Ninetto e il giuoco del calcio

La scuola di Ninetto poteva contare su un ampio giardino in cui tutti i bambini giocavano all’aperto trascorrendo amabilmente le pause di studio e la ricreazione. Lì, i pargoli si radunavano spontaneamente in squadre e praticavano attività sportiva, in prevalenza il calcio – anzi, “il pallone” – perché a casa ognuno di loro era addestrato da padri beoti a tifare per una squadra e guardare sempre le partite in tv.

Alcuni bambini superpreparati conoscevano a fondo tutte le regole del pallone e per questo potevano fare anche saltuariamente l’arbitro. Così capitava che se si era dispari, piuttosto che fare le squadre squilibrate – in tal caso magari si sarebbero accorpati più bambini bravi in quella con meno elementi, mentre si sarebbero messe le pippe nell’altra squadra più numerosa – talvolta si optasse per il sacrificio di uno di loro, il quale, ergendosi sopra tutti, diventava per l’appunto un arbitro. Eppure, quel ruolo, non era granché ambito e in genere c’erano pochi bambini che lo volevano fare. Per primo perché era molto più bello correre dietro la palla partecipando attivamente alla partita piuttosto che starsela solo a guardare.

Talvolta i bambini arbitri erano anche particolarmente non dotati per lo sport e, a causa della loro incapacità, preferivano togliersi dalla tenzone per non prendersi le severe reprimende di quelli che invece sapevano giocare bene, i quali si sentivano in diritto di criticare tutti coloro che ritenevano loro inferiori.

Capirete, l’arbitro era un ruolo molto particolare, anche perché una volta che uno lo impersonava era soggetto a essere anche odiato quasi in modo istituzionale. Per esempio se un arbitro prendeva decisioni contrarie a una squadra e c’erano dei giocatori che pensavano che fossero sbagliate, questi glielo dicevano in malo modo. E dato che l’intento principe era quello di giocare e divertirsi, sfrenandosi al massimo, l’arbitro, seppure nella realtà avrebbe avuto quel certo potere che stiamo per dire, in quell’ambito ristretto, bambinesco, non poteva neppure ammonire o cacciare via qualcuno, se non per falli gravissimi che però avrebbero dovuto esser giudicati tali anche da tutti gli altri partecipanti alle partite.

Infine poi c’erano quelli che, esattamente come avviene nella realtà adulta, facevano gli arbitri per il potere che questo dava. Infatti poter decidere le sorti di un rigore o d’altro, inebriava già le coscienze di quei bambini che da grandi sarebbero diventati uomini sadici, o comunque sicuri malfattori in un qualche ambito.

Ninetto non avrebbe mai potuto far l’arbitro. Perché non conosceva tutte le regole e ancora non aveva capito bene come funzionava il fuorigioco. O meglio lo aveva quasi capito, sennonché poi gli avevano detto che la regola l’avevano cambiata e dunque lui non era più tanto sicuro di sapere quale fosse quella giusta. Tuttavia conosceva invece la regola dei “portieri volanti”, che voleva dire che un portiere poteva arrivare fin dove voleva con la palla, addirittura partecipare alle azioni offensive e battere le punizioni e segnare di testa, alla bisogna, o tirare da dentro o fuori l’area. Solo molti anni dopo Ninetto avrebbe compreso che in realtà, quella dei portieri volanti, era una mezza balla. Cioè che ogni portiere in una partita regolamentare poteva andare fin dove voleva: non esisteva nessuna regola che lo obbligasse a rimanere incagliato all’interno dell’aria piccola del portiere e nemmeno all’interno dell’aria di rigore.

Ninetto non avrebbe mai fatto l’arbitro, anche perché non avrebbe mai sopportato di sentirsi ringhiar contro i feroci epiteti dei bambini che non sarebbero stati d’accordo con le sue decisioni. Per questo Ninetto, che era molto timido e di indole docile, quando giocava a pallone faceva il difensore.

Ninetto non avrebbe mai fatto neppure il portiere, anche se molti di quelli che non sapevano giocare finivano per essere scarrozzati tra i pali, perché anche in quel caso lì uno si poteva prendere gli improperi degli altri bambini se non parava un tiro che poteva essere considerato “facile”. Per questo Ninetto faceva il difensore e non l’arbitro e non il portiere e non l’attaccante: perché era il ruolo in cui un pavido come lui avrebbe potuto imboscarsi più facilmente senza far arrabbiare nessuno.

