Nel piccolo, dimesso parco accanto alla chiesa, Nemesis scorse una languida figura femminile adagiata su un muretto. Curiosamente, ella, per sedersi, non aveva scelto le pur indubbiamente sgombre e più adatte panchine. Tuttavia sicuramente tale scelta non era stata dettata dal caso. Difatti le panchine si trovavano in mezzo al parco, sommerse dal sole, mentre il muretto era collocato in una zona austera nella quale la luce giungeva diradata e dimessa. Dunque lì si era più nascosti e si poteva stare per conto proprio.
La cosa che lo colpì era che ella aveva assunto una postura tutta curva nella quale l’unico oggetto della sua attenzione era costituito dalla foto che stringeva tra le mani davanti a sé, tenuta come fosse una preziosissima reliquia, una specie di specchietto nel quale osservare compitamente la propria immagine riflessa, di cui pareva ghiotta. Inoltre il soggetto della foto (in un formato più grande dell’usuale) era chiaramente distinguibile anche dalla distanza dalla quale Nemesis, silenzioso, osservava. Ed era l’immagine (commerciale) di una… suora, posta in primo piano in una posa frontale: immagine probabilmente ritoccata o disegnata, perché conservava un certo alone da icona sacra.
Nemesis poté esplorare i lunghi capelli della ragazza i quali, pur sciolti, conservavano la cura di esser stati raggruppati come quasi avessero avuto un laccio che li cingesse. Essa indossava abiti normali da ragazza non troppo benestante di trenta anni. Di profilo, pareva piuttosto carina.
Dapprincipio Nemesis immaginò che da un momento all’altro la fanciulla avrebbe abbandonato la visione fissa sul ritratto vagheggiato della foto per dunque rialzare lo sguardo; ma i secondi passavano ed essa rimaneva ferma in contemplazione, e pareva non avesse alcuna intenzione di modificare l’impostazione datasi.
Eseguita una deviazione di pochi passi dal percorso prestabilito, Nemesis volle passarle accanto per essere annesso nel suo raggio visivo, nel raggio visivo della ragazza caduta in immotivata stupefazione. Ma neppure la sua intromissione ebbe il potere di farle alzare gli occhi per un attimo su di lui. Ella continuò imperterrita a contemplare la foto, come posseduta.
Tuttavia Nemesis scoprì un particolare inquietante che da lontano non avrebbe mai colto. Ella non era muta come lui dapprima si era creduto. Ella sussurrava qualcosa con cadenza costante. E, in più, nel suo tono si poteva rintracciare qualcosa di suadente, acceso… pervertente.
Udì le parole che essa pronunciava sommessamente ma inizialmente non riuscì a distinguerle poiché lei, per l’appunto, per scongiurare l’eventualità che qualcuno avesse potuto comprenderle, le diceva sottovoce.
Malgrado ciò, il cervello acutissimo di Nemesis, assai dotato per alcune cose, ci sarebbe stato il caso che prima o poi sarebbe riuscito a svelare la loro natura, a forza di pensarci e ripensarci. Infatti così fu e Nemesis si figurò che ella avesse bisbigliato qualcosa del genere: «Che tu sia maledetta, figlia di Dio. Che tu possa sprofondare nelle fiamme dell’Inferno. Io qui ti maledico e ti condanno a sputare sangue ogni giorno della tua vita fino all’inevitabile morte che, quando verrà, sarà come un sollievo per te. Per questo dovrà avvenire molto lontano nel tempo…». Non poteva ovviamente esserne certo al cento per cento ma di quello lui si convinse. Nemesis lo comprese mentre le si era allontanato e ormai procedeva spedito verso la meta della sua peregrinazione.
Una volta che si ritrovò sulla via del ritorno, fu intrigato dalla voglia di apprendere se lei fosse ancora là. E dunque ripassò pressoché per il medesimo percorso imboccato prima. E lei era ancora là, immutabile, nello stesso invariato posto, che sempre imponeva le mani concentrando tutta la sua energia sulla fotografia abbellita e posticcia. Le parole che Nemesis sapeva ella pronunciasse erano in netta antinomia con la sua postura delicata e prostrata, con il suo incedere con lo sguardo dentro la fotografia, quasi a volerla penetrare. Il suo corpo pareva tanto angelico quanto diaboliche erano le parole che le uscivano dalla bocca scostumata. Eppure la ragazza sembrava amare smodatamente senza se e senza ma quella suora. Allora perché stava recitando quella empia e sacrilega preghiera per arrecarle strazio e dolore a più non posso? La ragazza pareva carezzare il foglio traslucido con cura estrema, avendo immensa paura che potesse rovinarlo: le dita che lo sfioravano erano ora appena appoggiate a esso, come se ella non avesse voluto lasciare alcuna impronta la quale avrebbe potuto irriguardevolmente insudiciarlo.
Era una contraddizione troppo evidente, quella. E Nemesis immaginò che essa potesse esser posseduta da un qualche demonio il quale la spingeva a lordare il contrario di ciò che ella avrebbe realmente voluto…
Nemesis avrebbe voluto gettarsi in aiuto della sventurata poiché era evidente che essa era finita in un brutto guaio dal quale da sola non sembrava essere in grado di tirarsene fuori. Tuttavia, Nemesis, aveva fin troppi problemi propri a cui dover badare, senza che si aggiungessero pure quelli di lei ad accasciarlo ulteriormente. Dunque dovette tormentosamente abbandonarla al suo destino. E se era scritto che ella ce l’avrebbe fatta, allora ella si sarebbe salvata. Altrimenti la ragazza si poteva dire che fosse già segnata. Nemesis non la poteva aiutare seppur essa gli faceva tanta pena…
Nemesis avrebbe almeno voluto vederle il volto per esaminare il tipo di luce che le brillava negli occhi, ma adoperarsi in una tale strategia di avvicinamento avrebbe significato farsi indubbiamente scorgere dalla ragazza, circostanza, quella, che a quel punto Nemesis voleva assolutamente scansare.
Si limitò dunque a rasentarla periferica. E il suo volto, così facendo, gli fu sempre negletto.