Riesumazioni: Rapporto di coppia

Una volta una mia amica disse una frase che mi rimase molto impressa: “il rapporto di coppia è un continuo compromesso”. Nel senso che per stare con una persona bisogna per forza scendere a patti. In un certo senso è vero.

Non sono affatto certo che chi ci fa tanto star bene e poi tanto dolere sia in fondo la persona giusta. Anzi, in genere non è così. Insomma il rapporto Ariel-Miriam è un’eccezione che conferma la regola. Nella realtà è molto arduo che un fortissimo rapporto d’amore e d’odio possa trasformarsi in solo amore.

E se non è solo amore, è sbagliato.

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Cipolline

Miriam era a dieta. Eppure non esisteva un filo di grasso sul suo bel corpicino magro. Nondimeno era convinta di possedere un sedere troppo “spazioso”. Per questo, ossessionata dalla linea, faceva sempre molta attenzione a ciò che ingollava. Era vero che talvolta si lasciasse andare agli eccessi, però questi erano sempre estremamente calibrati.
Così mi toccava di vederla a pranzo mentre mangiucchiava quelle sue cosette con due calorie e basta, e poi mi arrivava l’eco che era svenuta perché aveva la pressione bassa. Non aveva compreso che tra le due cose ci fosse una correlazione?! Sì, Miriam lo sapeva bene, perché in fondo era molto intelligente – non lo era invece quasi mai quando si trattava d’esser indulgente verso me, e chissà perché doveva sempre fraintendere o malignare un mio atteggiamento che la investisse in maniera diretta o indiretta… – però essa preferiva ignorare l’evidenza. Cioè, pur di non rischiare d’ingrassare neppure d’un milligrammo… era disposta a venir meno, convinta che tanto non sarebbe morta! Insensatezze di una ragazza viziata abituata ad averla sempre vinta! Ah, se avessi conosciuto i suoi genitori gliela avrei cantata bella!
Avevo provato a spaventarla su quell’aspetto. Allora le avevo raccontato di quella donna che, per fare i digiuni, aveva finito per cadere proprio sui binari della metropolitana – che prendeva anche Miriam. Ma lei niente. E anzi, il giorno dopo, per ripicca, aveva proprio digiunato completamente. Che indicibile stronza!
Una volta la vidi che si era portata un’intera bustina di plastica di piccole carote crude già lavate – chissà, doveva aver letto da qualche parte che non facevano ingrassare e se ne potevano dunque mangiare a bizzeffe, e inoltre saziavano assai. Così, quando le veniva voglia di sgranocchiare, se ne pappava una quasi di nascosto anche durante l’orario di lavoro. L’avevo presa un po’ in giro dicendole che ne avrebbe dovute mangiare di carote per crescere un po’ – di testa, intendevo –; il giorno dopo le carote erano sparite, e da allora non gliele vidi più.
Successivamente si fissò con l’insalatina. Delle volte se la portava scondita ma perlomeno aveva il buonsenso di condirla in ufficio. Più spesso invece ne comprava di già condita al supermercato, non rendendosi conto dell’assurdità del gesto che compieva per risparmiarsi il modesto fastidio di lavarsela e portarsela da casa. Per prima cosa, le facevano pagare quelle poche foglie condite come si fosse trattato di un’intera pianta di lattuga. Poi ciò incentivava anche la produzione di rifiuti plastici, perché gliela mettevano proprio in una di quelle superflue scatolette di plastica. Infine comperare qualcosa di già pronto è come fidarsi alla cieca di quello che ci mettono dentro. Cioè, a lei chi glielo diceva che l’insalata era lavata bene e che ci avessero messo un olio perlomeno di discreta qualità ed extravergine – perché l’olio, lo sanno tutti, deve essere extravergine, sennò fa male, oltre a essere troppo grasso –?
Si scottò con questa sua insensatezza una prima volta. Dentro quelle due foglie condite ci trovò un giorno una lumaca ancora viva. Facile intuire che una tipa schizzinosa come lei quasi vomitò per lo schifo. Allora buttò l’intero contenuto della scatoletta di plastica nel cestino – mentre io pensai alla povera lumaca che, fosse toccata in sorte a me, avrei liberato in natura al parchetto sotto l’ufficio. Così Miriam finì per saltare il pasto.
Poi ci fu la volta in cui si accorse che nell’insalata ci avevano messo anche la cipolletta fresca. A Miriam piaceva e la mangiò – anche perché sarebbe stato troppo complicato per lei stare lì a scostarne ogni volta un pezzetto, anche perché andava di fretta e dopo doveva tornare a lavorare alla svelta. Tuttavia dopo si fece venire una della sue paranoie da ragazzina stupidina. E allora, per cancellare il sapore – anzi l’odore – della cipolla dalla sua bocca, non fece che masticare gomme americane profumate una dietro l’altra.
Io la vedevo che masticava, masticava come una capra ruminante e non si fermava mai, andando avanti per ore: masticava ostinatamente cercando di arrivare a ogni piccolo interstizio tra un dente e l’altro. Ciò mi fece riflettere per la milionesima volta circa quanto potesse essere ottusa e superficiale la mia Miriam.
Allora le dissi, per rincuorarla e farla smettere: non ho mai sentito provenire alcun cattivo odore da te – a parte quando fumi, s’intende –; inoltre sono sicuro che quel po’ di cipolla che hai mangiato, a quest’ora, sarà stata del tutto cancellata da tutte quelle gomme che hai ciancicato per tutto questo tempo: dunque smettila, Miriam!
Ma lei continuò indefessa a ciancicare picchiando duro sui molari, come non mi avesse sentito. E io mi chiesi ancora una volta come era stato possibile che mi fossi innamorato di una simile stronzetta cretina come lei…

