In verità avvenne con una tale velocità che non me ne resi conto. So solo che fino a qualche tempo fa ero felice, sereno, infatuato, innamorato e propizio a credere che la vita mi stesse dischiudendo il meglio del suo prelibato umore; che da lì in poi quello sarebbe stato il mio magniloquente destino; che non sarebbero più esistiti il dolore (e, se pure ci sarebbe stato, io sarei stato così forte e valente da superarlo con trasportante pena, ma senz’altro ce l’avrei fatta) e il peccato, per me e negli esseri umani a me più prossimi; che avrei abbracciato le magnifiche sorti e progressive.
Così, quando tutto avvenne, quando tutto precipitò e si compì lo scempio, la mia prima sensazione fu di sterminato stupore, perché mai mi sarei creduto che qualcosa del genere potesse ancora sussistere, che accadesse a me, e che non avrei saputo fronteggiarlo.
Qualcuno di voi si chiederà se non notai nemmeno un piccolo sintomo, un suggerimento buttato lì per caso, che mi facesse intuire che i tempi stessero cambiando. Ed ad onor del vero devo affermare che, sì, qualcosa ci fu, ma non avrei mai creduto che si sarebbe potuta attuare in tutta la sua gelida stretta, e che mi avrebbe stroncato le gambe. Sì, avvertii come quando si sente l’umidità nell’aria in una giornata di primavera arsa dal sole, e dunque ci si chiede: «Possibile che arrivi la tempesta? No, non può essere vero. È una così bella giornata che questo non accadrà…». E difatti non avviene, perché quel profumo, quella percezione di stravolgimento, in realtà non riguarda la nostra odierna effettività, ma bensì quella di qualcun altro di cui (chissà come) il vento ci ha tenuto ad informarci (che mentre noi brindiamo alla vita e siamo felici, c’è chi combatte per la vita, sta perdendo tutto ed è sotto le bombe); quando noi non l’avremmo mai voluto sapere perché, in fondo, a nessuno importa dei dolori degli altri, se questi sono colpa di loro stessi e basta… Ah! Ma come somiglia al lancio di un boomerang l’esistenza…
Tornando ai segnali premonitori… Sì, ne avvertii. Volete sapere quali fossero? Nella Stella notai come essa delle volte si oscurasse, andasse in un antro dove io non la potevo vedere. Poi è vero che lei tornasse sempre a mostrarmisi (spesso come se non fosse successo nulla) ma il fatto è che io non sapevo (e non potevo saperlo) se lei si fosse obliata per pensare, per disintossicarsi di me, per piangere, per rallegrarsi di allegrie che non mi spettassero, se in lei si scatenava la gelosia e l’invidia, o se avesse appeso una mia foto nel suo stanzino privato, e questa foto la baciasse o la trafiggesse con lame…
Mentre la Luna, essendo lei molto differente dalla Stella, mi manifestava le sue esitazioni logicamente in modo dissimile. La Luna era molto più sottile e, forse perché era abituata a ridare all’osservatore che la guardava la stessa luce che egli le forniva, per lei era molto più difficile poter affermare che ti voltasse decisamente le spalle, perché raramente essa lo faceva in modo così esplicito. Comunque colsi anche in lei, tra una pausa e l’altra, delle strane indolenze, o dei sotterfugi di chi è abituato ad essere scaltro, o dei lasciar cadere dei discorsi con noncuranza, come se davvero non le importassero (quando invece io sapevo che ci tenesse)…
Non so che diavolo accadde a tutte due. So solo che prima mi amavano e mi erano benevole, e oggi sono sparite e non mi vogliono più vedere.
