Ariel entrò deciso nella stanza di Miriam. Non fu necessario bussare dato che la porta era aperta. Certo, se in quel periodo fossero stati in rapporti migliori, lo avrebbe fatto ugualmente, anche con la porta aperta, ma purtroppo era proprio uno di quei periodi, sempre più frequenti, in cui Miriam non gli parlava, lo odiava a profusione senza un motivo che Ariel riuscisse a comprendere.
Avrebbe potuto salutarla lo stesso, è vero, ma, dato che, durante le pause, lei non lo salutava quando lo incontrava in corridoio, decise di rimanere muto, e ovviamente Miriam non aprì bocca, e anzi si comportò proprio come non fosse mai entrato. Neppure guardò nella sua direzione pur essendosi indubbiamente accorta di lui.
Ariel si sedette al computer della collega che divideva la stanza con Miriam, Helen, che era una donna sui cinquanta con una selva di capelli ricci tinti di biondo, sempre molto profumata, anche se il profumo che si versava addosso a secchiate non riusciva, come pensava lei, a cancellare l’appestante puzzo delle sigarette che ella si concedeva con dovizia di approvazione. Anzi, quel profumo si mescolava mortalmente con le sostanze tossiche delle sigarette finendo per sprigionare un odore asfissiante che, se pure non era “cattivo”, però mozzava il fiato. Perlomeno a un non fumatore come Ariel. Mentre a Miriam, che amava spippettare di nascosto, anche se ufficialmente aveva detto a tutto l’ufficio che aveva smesso da quel dì, non dava affatto fastidio, segno inoppugnabile, quello, che non era mai diventata una non fumatrice per davvero, al contrario di quanto affermava nei dintorni per fare la parte della ragazza assennata che si evolveva!
Helen era spesso assente. Difatti poteva usufruire di alcuni permessi per via della malattia di un parente prossimo i quali sfruttava alacremente anche quando non ve n’era una vera necessità. Non era un caso se Ariel aveva deciso di sistemare quella faccenda proprio allora e non quando Helen fosse stata presente, così non avrebbe avuto l’incomodo di trattenere il respiro dovendo stare vicino a quella chiavica profumata che era Helen.
Ariel cominciò a smanettare. Batteva veloce sui tasti sperando di terminare a breve, entro una mezz’oretta, così da lasciarsi alle spalle al più presto quella riottosa ragazza che corrispondeva al nome di Miriam. Sennonché si accorse immediatamente che in quella stanza faceva troppo caldo. Il condizionatore dell’aria era spento. Dunque pensò che se non voleva schiumare gli toccava di capire perché Miriam non lo avesse acceso.
«Non funziona il condizionatore?», gettò là vagamente la domanda, mentre Miriam ormai non se lo sarebbe più aspettato.
Ora, Miriam spesso lasciava bellamente cadere gli argomenti di conversazione con lui quando era nel periodo da “mestruazioni arialiche”… Ma dato che Ariel aveva toccato una questione che la investiva direttamente, che lei auspicava un giorno si sarebbe risolta lietamente, colse subito la palla al balzo per rispondergli.
«A saperlo, se funziona!»
Più di questo non riuscì a dirgli, altrimenti lo avrebbe lusingato troppo. A ogni modo gli fece capire che quella condizione di calore estremo e sudorazione esacerbata a cui si andava incontro nella sua stanzetta d’ufficio non dipendeva affatto da lei, e comunque lei non era d’accordo che sussistesse.
«Forse è il caso di provare ad accenderlo, visto il caldo atroce di questo periodo, non trovi Miriam?»
Miriam gli fece il gran favore di guardare nella sua direzione, sbattere gli occhi una volta in segno di approvazione, e inclinare la testa verso destra in segno di stanchezza e possibile sollievo ormai prossimo: magari fosse successo!
Ariel si alzò in piedi. Cominciò a voltare lo sguardo in ogni angolo della stanza. Miriam intuì cosa cercasse, ma lo lasciò fare perché non voleva rendergli le cose troppo facili, neppure se lui si stava apprestando a farle un grosso favore. Con lo sguardo ispezionò anche la scrivania di Miriam, e lei se ne accorse, e si sentì come se un porco le avesse sbirciato un po’ nel vestitino estivo, più leggero possibile visto le condizioni da schiava negra raccoglitrice di pomodori sotto il sole d’agosto in cui la facevano lavorare. Lei sapeva che a un certo punto gli occhi di Ariel si sarebbero arrestati sui suoi. E lì li attese quando quello puntualmente avvenne.
«…Dove avete il telecomando?», chiese Ariel andando diritto al punto. Difatti senza il telecomando era impossibile azionare quegli affari dell’aria fredda.
«E chi lo sa!», disse Miriam cominciando a fare la vittima, «Qui non s’è mai visto nessun telecomando! Non credo ci sia mai stato. Almeno da quando occupo questa stanza. Se lo sarà mangiato Helen. O forse se lo sarà nascosto nei capelli…»
Ariel sorrise. Quella stronzetta quando voleva sapeva come suscitare il suo spirito ironico.
