Elizabeth: Discussioni filosofiche-zen


Bikal e Ozzorn spesso si riferivano ai morti con i loro nomi, e delle volte era accaduto che alcuni di quelli che li avevano colpiti sul serio fossero oggetto delle loro rare mini discussioni filosofiche-zen. Come quella volta in cui il loro dialogo si era svolto così…

«Hey, Ozzorn… Quel Parker sembra che sia esploso da dentro…»

«Già. Chissà se è stato davvero così…»

«Forse è morto mentre scopava…»

«Umm… Non dovrebbe avere ancora il cazzo dritto allora…?»

«Non so… Forse. Ma forse lo hanno solo preso da dietro…»

«Forse…»

Oppure nell’altra occasione…

«Bella puttana la Jessica…»

«Perché ce l’hai con lei?»

«Non ce l’ho con lei, Bikal…»

«Sì che ce l’hai con lei. L’hai appena insultata.»

«Non l’ho insultata… Solo, per me è una puttana…»

«E perché pensi che lo sia?»

«Non vedi che rossetto volgare che ha? E guarda che vestito sgargiante. È normale che l’abbiano ammazzata, no?»

«Guarda Ozzorn che sulla scheda c’è scritto che Jessica era una normale casalinga, e che l’hanno sgozzata a pochi metri dal suo garage…»

«Appunto. E secondo te perché hanno sgozzato lei e non un’altra? Me lo sai dire?»

«Se ammazzassero tutte le puttane…»

«Dico solo che una così se la cerca, e poi non si può lamentare se le succede qualcosa…»

«…Hai portato la birra o il vino oggi per pranzo?»

«Oggi la birra…»

O anche la volta in cui…

«Lady-vecchiaia-Kimberly mi ha rotto il cazzo…»

«Perché, che ti ha fatto, Ozzorn?»

«Niente. Ma la sua faccia rugosa non mi permette di fare il vuoto dentro me, per lo yoga.»

«Era proprio una brutta faccia, sì…»

«Proprio una brutta, brutta facciaccia. Maledetta vecchia…»

«…»

«Ahum…»

«Ma funziona lo yoga per la tua dieta?»

«Sì. Sono dimagrito due chili da quando lo pratico.»

«E da quant’è che lo pratichi?»

«Due o tre anni…»

«Ma pensa…»

 

Trinità


Uno.

Due.

Tre.

Uno.

Bis.

Tris.

Io.

Te.

Noi.

Io.

Noi.

Te.

Te.

Me.

Noi.

Te.

Noi.

Me.

Noi.

Io.

Te.

Noi.

Te.

Me.

Una lacrima scende dall’occhio sinistro.

Una lacrima scende dall’occhio destro.

Una lacrima scende nuovamente dall’occhio sinistro…

Padre, figlio e spirito santo?

Padre, madre, figlio.

Padre…

Non mi piace padre.

Anche perché io non lo sarò mai.

Madre.

Da essa nasce tutto.

Ogni madre è Dio.

Padre e madre.

Genitori.

Il mestiere più difficile del mondo.

Io, te, lei.

Te, me, lui.

Noi, noi, noi tutti.

Te.

Lei.

Tutte quante voi.

Marte.

Venere.

Saturno.

Il Sole.

La Luna.

La Terra.

Un gioco.

Uno scherzo.

Un tiro.

L’amore.

L’eros.

L’innamoramento.

L’innalzamento.

L’apice.

Il cedimento.

Avanti.

Diritto.

Indietro.

Tu dai uno schiaffo a me.

Io do uno schiaffo a te.

Tu dai uno schiaffo a te.

Scrivere, come suonare musica.

Scrivere, come scolpire il marmo.

Scrivere con autocontrollo.

Una ciocca di capelli ti cade davanti agli occhi.

Dopo un attimo la percepisci e la scosti.

Una ciocca ricade davanti ai tuoi occhi, e sei così bella.

Bambina.

Ragazza.

Donna.

Suggere.

Ingoiare.

Assimilare.

Charlie Brown

Linus

Sally.

O Piperita Patty.

O Lucy.

O Snoopy (o Woodstock).

Maggio.