Quando conobbi la Stella rimasi colpito dal suo modo di brillare, così diverso da tutte le altre. All’inizio la mia fu pura curiosità per qualcosa che non avevo mai conosciuto, ma presto la mia divenne una smodata voglia di conoscerla sempre di più e di bearmi della bella luce che lei spandeva per il mondo quando si sentiva bene. Era la Stella più splendente di tutte. Irradiava energia, calore, vita, benessere. Fosse stato per me sarei rimasto ogni singolo momento sotto i suoi raggi riabilitanti; e sono certo che mi sarei scordato di tutti i mali del mondo e non mi sarebbe servito null’altro per vivere un’esistenza gaudiosa e trasognata. Lei era la luce, la purezza della Verità, la gioia di vivere, e mi ricordava ogni secondo lo scopo della vita (qualora me lo fossi scordato). Era per entità come lei che valesse la pena di andare in giro a conoscere persone, sperare di intrecciare delle relazioni durature e appaganti, alzarsi alla mattina e dirsi: «Sì. La felicità esiste. Ed è così semplice afferrarla…». La Stella era la creatura migliore che avessi conosciuto in vita mia (così pensavo). Lei era completa, divina. Era l’ideale che ogni uomo cerca e brama in un altro essere vivente. Era una madonna bionda. Era la luce necessaria e sufficiente. Era la concretizzazione di Madre Natura (che solo donna avrebbe potuto essere, perché donna è la madre e la creatrice, donna è l’insegnate delle prime scoperte della vita, donna è il piacere dell’apprendere, donna è il fascino della seduzione, donna è la lusinga di gioia… Nota a margine: Non avevo calcolato però le altre peculiarità delle donne…).
Quando invece conobbi la Luna fu ancora molto diverso. Il nostro non fu un amore a prima vista. Anzi, possiamo dire che lei fece di tutto per partire con il piede sbagliato, ed io non le badai più di tanto, poiché non la conoscevo (e come può ferire l’indifferenza di chi non si apprezza?). Ma poi anche per noi venne il momento (indifferibile, direi) del nostro incontro. E fu il fato a congiurare per farci presentare. E lei mi confessò che si sentiva delicata come una bambola di pezza con le giunture fragili e io… Io (poiché non credo che sia una corretta continenza nascondere le proprie debolezze) la ammirai con il mio sguardo più vero, e lei riconobbe in me il dolore: io conoscevo il dolore e la malinconia era la mia amante fissa dell’epoca. E presumo che quello la toccò e sollecitò la sua parte di carattere alla quale piaceva sostenere la gente (ma io non necessitavo di nessun aiuto, e in verità imploravo solo agli altri che non mi arrecassero più ingiustizia di quanto già provavo). La nostra fu un’attrazione reciproca molto forte nella quale nessuno di noi due poté presto muoversi, giacché io finii per essere attirato nel suo campo gravitazione e nel rimanervi avviluppato, e lei similmente fece con me, rimanendo invischiata in quella mia ragnatela che neppure sapevo di secernere.
E con la Luna (al contrario che con la Stella, con la quale andai sempre d’amore e d’accordo, prima che lei mi abbandonasse) i problemi iniziarono subito, poiché i nostri caratteri erano opposti (ma era per questo che si trovano così vicendevolmente intriganti). Ed in breve ricordo chiaramente quel giorno nel quale feci una cosa un po’ ardita (per una come la Luna), che sapevo che l’avrebbe toccata e che avrebbe cambiato le cose tra noi, imprimendole una svolta dalla quale non si sarebbe più potuto recedere (che mi auspicavo avesse rappresentato per noi un notevole salto di qualità). Ma la mia dichiarazione di amicizia eterna non fu capita, e allora la sentii immediatamente irrigidirsi e allontanarmisi. La Luna mi aveva frainteso (e non saprò mai quello che lei si rimuginò, perché quelle come lei non rivelano mai quello che pensano, neppure alle persone più care): ed invece di essere per sempre saldato, il nostro rapporto si disgregò lasciandomi con una grande disillusione. Da allora lei divenne sfuggente, ma per celare il suo cambiamento globale, volle comunque recitare ancora la parte di chi non è stata ferita, e dunque non mi respinse su tutta la linea… Ebbene la ferii… Solo adesso me ne rendo conto. Eppure… non le avevo fatto nulla di male. Fu solo il suo egocentrismo a farle credere che io fossi, non so, un tipo inaffidabile, o che l’avessi presa in giro, o che me la fossi lavorata per poi infilzarla con lo spadone quando lei si fosse tolta l’armatura, fidandosi di me…
Da allora seppi che l’avevo persa. Perché nel suo atteggiamento si intravedeva precisamente l’innegabile verità che non mi avrebbe più concesso delle chance, e anche quando saremmo stati a distanza di pochi centimetri, lei avrebbe messo tra di noi, tra le nostre anime, un interstizio siderale di alcuni anni luce… Così i miei tentativi di riportarla da me le sarebbero arrivati (ammesso che un giorno lo avrebbero fatto) con un ritardo così pronunciato da risultare inutili, inconcludenti, insignificanti.
