiera bionda mi ha sorpreso. Quando è giunto il mio turno e stavo mettendo la merce sul nastro trasportatore, mi fa baldanzosa “BUONGIORNO!”, cosa che a memoria non era mai successa. Però noto subito la discordanza: non mi ha detto “ciao”, come altre volte, ma “buongiorno”. Che volendo potrebbe rappresentare un passo indietro, poiché potrebbe voler dire che mi tratterà con maggiore freddezza d’ora in poi. Cioè che si è stancata di aspettarmi e con me ormai ha chiuso… Mah! Chi le capisce ‘ste donne!

Nondimeno, anche quando si tratta di pagare, mi guarda con maggiore dolcezza: ma anche qui poi si comporta in maniera discorde sussurrandomi solamente l’importo e non aggiungendo altro.

Da ultimo la saluto con il mio classico “ciao” e lei mi contraccambia, ma come fosse spinta a farlo, come le avessero detto che con i clienti deve manifestarsi più gentile di quanto non faceva prima, come se, proprio per quel motivo, fosse stata ripresa.

Come fosse una prostituta a cui il proprio protettore ha imposto di essere maggiormente conciliante con i puttanieri.

Come se, ormai soddisfatta della sua vita amorosa (con un altro), non abbia ora più alcuna ragione per odiarmi così insensatamente intensamente, come faceva prima.

gennaio

Vicolo cieco (film)

Buon poliziesco (tratto da un romanzo) il cui maggior pregio è quello di creare un’atmosfera intrigante per quasi tutto il film. Il finale forse è un po’ troppo veloce e banale, al di sotto delle aspettative.

Un giorno uno scrittore scopre l’esistenza di un uomo che abita vicino lui a cui hanno appena ammazzato la moglie. Osservando la sua foto sul giornale si convince che possa essere colpevole. Nel frattempo vive una storia con la moglie ormai giunta al capolinea. Lei lo asfissia con la gelosia, non gli ci concede a letto e non vuol far altro che litigare. Dovrebbe forse prendere dei farmaci per curare il suo stato mentale (che potrebbe essere patologico) ma sino allora non l’ha fatto. D’altro canto è anche vero che lui provi attrazione per le altre donne, in particolare una cantante che ha da poco conosciuto.

Poi un giorno lo scrittore decide di assecondare la propria curiosità perversa andando a conoscere il presunto assassino della moglie, che fa il libraio. Ma quello si rivelerà un errore fatale. Difatti poco dopo, al culmine di un ennesimo litigio, morirà anche sua moglie, e guarda caso proprio negli stessi luoghi in cui era morte la moglie del libraio. E un poliziotto stronzo che indaga sui due casi se ne accorge ed è deciso a incastrarli entrambi…

Sono davvero colpevoli di aver assassinato le loro mogli oppure no? Forse solo uno di loro è colpevole? Se è così, l’innocente, che ha comunque ormai un legame con l’assassino, è in seri guai…

vicolocieco

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Il tomo di Vlad (Parte II)

L’abitazione dell’amico si trovava in una zona piuttosto periferica della città che sembrava essere innaturalmente calma, quasi morta. Ovunque vi erano alberi altissimi e cheti, con scarse automobili parcheggiate, e ancor meno persone, le quali per la maggior parte approfittavano di quella solitudine per fare footing, o per accompagnare il cane a fare i bisogni. Nemesis pensò che quella striscia avrebbe potuto esser anche stupenda, se solo però non fosse stata intrisa di quella strana aria grigia da catacombe.

Per arrivare all’uscio di Vlad bisognava inoltrarsi per un paio di metri per delle scalette in mattoni, sotto il livello della strada. Arrivati alla porta rosso laterizio sembrava di star per oltrepassare un magico varco capace di condurre attraverso uno sconosciuto “altro mondo”. Esternamente l’entrata della casa di Vlad si presentava molto bene, seppur conservava quella certa atmosfera da spelonca esoterica.

Nemesis spinse il campanello e udì un grazioso suono melodico da musica classica propagarsi nei dintorni. Alcuni secondi dopo vide accendersi una luce attraverso una vetrata accanto alla porta che rivelò una figura avvicinarsi. Poi la porta si aprì. Comparve la faccia rilassata di Vlad.

