Osamu Dazai: Lo squalificato

Un bambino di famiglia ricca si sente profondamente oppresso dall’ambiente in cui vive e dalla società. Non riesce a provare tutti quei sentimenti fasulli di cui sembrano infarciti gli altri esseri umani, non riesce a essere animato da questioni che trova superflue o rivoltanti. Cresce terrorizzato dalle persone e dalle convenzioni sociali.

Per rimanere in qualche modo a galla, allora comincia a finger a più non posso di esser un buontempone sempre pronto a fare e dire cose estremamente comiche e fuori di testa. La sua maschera di follia demenziale riuscirà a non far comprendere al mondo il suo stato di profondo sconcerto e in qualche maniera gli renderà una popolarità capace di scantonarlo almeno superficialmente dalle sue paure più grandi e recondite.

Essendo bello, troverà anche diverse donne (che però non lo comprenderanno affatto) pronte a confortarlo, offrirgli casa e mantenerlo, anche se lui non riuscirà ad amarle (se non forse in un caso)…

Ovviamente una tal vita estrema, piena di sotterfugi, non gli riserverà un finale fausto e sarà destinato a perdersi nell’alcolismo e in altre dipendenze farmaceutiche, le uniche capaci di obnubilargli i sensi così da farlo soffrire meno…

Dicono che questo libro sia la metafora della situazione in cui si ritrovarono gli scrittori in Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale – non so se questa affermazione sia troppo ardita o rispetti la realtà delle cose.

Ho trovato questo romanzo abbastanza interessante. Lo stile però non mi ha particolarmente attratto (nel senso che non ho provato piacere a leggerlo).

In definitiva assegno al romanzo un voto di 6,5.

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