Ed io mi dolevo di quello che era successo, di averle posto quell’ultimo ostacolo da saltare affinché noi due potessimo dirci contigui, di averla fatta inciampare in quella staccionata che ero sicuro che lei fosse in grado di superare, facendola poi cadere rovinosamente con il muso a terra. Mi dolevo che non potessi più annusare il suo bel e giovane fiore, solo per delle stupide sciocchezze implicite del suo carattere altero. Mi dolevo che un grande amore fosse finito ancora prima di iniziare, e ciò non mi piaceva per niente… Ma non avevo la forza di risalire il fiume e di riportarla da me, anche perché mai in vita mia cercai di far desistere chi non mi voleva… Mai. E molte volte questo mio atteggiamento di amore supremo fu scambiato per scarso interesse, o immaturità, quando invece era il contrario… Ma si sa che in patria nessuno è profeta, e la mia patria si chiama Amore Incondizionato…
E così sarebbe finita, e la piccola Luna sarebbe divenuta col tempo l’ennesima che mi odiava, non potendomi amare, se non fosse intervenuto però il destino a metterci il suo imprevedibile zampino. E allora ebbi ancora un ultima grande occasione: l’occasione di averla limitrofa (suo malgrado) per tanto tempo ancora… Ed io, rientrando nella sua vita dalla porta principale, mi convinsi: «Fosse l’unica e ultima cosa che farò… Io ti riporterò da me, e tu tornerai a stimarmi e a volermi bene».
Così mi affaccendai, mi ci misi d’impegno e, giorno dopo giorno, delicatezza dopo delicatezza, conferma dopo conferma, lei finalmente capitolò e tornò a fidarsi di me. Ma non so se fu per colpa mia, perché ci misi troppo carico e le feci vedere il meglio di me, cosicché lei non poté oppormisi, e di conseguenza la vivificai con il mio bagliore candido che lei non poté fare a meno di rispedirmi (da brava Luna) sotto forma di riverbero argenteo inebriato della sua essenza affascinante… Non so se fu lei che calcò la mano e, cambiando totalmente il suo atteggiamento, mi divenne così splendida da scaturirmi irretibile… Fattostà che lei mi diede in pasto il suo fascino ammaliante ed io solo di quello mi volli sfamare. E lei mi si trasfigurò davanti agli occhi come se fosse stata un immenso capolavoro che la mia vista, in una sola guardata, non poteva abbracciare tutto: cioè non potevo fare a meno di ammirarla a pezzettini (e dire «Che bello!» ad ogni suo particolare), perché lei mi discendeva talmente avvenente e magnifica, che se avessi osato anche solo tentare di distendere la sua bellezza, tutta in un colpo, sapevo già che sarei integralmente impazzito (ed evidentemente il mio intuito riuscì, almeno in quello, a non farmi compiere quel passettino che mi divideva da quell’estasiante baratro, salvaguardando quel poco che ancora mi rimaneva dal non darle… Perché sarebbe stato l’errore più grande della mia vita affabularmi alla sua illusione e rendere la Luna la Dea che non poteva essere. E avrei fatto la stessa fine degli uomini antichi che, appunto, la veneravano mentre essa sostanzialmente se ne fregava di loro, non potendo ricambiare quell’amore smisurato che avrebbe, in un modo o nell’altro, distrutto i suoi adoratori).