Tutti i bambini più spigliati si mettevano invece lì davanti e, palla al piede, cercavano sempre di segnare i gol. Ninetto, facendo un po’ compagnia al suo portiere, se li guardava ammirandoli pensando nella sua testa: oh come è bravo Paolo, adesso se li smarca tutti e poi segna… Ma poi interveniva Luca e lui pensava: ah, pure Luca però! Che gran giocatore che è! Che tocco di palla eccezionale! Si vede che va alla scuola calcio… Poi subentrava Carlo e lui pensava: e che dire di Carlo! Che coraggio! Che azione incredibile! Sa fare pure le finte, e a dribblare è il più bravo della classe… E quando la sua classe giocava contro un’altra classe e le zolle del campo erano talmente affollate che c’erano due giocatori per ogni metro quadro, Ninetto, a vederli tutti assieme, i componenti indomiti della sua squadra, si riempiva di orgoglio e pensava che loro erano i più bravi. Per lui era un po’ come quando la nazionale giocava e allora si potevano vedere tutti i giocatori migliori unitisi assieme, anche se normalmente nella vita erano nemici, poiché di squadre diverse…

Ninetto era considerato una “pippa”. Per cui, quando si facevano le squadre, era sempre tra gli ultimi a esser scelto, anche se, e questo era motivo di grande orgoglio per lui, non era quasi mai scelto esattamente per ultimo, il che lo avrebbe considerato troppo mortificante. Solo una volta gli accadde di essere scelto per ultimo; fu quando le squadre le fecero due ragazzi a cui lui stava un po’ sulle palle. Allora, per sfotterlo, avevano fatto in maniera di tenerlo appositamente per ultimo, pur sapendo che lui non era il più scarso di tutta la classe, anzi. E per umiliarlo ancor di più, quello che se l’era tenuto aveva tentato di scambiarlo assieme a un’altra pippa della sua squadra con un giocatore della squadra avversaria. Ninetto era stato preso per un braccio come uno schiavo al mercato e sospinto verso il capitano della squadra avversaria; ma poi questi lo aveva offeso ancor di più non accettando lo scambio perché Ninetto, disse, era troppo pippa e averlo tra le sue fila gli avrebbe troppo impippito la squadra.

Tuttavia poi Ninetto gliela aveva fatta pagare cara dimostrandogli non solo che non era una pippa ma che era anche un buon difensore; e c’è n’erano davvero pochi di difensori bravi, anzi c’era solo lui, perché quelli bravi a smarcare non amavano sporcarsi le mani a stare in difesa ed erano anche meno avvezzi a marcare di quanto non lo fossero a smarcare; per cui di fatto si poteva dire che Ninetto era il solo e anche l’unico vero difensore bravo che ci fosse. Difatti Ninetto poteva essere superato in velocità solo da uno molto più veloce di lui, e a quei tempi nessun suo coetaneo era nettamente più veloce di lui; mentre superarlo con un dribbling secco era difficile perché Ninetto ti si metteva alle calcagna e non ti molava più cercando sempre di sporcarti la traiettoria della palla calciandola per metterla fuori.

Proprio in quella partita in cui era stato scelto per ultimo, Ninetto, incitato dal portiere della sua squadra che era un suo caro amico, arrivò anche a calciare direttamente in porta da metà campo (in realtà solo per evitare che qualche attaccante gli soffiasse la palla) e fece quasi gol perché il portiere avversario salvò la rete solo perché all’ultimo allungò un piede respingendola.

Per questo, presto, Ninetto si fece la fama di buon difensore e cominciò a esser considerato meno pippa delle altre pippe, perché sapeva difendere bene, anche se non c’era verso di scrostarlo dalla propria aria di rigore.

Solo in seguito Ninetto, sentendosi più sicuro di sé, si addestrò gradualmente a spostarsi più avanti per cercare di buttarsi nelle azioni che facevano venire i gol. Divenne alla fine un buon laterale (perché attaccante puro sarebbe stato troppo pretenzioso da parte sua e lui conosceva i suoi limiti). E un giorno i suoi amici gli fecero anche i complimenti per gli evidenti progressi che era riuscito a compiere, che non si sarebbero mai aspettati da lui.

Un giorno Ninetto segnò pure tre gol in una sola partita in cui invero si giocava due contro due, dunque in quei casi tutti si dovevano impegnare a far gol e non ci si poteva nascondere. Quel giorno Ninetto inaugurò una nuova usanza. Prese a segnarsi i gol che faceva sull’ultima pagina del quaderno di matematica. Così ogni tanto, tra una lezione e l’altra, apriva quella pagina inorgogliendosi a constatare che quel tale giorno aveva fatto tot gol, e quell’altro ancora di più, e quell’altro ancora aveva messo il suo record personale.

Ninetto era bravo.

ninetto

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