Ormai era divenuto quasi impossibile distinguere a occhio nudo gli umani dagli androidi, non fosse stato che questi ultimi nella maggior parte dei casi si comportavano in maniera imbalsamata e sopratutto avevano la stessa faccia riciclata, vista più volte – vestendo tra l’altro quasi sempre nello stesso modo.
Appartenevano a tale categoria le amazzoni androidi, che altro non erano che il gruppo più consistente di automi presente sulla faccia della terra. Andavano vestite di rosso ed erano di “sesso” femminile. Erano more. Truccate come negli anni Sessanta. Il loro scopo era quello di uccidere ogni umano presente sul pianeta – nessuno sapeva esattamente perché. Il mio invece era quello di sterminarle.
In genere se ne stavano rintanate nei loro quartier generali. Quel giorno mi ero introdotto in uno di essi. Così, nascosto nei cunicoli del pavimento, ne vedevo passare a frotte, tutte nelle loro scarpe di vernice nera, le calze bianche col vestito lungo rosso e il rossetto dello stesso colore, armate di fucili a pompa a lungo raggio. Ogni tanto mi tiravo su e ne impallinavo una.
Tuttavia a un certo punto si erano accorte di me, per cui dovetti cominciare a sparare a raffica finché non le ebbi giustiziate tutte. Alla fine ne avevo fatte fuori una quarantina. Niente male, eh, per un solo agente della V.H.G.T.?
Soddisfatto di me, già pronto per un viaggio di completo relax, mi premiai mangiandomi una barretta energetica al gusto banana-kiwi e mi imbarcai sull’astro-treno che mi avrebbe ricondotto a casa.
Ma ricordate quando vi avevo detto che le donne amazzoni erano solo la tipologia di androidi più comune e anche riconoscibile? Appunto, state a sentire…
Poco dopo che mi ero seduto, mi accorsi che alcune di esse, non più di sei o sette, erano presenti sull’astro-treno. Stavolta, per non farsi riconoscere, avevano addirittura cambiato look – il che rappresentava per loro un notevole salto di qualità. Qualcuna indossava un cappellino col velo che nascondeva il volto in maniera che non si capisse che erano sorelle. In più si erano sparpagliate in posti diversi della vettura. Chissà dove si stavano recando. Forse un nuovo luogo da colonizzare.
Beh, non mi rimaneva che intervenire neutralizzando anche queste. Così, dopo essermi girato l’immenso scompartimento e aver individuato la posizione di tutte, sfoderai l’arma, misi in bella vista il distintivo in maniera che la gente non mi ritenesse un terrorista e cominciai a darmi da fare facendo attenzione che nessuna mi scivolasse non vista alle spalle.
Le prime due le freddai alla schiena senza che se ne accorgessero. I colpi che sparavo erano chirurgici e silenziati, così in principio i passeggeri che erano intorno non compresero che era a causa mia se quelle donne cadevano improvvisamente come svenute.
Ciononostante presto furono gli stessi passeggeri a cominciare ad urlare allertando le amazzoni androidi. Allora esse, impugnando le armi, uscirono allo scoperto con un atteggiamento belligerante. Fortunatamente non erano connesse tra loro. Se lo fossero state, le informazioni ricavate le une dalle altre avrebbero fornito loro la mia posizione all’istante. Ma c’è anche da dire che se si connettevano sarebbero state scoperte ancor prima di metter piede sulle vetture perché il treno era dotato d’un potente software di sicurezza in grado di imprigionarle.
Mi nascosi a terra, come avevo fatto nel loro QG. Era, quella, una tecnica piuttosto efficace e consolidata che raccomandavano sempre al corso per killer di androidi. Nascondersi e sparare, per spiazzarle. Con quella strategia ne feci fuori altre tre.
Ma ce ne erano altre che, dandomi la caccia tra gli interstizi dei posti a sedere, riuscirono effettivamente a scovarmi proprio mentre ero scoperto e stavo ricaricando l’arma. Così sarei sicuramente perito se non avessi fatto quella manovra… Agguantai la speciale manopola inserita nel mio abito e la girai. Si trattava in realtà di un dispositivo a corto raggio in grado di far esplodere una mini bomba presente nel corpo delle androidi. Così mi bastò girare quella fenomenale rotellina e quelle amazzoni, che fino un secondo prima mi si stagliavano sopra minacciose, esplosero da dentro spezzandosi in due o tre parti.