«Ciao, Nemesis. Come mai da queste parti?»

«Ti ho riportato il libro.»

Come a giustificarsi gli mostrò la sua sacca gonfia. Vlad la soppesò frugalmente – qualunque fosse stato il motivo che l’aveva condotto là, sarebbe stato sempre contento di vederlo – e si fece da parte per fargli strada.

«Bene, entra.»

Vlad vestiva in modo singolare. Ai piedi calzava delle ciabatte color caffè, molto morbide, che facevano di ogni suo passo un felpato avanzamento. Poi indossava una mezza vestaglia – Nemesis non capì se fosse il sopra di un pigiama, o una giacca terribilmente kitsch –, mentre i pantaloni erano larghissimi e si poteva anche supporre che invece della cintura, che non si vedeva, fossero legati con una specie di spago. Infine teneva in testa un berretto che con un po’ di immaginazione si sarebbe potuto credere da notte, ma che forse sarebbe stato più confacente appioppare a un artista.

Il vano dove entrarono era ampio ma con un aspetto in parte da scantinato. L’ambiente era caldo e ovattavo, fin troppo ospitale, con luci insolite e soffuse che illuminavano tutto con differenti colorazioni, dal rosso al blu, al violetto, al verde. C’erano dei mobili messi alla rinfusa ma soprattutto un gran divano che sembrava molto comodo, insieme a un’immensa serie di suppellettili e oggetti vari che Nemesis non era sicuro di capire cosa fossero. Si respirava un profumo invasivo simile all’incenso.

Era scontato che la prima domanda che Nemesis pose (con un pizzico di incredulità) fu:

«…E tu vivi qui?!»

Vlad si dimostrò impassibile.

«No. Tua nonna vive qui. Io le faccio solo da domestico», fu la sua licenziosa risposta.

Lo accompagnò in un salone con vasta masserizia da bar annessa. Questa stanza era più scura perché aveva le pareti dipinte di nero, in compenso la luce che vi si trovava era più forte, e un freddo neon non lasciava nulla alla suggestione. Vlad aveva già aperto quello che Nemesis pensava fosse un frigobar.

«Vuoi qualcosa da bere? Liquore, coca, spumante, latte, tè, idrocarburi, Liquid Spleen, Bloody Mary?…»

Se Nemesis non lo avesse interrotto Vlad sarebbe anche potuto andare avanti all’infinito.

«Sì, grazie. Prenderò un tè doppio con ghiaccio, arricchito da una spruzzata di mirtillo della Selva Nera…»

«Bene… Umm… Temo di aver terminato il mirtillo della Selva Nera proprio ieri, malgrado ciò avrei dell’uva sultanina se vossignoria la desidera…»

«No, grazie. Detesto i sovrani.»

Vlad gli versò il tè in un bicchiere color prugna. Nemesis ebbe un eccesso di riso. Vlad ne fu contento, ma non rinunciò alla battuta.

«Guarda che non ci ho versato dentro del fluido esilarante…»

«No, è che stavo pensando… Premesso che questa è la casa più bizzarra che io abbia mai visto e che, in confronto alla media, la trovo nettamente più…», tra una risata e l’altra si inceppò. Brancicava: sembrava non riuscisse più ad afferrare alcuna parola. Sembrò quasi smarrire il filo del discorso.

«…La trovi nettamente più…?», lo rimboccò Vlad.

«Più…»

Ma la parola proprio non gli veniva.

«Va bene: la trovi più “meglio”…», disse imperturbabilmente Vlad.

«Esatto!», gli fu grato Nemesis per l’aiuto. «Mi chiedevo… Ma non hai neppure una cazzo di cosa normale qui dentro? Ma come hai fatto ad accumulare una tale quantità di… di…»

«…Stramberie», abbreviò la sua frase Vlad, che non voleva si ripetesse la scena di poco prima.