Ma il dado era tratto ormai e, nel tentativo di recuperare un’amicizia, entrambi ci eravamo innamorati follemente delle blandizie dell’altro… E lei mi elargì dei brevi ma straordinari giorni nei quali i sogni più belli divengono il pane della realtà, ed io ne fui piacevolmente ed immensamente stordito… Peccato però che durò così poco. Peccato che poi tutto conflagrò implodendo e collassando, così come doveva essere tra noi. Peccato che tentammo di riacquisirlo, ma che oramai era troppo tardi. Peccato che io divenni il suo peggior nemico e che lei mi riservò, da allora, solo le sue peggiori astuzie, le più vili malizie, le sue bugie più cattive. Peccato che lei si dimostrò non essere alla mia altezza e alla sua altezza. Ed io dovetti farmi una lunga lavata di capo ripetendomi per due settimane che tutto era finito e non sarebbe più tornato, e per rafforzare il concetto vi aggiunsi anche che probabilmente… non era mai esistito (che per me suonò come un’immonda bestemmia). Di lì, poi avvenne che finalmente ci dividemmo in modo definitivo e si interruppe il supplizio di quello che una volta era stato, e adesso non era più. Ma la lontananza ci giocò l’ultimo tiro mancino e, quando lei mi fu inarrivabile, e lei si accorse del vuoto che la mia presenza spostava, avvenne uno strano miracolo, e per qualche tempo risbocciò la nostra antica amicizia, mitigata dalle esperienze negative del passato, e riassaporammo brevemente un sentimento più maturo, meno travolgente, ma ugualmente fieramente convincente. Ma poi, di nuovo tutto terminò. E qui voglio finire la mia storia sulla bella Luna che non seppe mai dell’immenso fascino di cui era dotata, del quale io non feci in tempo a dirle. Della bella Luna che mi fece perdere la testa, mi shockò l’anima e fu l’ultima a farmi il lavaggio del cervello, rendendomi suo. Di quella Luna che ancora oggi qualche volta sogno di coprire di carezza nonostante tutto (perché nulla è più rilevante del mio sentimento che, sotto la scorza induritasi, rimane immutato per lei, cristallizzatosi nel nostro momento migliore)…
Ma questa non è solo la storia di come io persi la Luna e lei volle esiliarmi nelle lande dei senza volto e dei senza senso. Perché c’è anche da dire molto su ciò che mi accadde con la Stella splendente del mattino (di cui non mi sono affatto dimenticato). Ma se per la Luna ho preferito raccontare i brevissimi momenti belli (che non scorderò mai), sottacendo molto altro che avrei potuto dire su quelli brutti (che furono la norma), per la Stella voglio fare il contrario (dato che la Stella e la Luna sono opposte, e una irradia luce, come del resto me, mentre l’altra la rifrange); e allora mi soffermerò sui momenti più brutti e dirò poco di quelli belli, che pure ci furono e mi scaldarono non poco il cuore… Come quando quel giorno le vidi gli occhi per la prima volta e mi dissi: «Sono i più belli che io abbia mai visto…». E desiderai da allora che lei li tenesse puntati su me… Come quando alcune volte avvenne che fosse stupendo fissarsi per pochi secondi, occhi negli occhi, penetrarci nell’anima, rivelarci la verità delle nostre esistenze, riconoscersi come simili, e provare desiderio di stringere ancora maggiore comunanza… Come le volte nelle quali lei non mi nascose i suoi desideri segreti e le sue voglie più grandi, ma ebbe anche il coraggio di dirmi dei suoi difetti principali, che non volle sottacermi facendomi capire che non voleva che io la pensassi più stupenda di quanto fosse (ma quello me la rese invero ancor più illimitata nella sue virtù).
Che bello era anche quando lei si dichiarava debilitata e cercava il mio conforto… E, ancora, io riscontrai come nei suoi occhi convivessero le due anime della donna perfetta e nondimeno della pura follia. Della follia, perché vidi il fuoco che le avvampava negli occhi e compresi che, quel fuoco, tutto avrebbe potuto bruciare, anche sé stessa, senz’altro i suoi nemici, altresì me, e tutto quello che di buono lei produceva. Quella evidenza me la fece conseguire ancora più attraente…
Mentre invece solitamente lei rappresentava per me la perfetta femminilità; nel senso che molto tempo della mia vita lo avevo trascorso ad inseguire l’idea di una figlia d’Eva che raggruppasse in sé tutte le migliori qualità delle donne, e mai mi era capitato di trovarne alcuna, e anzi, in quel periodo precedente alla sua venuta, ero molto scoraggiato dalla razza femminile, che mi si presentava agli occhi sempre più come una fallace prova tangibile dell’esistenza di Dio. Cosicché pensavo tristemente che poteva esserci anche il caso che non fossi io a non essere capace di amarne una, ma che tra di loro non si nascondesse quell’oro di cui io le credevo traboccanti… Fu sicuramente lei la prima a ridarmi nuova linfa, ad infondermi maggiore entusiasmo e convinzione: perché lei mi dimostrò che non solo esisteva la donna assoluta, la più alta ed eccelsa espressione dell’archetipo di donna che ci sarebbe potuta essere, ma anche che… non ero solo a questo mondo. Infatti precedentemente mi ero rassegnato a pensare che la vita fosse un lungo percorso da compiersi in solitaria con, al più, qualche buon compagno di viaggio, che però mai avrebbe potuto accompagnarmi o essere presente in tutte le occasioni nelle quali io avrei voluto… Invece lei mi diede la certezza di non essere solo, e se anche ineluttabilmente non condividessi con lei la sua fisica prossimità, da allora fu come se me la figurassi sempre con me, al mio fianco, sorridente, e che mi incitava a non arrendermi, che mi diceva: «Non sei solo. Io sono sempre con te. Non abbatterti. Noi dobbiamo resistere alle avversità e non la dobbiamo dare vinta alle asperità. Non mollare mai». Ed allora le mie forze erano raddoppiate, triplicate, decuplicate, e finalmente avevo sconfitto uno dei mali principali dell’essere umano, che fin dagli albori lo attanagliano: la solitudine. Io, con il suo aiuto, avevo battuto la solitudine. Era questa la strenna che lei mi aveva devoluto. E quello era (credo) il dono principale che potesse farmi (perché altre cose penso non avrebbe potute darmele). Ma non era certo poco.