Tuttavia quell’operazione non bastò a disattivare un’amazzone superstite di cui prima non mi ero accorto. Essa era troppo lontana da me per entrare nel raggio d’azione della rotellina della morte.
Quando mi rialzai in piedi, gli altri esseri umani mi guardarono con grande ammirazione. L’ultima amazzone stava creando un gran casino tra strepiti, spostamenti rapidi tra sedili e altro. Un signore vestito tutto di nero che sembrava molto forte e sicuro di sé, all’apparenza un brizzolato sui cinquanta che se li portava bene, media altezza, occhi neri glaciali e un perenne sorrisetto sulle labbra, coraggiosamente assestò all’ultima delle amazzoni una tal botta che la mandò a sbattere sul muro dello scompartimento, disorientandola non poco, quasi le fece sfondare il finestrino che pure era assai rinforzato e certificato come infrangibile. Poi estrasse dal soprabito lungo un cannone nero lucente che nelle sue mani sembrava essere assai leggero, ma non doveva poi esserlo molto, e le scaricò addosso tre colpi che la frantumarono annientandola.
A quel punto le amazzoni androidi erano tutte cessate, non potevano più essercene altre. Ciononostante non ci fu neppure il momento di esultarne che mi fu chiaro che un ben peggiore pericolo adesso mi sarebbe piovuto addosso a tutta velocità. Infatti quando l’uomo brizzolato sterminatore si voltò verso me compresi subito che anche lui era un androide, ma di quelli molto più potenti, evoluti e autocoscienti. Per fortuna erano una rarità. Nessuno sapeva bene cosa pensassero. Erano molto forti e intelligenti, insomma proprio di una categoria superiore. Nati per errore nel momento in cui gli scienziati ingegneri avevano cercato di renderli più umani. Ci erano per certi versi riusciti. Solo che questo tipo di nuovi androidi, che noi etichettavamo come F.O.O.L., fin dai primordi si erano dimostrati ingestibili. E rapidamente si erano sparpagliati nel mondo. Nella maggior parte dei casi si limitavano a confondersi con la popolazione approfittando del fatto che fossero meno riconoscibili degli androidi della generazione precedente. Ma uno come me aveva comunque imparato a identificarli. Mi bastava poco per mettermi sul chi vive. Quel sorrisetto fermo, per esempio, particolarmente diabolico e sardonico, era uno dei loro marchi di fabbrica…
L’androide brizzolato cominciò a mitragliare ferocemente col suo cannone. Mi gettai ancora sul pavimento. Tentati di battermela nella speranza che non capisse dove fossi. Ma la sua arma era davvero un portento e bastava un colpo per far saltare per aria una poltrona. E il tipo sembrava non lesinare affatto sui missili avendone a disposizione innumerevoli.
Quando mi fu vicino perché come un segugio mi stanò dal mio nascondiglio, per riflesso ruotai la rotellina inserita nella mia giacca. Sperai in quel modo di fargli saltare le cervella. Ma lui sorrise ancor di più, mi puntò la sua grossa arma in faccia e mi piantò un colpo in mezzo agli occhi.
Già, la rotellina prodigiosa non funzionava con i nuovi modelli, e io lo sapevo pure. Ma, cosa volete: quando uno si trova in certe situazioni si aggrappa a tutto…
Da allora la vita che conduco è molto più… statica. Sono stato “salvato”, dicono loro. E pre-pensionato, ovviamente. Faccio il cameriere lobotomizzato presso il bar maggiore della megalopoli Starface. Non ho più emozioni. So parlare ancora, ma solo perché hanno totalmente ricostruito la mia faccia. Sono coartato a fare tutto il giorno le stesse cose, eseguire gli ordini di quelli che sono interamente umani. Chiaramente non ho perso i ricordi del tempo passato.
Delle volte mi chiedo: ma è vita questa? Come possono avermi umiliato in questo modo, proprio io che ero il killer di androidi più fenomenale sulla faccia del pianeta?
Poi talvolta infine confesso di chiedermi una cosa a cui non avevo mai seriamente pensato finché ero ancora umano: ma non è che gli androidi facciano bene a desiderare di vedere gli esseri umani… estinti?
Ammetto che certe volte sono più dalla loro parte che dalla mia…
Già, la “mia”. Non dovrei usare questo termine, dato che ora io non ho proprio nessuna parte. Né di qua, né di là.
Adesso mi spengo fino a domani. Ho finito di sparecchiare.
CFHHT-TUUMHHHHHHH!