«Sì, stramberie! Se anche uno ci si impegnasse a fondo non riuscirebbe a rimediarne così tante in una vita intera…»

«Alcune le ho ereditate. Questa era la casa di gente un po’ artistoide…»

«Adesso tutto quadra!», fece finta di convenire Nemesis.

Mentre entrambi tornarono d’umore normale, si introdusse una ragazza nella stanza. Veniva dal locale ancora successivo ed era scalza, indossava solamente una magliettina a mezze maniche, nera, con su scritta una dicitura che Nemesis non eluse. Sul davanti recava il non elegantissimo messaggio che non ammetteva repliche: “Chiavami!”

«Vlad, dove hai messo l’Ipnotox? Non lo trovo più…», esordì la ragazza con una voce nasale da Lolita rintronata per essersi appena svegliata (ma erano le cinque del pomeriggio).

«È sempre vicino al comodino. Proprio dove lo lasciamo sempre, cara», le rispose Vlad estremamente accondiscendente.

«Ma io non l’ho visto…», disse sembrando alle soglie della demenza.

«Controlla bene e vedrai che lo troverai.»

Vlad era assai cortese con lei: la trattava come una poveretta invalidata.

«Uh», disse lei. Nemesis non aveva mai udito una persona pronunciare la sillaba “uh” per testimoniare la propria stupefazione.

Nemesis si era bloccato avendo intuito che la giovane ragazza – che poteva avere da un minimo di cinque anni meno di Vlad, ma avrebbe potuto arrivare anche a dieci, sebbene il fatto di apparire intontita e con le occhiaie la facesse sembrare più vecchia – probabilmente sotto fosse completamente nuda. Vlad colse l’impasse sul volto del suo amico e volle sopperire alla sua maniera pestifera.

«Ma… cara! Perché non saluti il mio amico Nemesis? Ti pare il modo di fare?»

La tipa degnò solo allora Nemesis di un‘occhiata, come se precedentemente fosse stato del tutto invisibile al suo acuto sguardo sondante.

«Ciao Nemesis…»

«Ciao…»

Intervenne Vlad.

«Lei si chiama Misurina.»

«Misurina? Che nome insolito… Beh, piacere Misurina.»

Nemesis le strinse la mano, ma quella di lei pareva il molliccio tentacolo di un polipo morto male, ed era anche lievemente vischiosa. Dato che la tipa lo fissava istupidita, come fosse stato un incantatore di serpenti, Nemesis fece l’errore di voler riempire quel vuoto improvviso che si era creato tra loro con delle parole di alleggerimento.

«Ah, tu devi essere quella di cui mi parla sempre Vlad», disse inavvedutamente, pensando di farle cosa gradita. Vlad cercò di attirare la sua attenzione lanciandogli sguardi magneticamente importanti e facendo tutto un gioco di palpebre che ammiccavano, ma non vi riuscì. E Nemesis proseguì.

«Solo non ricordavo che ti chiamassi così… Ma non era…», si voltò verso Vlad, e allora capì e si morse la lingua. Proseguì Vlad, sorridendo sollecitamente.

«…Ermengarde. No, quella era un’altra. La mia ex. Misurina non puoi conoscerla, dato che io stesso la conosco da meno di quarantotto ore…»

«Oh…»

Nemesis smise di dire cose che avrebbero potuto essere molto sconvenienti. E Misurina rimase statica come non avesse capito nulla di quel che era accaduto.

«Ascolta, Misurina. Perché non vai di là e ti rendi un po’ più presentabile? Abbiamo ospiti e non ti puoi muovere in casa come fossimo da soli, non trovi?»

Misurina gli rispose con la solita voce monocorde da automa aromatizzata al gusto muliebre.

«Sì, Vlad. Scusa.»

La ragazza si voltò e Nemesis notò due evidenze. Sul retro della sua maglietta c’era scarabocchiato: “Anche di qua!”; e le sue natiche erano splendidamente in bella mostra, non trattenute da neppure lo straccio di un tanga. Non si era sbagliato quando l’aveva percepita praticamente nuda.

Laddove si sentì chiudere in lontananza una porta, i due amici poterono tornare a parlare liberamente. Attaccò Nemesis, chiaramente.