Giugno.

Luglio.

Novembre.

Dicembre.

Gennaio.

Il primo fu quello che fumava.

Il secondo fui io.

Il terzo l’annichilito dai lutti.

C’ero io.

Poi c’era il tuo ex ragazzo.

Poi quello che ci provava.

Il tipo sfuggente che nasconde un segreto.

Quello che t’ama e ti bersaglia.

Il falso amico che ci prova subito.

La chiamata a notte fonda.

L’appostamento per vedermi passare.

L’incontro inatteso da lontano.

Vedo una che sembri te (devo essere proprio un idiota: ti vedo dappertutto).

Ci ripenso (e se fossi stata davvero te? Ti somigliava così tanto…).

Mi volto di scatto e ti colgo a dolerti (eri davvero tu).

Ti conosco a memoria.

Mi sei dentro.

Ho la tua foto tatuata nell’anima.

Quando eri triste ero calamitato da te, così venivo a consolarti.

Ma quando non eri triste, e tu cercavi aderenza, non ti parlavo.

Voleva dire che t’amavo e che tu non sapevi minimamente come prendermi.

Voleva dire che avevo un grosso conflitto.

Voleva dire che il conflitto ce lo avevi anche tu, anche se diverso dal mio.

Voleva dire che insieme facevamo scintille.

Avremmo dovuto chiudere il cerchio.

Il cerchio, il cerchio…

Invece così il nostro amore rimarrà per sempre appeso.

Appeso.

Monco.

Incompleto.

I sogni son desideri.

I sogni sono incubi.

I sogni sono pazzi.

Lei, lei, l’altra.

E l’altra.

E l’altra.

Siete tutte dannatamente unite.

Ma questo è bellissimo.

Vuol dire che amando te amo anche le altre.

Tutte quelle con cui non poteva essere.

Tutte quelle con cui fui inidoneo.

Tutte quelle che mi odiarono.

Fase uno.

Fase due.

Fase tre.

Nella fase uno ci si conosce.

Nella fase due ci si piace reciprocamente.

Nella fase tre ci si mette assieme.

Io non arrivo alla fase tre.

Io non posso arrivarci.

Io non voglio arrivarci (eppure vorrei).

Sale la luna in cielo.

Fa la falce, la luna.

Diventa piena e poi decresce.

Era troppo bello guardare i suoi occhi.

Non resistevo.

Non potevo resistere. Così glieli rubavo.

E lei se ne accorgeva.

E ne era lusingata.

E si chiedeva perché la guardassi con quella faccia così indulgente e appassionata.

Lei mise in atto la sua strategia fatta di piccolissime delicatissime carinerie.

Io sapevo che non dovevo fidarmi, me lo dicevo pure.

E conoscevo le voci su di lei. Ma alla fine capitolai.

Lei volgeva verso me.

E io feci l’errore di dirmi: che male c’è?

Solo un poco.

Solo un poco.

Domani smetto.

Domani finirà ma intanto avrò vissuto.

Domani tornerò nel mio bozzolo di piccolezza.

Domani ammattii per lei.

Ammattii per lei.

Per lei.

Così, dalle carinerie si passò alla confidenza.

E a natale sapevo che sarebbe apparsa.

E lei apparve.

Allora non mi ingannavo!

Allora era tutto vero quel che pensavo di lei.

Allora mi contraccambiava.

Ma poi freddezza.

Freddezza, freddezza, freddezza.

E io che mi domandavo: ma che cazzo succede?!

Perché non mi vuoi più?!

Che ti ho fatto?!

Perché sei così algida?

Tanto cattiva.

Tanto cattiva. Perfida.

Troppo cattiva. Sapevi di vendetta.

Un giorno se ne uscì con quella frase davanti a tutti.

Abbiamo questo rapporto…

E vedevo che sorrideva emozionata.

Non può essere, mi dissi. Una come lei…

Soffriva in silenzio quando intuiva i miei tentativi di fare la pace con…

Oppure quando sorridevo alla mia preferita con gli occhi stupendi.

Ma non riusciva a odiarmi.

Mi voleva.

Aveva perso la testa per me, proprio me.