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Aria condizionata

Ariel entrò deciso nella stanza di Miriam. Non fu necessario bussare dato che la porta era aperta. Certo, se in quel periodo fossero stati in rapporti migliori, lo avrebbe fatto ugualmente, anche con la porta aperta, ma purtroppo era proprio uno di quei periodi, sempre più frequenti, in cui Miriam non gli parlava, lo odiava a profusione senza un motivo che Ariel riuscisse a comprendere.
Avrebbe potuto salutarla lo stesso, è vero, ma, dato che, durante le pause, lei non lo salutava quando lo incontrava in corridoio, decise di rimanere muto, e ovviamente Miriam non aprì bocca, e anzi si comportò proprio come non fosse mai entrato. Neppure guardò nella sua direzione pur essendosi indubbiamente accorta di lui.
Ariel si sedette al computer della collega che divideva la stanza con Miriam, Helen, che era una donna sui cinquanta con una selva di capelli ricci tinti di biondo, sempre molto profumata, anche se il profumo che si versava addosso a secchiate non riusciva, come pensava lei, a cancellare l’appestante puzzo delle sigarette che ella si concedeva con dovizia di approvazione. Anzi, quel profumo si mescolava mortalmente con le sostanze tossiche delle sigarette finendo per sprigionare un odore asfissiante che, se pure non era “cattivo”, però mozzava il fiato. Perlomeno a un non fumatore come Ariel. Mentre a Miriam, che amava spippettare di nascosto, anche se ufficialmente aveva detto a tutto l’ufficio che aveva smesso da quel dì, non dava affatto fastidio, segno inoppugnabile, quello, che non era mai diventata una non fumatrice per davvero, al contrario di quanto affermava nei dintorni per fare la parte della ragazza assennata che si evolveva!
Helen era spesso assente. Difatti poteva usufruire di alcuni permessi per via della malattia di un parente prossimo i quali sfruttava alacremente anche quando non ve n’era una vera necessità. Non era un caso se Ariel aveva deciso di sistemare quella faccenda proprio allora e non quando Helen fosse stata presente, così non avrebbe avuto l’incomodo di trattenere il respiro dovendo stare vicino a quella chiavica profumata che era Helen.
Ariel cominciò a smanettare. Batteva veloce sui tasti sperando di terminare a breve, entro una mezz’oretta, così da lasciarsi alle spalle al più presto quella riottosa ragazza che corrispondeva al nome di Miriam. Sennonché si accorse immediatamente che in quella stanza faceva troppo caldo. Il condizionatore dell’aria era spento. Dunque pensò che se non voleva schiumare gli toccava di capire perché Miriam non lo avesse acceso.
«Non funziona il condizionatore?», gettò là vagamente la domanda, mentre Miriam ormai non se lo sarebbe più aspettato.
Ora, Miriam spesso lasciava bellamente cadere gli argomenti di conversazione con lui quando era nel periodo da “mestruazioni arialiche”… Ma dato che Ariel aveva toccato una questione che la investiva direttamente, che lei auspicava un giorno si sarebbe risolta lietamente, colse subito la palla al balzo per rispondergli.
«A saperlo, se funziona!»
