My friend Dahmer – Le origini del mostro di Milwaukee

Scritto e disegnato da un giornalista e fumettista che conobbe veramente Jeff Dahmer, questo fumetto prova a comprendere come un comune ragazzo, abitualmente completamente ignorato dagli altri, poté finire per diventare uno dei più aberranti serial killer statunitensi.

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Scopriamo una serie di elementi che, certo, presi singolarmente non potevano bastare per renderlo tale, ma messi tutti assieme avranno certamente avuto un notevole peso specifico nella vicenda.

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Dahmer viveva in una famiglia in cui i genitori litigavano spesso ed erano troppo concentrati su se stessi per rendersi conto che loro figlio avesse dei problemi, e non solo di socializzazione.

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Dahmer a scuola era oggetto di bullismo, al quale non reagì mai, neanche quando poi, divenendo molto più grosso, robusto e alto, avrebbe potuto.

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Dahmer cominciò a farsi notare a scuola solo nel momento in cui prese a imitare i movimenti e le azioni di uno spastico. Poi si sarebbe scoperto che non faceva altro che mutuare alcune crisi che prendevano la madre depressa.

In quel modo Dahmer riusciva a far ridere gli altri studenti. Ciò lo rese popolare ma, incredibilmente, non venne ugualmente mai realmente considerato da nessuno come “amico”.

Ci fu un gruppetto di studenti, tra cui l’autore dell’opera, che addirittura crearono un suo fan club e dei fumetti comici su di lui, ma nessuno di loro praticamente lo invitò mai a fare merenda con loro o a studiare, perché era come se lui fosse stato troppo strano e diverso da loro per avere il privilegio di condividere la vita vera con loro.

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Dahmer da piccolo cominciò collezionando carcasse di animali morti. Poi proseguì spolpandoli fino all’osso. L’ultimo atto delle sue macabre azioni sarebbe stato quello di accoppare uomini per lui attraenti, allo scopo di distendersi accanto a loro per fare sesso. Delle volte arrivando perfino a mangiare parti del loro corpo, per conservarli dentro sé.

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Quando Dahmer entrò nella pubertà i suoi desideri si acuirono mettendosi maggiormente a fuoco. Aveva la fantasia di avere il controllo totale della persona con la quale fare sesso. Fu probabilmente quello il periodo in cui cominciò a fantasticare di giacere con i morti. Forse il suo problema a monte era che non riusciva a stabilire nessun tipo di legame reale con chicchessia.

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Per un periodo tenne a bada le sue insane pulsioni praticamente rimanendo sempre ubriaco. Anche in questo caso fu incredibile che quasi nessuno se ne accorgesse o fosse realmente interessato a distoglierlo.

Ma quando si trovò ad abitare in casa da solo, senza più nemmeno un genitore o un parente intorno che svolgesse il ruolo di una sorta di superio, l’alcol non fu più in grado di anestetizzarlo e le sue brame presero il sopravvento. E lui non riuscì più a trattenersi.

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Leggendo questo fumetto non vi verrà tanto di prendervela con questo disperato. Capirete che in qualche modo lui era la prima vittima di se stesso.

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Dahmer fu un emarginato di cui tutti più o meno sapevano che era strano: un emarginato che nessuno ebbe mai la voglia o il coraggio di aiutare. Né i suoi familiari assenti. Né dei professori distratti. Né le sue pseudo “amicizie”, ovvero i coetanei che gli erano più vicini…

9 pensieri riguardo “My friend Dahmer – Le origini del mostro di Milwaukee

  1. Posso capire tutto, ma questo genere di operazioni che tendono a “giustificare” o cercare di “comprendere” non mi piacciono, e mi sembrano irriverenti nei confronti delle vere vittime, le uniche che sono morte. Trasformare il mostro in vittima della società, della famiglia o della scuola, non mi sembra giusto anche perché tanti altri ragazzi hanno situazioni problematiche e dolorose, ma non diventano serial killer.

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    1. Io tendo a essere molto severo verso chi commette errori irreparabili. Tuttavia, letto il fumetto, ho provato pena anche per lui. A dirla tutta noi, che non siamo come lui, non siamo in grado di giudicarlo per davvero. Sicuramente siamo legittimati a fare in modo che un tipo così non giri liberamente, però, se non lo comprendiamo, per noi è impossibile giudicarlo. Lui neppure era umano, almeno come lo siamo noi.

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      1. Non so, sul piano teorico hai ragione, ma ripeto mi sembra molto pericoloso ragionare così. In questo modo si finisce per provare pena anche per Hitler perché era orfano e ha avuto una infanzia infelice… Cmq non ho visto il fumetto di cui parli, perciò ammetto di essere prevenuta. È solo che non mi va di guardare serie televisive, film o fumetti, che si prefiggono di fare dietrologia per giustificare il male assoluto.

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      2. Comunque l’autore è stato molto “freddo” nelle sue descrizioni di quelle vicende vere. Non era suo scopo far provare pena per quel serial killer. Sono io che, non avendo conosciuto quel tipo, ho provato quel sentimento. Poi magari detesto gente che è pure meglio di quello…

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  2. UN prodotto, uno dei tanti, di una società malata ed egoista, insomma…. di storie così se ne sentono più di quente vorremmo ammettere. Ma io mi chiedo: perché non ci si fa qualche domanda sui motivi di fondo che possono portare una persona potenzialmente letale, ad esserlo veramente?

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  3. Che non fosse proprio sano di mente è un dato di fatto ma non so fino a che punto, visto anche come viene rappresentato nella serie Netflix, può essere definito una vittima della società, della famiglia o degli eventi. E’ comunque una persona che usava la testa per adescare le vittime e usava l’ingegno per occultare i cadaveri. Oltre al fatto che era autosufficiente. Malato sì, ma fino a che punto si possa compatire io sinceramente non lo so.

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