Il suo primo movimento fu l’inebriamento.

Il secondo una dolce, folle illusione.

Il terzo lo spingersi avanti, tanto da farmi paura.

In cosa mi sono cacciato?

Ma io la voglio?

O non la voglio?

Io che rifiutavo tutte,

anche quella con gli occhi stupendi, la mia preferita.

Anche quella con la quale cercavo di far pace.

Quella volta mi fece la domanda diretta.

Era nell’aria.

Me l’attendevo.

E io le dissi la verità.

In verità ero io che disinnescavo tutto.

Stare con una donna vuol dire scendere a compromessi.

Compromessi che io forse non avrei comunque accettato.

Ma non era che mi sentissi sfortunato.

No, io non volevo (non le dissi che non potevo).

La prima fase fu l’innamoramento. Un folle innamoramento che non mi sarei mai aspettato.

La seconda fase fu il rimuginare sul mio non farmi avanti.

La terza fase fu abbandonarmi al mio destino pensando che l’avessi rifiutata.

Notai i suoi lunghi capelli.

Notai i suoi fianchi prominenti.

Notai che mi sorrideva, a me. Gli piacevo.

Fu allora che quell’assillo mi si ficcò nella testa senza che me ne accorgessi.

E da quel momento il mio cazzo fu più sveglio di quanto non fosse il mio cervello ottenebrato.

Fu più lungimirante e pratico (averlo ascoltato!).

Ecco.

Da una passo all’altra.

Sempre.

Siete unite.

Unite.

Sorelle (e vi fate la guerra!).

E adesso c’è lei.

Lei, lei, lei.

Lei. Lei. Lei.

Te.

Te.

Te.

E questo l’ho scritto

solo per te.

Solo per te.

Solo per te. Solo per te.

Solo per te. Solo per te.

Solo per te. Solo per te.

Sai, non riesco più a immaginare la mia vita senza te.

Come sarebbe?

In cosa mi sarei perso? Che senso avrebbe tutto?

È un bene che abbia incontrato te.

Il resto non importa.

Ti assicuro che non conta.

Non preoccuparti per me.

Non preoccuparti di niente.

Abbi fiducia per la tua situazione.

Son io che mi preoccupo per te.

E tu mi dici che non devo.

Ma io ho paura per te.

Delle volte sei un fulgido richiamo.

Delle volte un ammonimento corvino, con pallido sfondo.

Tu sei tutto.

E non lo sai.

E ti ci struggi.

Se solo tu potessi amarti…

Dici che sei stronza,

ma io ti so pura.

Pura. E incolpevole.

Solo per te.

Solo per te.

E io questo, tutto questo, l’ho scritto solo per te.

Stephen King: L’occhio del male


A un certo punto della sua carriera, il già affermatosi Stephen King, si fece venire la stramba idea di scrivere sotto pseudonimo. E scelse come alias Richard Bachman. Con questo nome firmò ben cinque romanzi. Tra cui L’occhio del male. Il prossimo sarebbe dovuto essere (addirittura!) Misery ma venne scoperto prima…

Ma perché mai questo uomo fece tutto ciò? Per vendere di meno?!? Beh, sicuramente King era consapevole che avrebbe venduto pochino da esordiente sconosciuto ma ovviamente non lo fece per questo, né questo rappresentò un disincentivo tale da distoglierlo da un tale proposito…

E allora perché lo fece? Lo stesso autore non ne è pienamente convinto, però qualcosa è venuto fuori… Per prima cosa aveva ritrovato alcuni suoi vecchi lavori giovanili e alcuni di essi non gli sembravano male, ma forse trovava che non gli appartenessero più interamente come stile. Allora forse, dato che voleva recuperarli poiché non accettava serenamente l’idea che nessuno mai avrebbe potuto leggerli, decise di pubblicarli in questa maniera.