«Vado a prendere il mio…», si involò nella sua stanza non troppo distante da quella di Miriam e tornò superpresto con un bel telecomando fiammeggiante che sembrava nuovo di zecca.
«Okay. Adesso vediamo se funziona…», disse, ed era già lì che si interessava alle figure sui tasti per ricordarsi come andava comandato, davanti al condizionatore e a fianco di Miriam, la quale timidamente si era alzata in piedi anche lei sperando che lui la facesse partecipe della condivisione di quella conoscenza. E difatti, quando Ariel capì che lei era interessata, l’avvicinò maggiormente, le fu accanto accanto e, mentre le faceva vedere le iconcine sui tasti, le disse:
«Poi, se vuoi, lo puoi tenere. Tanto a me e Belosh non serve. Noi ci siamo comprati a nostre spese un ventilatore che cambia l’aria che respiriamo senza cagionarci colpi della strega, torcicolli o malanni vari. Per fortuna Belosh è una persona molto pragmatica e di buonsenso – come me. Sono stato fortunato a capitare con lui in stanza. Sennò…»
Ma a Miriam non interessavano quelle disquisizioni filosofiche circa l’irrequietezza che si creava sempre fra colleghi molto diversi tra loro che dovevano forzosamente condividere uno spazio comune.
«Funziona?!», gli disse per darci un taglio e istradarlo laddove lei voleva.
«Vediamo…», disse Ariel e premette il tastino dell’accensione al quale seguì un piccolissimo “beep!”, e il ventilatore, come per magia, cominciò a ventilare la stanza.
«Wow!», disse Miriam estasiata che, abituata a dover patire quella situazione, si sentiva finalmente una dipendente di serie A come gli altri. E per lei quello sarebbe bastato. Tuttavia Ariel sentiva che fosse il caso di spiegarle almeno i concetti base del marchingegno.
«Guarda, Miriam… Questo tasto serve per accendere o spegnere, e fino a qui ci siamo… Quest’altro è per fare il freddo, oltre che ventilare… Vedi il segnale di neve?… Poi un’ultima cosa indispensabile che devi sapere è questa… Con questo tasto si dice al ventilatore come e se fermarsi in una posizione. Per esempio, se lo blocchi qui, lui adesso è posizionato tutto giù, vedi? Il che vuol dire che l’aria la fa circolare ma non ce l’hai diretta, il che presenta sia pro che contro… Mentre io ti consiglio di metterlo che continua sempre a ruotare. Così non ti prende un colpo ma neppure patisci il caldo. Poi ci sarebbe questo tasto per la temperatura, ma funziona fino a un certo punto, te ne accorgerai, io ti consiglio comunque, per sicurezza, di non mettere una temperatura troppo bassa… Allora come lo vuoi?», la guardò infine Ariel.
«Mettimelo col getto addosso!», esagerò lei che, dopo anni e anni di sudorazioni lavorative, voleva adesso fare la pacchia come il capo.
«Ma sei sicura? Guarda che poi…», provò ad avvertirla.
«Lo voglio così! Mettimelo così sennò qui fa troppo caldo!»
Ariel la conosceva e sapeva che sarebbe stato inutile starci a perdere ancora del tempo. Era come una bimba viziata che doveva sbattere il grugno sulle sue scelte, altrimenti non avrebbe mai imparato nulla.
«Va bene. Comunque ricorda che puoi sempre cambiare la posizione se cambi idea, okay?»
Miriam annuì per farlo contento ma non lo aveva neppure ascoltato. E con quello sancì che era terminato il periodo di non belligeranza con lui, per cui non spiccicò più una parola e si rimise in fretta seduta alla sua scrivania a lavorare. Ariel, amareggiato del suo solito voltafaccia, fece lo stesso alla scrivania di Helen.
Una settimana dopo Ariel dovette tornare in quella stanza per discutere di una facezia con Helen, in un periodo in cui ella c’era. Non fece neppure in tempo a metter piede in quella stanza che sentì Miriam – che si teneva con una tenacia rabbiosa una specie di scialle alla gola come le avessero appena tolto le tonsille con delle tenaglie incandescenti – intimargli:
«Ma mi vuoi forse ammazzare, Ariel?! Smetti di tenerlo puntato su di me! Spegni quell’affare del diavolo una buona volta!»
Ariel la guardò smarrito come un cane bastonato. Poi guardò anche Helen in volto, la quale aveva assunto una posa del tipo: sei crudele a trattare sempre così male questa povera bambina indifesa, che mostro che sei!
E ad Ariel non rimase che spegnere il condizionatore – il telecomando era sulla scrivania di Miriam, nel punto esatto dove l’aveva lasciato la settimana prima – e andarsi a sedere al fianco di Helen per discutere di quella questione.