Più di questo non riuscì a dirgli, altrimenti lo avrebbe lusingato troppo. A ogni modo gli fece capire che quella condizione di calore estremo e sudorazione esacerbata a cui si andava incontro nella sua stanzetta d’ufficio non dipendeva affatto da lei, e comunque lei non era d’accordo che sussistesse.
«Forse è il caso di provare ad accenderlo, visto il caldo atroce di questo periodo, non trovi Miriam?»
Miriam gli fece il gran favore di guardare nella sua direzione, sbattere gli occhi una volta in segno di approvazione, e inclinare la testa verso destra in segno di stanchezza e possibile sollievo ormai prossimo: magari fosse successo!
Ariel si alzò in piedi. Cominciò a voltare lo sguardo in ogni angolo della stanza. Miriam intuì cosa cercasse, ma lo lasciò fare perché non voleva rendergli le cose troppo facili, neppure se lui si stava apprestando a farle un grosso favore. Con lo sguardo ispezionò anche la scrivania di Miriam, e lei se ne accorse, e si sentì come se un porco le avesse sbirciato un po’ nel vestitino estivo, più leggero possibile visto le condizioni da schiava negra raccoglitrice di pomodori sotto il sole d’agosto in cui la facevano lavorare. Lei sapeva che a un certo punto gli occhi di Ariel si sarebbero arrestati sui suoi. E lì li attese quando quello puntualmente avvenne.
«…Dove avete il telecomando?», chiese Ariel andando diritto al punto. Difatti senza il telecomando era impossibile azionare quegli affari dell’aria fredda.
«E chi lo sa!», disse Miriam cominciando a fare la vittima, «Qui non s’è mai visto nessun telecomando! Non credo ci sia mai stato. Almeno da quando occupo questa stanza. Se lo sarà mangiato Helen. O forse se lo sarà nascosto nei capelli…»
Ariel sorrise. Quella stronzetta quando voleva sapeva come suscitare il suo spirito ironico.
«Vado a prendere il mio…», si involò nella sua stanza non troppo distante da quella di Miriam e tornò superpresto con un bel telecomando fiammeggiante che sembrava nuovo di zecca.
«Okay. Adesso vediamo se funziona…», disse, ed era già lì che si interessava alle figure sui tasti per ricordarsi come andava comandato, davanti al condizionatore e a fianco di Miriam, la quale timidamente si era alzata in piedi anche lei sperando che lui la facesse partecipe della condivisione di quella conoscenza. E difatti, quando Ariel capì che lei era interessata, l’avvicinò maggiormente, le fu accanto accanto e, mentre le faceva vedere le iconcine sui tasti, le disse:
«Poi, se vuoi, lo puoi tenere. Tanto a me e Belosh non serve. Noi ci siamo comprati a nostre spese un ventilatore che cambia l’aria che respiriamo senza cagionarci colpi della strega, torcicolli o malanni vari. Per fortuna Belosh è una persona molto pragmatica e di buonsenso – come me. Sono stato fortunato a capitare con lui in stanza. Sennò…»
Ma a Miriam non interessavano quelle disquisizioni filosofiche circa l’irrequietezza che si creava sempre fra colleghi molto diversi tra loro che dovevano forzosamente condividere uno spazio comune.
«Funziona?!», gli disse per darci un taglio e istradarlo laddove lei voleva.