Ma vi avevo detto che vi avrei parlato dei momenti brutti con lei… Invece non ho resistito dal dilungarmi citando quelli belli. Tuttavia forse non è un male, perché il Bello è sempre più forte del Brutto. Forse non volevo che non sapeste quanto lei era bella ed ineguagliabile. Forse semplicemente lei mi ha dato molto di più di quanto mi ha tolto. In fondo, che cosa è una stilettata, un singolo abbandono, dopo tutto quello di cui mi ha riempito la Stella splendente? Non è niente, niente. Dico io. Ci ho guadagnato. Per questo l’amerò sempre, qualsiasi altra cosa mi faccia (ma più di questo… davvero altro non può farmi).
So che ve lo chiedete: come accadde? Cosa poté impedire, anche alla luce, di compiere il suo percorso di vita e la sua missione di gioia? E potrei rispondervi che forse fu una forma di agorafobia a travagliarla perché, tanto più si è in un luogo ricolmo di amore (tanto da risultarne smisurato), e tanto questo può essere scambiato per vuoto… Ma forse la mia dissertazione è troppo filosofica, e la risposta alla domanda su cosa me la fece smarrire è… Semplice: una metaforica lastra d’ebano. Solo quella? Sì, solo quella. Perché anche la Stella, seppur mi costa ammetterlo, non era questa creatura celestiale di cui ho tanto decantato le lodi; ma soprattutto era fallibile ed incline al… sospetto. Così da scambiare il rimando della sua immagine riflessa nello specchio per una persona estranea, ostile, cattiva. Una persona da cui allontanarsi all’istante. Una persona tale da stravolgere tutte quelle evidenze acquisiste che non sarebbero più dovute essere messe in discussione. Tale da scardinare la sua anima e da farla voltare sdegnata da un’altra parte.
E così terminò la mia storia con la Stella fulgente e la piccola Luna risplendente. Entrambe così diverse. Entrambe così belle. Entrambe così amiche. Entrambe che mi amarono ma che oggi mi odiano. Entrambe che hanno preferito affogare il mio ricordo in uno scrigno che rimarrà chiuso per sempre in un pozzo nero gettato in un buco nero dell’inferno avvampato dal fuoco rosso, laddove si perde il ricordo anche dei dolori più atroci. È questa la mia sorte…
La Stella fulgente. E la piccola Luna risplendente. Due facce della stessa medaglia. Due essenze assolutamente femminili. E solo femminili avrebbero potuto essere per destare la mia attenzione. Le ho inseguite attirato dalla loro luminosità, e loro mi sono fuggite perché avevano paura che le imprigionassi. Come si sbagliavano loro… Come non sapevano…
Ed oggi è sempre buio. Piove. E, se fa freddo, il vento sferza la pelle (che spacca) e le ossa (che gela). Mentre, se fa caldo, l’affanno è oltremodo insopportabile ed asfissiante. Da allora è sparita la luce dal mondo (sia quella generata che quella riflessa), e pare che tutto vada in malora.
Vedo gli altri che procedono sbavanti, fingono, ignorano, o non sanno niente. Nelle loro vite la luce non vi è mai stata, quindi per loro è uguale. Ma io noto la differenza, io so. Io so il delitto che si è compiuto. E questa consapevolezza non potrò mai dimenticarla e mi affliggerà l’anima fino alla fine della mia esistenza. Perché tale peccato è troppo grande da potersi giustificare, o sopportare, o accettare. Ed io già so che non lo farò mai.