«Vecchio porco bastardo! Ne hai cambiata un’altra, eh?!» (con fare incalzante).

«Veramente no! Ti giuro sul mio onore che questa non me la sono cercata io! È lei che mi ha rimorchiato al capolinea dei pullman. È scappata di casa e non sapeva dove andare…», sembrava davvero sincero, come un casto marito incastrato da una falsa amante.

«E tu ne hai subito approfittato! Che bastardo degenere che sei! Sarà una ragazzina!»

«Non ti preoccupare: è maggiorenne. Non rischio il carcere per un effimero sgorgo di palle. Non solo per queste cose, almeno…»

«Non era quello di cui mi preoccupavo!», gli ribadì con un amabile astio.

«Lo so, lo so… Ma è stata una sua scelta. È libera di fare quel che vuole, no?»

«Solo che è un poco in difficoltà, non trovi?»

«Credi forse che le sia andata male a esser caduta con me? A quel capolinea c’era pure gentaglia che, una volta saputo della sua storia, l’avrebbe sicuramente schiavizzata e costretta a prostituirsi», disse sfiorando la serietà.

«Forse. Ma per come la metti tu, sembrerebbe che non esistessero altre alternative che quella di scopartela…»

Vlad tornò a essere aspro.

«È così. O trombata da me, oppure dritta all’inferno!»

«Le hai solo reso il percorso più graduale…»

«E comunque non ho ancora lasciato Ermengarde.»

«E come fai con lei?» (si riferiva ad Ermengarde, l’ultima fiamma di Vlad).

«Semplice. Le ho detto che per un po’ sarò impegnato e non potremo vederci» (con fare arguto).

«…Poi dici che non sei un bastardo!», scoppiò Nemesis, ma sorridendogli.

«Eh! Su! Non mi lusingare troppo! Non sono poi quel genio malvagio che mi dipingi! Anche se ammetto di essermela appena ripassata. Ci hai interrotto proprio mentre mi riprendevo dalla copula e…»

«Okay, lascia stare! Non voglio i dettagli… Povera ragazza… Avere a che fare con un genio del pervertimento come te… Ma dimmi una cosa: perché sembra così disconnessa?»

«Ah, quello… Niente. Sai, voleva qualcosa per il mal di testa. E ti assicuro che ora il mal di testa non ce l’ha più! Ah! Ah!», fece una delle sue risate veraci e fragorose.

«È incredibile! Scopro sempre cose nuove su di te! Quando penso di conoscerti, poi… track! Salta fuori qualche altra tua stravaganza. Non ti facevo un drogato…»

«Infatti non lo sono. Io droghe non ne prendo. Ti risulta forse il contrario?»

Quella affermazione era per Vlad un gran vanto.

«No. Ma lei…?»

«Lei, evidentemente sì», ammise, «Ma non mi istoriare per il mostro che non sono, che non è così…», tornò immediatamente a sorridere.

Vlad si sedette su di uno sgabello e Nemesis lo vide per quello che davvero era. In quell’ambiente appariva il padrone assoluto del mondo. Lì dentro non vi erano leggi che non fossero state emanate da lui in persona. Sembrava che solo allora Nemesis potesse comprendere chi fosse realmente Vlad.

«Adesso, se non ne hai ancora abbastanza, ti mostrerò una cosa da sbellicarsi! Ma mi devi promettere che non mi giudicherai male, e che non le sbotterai a riderle in faccia…»

Nemesis pensò: chissà dove mi trascinerà. Ma accettò. «E va bene. Tanto ormai…», si rassegnò.

Vlad alzò la voce in modo da poter essere udito anche nei locali attigui.

«Amore, sei vestita? Perché non ti metti al palo e mi aspetti buona e ubbidiente mentre io mostro a Nemesis il resto della casa?»

«Sì, Vlad. Come vuoi. Mi metto al palo», rispose Misurina.

Vlad si scompisciò. Era superfluo che Nemesis gli chiedesse cosa intendesse per “palo”, perché lo avrebbe presto scoperto. Aspettarono qualche secondo…

«Ecco, dovrebbe aver fatto…», disse Vlad impazientemente.