Poi senz’altro un altro motivo era quello di mettersi alla prova. King sapeva bene che più che la bravura e la costanza per il successo di un autore contano… le botte di fortuna. E lui si era sentito fortunato all’epoca di Christine, la macchina infernale che aveva rappresentato la svolta che gli aveva spianato la strada. Ora voleva riuscire a portare Bachman al successo ripartendo da zero. Se ci fosse riuscito ancora una volta, allora avrebbe significato che forse era bravo sul serio…

Ma veniamo a L’occhio del male… Trama: tutto nasce da un sopruso. E da una tragedia più o meno fortuita che si consuma attraverso un incidente stradale. Da ciò scaturisce una… maledizione. Anzi, più maledizioni. E il protagonista dovrà trovare un modo di venirne fuori, prima che la maledizione lo uccida…

Cose belle del romanzo:

1 King è bravo anche perché fornisce dei personaggi con profili psicologici che non sono totalmente inventati su due piedi o sembrano bidimensionali o incoerenti. Una delle cose che mi è piaciuta di più in assoluto è stato l’autorevolissimo quadro psicologico di moltissimi personaggi…

2 Come al solito con King, una volta che si è iniziato a leggere, è praticamente impossibile smettere e si vuole andare avanti fino alla fine senza fermarsi…

3 Numerosi sono gli espedienti che incollano i lettori al libro. Talvolta sono le trovate e i colpi di scena che si susseguono (non ce ne sono mai pochi in un libro di King!)… Si arriva alla fine consapevoli che non è scontato che finisca come ci si aspetti. Anzi, un lettore medio (con un cervello da beota medio) non capirebbe mai che la storia finirà in quel modo lì…

4 Per larghi tratti la prosa è coinvolgente e perfetta ma…

Veniamo alle cose brutte o meno belle:

a) Quando leggo un libro del genere mi rammarico sempre di una cosa: che l’autore abbia privilegiato la velocità, la fruibilità e la semplicità della narrazione a una prosa che avrebbe potuto essere maggiormente curata in taluni frangenti. La storia è semplicemente geniale. Se solo fosse stata scritta con maggiore maestria e attenzione, e perdendoci tempo, ne sarebbe potuto venir fuori un capolavoro. Mentre invece, questo libro, è e sarà sempre al massimo un avvincente prodotto economico da supermercato o autogrill. E penso di aver reso bene l’idea. Qualcosa che dopo che avrai letto al massimo lo presterai a un amico: che difficilmente rileggerai perché ti ha lasciato un’idea di elevata, sublime qualità…

Elizabeth: Una morta bellissima


Ozzorn aveva la solita faccia apatica di sempre, sia che trasportasse un morto o che facesse una conversazione (“conversazione” si fa per dire…) su come cucinare i pomodori col riso. Bikal, come sempre, gli si avvicinò e gli chiese delle informazioni.

«Chi è?»

Ozzorn non gli rispose. In genere bastava osservare la scheda d’accompagno per sapere tutto, ma ordinariamente le prime informazioni se le scambiavano ugualmente tra loro, da bravi colleghi; quello li faceva sentire un team.

Bikal ci riprovò.

«Uomo o donna?»

Ozzorn sembrò leggermente seccato, e per lui era una novità.

«Sta sulla scheda…», gli fece notare.

Non gli voleva proprio rispondere. E Bikal se ne chiese il motivo. Adesso che lo guardava meglio, Ozzorn sembrava turbato. Purtroppo il morto era già incellophanato e Bikal non poteva scrutarne la faccia. Dunque gli si avvicinò prima che Ozzorn lo mettesse nel freezer. Aveva già aperto lo sportellino…

«Dai che lo chiudo…», lo incalzò Ozzorn quando vide che lo intralciava.

Incredibile. Ozzorn gli faceva ancora muro. Era evidente che, per qualche motivo, non volesse che lo vedesse. Ma perché? Sennonché era ovvio che ora Bikal si sarebbe colmato di così tanta curiosità da adoperarsi per impedire le operazioni di sbarramento della cella frigorifera, per poi togliere il cellophane dal viso del morto. E così fece con la scioltezza di un ofide.

Non si trattava di un morto, bensì di una morta. E anche bellissima. Così bella che Bikal non poté non esclamare un «Oh!» di meraviglia, mentre a lato anche l’abitualmente laconico Ozzorn proferì alcune parole.