«Vediamo…», disse Ariel e premette il tastino dell’accensione al quale seguì un piccolissimo “beep!”, e il ventilatore, come per magia, cominciò a ventilare la stanza.
«Wow!», disse Miriam estasiata che, abituata a dover patire quella situazione, si sentiva finalmente una dipendente di serie A come gli altri. E per lei quello sarebbe bastato. Tuttavia Ariel sentiva che fosse il caso di spiegarle almeno i concetti base del marchingegno.
«Guarda, Miriam… Questo tasto serve per accendere o spegnere, e fino a qui ci siamo… Quest’altro è per fare il freddo, oltre che ventilare… Vedi il segnale di neve?… Poi un’ultima cosa indispensabile che devi sapere è questa… Con questo tasto si dice al ventilatore come e se fermarsi in una posizione. Per esempio, se lo blocchi qui, lui adesso è posizionato tutto giù, vedi? Il che vuol dire che l’aria la fa circolare ma non ce l’hai diretta, il che presenta sia pro che contro… Mentre io ti consiglio di metterlo che continua sempre a ruotare. Così non ti prende un colpo ma neppure patisci il caldo. Poi ci sarebbe questo tasto per la temperatura, ma funziona fino a un certo punto, te ne accorgerai, io ti consiglio comunque, per sicurezza, di non mettere una temperatura troppo bassa… Allora come lo vuoi?», la guardò infine Ariel.
«Mettimelo col getto addosso!», esagerò lei che, dopo anni e anni di sudorazioni lavorative, voleva adesso fare la pacchia come il capo.
«Ma sei sicura? Guarda che poi…», provò ad avvertirla.
«Lo voglio così! Mettimelo così sennò qui fa troppo caldo!»
Ariel la conosceva e sapeva che sarebbe stato inutile starci a perdere ancora del tempo. Era come una bimba viziata che doveva sbattere il grugno sulle sue scelte, altrimenti non avrebbe mai imparato nulla.
«Va bene. Comunque ricorda che puoi sempre cambiare la posizione se cambi idea, okay?»
Miriam annuì per farlo contento ma non lo aveva neppure ascoltato. E con quello sancì che era terminato il periodo di non belligeranza con lui, per cui non spiccicò più una parola e si rimise in fretta seduta alla sua scrivania a lavorare. Ariel, amareggiato del suo solito voltafaccia, fece lo stesso alla scrivania di Helen.
Una settimana dopo Ariel dovette tornare in quella stanza per discutere di una facezia con Helen, in un periodo in cui ella c’era. Non fece neppure in tempo a metter piede in quella stanza che sentì Miriam – che si teneva con una tenacia rabbiosa una specie di scialle alla gola come le avessero appena tolto le tonsille con delle tenaglie incandescenti – intimargli:
«Ma mi vuoi forse ammazzare, Ariel?! Smetti di tenerlo puntato su di me! Spegni quell’affare del diavolo una buona volta!»
Ariel la guardò smarrito come un cane bastonato. Poi guardò anche Helen in volto, la quale aveva assunto una posa del tipo: sei crudele a trattare sempre così male questa povera bambina indifesa, che mostro che sei!
E ad Ariel non rimase che spegnere il condizionatore – il telecomando era sulla scrivania di Miriam, nel punto esatto dove l’aveva lasciato la settimana prima – e andarsi a sedere al fianco di Helen per discutere di quella questione.

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