Nemesis e Vlad entrarono in quella che doveva essere una camera da letto, dove infatti si poteva trovare solamente un grande letto matrimoniale – più abbondante del dovuto, che Nemesis pensò venisse buono per delle ammucchiate e qualche armadio con le ante aperte, ricolmo di variopinti vestiti, soprattutto femminili. Al lato sinistro del letto, c’era piantato in terra proprio quello che sembrava un palo della luce, ma ovviamente più scarso in altezza, che raggiungeva appena il metro. Il quale però era l’ideale per… legarci un guinzaglio, il cui cappio era il collare che Misurina si era infilata al collo, assieme a un abito tutto di pelle nera traslucida e aderente, il quale era accompagnato con delle scarpe con tacchi vertiginosi.

La ragazza aveva ancora quell’espressione esageramene mansueta e intontita. Vlad fece finta di illustrare a Nemesis la stanza, ma era solo una scusa per mostrare Misurina in quel nuovo frangente.

«…E questa è la mia alcova dell’amore eterno, Nemesis! Non la trovi bella?»

Ma Nemesis gli sussurrò a mezza bocca «Amore eterno un cazzo!», per poi aggiungere altisonante «Oh, che bella che è la tua reggia! Davvero notevole, mio Vlad!»

«Nevvero?»

Poi Vlad rivolse le sue attenzioni alla sua diletta compagna.

«Cara, bevi pure, se hai sete…»

«Adesso non ho sete, Vlad…»

«Ma trovo sia meglio che tu beva. D’altronde, dopo quel mal di testa che hai avuto, credo che ti aiuterebbe bere più acqua possibile…»

«Se lo dici tu, Vlad…»

E, davanti agli occhi sbigottiti di Nemesis, Misurina si accucciò a quattro zampe e quindi si chinò sempre più sul pavimento. Solo allora Nemesis colse quella che assomigliava davvero a una ciotola per cani colma d’acqua, dalla quale Misurina si dissetò proprio come fosse stata una cagna.

Dopo alcune sorsate la ragazzina alzò la testa e guardò Vlad.

«Così va bene, Vlad?», chiese.

«Sì, penso che possa bastare, cara.»

Nemesis e Vlad abbandonarono la stanza chiudendosi la porta alle spalle. Quindi Vlad scoppiò a ridere mentre Nemesis attuò un atteggiamento come avesse voluto picchiarlo per finta.

«Ma come diavolo hai potuto ridurla a tanto?!», gli assestò un cazzotto sulla spalla.

«Ma non sono stato io! È lei che è matta! Ed è così matta che non si può resistere alla tentazione di farle fare queste cose! Sarebbe troppo complicato spiegarti come siamo giunti a questo punto in meno di due giorni… Posso solo dirti che lei comunque fa tutto quello che vuole, e io non la forzo in nulla, come hai visto…»

«Non la forzi in nulla! See! Come no! Se questa non è un’atroce violenza psicologica, io sono Truman Capote!»

Vlad e Nemesis rimasero a parlare giocosamente per altre tre ore. Quindi Nemesis gli riconsegnò la raccolta di Yellow Cid e Vlad appurò che sembrava più nuova di quando gliel’aveva prestata.

Cercavi l’anima

Tu non sai come sei.

Tu non sapevi com’eri.

Così cercavi di capirlo

Attraverso gli altrui occhi.

Ti stupiva come essi

Potessero vedere qualcosa

In una come te,

Così piccola e così insignificante.

Allora anche tu vali?

Non era questo che ti chiedevi?

Il tuo corpo non era tuo,

Era qualcosa a te estraneo,

Impossibile da comprendere.

E l’anima?

Quella ancora peggio!

Non sapevi chi eri,

Come fossi stata una smemorata.

Cercavi l’anima in uno specchio.

Guardavi i tuoi occhi

E ti stupivi che fossero i tuoi.

Sei davvero tu quella lì?

E cosa ci vedono gli altri in te?

Cercavi l’anima in uno specchio.

misurina

The signal (film)

Un ragazzo, il suo amico e la sua ragazza si mettono all’inseguimento di un pericoloso hacker denominato NOMAD che si diverte a stuzzicarli facendo capir loro che li spii.

