David B.: Il grande male

Opera considerata il capolavoro di questo fumettista di cui mi sono fatto adesso un’idea ben precisa – credo non sia ideale per me, ma apprezzo molto la sua arte narrativo-fumettistica.

Dunque che cos’è questo grande male del titolo? Diciamolo subito: è l’epilessia del fratello. Difatti questa è la storia della famiglia di David e di tutto quello che fecero per cercare di combattere questa terribile afflizione di cui all’epoca non si sapeva moltissimo – inoltre era anche un periodo in cui la gente cercava costantemente cure o modi di vivere alternativi. Dunque è la storia di un percorso travagliatissimo che si rivelerà molto pesante per ogni membro della famiglia – e forse nascerà proprio da lì la grande voglia di David di disegnare fumetti, per imbrigliare la rabbia, come pure le sue più grandi paure.

Chi ha vissuto drammi del genere, chi ha in famiglia un soggetto fragile o comunque difficile da gestire, potrà comprendere a pieno questa storia. Io pure ho fatto subito un raffronto con alcune mie vicende familiari…

Il passato

Un uomo, dopo quattro anni di lontananza, torna dalla donna che un tempo amava per firmare le carte del divorzio.

Senonché trova una situazione piuttosto infelice e intricata in casa della sua ex. La quale si è messa con uno (che forse gli somiglia pure parecchio) che però ha già un figlio piccolo piuttosto turbolento; senza contare che è sposato con una donna in coma in ospedale. Pare quest’ultima si sia tolta la vita. Ma perché? Qual è il vero motivo che l’ha spinta a compiere quel gesto? In realtà la cosa non è molto chiara…

Un nugolo di persone infelici. Tra tutte spicca la donna che vuol mettersi col marito della donna in coma, vero caos ambulante di questa storia, pur non essendo “cattiva”. Ovviamente lei è la prima vittima di se stessa e non è la sola artefice di tutta l’infelicità che orbita attorno queste persone.

L’attrice è Berenice Bejo. Mentre il regista è un certo Asghar Farhadi, un iraniano che non conoscevo fino a poco tempo fa ma ho scoperto essere molto bravo (ultimamente sto parlando e parlerò di diversi suoi film).

ITDIDEU: La gorilla (II)

Nemesis si procurò un pass per il primo turno del torneo nel quale Purezza avrebbe affrontato la numero centoventisei del mondo, una filiforme, tignosa ragazzina con le lentiggini proveniente da un paese dell’est Europa. Non era previsto le avrebbe dato alcun problema. Nemesis si armò del suo inseparabile blocchetto degli appunti e della sua amata penna rossa, quindi si mise seduto tra gli spalti completi in ogni ordine di posto, i quali, contrariamente, avrebbero visto ampi spazi vuoti se non ci fosse stata Purezza a giocare, e attese che le partecipanti entrassero in campo.

Non aveva mai visto dal vivo Purezza, ma sapeva che probabilmente la pallina sarebbe schizzata così veloce che avrebbe faticato a seguirla. Finalmente comparvero le due tenniste.

La sfidante era vestita praticamente tutta di bianco. Fin dai primordi non nascose il suo passo strascicato, con un piede che protendeva verso l’interno, e quelle sue ossa sottili con poca carne attaccata che la rendevano molto nodosa. La campionessa aveva invece da poco cambiato sponsor ed era tutta bardata di vestitini da donzelletta con colorazioni che partivano dal nero per trasformarsi in gradazioni che in natura non esistevano.

Purezza aveva le solite sette od otto racchette di scorta nella sacca: una accordata più dura; una meno; una che attutiva particolarmente bene le vibrazioni, che avrebbe dovuto utilizzare se il suo gomito le avesse dato di nuovo fastidio; una per essere spaccata a terra nei momenti di stress; una da regalare a qualche giornalista sul quale far colpo; una con delle tinte più sgargianti; una che era la sua vecchia racchetta mascherata, che avrebbe usato solo se quel giorno i colpi non le fossero venuti bene.

Purezza era come al solito molto sicura di sé. Tuttavia, pensò Nemesis, quella donna non avrebbe mai avuto la grazia di una star, nemmeno dopo lustri passati a prendere lezioni di bonton: Purezza sarebbe sempre stata una ragazzina viziata, con l’atteggiamento di una che giocando al campetto sotto casa gode a farsi vedere da tutti per quanto è brava.

Dal vivo Purezza sembrava più bassa e massiccia. Nemesis pensò per la prima volta che somigliasse più a un gorilla, o anche a uno di quei nerboruti pugili che nella vita di cazzotti ne danno tanti, sia dentro che fuori del ring.

Purezza fece un cenno alla tribuna e Nemesis scorse tutto il suo entourage. Erano in bella mostra la rotonda madre ingioiellata, la minuta sorella minore che teneva un nastrino bianco tra i capelli raggruppati a treccioline, la sempre imbronciata sorella maggiore, il sonnolento padre, il quale aveva tutta l’aria d’essere solo una comparsa in quel clan quasi completamente al femminile. In più Nemesis riscontrò un posto vuoto in quella zona tra quelli occupati. Doveva esserci stata una qualche defezione dell’ultima ora…

Vita privata di Sherlock Holmes

(Ri)Scoprire un Billy Wilder che si cimenta con questo iconico personaggio rispettandone fondamentalmente il carattere è stato meraviglioso. Ne è uscita fuori una splendida commedia gialla con venature sentimentali.

Un giorno una donna ripescata da un fiume è condotta da S. Holmes. Non ricorda nulla circa chi sia e perché sia stata aggredita. Ma il nostro detective preferito non ci metterà molto a scoprire la sua identità e perché volesse rivolgersi proprio a lui. Infatti parrebbe che la donna sia alla disperata ricerca del marito, misteriosamente scomparso.