«Come è bella, eh?», disse, come a voler esprimere: quanto mi dispiace che anche creature incantevoli come questa debbano morire, che spreco! è un’ingiustizia! E Bikal non ribatté, ma il suo atteggiamento parlò per lui, facendo intendere che fosse d’accordo.

La ragazza era una stupenda donna di forse trent’anni. Ma forse poteva anche averne quaranta, o ventidue. Quel tipo di bellezza era difficile da soppesare al primo sguardo, tanto più se la si osservava per pochi istanti e da morta. In più, aveva tratti negroidi. Mascella scolpita all’infuori, labbra carnose e accentuate; zigomi alti e forti. E poi possedeva un bellissimo nasino lievemente all’insù, un po’ come quello di una bambina piccola. Aveva gli occhi marroni ancora aperti che sembravano esclamassero: come?! sono morta?! non ci posso credere! Infine, il bel quadro era completato da dei capelli neri molto ondulati (che sembravano un po’ sporchi) tenuti dietro un orecchio, il quale pareva intagliato per quanto era fatto bene…

 

Libertà di bestemmiare


Quelli della famosa rivista satirica che ha recentemente subito un attentato fascista lo hanno detto chiaro e tondo nella trasmissione di fazio: vogliono essere liberi di bestemmiare. Capito? Lo faccio presente a tutti quegli ipocriti benpensanti che subito si sono uniti alla moda di dire: IO SONO CHARLIE…

Siete ancora dalla loro parte, baciapile?

Io non ho mai letto il loro giornale per cui non posso dire con certezza se sposo in pieno la loro causa o meno.

Però di certo sono contro ogni forma di fascismo (per come lo intendo io il fascismo).

E anche io sono per la libertà di poter bestemmiare.

Perché?

1 Perché sono contrario a tutte le religioni. In particolare quelle che ti dicono che loro hanno la certezza di sapere cosa vuole da noi Dio…

2 Perché è assurdo pensare che Dio, se è davvero questo essere così potente come si dice, si possa offendere se qualcuno pure gli dica qualcosa di “brutto”…

3 Perché non avete il diritto di offendervi se io bestemmio mentre non vorreste concedermi lo stesso diritto quando sento le vostre boiate religiose, che offendono in misura molto maggiore la mia intelligenza…

Capito, gente beota che state sempre con la maggioranza?

Più stronzate dice una religione e più la posso (la devo) prendere per il culo. Capito?

Elizabeth: Quel giorno…


Quel giorno Bikal, dopo aver inserito un centinaio di schede, decise che fosse ora di fare una pausa. E allora tirò fuori una rivista di videogames e la sfogliò svogliatamente, leggendo esclusivamente gli articoli dei giochi che avrebbe potuto acquistare.

Aveva messo le scarpe da ginnastica sulla scrivania e si era slacciato il camice bianco, come faceva quando voleva sentirsi perfettamente a suo agio, fingendo di essere il titolare dell’esercizio. Andava tutto bene anche se, come al solito, quel fottuto freddo, dopo qualche ora, gli era entrato nelle ossa e gli aveva gelato l’uccello, che gli si era tutto intirizzito. Quella sensazione di gelo se la sarebbe portata anche a casa, quando si sarebbe ritrovato nel confortevole calduccio del suo letto. Quella sensazione non lo abbandonava più, neppure d’estate. Bastava che la rievocasse mentalmente, che subito dei brividi gli scorrevano sulla pelle.

La luce rossa della spia si accese. Voleva dire che Ozzorn giungeva con un nuovo arrivo. Bikal si ricompose un minimo, giusto per non dare un’eccessiva immagine di sé d’incuria e disinteresse. Lo fece soprattutto ovviamente per coloro che avrebbero potuto accompagnare il suo socio.