Rintracciano il suo segnale arrivando alla casa da cui proviene. Però il luogo è davvero isolato e lugubre, per di più ci giungono di notte.

La ragazza rimane in macchina e le viene detto di non uscire. I due ragazzi entrano nella casa, che sembra proprio abbandonata. È arredata in maniera strana. Per esempio trovano una sedia rivolta verso un angolo tra due muri.

Se ne stanno per andare quando decidono di perlustrare la cantina. Scendono… ed effettivamente lì trovano un server. Allora è davvero quello il luogo da cui l’hacker agisce? Eppure ovunque è pieno di polvere… Ma non hanno il tempo di indagare oltre che sentono fuori la ragazza gridare, più volte. Si precipitano a vedere cosa succede e…

È questo l’intrigante incipit del film che da lì però prende tutta un’altra piega, sempre più fantascientifica e paranoica. Il ragazzo protagonista si trova prigioniero in una struttura governativa segreta dove avvengono cose insolite. La sua ragazza sembra in coma in un’altra stanza. Lui è paralizzato dal busto in giù mentre il suo amico dapprima sembra scomparso ma poi gli parla attraverso il condotto dell’aria (e pure lui è messo piuttosto male). In poche parole sembra che abbiano avuto un contatto con gli alieni…

Indipendentemente dalla storia, più o meno brillante, il film risulta bello sopratutto poiché impreziosito dal regista, bravissimo a far render al massimo gli strumenti a sua disposizione; in tutti i sensi: sia gli strumenti tecnici – che poi, se non erro, dovrebbe essere un film indipendente e dunque a basso budget, e la cosa non si nota per niente – che quelli “emotivi”.

Sul finale rimangono un po’ ambigui alcuni aspetti, che io ho interpretato in un modo ma non è detto che siano davvero così.

Insomma, si è capito che ve lo consiglio?

😉

The_Signal

Riesumazioni: Viavai

Poi ogni volta ritorni. E sul momento è bello. Devi essere molto contenta di te, che mi fai questo gran favore. Devo essere uno dei tanti membri di quella cerchia infinita di persone che ti sei fatta, un po’ qua, un po’ là.

Ogni volta una parte di me si commuove quasi a riscontrare che ti sei ricordata di me. Sì, mi vuoi bene. A tuo modo, mi vuoi bene.

Però ogni volta un’altra parte di me ti biasima per non sapertene andar via e non tornare più.

Perché sei ancora qui? Non eri tu quella che mi aveva lasciato? E perché poi, esattamente? Non me lo dicesti. Non ti mancava l’aria con me?

Non sei tu quella che ha provato a lasciarmi un mucchio di volte? E perché poi? Non me l’hai mai detto. Mi hai solo fatto capire che ti sentivi in gabbia.

Per cui dovrei essere felice perché non la vuoi finire con me? Di questo dovrei essere felice?! Che ogni volta mi costringi a tirarti fuori dallo scrigno dei ricordi, anche dolorosi, in cui ti avevo riposto? E dovrei essere felice di questo?!

Se hai deciso che per qualche motivo non posso stare nella tua vita… perché mi vuoi ancora presente, seppur in questa ridicola forma rarefatta che non è un cazzo rispetto a quello che c’era prima?!

Nella vita si fanno delle scelte. Si prendono decisioni. Si inforcano strade che non prevederebbero ritorni. Invece tu torni sempre. E non ti rendi conto che non mi fai un piacere se lo fai e anzi mi procuri dolore. Perché sei come una ferita che non si rimarginerà mai. A cui sono stufo di pensare e di cui non mi voglio più preoccupare.

Non è meglio se te ne vai e non torni più da me, se è questo che hai deciso, piuttosto che ci pensi io a fare in modo che le cose tra noi diventino irrecuperabili e senza ritorno? Perché se continua così un giorno potrei decidere io di sistemarle una volta per tutte. E dopo tu piangerai.

Non posso accettare cose a metà con te. Come potrebbe andarmi bene questo sciocco palliativo quando un tempo avevo ben altro?!

viavai