Holmes scoprirà che la vicenda nasconde più di quanto non sembri e che in essa ci sia immischiato perfino il suo fratello più brillante e intelligente. Il quale gli consiglierà amichevolmente di lasciar perdere tutta la storia poiché non di sua competenza. Ma Sherlock non seguirà il suo ammonimento e… dovrà pagarne il fio.

Se avete dimenticato la storia rivedetela con piacere. Non rimarrete delusi. 🙂

Osamu Dazai: Lo squalificato

Un bambino di famiglia ricca si sente profondamente oppresso dall’ambiente in cui vive e dalla società. Non riesce a provare tutti quei sentimenti fasulli di cui sembrano infarciti gli altri esseri umani, non riesce a essere animato da questioni che trova superflue o rivoltanti. Cresce terrorizzato dalle persone e dalle convenzioni sociali.

Per rimanere in qualche modo a galla, allora comincia a finger a più non posso di esser un buontempone sempre pronto a fare e dire cose estremamente comiche e fuori di testa. La sua maschera di follia demenziale riuscirà a non far comprendere al mondo il suo stato di profondo sconcerto e in qualche maniera gli renderà una popolarità capace di scantonarlo almeno superficialmente dalle sue paure più grandi e recondite.

Essendo bello, troverà anche diverse donne (che però non lo comprenderanno affatto) pronte a confortarlo, offrirgli casa e mantenerlo, anche se lui non riuscirà ad amarle (se non forse in un caso)…

Ovviamente una tal vita estrema, piena di sotterfugi, non gli riserverà un finale fausto e sarà destinato a perdersi nell’alcolismo e in altre dipendenze farmaceutiche, le uniche capaci di obnubilargli i sensi così da farlo soffrire meno…

Dicono che questo libro sia la metafora della situazione in cui si ritrovarono gli scrittori in Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale – non so se questa affermazione sia troppo ardita o rispetti la realtà delle cose.

Ho trovato questo romanzo abbastanza interessante. Lo stile però non mi ha particolarmente attratto (nel senso che non ho provato piacere a leggerlo).

In definitiva assegno al romanzo un voto di 6,5.

Dylan Dog. Cronache dal pianeta dei morti

L’apprezzato e talentuoso scrittore Bilotta ridefinisce il mondo di Dylan Dog con il proprio tocco realizzando quella che egli immagina sia l’ultima saga di questo ormai conosciutissimo eroe nostrano dell’orrore.

Nel volumetto, contenente tre storie, le vicende vengono narrate al contrario, da quella più recente a quella meno. Così scopriamo poco a poco un Dylan piuttosto amareggiato, incanutito, stanco, nuovamente alcolizzato. Un Dylan completamente solo – è questa forse la novità che maggiormente risalta –, ora che il suo fedele assistente burlesco sembra sparito (si capirà più avanti che triste fine abbia fatto), che il suo amico ispettore Bloch è andato in pensione e comincia a soffrire di demenza senile. E poi capiamo che Dylan, per un motivo o per l’altro, non ha saputo tenersi una donna al suo fianco nonostante la sproposita quantità di femmine gli abbiamo visto portarsi a letto (ai bei tempi, una a numero!).

La storia è diversa ma simile a quelle precedenti di Dylan, un personaggio che a dire il vero mi aveva piuttosto stancato per la sua ripetitività e avevo dunque smesso di leggere anni fa.

Nella storia non c’è posto per molto sarcasmo: ormai le cose sono talmente precipitate che sembra non sussista più alcuna speranza per un mondo in cui si è diffusa un’epidemia su scala globale di zombie che comprensibilmente ha drasticamente guastato tutto.

Il quadro che fornisce Bilotta di questo mondo è “ambizioso”. Ne dà una descrizione anche politica, in cui c’è spazio per cospirazioni, ribelli, spie, attentati, oltre che una chiara citazione presa da un film di zombie (come da tradizione dogghiana) per quanto riguarda la possibilità di utilizzare i non-morti come lavoratori instancabili e senza diritti.

Insomma, capirete che questi cambiamenti hanno determinato che non tutti i fans di questo personaggio abbiano apprezzato la saga. A me, che non sono un intransigente purista e anelavo una qualche evoluzione del personaggio, la saga non è dispiaciuta, anche se ho notato alcuni difetti che ne hanno depotenziato le possibilità. Primo: nelle tre storie, due sono a colori, una in bianco e nero, con stili un po’ diversi, almeno in un caso su tre (quella non colorata). Poi, la storia di Bilotta è buona ma il formato l’ha in parte penalizzata costringendo le vicende a correre in taluni punti forse più di quanto avrebbero dovuto. Inoltre sicuramente una critica che alcuni puristi hanno fatto è che la storia è più politica che horror. Penso che forse è vero, ma non è detto che ciò debba essere per forza un male.

Insomma il mio giudizio è che qualche meccanismo narrativo poteva essere affinato meglio. In ogni caso mi è complessivamente piaciuta.

Gambit (film)

Una commedia brillante con Colin Firth, Cameron Diaz e Alan Rickman, da una sceneggiatura dei Coen.

Un curatore d’arte scontento del proprio arrogante e ricco datore di lavoro idea una truffa ai danni dello stesso la quale prevederebbe la complicità di una poco acculturata ma molto avvenente ragazza d’oltreoceano. Ovviamente non tutto andrà come preventivato…

Un umorismo british a tratti esilarante che a mio parere si ispira un po’ a quello di Blake Eduards. 🙂