Si avvicinò all’ascensore che di lì a poco si sarebbe aperto…

 

bilico


la malattia si attacca

*

esser schiavi delle parole

per avere la scusa di non reagire

*

sofisticare la realtà

per sopravvivere

per sopravvivere

*

santa o puttana che differenza fa?

tu sei e vuoi essere la santa puttana

la puttana santa

*

così il male si perpetra all’infinito

*

una vita inutile

è una vita inutile

*

una morte può dar senso a una vita

che non aveva senso

*

cercare quello che non si può trovare

*

passare il tempo

*

far passare la gente come fosse mocciolo

una soffiatina e via

*

trovarsi un uomo-hobby

e poi un altro

e poi un altro

e poi qualcos’altro

*

sopprimere la voce dei fantasmi che furono

ascoltare la voce dei nuovi idioti

che diverranno fantasmi

*

quel certo dolorino che talvolta pulsa

un giorno ti si abbatterà sopra

e tutti diranno che è stata

una tragica fatalità

impronosticabile

*

ta-da-da-dan

la nostra danza risuona sempre

nella mia testa

tu sei fuori sincrono

io no

*

ho scornato (stornato) le chiavi di casa

così adesso sono fuori

sono fuori

non so rientrare

*

dentro e fuori sono concetti relativi

o realtivi

un po’ come la felicità

e l’infelicità

*

ecco che viene

sto spurgando bene

bene bene

sono soddisfatto

sei soddisfatta?

sono soddisfatta

sei soddisfatto?

*

peccare è umano

sapere di peccare e farlo ugualmente

è disumano

*

anche ai cani l’uomo

riesce ad attaccare la depressione

*

vorrei solo un cane felice che mi corresse incontro

è così difficile?

mi accontenterei

*

sofisticare la realtà

non è stato mai un problema

per voi

*

un giorno la pagherete

*

ma sto disgredendo…

*

dunque…

*

un marito?

un marito!

un marito?!

*

guardo l’anello

e non ci credo

non posso essere io

sembra proprio una fede

una fede! una fede!

io!

io con una fede!

io persona normale

come tanti

io insignificante coniuge

un po’ triste,

indaffarato,

un po’ annoiato,

molto frustrato

*

avevo messo l’anello a destra

perché a sinistra mi scivolava

ma oggi l’ho tolto

con incredibile difficoltà

non voleva uscir via

voleva imprigionarmi

ho visto che sotto

si era già formato

un orribile livido violaceo

sto perdendo il dito?, ho imprecato

allora ho capito

che quell’anello in un sol giorno

mi aveva già cambiato

dolina d’irritabilità

*

sento gracchiare innaturalmente

qualcosa intorno a me

come un lamento

come un’afflizione

non voglio più sentire

non voglio più sentirla

è agghiacciante

e mi ricorda il tormento

un insopprimibile tormento

*

e tu stanotte avrai fatto un brutto sogno

e stamane ti chiederai come mai

e oggi ti chiederai perché sei di cattivo umore

e ti chiederai con terrore se adesso

nemmeno i tuoi trucchi per esser felice

funzionino più

presaga chiamerai a casa

e ti diranno

dell’apocalisse che è venuta giù

e tu lo prenderai come un segno di qualcosa

di qualcosa di molto brutto che sta accadendo

e allora

infine

capirai

capirai

che sono io

quella cosa

molto brutta

che sta succedendo

che forse già adesso non c’è più speranza

e allora avrai un fremito

e ti sfiorerà l’idea di cercarmi

ma non lo farai

perché la tua religione

ti impone di non pensarmi

al di fuori degli spazi che mi hai concesso

*

per te sono un’ombra

un’ombra malata

d’ammantare ogni volta

con quel che desideri

così un giorno mi temerai

il giorno dopo mi anelerai

il giorno ancora dopo ti dirai:

ma cosa sto facendo? per me non conta niente

il giorno dopo ti maledirai

e ancora mi cercherai

prima che sia troppo tardi

un giorno mi calunnierai

poi mi amerai

poi mi farai patire

poi mi vorrai far male

e così fino all’infinito

fino a quando non riuscirai

a espellermi dalla tua vita

come un cancro

come un cancro

*

però ti andrebbe anche bene

tenermi per sempre con te

se quel sarcoma un giorno

dovesse arrivare ad ammazzarti

tu ne saresti felice

non potresti immaginare niente di meglio

confondersi

annullarsi

trovar pace

in me

solo in me

il solo che ti può amare

che vorrebbe proteggerti da te stessa

colui che adesso si masturba

pensando a te

e solo te

*

come uno spurgo

come lasciar fluire

dopo sarà meglio

dopo sarà meglio

un soffio di perla

uno schizzo di piacere

per guarnire la tua vita

e la mia

uno spasimo di rincrescimento

scusa non volevo

io volevo solo amarti

ma è così difficile amare te

e tu vuoi che io ti devasti

ma io ti darò lo schiaffo morale

non devastandoti

e così ti devasterò ancora di più

perché non potrai più fare la vittima

ma solo la carnefice

a forza di schizzi è un mare bianco

*

nel tuo mondo è tutto vero

è tutto falso

è l’unico gioco che sai fare

drammatizzare

sminuire

piangere

esultare

scopare

defecare

suggere

orinare

renderti sensuale

e poi dire che vorresti essere amata

per ciò che si nasconde

nel profondo della tua anima

(che però interni sempre)

che non vorresti esser solo

un pezzo di carne

senza un senso

ma mentre lo dici

ti metti il rossetto

ti rifai il trucco

indossi le calze a rete

con le scarpe coi tacchi

push-up

wonder-bra

succhia-qua

*

un giorno mi odierai per tutto questo che ti do

un giorno mi amerai per averti detto la verità

peccato che io quel giorno non ci sarò

fanciulla con le labbra lucide

come fragole

o ciliege

da divorare

*

 

Elizabeth: Come la gente affronta la morte


Un’altra attività decisamente meno noiosa del solito era quella di ricevere degli ospiti. Cioè quando quelli della polizia, o qualche detective privato, venivano a indagare su qualcuno, o quando una persona cercava un suo parente scomparso.

In quest’ultimo caso Bikal riteneva che ci si trovasse di fronte a una delle reazioni più vere ch’avesse potuto esprimere essere umano nel corso della vita: perché comprendeva come affrontare la morte di una persona cara. E a chi avesse avuto il privilegio di assistervi non sarebbe sfuggito il reale legame che intercorreva tra il morto e chi lo era venuto a cercare. In quei momenti non si poteva fingere. Pure se c’erano dei dolori più composti o interiorizzati di altri, alla fine veniva sempre chiaramente fuori se uno voleva veramente bene al defunto o meno. E non era così scontato che un figlio amasse il padre, o una moglie un marito, nossignore. E Bikal aveva imparato a riconoscere immediatamente i dolori veri da quelli dissimulati. Sì, perché la gente mentiva, mentiva sempre, anche e sopratutto in quel contesto, se sapeva di essere osservata. Sennonché quelle persone potevano pure provare a fingere, ma Bikal le avrebbe stanate.

Ode to my red pen


Solo per me vali

solo io ti apprezzo

gli altri ti avrebbero gettata via

come un oggetto superfluo

ma io no

io che conosco il significato

del piccolo

del tenue

io ti farò risplendere

io farò in modo che tu mi dia

il meglio di te

io e te assieme

realizzeremo un’opera d’arte

gli altri ti avrebbero gettata via

poiché imperfetta

e quasi consumata

invece io ti tengo con me

giorno dopo giorno

ho fiducia

caverò ogni singola stilla

del tuo sangue rosso cupo

non più tanto brillante

e tu di questo sarai felice

e di più lo sarò io

ti faccio fare volute

ancora una ancora una

so che me ne puoi dare infinite

dentro e fuori di me

sembri esaurita

ma io so che c’è ancora linfa in te

e non mi fermerò finché potrai darmene

ancora una voluta

ancora un giro

ancora una spirale

gusci di lumache

ti inerpico nella depressione delle tue debolezze

dove fa più male

ti annego nelle mie arabesche chiome da drago

dove è disperazione

solo io so che quell’arco è un occhio

e che da quell’occhio tu mi guardi misteriosamente

è il varco dal quale si stabilisce il nostro contatto

ho preso un quaderno nuovo

per tracciare i nostri terribili solchi

i nostri terribili sogni

il rosso sangue corrotto è un colore spettrale

ma molto vero

mi ricorda me

e te giunta alla fine

e quando avremo finito

un po’ di te rimarrà nell’imperituro

così come sulla mia mano destra.